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Riprese
dal libro di Rino Camilleri:
Doveroso elogio degli Italiani, Ed. BUR, 2001)
e riorganizzate in modo libero, in ordine alfabetico. |
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INVENZIONI DEL "GENIO
DEGLI ITALICI"
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Acido salicilico, inventato d al Raffaele Piria, e che con aggiunta di acido acetico (nel
1897, da parte di Felix Hoffman) diverrà l'aspirina, nel XIX secolo; -
Acqua di colonia, inventata da Giovanni Maria Farina nel XVIII secolo;
- Aereo a reazione inventato da Giovanni Caproni e Secondo Campini nel XX
secolo;
- Albero a camme, compare in Toscana nel X secolo;
- Albero di bompresso (che permette di navigare col vento di fianco) ,
inventata dai Romani nel I secolo d.C..;
- Aliscafo inventato da Enrico Forlanini nel XX secolo ;
- Ammoniaca (prima, solo gassosa) e' liquefatta da Liberato Giovanni
Baccelli, nel XIX secolo;
- Anatomia patologica, fondata da Giovanni Battista Morgagni (1761);
- Anello di fidanzamento con diamante, compare a Venezia nel XV secolo;
- Anticiclone delle Azzorre, scoperto da Luigi De Marchi, nel XIX secolo;
- Armi da fuoco portatili compaiono in Italia nel XIII secolo;
- Assicurazioni sulla vita, inventate da Lorenzo Tonti nel XVII secolo ;
- Asteroide, Cerere, il primo è scoperto da Giuseppe Piazzi, nel XIX secolo.;
- Autostrada del mondo, la prima nel mondo è la Milano-Laghi nel XX secolo;
- Bagni termali nel II secolo a.C., a Roma;
- Balestra, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Banca moderna, la prima nasce a Genova nel XV secolo;
- Barile, inventato dai Romani nel I secolo d.C.;
- Barometro inventato da Evangelista Torricelli nel XVII secolo;
- Bicicletta, ideata da Leonardo da Vinci nel XV secolo;
- Bilancia idrostatica, ottenuta da Archimede, in base al principio di
Archimede, nel III secolo a.C.;
- Bodoni, caratteri tipografici, ideati da Giambattista Bodoni nel XVIII secolo
;
- Bombarda compare in Italia nel XIII secolo;
- Caffettiera moka express, inventata da Alfonso Dialetti) nel XX secolo;
- Calcestruzzo, entra in uso a Napoli, fatto con pietra vulcanica (pozzolana,
da Pozzuoli), calce e acqua, nel II secolo a.C.;
- Calcio fiorentino, primo gioco di palla a squadre nasce a Firenze nel XIII
secolo ;
- Calendario ""giuliano", introdotto da Giulio Cesare nel 46
a.C.";
- Calendario "gregoriano" (ancora valido) nel 1582 dal papa Gregorio
XIII.";
- Calzini (udones) compaiono a Roma nel IV secolo a. C. ;
- Campo magnetico rotante, inventato da Galileo Ferraris, nel XIX secolo;
- Canale di Suez, progettato da Luigi Negrelli, nel XIX secolo ;
- Cannocchiale astronomico, inventato da Galileo Galilei nel XVII secolo;
- Carrello cinematografico inventato da Giovanni Pastrone nel XX secolo;
- Carrucola, inventata nel IV secolo a.C. da Archila di Tarante;
- Carta stagnola, compare in Italia nel XV secolo;
- Cellule cancerogene, individuate da Renato Dulbecco (Nobel per la medicina)
nel XX secolo ;
- Champagne, inventato dal benedettino Francesco Scacchi (1335), tre secoli
prima di Perignon;
- Compasso, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Concerto musicale , creato dal bolognese Adriano Banchieri nel XVI secolo;
- Corsivo, inventato da Aldo Manuzio nel XV secolo;
- Crema emolliente inventata da Galeno nel II secolo d.C.;
- Cruciverba inventato da Giuseppe Airoldi nel XIX secolo ;
- Cupola (la prima è quella del Pantheon), inventata dai Romani nel I secolo
d.C. ;
- Declinazione magnetica, intuita da Cristoforo Colombo nel XV secolo;
- Dentiera inventata nel VIII secolo a.C dagli etruschi (che trapiantano anche
denti d'oro, d'avorio e d'osso).;
- Dizionario alfabetico, il primo è compilato dal bergamasco Ambrogio Calepino
nel XVI secolo. ;
- Docente universitaria donna, Laura Bassi, la prima nella storia ;
- Elettroshock, inventato da Ugo Cerletti nel XX secolo. ;
- Elicottero moderno inventato da Corradino d'Ascanio nel XX secolo.;
- Enciclopedia delle scienze, la prima ("Naturalis Historia") è di
Plinio il Vecchio nel 77 d.C.;
- Energia elettrica per via geotermica, ottenuta da Piero Ginori Conti nel XX
secolo (1904);
- Fattore di crescita neurale, scoperto da Rita Levi Montalcini (Nobel per la
medicina) nel XX secolo;
- Fecondazione artificiale, ideata da Lazzaro Spallanzani, nel XIX secolo. ;
- Ferro da stiro, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Fisarmonica, inventata da Paolo Soprani, nel XIX secolo.;
- Forchetta, compare in Toscana nell'XI secolo;
- Fotografia della corona solare, la prima - 1842 - è fatta di Maiocchi, nel
XIX secolo;
- Funicolare, la prima a Napoli, nel XIX secolo ;
- Futurismo inventato da Filippo Tommaso Marinetti nel XX secolo.;
- Gelato, inventato dal toscano Bernardo Buontalenti nel XIV secolo;
- Generatore di corrente (dinamo), inventato da Antonio Pacinotti , nel XIX
secolo;
- Gioco del lotto, il primo, nasce a Genova nel XVI secolo;
- Lampadina di Edison, migliorata da Arturo Malignani (portandone la durata da
100 ore a 800 ore, e da luce rossastra a luce bianca e intensa), nel XIX secolo;
- Legge di Avogadro (volumi uguali di gas, alla stessa temperatura e pressione,
contengono lo stesso numero di molecole), scoperta da Amedeo Avogadro, nel XIX secolo. ;
- Libri tascabili, inventati da Aldo Manuzio nel XV secolo ;
- Macchia rossa di Giove, scoperta da Giandomenico Cassini nel XVII secolo ;
- Macchina da scrivere, inventata da Giuseppe Ravizza, nel XIX secolo.;
- Macchina seminatrice, inventata dal bolognese Taddeo Cavallini nel XVI
secolo;
- Malattie infettive, individuate, per primo, da Gerolamo Fracastoro nel XVI
secolo;
- Mappa di Marte, la prima è disegnata da Francesco Fontana nel XVII secolo;
- Martello pneumatico, inventato da Ernesto Curri nel XX secolo; |
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Melodramma, ideato da Jacopo Peri XVI secolo; - Metodo scientifico
moderno: i suoi caratteri sono dettati per primo da G. Galilei nel XVII secolo;
- Microchip, inventato da Federico Faggin ) nel XX secolo;
- Moderna elica navale, ideata da Giuseppe Ludovico Ressel, triestino, nel XIX
secolo;
- Moto alternato in rotatorio e altro: la macchina per la trasformazione
dell'uno nell'altra è inventata da Leonardo da Vinci nel XV secolo;
- Motore a scoppio, creato da Felice Matteucci ed Eugenio Barsanti nel XIX
secolo;
- Motore a stella per aerei inventato da Alessando Anziani nel XX secolo.;
- Motore elettrico, ideato da Galileo Ferraris nel XIX secolo (1883);
- Musica "Jazz" , inventata dall'italo-americano Nick La Rocca (1917,
primo disco) ) nel XX secolo;
- Neuroni, scoperti da Camillo Golgi (premio Nobel per la medicina) , nel XIX
secolo ;
- Nitroglicerina (su cui lavor, poi, Alfredo Nobel per ottenere la
dinamite - 1867), inventata da Ascanio Sobrero nel XIX secolo;
- Notazione musicale è ideata da . Guido d'Arezzo nell'XI secolo;
- Novella, genere letterario creato da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo;
- Nutella, inventata da Michele Ferrero) nel XX secolo;
- Ocarina, costruita da Giovanni Donati, nel XIX secolo.;
- Occhiali compaiono a Pisa nel XIII secolo ;
- Orologio meccanico, detto ""svegliatore monastico""
perchè in uso nei monasteri, compare nell'XI secolo";
- Orologio pubblico: i primi comparvero su campanili, in Italia, nell'anno
1000;
- Oscillazioni isocrone del pendolo: le relative leggi sono intuite da Galileo
Galilei nel XVII secolo;
- Pantaloni, i primi sono fatti a Venezia nel XVI secolo nel XVI secolo;
- Pantelegrafo (antenato del fax) creato da Giovanni Caselli nel XIX secolo.;
- Particelle Zeta, individuate da Carlo Rubbia (Nobel per la fsica) nel
XX secolo.;
- Partita doppia della contabilità è creata da Luca Pacioli nel XV secolo;
- Periodo di rotazione di Venere, scoperto da Giovanni Schiaparelli, nel XIX
secolo;
- Pianoforte, costruito da Bartolomeo Cristofari nel XVIII secolo;
- Pila elettrica, inventata da Alessandro Volta, nel XIX secolo;
- "Pinocchio", il libro più tradotto dopo la Bibbia, scritto da
Carlo Lorenzini (""Collodi""), nel XIX secolo;
- Pistola a tamburo (nel 1833, due anni prima di Colt), inventata da Francesco
Antonio Broccu, nel XIX secolo.;
- Pizza, compare a Napoli nel X secolo ;
- Pneumotorace artificiale per la cura della tubercolosi, inventato da Carlo
Forlanini, nel XIX secolo.;
- Polipropilene (cioè, la plastica) inventato da Giulio Natta nel XX secolo.;
- Polo nord, sorvolato la prima volta Da Umberto Nobile, con un dirigibile, nel
XX secolo;
- Portolano, il primo compare a Pisa nel XIII secolo;
- Preservativo moderno, ideato da Gabriele Falloppio nel XVI secolo;
- Prospettiva, le sue regole sono elaborate e codificate, rispettivamente, da
Filippo Brunelleschi e da Leon Battista Alberti nel XIV secolo;
- Protuberanze solari scoperte da Angelo Secchi , nel XIX secolo;
- Quotidiano, introdotto nel I secolo a. C. da Giulio Cesare con gli Acta
Diurna che informano delle decisioni del Senato;
- Radio, inventata da Guglielmo Marconi nel XX secolo;
- Radiogoniometro (determina la provenienza dei campi magnetici e il
trasmettitore che li emette), inventato da Alessandro Artom nel XX secolo;
- Raggi cosmici , scoperti da Bruno Rossi nel XX secolo.;
- Reazione nucleare a catena, provocata da Enrico Fermi nel XX secolo;
- Riscaldamento centralizzato, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Rubinetto creato dai romani nel I secolo a.C.;
- Ruota da bicicletta lenticolare, inventata da Antonio Dal Monte ) nel XX
secolo;
- Salsa piccante compare a Roma nel III secolo a.C.;
- Satelliti di Giove, scoperti da Galileo Galilei nel XVII secolo;
- Sciopero (il primo della storia - 1378 - a Firenze, da parte dei
"ciompi" fiorentini, lavoratori della lana; il secondo a Londra - 1396 - da
parte dei marinai veneziani)";
- Scooter inventato da Corradino d'Ascanio nel XX secolo;
- Sfigmomanometro, inventato da Scipione Riva Rocci, nel XIX secolo. ;
- Siluro, inventato da Giovanni Battista Luppis, nel XIX secolo.;
- Sismografo, inventato da Luigi Palmieri , nel XIX secolo;
- Sonetto è inventato dal siciliano Jacopo da Lentini nel XIII secolo;
- Spaccio pubblico di acquavite, il primo compare a Modena nel XV secolo;
- Stenografia inventata nel 63 a.C. Marco Tullio Tirono.;
- Suole per scarpe in gomma, create da Vitale Bramani nel XX secolo. ;
- Telefono, inventato da Antonio Meucci, nel XIX secolo;
- Telescrivente inventata da Luigi Cerebotani nel XX secolo.;
- Teorema di Pitagora, inventato da Pitagora, nel VI secolo a.C , a Crotone.;
- Termocoppia (che misura piccole differenze di temperatura) ideata da Leopoldo
Nobili, nel XIX secolo.;
- Termodinamica, le relative leggi sono scoperte da Galileo Galilei nel XVII
secolo;
- Termometro inventato da Santorio Santorio nel XVII secolo;
- Torta nuziale (che viene buttata addosso alla sposa) introdotta da Romani nel
I secolo a.C..;
- Trapianto di pelle, il primo è eseguito da Gaspare Tagliacozzo nel XVI
secolo;
- Trasporto pubblico a trazione elettrica, il primo a Firenze, nel XIX secolo
(1890);
- Trattato di architettura, il primo è di Vitruvio nel I secolo d.C. ;
- Università, la prima nasce a Bologna nel XI secolo (988 ?);
- Vaccino contro la pertosse (tramite ingegneria genetica), scoperto da Rino
Rappuoli) nel XX secolo;
- Vento solare, scoperto da Bruno Rossi nel XX secolo.;
- Violino, costruito da Gasparo Bardotti nel XVI secolo;
- Vite, inventata nel IV secolo a.C. da Archila di Tarante. ;
- Vite senza fine, ottenuta da Archimede, nel III secolo a.C.;
-Volta a crociera, compare a Roma nel II secolo d.C. |
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DENTRO LE GIRANDOLE ELETTORALI |
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Lino
RIZZI*, COSA VOTIAMO QUANDO VOTIAMO ?
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* Professore di "Filosofia
del Diritto", già vicino al Cardinale Carlo Maria Martini.
Ha approfondito la atipicità dei diritti dell'uomo, come affermati nella
Comunità internazionale.
Per gli scritti, clicca su: Bibliografia |
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Lino Rizzi, Unibocconi
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Lino Rizzi CHE COSA VOTIAMO QUANDO
VOTIAMO?
lino.rizzi@unibocconi.it SOMMARIO. Se non
scegliamo quelli che ci governano, per che cosa dovremmo votare? Concedere un mandato
significa aprire al candidato un credito di fiducia che dà autorevolezza ad un
governo. Il mandato elettorale è libero da vincoli formali, ma si fonda sulla fiducia dei
cittadini, non sulla fedeltà al capo. Questa deriva sostituisce alla democrazia
rappresentativa un regime fondato sull'acclamazione forzosa di candidati
ignoti. Verso un potere che non sia stato legittimamente eletto, e che per di più governi
contro l'interesse dei più, abbiamo l'obbligo costituzionale di disobbedire.
L'aumento dell'astensione è la prova di quanto l'atto di
votare abbia perso senso politico; il cittadino non vi vede più un momento di
autodeterminazione politica e morale. In effetti, se non votiamo per scegliere i nostri
governanti, né per sostituire i meno meritevoli, perché mai dovremmo votare? Se non c'è
alternativa tra le forze in campo, se non c'è modo di sfiduciare i peggiori, cosa
possiamo più sperare dalle istituzioni rappresentative? Queste questioni che investono la
credibilità delle autorità politiche non sembrano turbare le menti dei facitori della
nuova legge elettorale.
La discussione sul progetto di legge del marzo scorso alla Camera è
stata concentrata essenzialmente su due punti: la soglia di sbarramento per accedere al
parlamento, e la soglia minima per conquistare il premio di maggioranza. La governabilità
appare nel testo il valore più importante da conseguire con il voto, mentre la
rappresentanza dei consensi in parlamento diventa funzionale alle esigenze dell'esecutivo.
Malgrado la sentenza della Corte Costituzionale che ha cassato il porcellum, la
filosofia del legislatore non cambia, si muove nella logica della riduzione del peso della
rappresentanza parlamentale: meglio lasciar fuori dal parlamento i meno omogenei, ridurre
ai margini dell'attività legislativa gli oppositori; meglio allargare la base di quelli
che la pensano come noi. L'esito paradossale è che il governo democratico non si regge
più sulla maggioranza dei consensi espressi dal paese e convertita nella maggioranza
numerica degli eletti in parlamento. Si fonda, invece, su di una minoranza di consensi
reali, raccolti da una forza politica che solo l'artificio del premio trasforma in
maggioranza parlamentare, e quindi di governo. Neppure la prossima lettura al Senato
sembra voler mettere al centro del processo elettorale un rapporto tra elettori ed
eleggibili che sia aperto e radicato sul territorio.
Domanda: su cosa si fonda l'autorità di un governo
democratico? La risposta della opinione qui dominante è: 'sulle cose che farà'! Ma le
farà a dispetto del consenso della maggior parte della popolazione? Un parlamento che
risulti da una minoranza dei consensi nel paese può anche essere il fondamento per un
governo più autorevole ? Il governati avranno più ragioni per obbedire ai
governanti ? Non certo in una democrazia rappresentativa! L'autorità democratica
ha per principio il dovere politico di massimizzare il consenso e di ridurre
tendenzialmente al minimo il dissenso. Scegliere un candidato e concedergli il mandato
significa aprirgli un credito di fiducia: un parlamento di "rappresentanti" è
soprattutto la risultante delle singole fiducie acquisite in situazioni deliberative
reali. Ciascun candidato al parlamento, la fiducia se la deve guadagnare in confronti
pubblici con gli elettori, e l'investitura la riceve dai cittadini nel suo seggio
elettorale: 'ti scelgo tra altri perché tu sei più degno di fiducia'. Questo è il
criterio di ragionevolezza che vige in una democrazia rappresentativa fondata sul concorso
dei cittadini.
Il concetto correlato al diritto di voto è quello di
"rappresentanza". Che tipo di legame c'è tra rappresentante e rappresentato,
ossia in che misura l'eletto rappresenta l'elettore ? E qui la riduzione di ogni obbligo
al solo obbligo giuridico, fa aggio sull'obbligo etico-politico che è invece alla base
dell'atto di delega dell'elettore. In effetti, poiché la delega è a mandato libero da
vincoli formali, nella cultura giuridica nostrana ha assunto il significato di assenza di
mandato tout court. In effetti, nella recente vita politica, tanto il rapporto
sociale tra elettore ed eletto, quanto il valore politico della rappresentanza
sono stati scardinati sia nella pratica che nella teoria. Nel primo caso dai comitati
elettorali - che solo abusivamente si denominano 'partiti' - e nel secondo dai guardiani
del diritto di voto.
Quest'ultimo aspetto emerge ripetutamente nella ricorrente
discussione, appunto, sulla natura non vincolante del "mandato"
elettorale. Certo l'Art. 67 della Costituzione afferma che il parlamentare è "senza
vincolo di mandato", ma solo perché nega che gli elettori dispongano nei confronti
dell'eletto di un potere legale di imposizione e di revoca. Seppur usato, e a ragione,
contro le singolarità del Movimento 5 Stelle, questo argomento, nella sua estremizzazione
giuridico-formale, appare a dir poco improprio.
Manifesta invece una resistenza antidemocratica al dovere di
rispondere dell'operato, una deriva 'negazionista' verso il |
valore propriamente non-giuridico
della rappresentanza, un istituto cardine della democrazia parlamentare.
Non è perché tra le parti dell'atto elettorale non c'è
vincolo legale (potere di revoca) che non ci deve essere tra di esse alcun
obbligo politico. Ma si tratta di un obbligo non codificato, che si genera nella ricerca
del bene comune, che nasce dalla pratica collegiale di un'etica pubblica fatta
certo di regole, ma anche di condotte condivise, di aspettative e di fedeltà provate.
Come potrebbero, infatti, persone ragionevoli e responsabili scegliere un candidato dal
quale non potessero aspettarsi nulla di prevedibile o, addirittura, che non riscuotesse la
loro fiducia? Immaginiamo un candidato che chieda il voto ai cittadini sulla base
di una premessa di questo tipo: 'vi prometto che non manterrò nulla di quel che ora vi
dico'; oppure: 'assumerò posizioni politiche opposte a quel che voi vi aspettate
dall'apertura di credito che mi farete'. La non revocabilità del mandato è un caposaldo
del diritto costituzionale in quanto è a tutela della libertà di esercizio dell'eletto,
ma il mandato non è vuoto di vincolo etico, ed è questo livello di obbligo che il
deputato è tenuto ad onorare. La fiducia concessa è quindi il vincolo ex ante che rende
credibile la delega. Mi chiedo se, in caso non di dissenso, ma di indegnità nella
condotta dell'eletto, non sia ora opportuna l'istituzione di un diritto di revoca, potere
d esercitarsi da votanti di quel collegio che ha concesso la fiducia.
La relazione di rappresentanza presente nella Costituzione ha subito gli effetti di quella
che il costituzionalismo statunitense chiama la 'giuridificazione della sfera politica':
il discorso pervasivo sulle procedure tende a togliere rilevanza alla deliberazione
politica e alla responsabilità politica degli agenti. La nostra Costituzione al riguardo
è piena di termini etici come "onore", "dignità",
"nazione" che richiamano doveri etici; afferma esplicitamente che "I
cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle, con
disciplina ed onore
" (Art. 54). Non è perché questi termini riguardano
comportamenti che non cadono nel dominio giuridico che debbono per questo essere
considerati senza effetti e semplicemente decorativi del ruolo. In quei paesi da cui
abbiamo preso la dottrina costituzionale, se un ministro è accusato di plagio, se
l'azione infrange la sua onorabilità pubblica, il giudice competente non è il tribunale;
non si invoca il diritto dell'imputato ad essere ritenuto innocente fino al terzo grado di
giudizio, basta che l'infrazione sia stata accertata, perché gli interessati ne accettino
le conseguenze e le istituzioni la rendano effettiva. In definitiva, il giudice delle
condotte pubbliche non è né l'esperto', né semplicemente la corporazione di
appartenenza, è una morale uguale per tutti, comune a chi sta dentro e chi sta fuori
dalle istituzioni. La regola per cui la buona reputazione - honestas e decus
avrebbe detto Cicerone - è un prerequisito indispensabile del cittadino ed è ciò da cui
dipende la dignità all'intera vita pubblica.
La nostra dottrina costituzionale non dice affatto che tra
eletto ed elettore non ci debba essere nessun impegno liberamente assunto, e tantomeno
che, a mandato assegnato, nessun impegno continui a vincolare poi l'eletto. Quanto meno è
legato al dovere di rappresentante delle aspettative dei cittadini di un buon governo
della cosa pubblica. La denominazione stessa di 'onorevole' vincola in modo inequivocabile
la condotta di ciascun eletto al codice dell'onore. L'Art. 67 afferma infatti che il
parlamentare è libero nell'adempimento della sua funzione, ossia non è impedito da
impegni precedentemente assunti con terzi, ma contestualmente sottolinea, e con forza, che
suo dovere è di rappresentare la volontà di tutti i cittadini. La virtù è
l'imparzialità, non quella di essere una parte, ossia ne vincola le scelte individuali
alla ricerca dell'interesse generale: "Ogni membro del Parlamento rappresenta
la Nazione", e solo in atti diretti a questa dedizione, "esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato" (ibid.).
Quindi, fuori dal devastante assunto che dove non c'è norma
giuridica non ci sia impegno oltre il momento elettorale, il vincolo di mandato in realtà
c'è, ed è politico: è insito nel rapporto fiduciario che, in una situazione
associativa aperta, si instaura tra elettore ed eligendo! Il legame politico con gli
elettori può ben esaurirsi nel momento elettorale, ma in un regime non a rappresentanza
democratica. La democrazia non coincide in effetti con un regime elettorale tout court,
ma è una forma di governo in cui le lezioni sono solo un momento nel processo di
legittimazione del potere. L'esercizio del mandato è libero ma non può essere così
libero da rendere le future scelte degli eletti irriconoscibili ai loro stessi elettori,
pena la disfatta di ogni associazione politica e del parlamento stesso. Nell'intero
processo democratico è pertanto la fiducia maturata che fa da vincolo tra quello che gli
elettori già sanno del candidato e le sue future scelte politiche. Certo queste non sono
prevedibili in anticipo, tuttavia gli elettori puntualmente informati nutrono la legittima
aspettativa che gli eletti siano coerenti con la serie delle |
precedenti azioni con cui hanno
guadagnato la loro credibilità politica.
Va inoltre sottolineato che in una democrazia la libertà di
espressione si esercita e non va scissa dalla libertà di associazione, ossia dal processo
che costituisce il risultato politico. Il rapporto fiduciario tra candidato, elettore ed
eletto si regge su di una pratica artigianale della relazione sociale e va
ricercato e ricreato a livello locale, e all'interno della circoscrizione elettorale. La
fiducia non è un abito che si possa sviluppare tra l'utenza fluttuante ed ondivaga della
rete, né nel partito dei telefonini, e tantomeno attraverso i media televisivi che
emettono parole, ma gli attori non comunicano con lo spettatore. Tutte forme utili, ma a
circuito chiuso, che diventano sovversive se aggirano i luoghi fisici, associativi ed
istituzionali del pubblico confronto; i soli spazi dove ciascuno può pubblicamente dire
'ho una proposta da fare' o 'non sono d'accordo su questo punto'! La fabbrica di una
cittadinanza tra le mura domestiche è la grande finzione che ha eroso il legame civile
tra la libertà di espressione e la libertà di associazione. Entrambe sono
antropologicante costitutive di ogni processo di deliberazione politica, e a maggior
ragione in una democrazia.
Le implicazioni di queste libertà fondamentali sono divenute
costume nei paesi europei, eppure nel nostro sistema democratico è invalsa - nel più
assordante silenzio dei garanti della costituzione - un'anomalia vistosa, la pratica di
'selezionare' i candidati a porte chiuse. Pratica che elite pseudo democratiche hanno in
comune con i regimi totalitari: qui il cittadino partecipa al voto perché è obbligato ad
esprimersi su fatti compiuti; partecipa ma non per scegliere i suoi rappresentanti, e
tantomeno per esercitare un potere di controllo sui governanti, bensì per ratificare ciò
che altri a sua insaputa hanno già deciso. Al riguardo, c'è un ultimo ma non meno
importante punto da rilevare che concerne i concetti politici di 'popolo' e di 'potere',
che sono compatibili con un ordinamento democratico. Chi ha creduto che la selezione dei
migliori non possa essere frutto della capacità di discernimento dei governati, è stato
ampiamente smentito dall'attuale qualità della classe politica; chi poi pensi che le
libertà democratiche siano meglio difese dagli esperti piuttosto che dai cittadini,
commette l'errore di credere che il più esperto sia anche il più fedele ai
valori della costituzione democratica. La facilità in cui i regimi totalitari
rovesciarono i regimi democratici è la prova che non è proprio così.
La sentenza numero 3/2014 della Corte Costituzionale ha dichiarato il porcellum
illegittimo. Un garante tardivo perché solo dopo tre turni elettorali ha ravvisato nelle
"liste bloccate" e nel "premio di maggioranza" una incostituzionale
alterazione del principio di rappresentanza democratica. Ma espresso in termini meno
asettici, ciò che è stato messo sotto sequestro dal porcellum è il diritto
fondamentale dei cittadini di candidare e di essere candidati in associazioni libere e
aperte. Pseudo partiti e comitati elettorali senza porte né finestre, hanno sottratto
questo potere alla libera dialettica dell'associazione civile. Hanno svilito il parlamento
al punto da sostituire alla democrazia rappresentativa un regime fondato sull'acclamazione
forzosa di candidati ignoti. Detto con la formula medioevale: il clero sceglie, il popolo
acclama (eligente clero, acclamante populo)! E' da questa involuzione autocratica
e privatistica delle istituzioni politiche che bisogna uscire, ma le dotte disquisizioni
sui sistemi elettorali che si sono sino ad ora succedute non manifestano l'intenzione di
voler restituire al popolo sovrano il potere di autodeterminarsi. Al contrario, mostra che
il potere tende ad espandersi in modo illimitato, se non trova un contropotere che lo
fermi. La capacità civile di esprimere e anche organizzare il dissenso resta l'atto
costituente di ogni nuovo potere.
Il buon governo, o meglio "il diritto ad una buona
amministrazione" è un diritto fondamentale della Carta dei fondamentali dell'Unione
Europea (art. 41); è un diritto umano ossia nell'ordine del giusto dovuto, non è né una
concessione umanitaria che non possa essere preteso con fermezza. I diritto dell'uomo
dichiarati nel dopoguerra non sono una graziosa concessione del sovrano, sono limiti posti
all'esercizio del potere; questi diritti non possono essere trasformati in foglie di fico
di un potere di pochi che non rende conto a nessuno. La giusta pretesa di buon governo non
può neppure essere erosa da una etica dove tutto si media e si giustifica, una pseudo
morale che sabota l'obbligo dei governanti al rispetto del patto costituzionale, e che, in
definitiva, agli uguali diritti dei governati sostituisce il basso regime del meglio di
niente. Noi abbiamo il dovere di obbedire ad un governo legittimo, ma verso un potere che
non sia stato correttamente eletto e che per di più governi contro l'interesse dei più,
abbiamo l'obbligo costituzionale di disobbedire e di cacciarlo. LINO RIZZI |
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EDIZIONE PRECEDENTE |
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NEL SECONDO ANNIVERSARIO
DEL XIX CONGRESSO DC,
(ANNULLATO DALLA MAGISTRATURA),
CHE ELESSE GIANNI FONTANA, SEGRETARIO
Per una view, clicca su: Congresso DC |
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GRUPPO DI LAVORO PER LA RIORGANIZZAZIONE DELLA DC
VERBALE DELLA RIUNIONE DEL 12 DICEMBRE 2014
Nei prossimi incontri sarà avviato il
dibattito
sul Codice di comportamento di Guido Gonella, 1982
Per l'originale, clicca su: codice dc |
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LE CONCLUSIONI
DEL GRUPPO DI LAVORO:
"Rifare il XIX congresso della DC, ma transitando
per l'assemblea dei soci, in base al codice civile". |
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Nota. 1.- Sembra
essere di un qualche rilievo, in Italia, la convinzione che, per le scelte di rilevanza
storica (come per le riforme della Governance dello Stato, in crisi dai tempi della caduta
della DC), l'apporto ( sia pur non monopolizzante) dei cattolici in parlamento sia fattore
da cui non si possa prescindere. Sul percorso che mira a riportare la DC in
parlamento, va ricordata in primis la celebrazione del XIX congresso nel 2012, con la
elezione di Gianni Fontana, come Segretario nazionale (clicca su: Congresso DC), fatto storico incancellabile, pur se annullato dalla
magistratura.
Il Gruppo di lavoro, di cui si riferisce in questo servizio, punta a rifare
il XIX congresso, ma transitando per la convocazione della assemblea dei soci, di cui
all'art. 36 del codice civile, alla quale sarà sottoposta la modifica dello Statuto, in
base al codice civile.
Quale statuto ? E' proposito comune che si debba partire far precedere il tutto da
un dibattito sul codice di comportamento, fatto da G. Gonella nel 1982.
2.- Quel codice appare oggi, pur valido nelle enunciazioni morali,
povero di strumenti di salvaguardia dei principi e valori, in quanto il bene e il male
fanno parte dell'uomo e, da sempre prevale l'uno o l'altro in tutte le istituzioni, a
seconda delle circostanze. Se mancano gli strumenti idonei, anche l'uomo di buona volontà
è ostacolato verso il bene.
Non si vogliono sminuire i fondamentali apporti della DC alle note storiche
conquiste del popolo italiano, ma questo non può far chiudere gli occhi su quanto è
avvenuto al termine di 40 anni di logorante potere politico, che aprirono la via alla
vicenda giudiziaria di mani pulite degli anni '90 e allo scioglimento della DC per mano di
se stessa (sia pur risultato illegale, grazie alla Cassazione), il 29 gennaio 1994.
3 - Ciò rilevato, voglio fare un passo indietro. La lettura di quel codice ci fa presto
capire che esso fu fatto da persona molto esperta di politica, e dunque (prima di
"migliorarlo") va letto e riletto almeno tre volte, per sicura cultura personale
e conoscenza dei partiti in generale.
_____________________
* Per la consultazione del testo originale, occorre andare alla biblioteca
dell'Istituto don Sturzo, a Roma
Clicca su: http://www.istituticulturalidiroma.it/result.php?dove=breve&useq=1&nf=01&vf=001SBL0290542&startp=semplice). |
Il Verbale
1.- Il 12 dic. 2014 si è riunito a Roma un Gruppo di lavoro per
definire tecnicamente il procedimento per la ri-convocazione del XIX congresso della DC
storica. L'impostazione prescelta è stata quella di fare domanda al Tribunale di
convocare preventivamente l'assemblea nazionale dei soci, in base all'art. 20 del c.c.,
che poi avrebbe modificato lo statuto in base all'art. 21 del c.c., e infine convocato il
congresso in base al nuovo statuto. In particolare il Gruppo doveva, poi, approvare: a) il
testo per la domanda di convocazione, al Tribunale; b) il modulo con cui i soci dovrebbero
dare delega, ad alcuni iscritti, di fare la domanda medesima al tribunale; c) il tribunale
al quale fare la domanda.
2. Sul punto a) è stato concordato che nel testo, oltre le formalità
di routine, si chieda al tribunale di fare la convocazione per pubblici proclami, in modo
da invitare anche gli iscritti del 1992, che non avevano fatto la auto-dichiarazione ai
fini del congresso 2012. Al momento l'unico elenco dei soci, disponibile, è quello
depositato al tribunale di Roma nel 2012 per il XIX congresso.
3.- Sul punto b) è stato approvato il modulo, e tuttavia con la
raccomandazione che i delegati siano pochi, per semplificare il procedimento di
presentazione della domanda.
4.- Sul punto 3, il prof. Luciani ha illustrato i risultati di una
ricerca storica di tutti gli statuti della DC, dal 1945 al 1984. In breve:
- il primo statuto (1945), conteneva sia l'"atto costitutivo" sia lo
"statuto in senso stretto" (vale dire, le "norme organizzative".
Esso, nella prima pagina, aveva scritto: "Democrazia Cristiana, Lo statuto,
1945, Roma, Piazza del Gesù 46", e nella pagina 2: "Il partito ha sede in
Roma". - il primo "statuto in senso stretto" compare nel 1948.
Esso non riporta l'atto costitutivo.
Nella pagina 1 sta scritto "Democrazia Cristiana, Statuto del partito,
Roma 1948.
L'ultimo "statuto in senso stretto" è del 1984. Esso ha la stessa
forma di quello del 1948, vale dire nella pag. 1 sta scritto : "Democrazia Cristiana,
Statuto del partito, Roma 1984".
Anch'esso non riporta l'atto costitutivo. |
GUIDO
GONELLA, IL CODICE DI COMPORTAMENTODELLA DC, ROMA 1982
Nota. Il Codice è composto da tre parti:
1.- Introduzione di Flaminio Piccoli, Segretario politico della DC.
2.- Relazione illustrativa del "Codice di comportamento", di Guido Gonella.
3.- Testo giuridico del codice.
Qui è pubblicato il punto 2.
Guido Gonella, RELAZIONE ILLUSTRATIVA DEL CODICE DI COMPORTAMENTO DELLA DEMOCRAZIA
CRISTIANA
SOMMARIO.
- PREMESSE. I. Politica e Religione. II. Politica e Morale. III. Politica e Diritto.
- ILLUSTRAZIONE dei 16 Articoli del Codice 1 - Valori ideali. 2. - Condotta .3 -
Coscienza. 4 - Costume. 5 - Moralità. 6 - Disciplina. 7 - Critica. 8 - Partito .9 -
Organizzazione. 10.- Elezioni. 11 - Parlamento. 12 - Gruppi. 13 - Votazioni. 14 - Pubblica
opinione. 15.- Stampa. 16.- Sanzioni.
PREMESSE AL CODICE DI COMPOR TAMENTO
1 - Oggetto del Codice. Le norme di comportamento degli iscritti alla DC compendiano i
principi della deontologia politica ispirata alla morale cristiana. Intendono rispondere
alla domanda:come si esercita la professione del politico cristiano? Hanno il fine di
garantire dignità, decoro e competenza di chi esercita attività politiche, ispirate alla
morale cristiana. Si fissano diritti e doveri della politica cristiana. La professione
cristiana è professione primaria alla quale deve essere subordinata la professione
politica intesa come professione secondaria. Il Codice morale del politico riguarda norme
particolari dedotte da norme generali.
I - POLITICA E RELIGIONE 2 - Politica e valori religiosi. L'attività
politica deve ispirarsi alla morale cristiana, e l'iscritto alla DC deve avere coscienza
dei doveri imposti dal rispetto dei valori religiosi, dei quali tratta anche la
Costituzione italiana tutelando le libertà religiose e stabilendo i "fini di
religione" di determinate istituzioni. Dei valori religiosi trattano pure i Codici e
le leggi dello Stato. 3 - La politica come missione e apostolato. Il cristiano sa che
l'impegno politico non esaurisce tutta la dimensione degli impegni umani, e intende la
politica cristiana non solo quale servizio sociale, ma anche quale missione ed apostolato
cristiano, dando a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. 4 - Metodo
cristiano nell'operare politico. L'iscritto alla DC deve operare, nella sfera della
politica, con "metodo cristiano" (don Sturzo), e deve praticare la "maniera
cristiana" di essere politico.
II POLITICA E MORALE 5 - II "dover essere della politica". La
politica cristiana, al di là della scienza e tecnica politica, esige il rispetto di quei
principi morali che indicano non l'essere, ma il "dover essere" morale della
politica. 6 - Politica e bene comune. Fine supremo della politica è primariamente il bene
comune, cioè quel bene della comunità che, considerata nel suo complesso organico,
trascende i beni particolari. La politica offre un mezzo essenziale per la difesa pubblica
dei diritti della persona nella sfera dello Stato. 7 - Fini e mezzi della politica. Contro
ogni forma di machiavellismo, la politica cristiana esige che siano leciti non solo i fini
ma anche i mezzi poiché il fine, anche se lecito, non giustifica i mezzi illeciti. 8 -
Coscienza e responsabilità politica. L'esperienza politica è necessaria per assicurare
la competenza e la tecnica politica, ma non è sufficiente a dirigere l'azione politica la
quale deve essere disciplinata anzitutto dalla coscienza del dovere politico e dalla
responsabilità morale, non meno impegnativa della responsabilità politica. Della
responsabilità politica e morale il politico deve rendere conto alla società, e
accettarne le conseguenze. 9 - Morale politica inte- |
sa come scienza ed arte. La morale politica è
scienza del bene e del male nell'operare politico, ed è pure arte che mira a promuovere
il bene politico e a combattere il male politico. 10 - Virtù politiche e virtù morali.
Nella politica cristiana sono intimamente legate le virtù politiche alle virtù morali
(onestà, correttezza, lealtà, disinteresse, equità, coraggio, fedeltà alle idee,
fraternità con i colleghi, testimonianza della verità, ecc.). All'operatore politico è
richiestala "buona reputazione" di cui trattano Codici e leggi stabilendo
sanzioni contro le offese alla "buona reputazione". 11 - Valori inscindibili. La
politica cristiana respinge ogni separatismo non solo tra morale privata e morale pubblica
ma anche fra morale e politica in quanto considera questi valori come distinti ma non come
separati. Si impone, inoltre, l'integrazione dei doveri morali, giuridici e politici. 12 -
Morale cristiana, politica materialista e politica laica. Il cristiano riconosce la
specifica natura etica della politica cristiana, incompatibile sia con la politica
dell'ateismo materialista, il quale è dichiaratamente anticristiano in quanto negatore
dei valori cristiani, sia con la politica del laicismo il quale, quando non è
anticristiano, si dichiara acristiano in quanto sostenitore della indifferenza di fronte
ai valori cristiani. La politica cristiana non accetta nè l'antitesi fra morale e
politica, nè quella separazione laica tra morale e politica che si oppone alla
"intrusione" della morale nella politica in nome
dell'"intrusione"della politica nella morale. La Repubblica Italiana non è
stata definita "laica" dalla Costituzione, a differenza, per es. , dalla
Repubblica francese, che, nel testo costituzionale, è espressamente dichiarata
"laique". 13 - Morale cristiana e morale corrente. La"morale
corrente", di cui talora tratta il laicismo, non è necessariamente la morale
cristiana. E'ugualmente doveroso rispettare la morale che è normalmente espressa dalla
coscienza e dall'azione della generalità degli uomini in un determinato momento storico e
che influisce su un determinato ordinamento politico. 14 - Morale professionale e
attività politica. L'attività politica, in rapporto all'esercizio di incarichi pubblici,
può assumere carattere di professionalità, non esclusiva perché normalmente coesiste
con altra professione preesistente che viene sostituita o sospesa, ne permanente perché
l'attività professionale del politico cessa normalmente con la fine di un mandato o di un
incarico politico. Anche se non è ne esclusiva ne permanente, la professione politica
deve rispettare la morale professionale per tutto ciò che riguardala coscienza e la
responsabilità professionale e per tutto ciò che concerne il rispetto dei doveri morali
e politici, analoghi a quelli di altre professioni (doveri di programmare, di eseguire, di
controllare, ecc.). III - POLITICA E DIRITTO
15 - Morale politica e diritto positivo. Il rispetto dei doveri della
coscienza morale è reso più impegnativo anche per il fatto che le istanze morali sono
affermate dalla stessa Costituzione e dai Codici nei quali ripetutamente ricorrono
riferimenti specifici alle nozioni di "valori morali", "principi della
morale", "doveri morali e religiosi", "doveri morali e sociali",
"uguaglianza morale", "indegnità morale", "violenza
morale", ecc. 16 - Morale politica e Codice Penale. La morale politica del cristiano
non può limitarsi a rispettare il divieto di compiere quegli illeciti che il Codice
Penale prevede come illeciti penali (come per es. peculato, malversazione,
concussione,corruzione, abuso d'ufficio, interesse privato in atti pubblici, omissioni di
doveri di ufficio, ecc.). Il politico cristiano deve combattere ogni illecito morale anche
se non è tutelato da sanzioni giuridiche. 17 - Comportamento morale e comportamento
giuridico. Nella sfera della politica si riconoscono valide le norme classiche del
comportamento giuridico ("neminem laedere, honeste vivere, suum cuique
tribuere") che, nella loro essenza, mirano a realizzare istanze morali. 18 -
Comportamento morale e costumanze sociali. La politica cristiana rispetta non solo le
norme di comportamento morale e giuridico, ma anche quelle norme di comportamento che
riguardano costumanze e abituali convenienze politiche e sociali che spesso si ispirano a
istanze morali.
MOTIVAZIONI DEI 16 ARTICOLI DEL CODICE
Art. 1 VALORI IDEALI
- Adesione ai valori ideali. L'art. 1 dello Statuto della DC prescrive
che il socio debba "aderire ai valori ideali di Partito". E' competenza del
Partito far conoscere quali siano in concreto i "valori ideali" della DC, e come
questi comprendano anche i "valori morali", e perciò pure le regole dell'etica
professionale. - Incompatibilità ideali. L'art. 6 dello Statuto prescrive che il socio
non deve aderire a movimenti "aventi finalità contrastanti con quelle del
Partito". Tale adesione implica violazione non solo delle norme statutarie, ma anche
di specifiche norme morali (dovere di fedeltà ai principi e di coerenza).
Art. 2 CONDOTTA
- Condotta incensurata e irreprensibile. Secondo l'art. 1 dello Statuto
della DC, il socio deve avere una "incensurata condotta morale e politica", e
secondo l'art. 15 (lettera F) dello stesso statuto, il socio deve "tenere
irreprensibile condotta morale e politica". Quindi, la condotta deve essere non solo
"incensurata" (giudizio esterno), ma anche "irreprensibile"
(correttezza interiore). Inoltre si esige specificamente, non solo una condotta politica,
ma anche una condotta"morale". - Comportamento dignitoso. L'art. 15 dello
Statuto del Partito prescrive che il socio abbia un "comportamento improntato al
massimo rispetto della dignità e della personalità di ciascuno", rispetto inteso
come dovere primario della DC.
Art. 3 COSCIENZA
- Coscienza e responsabilità. La coscienza politica deve essere intesa
come coscienza non solo individuale ma anche sociale. La coscienza delle responsabilità
politiche dell'eletto è duplice: verso l'elettore e verso il Partito che presenta il
candidato agli elettori in nome di un determinato programma politico. Non si può
sacrificare una responsabilità all'altra. - Obiezione di coscienza. Si deve ammettere
l'obiezione di coscienza per il socio che non intenda aderire ad un orientamento o ad una
decisione politica che considera incompatibile con i doveri di coscienza. - Casi di
coscienza erronea. La coscienza, di cui si rivendica la libertà, deve essere controllata
dal soggetto che si appella ad essa, perché anche la coscienza può cadere in errore
("coscienza erronea") determinato da ignoranza, incompetenza, risentimento,
ostilità di persone o gruppi, pregiudizi, superficialità di giudizio, ecc. - Abuso dei
casi di coscienza. Si devono evitare non solo i casi di "coscienza erronea", ma
anche "l'abuso dei casi di coscienza" (don Sturzo). Opera contro coscienza chi
rifiuta la disciplina al Partito per un abuso del caso di coscienza. - Incertezze di
coscienza e dimissioni. Dalle insuperabili incertezze della coscienza si può uscire
dimettendosi da una funzione il cui esercizio sia divenuto imbarazzante per la coscienza
stessa.
Art. 4 COSTUME
- Lotta contro la corruzione politica. E' dovere del politico cristiano
combattere ogni forma di corruzione nei pubblici affari e nell'esercizio di pubblici
incarichi. - Malcostume degli Enti pubblici. Il politico cristiano deve esigere
specialmente da Enti di Stato o comunque gestiti o finanziati dallo Stato, e in primo
luogo dalla Rai Tv, che non si utilizzino pubblici strumenti come mezzi di diffusione del
malcostume. Chi non ha impedito il malcostume che poteva impedire ne assume la
responsabilità morale. - Strutture sociali che favoriscono la corruzione. La politica
cristiana sente il dovere di combattere quelle strutture sociali che agevolano corruttela,
arrembaggio, favoreggiamenti, scalate agli stipendi, imposizione di partito, sperpero di
denaro, ingiustizie fiscali, protezionismi negli accessi agli impieghi, nelle promozioni,
nell'assegnazione di posti, ecc. - Moralità e pubblici affari. Per combattere la
diffusione della immoralità nei pubblici affari è opportuno combattere il moltiplicarsi
degli Enti pubblici e dell'ingerenza dello Stato in imprese, banche, istituzioni
economiche di ogni genere, in quanto la pubblicizzazione dei rapporti economici può
influire sul rilassamento dei costumi morali. - Incompatibilità tra controllori e
controllati. E' una esigenza dell'etica politica l'affermazione dell'incompatibilità tra
controllori e controllati e di conseguenza la separazione delle responsabilità del
parlamentare dalle mansioni del pubblico amministratore. E' quindi necessario riprendere
la battaglia di don Sturzo contro la "bassa lega" fra politici e amministratori,
tenendo presente gli scandali successivi alla campagna di don Sturzo. - Abuso del pubblico
denaro. E' doverosa la lotta contro ogni abuso del pubblico denaro, anche se l'abuso è al
servizio di gruppi parlamentari o di partiti politici. - Divieto di mediazione e
cointeressenze. Oltre che per ragioni giuridiche e politiche, e quindi per non incorrere
in alcuno degli illeciti previsti dalla legge, si afferma il rigoroso divieto per i membri
della DC, investiti e non investiti di pubbliche funzioni, di accettare mediazioni e
cointeressenze in pubblici affari.
Art. 5 MORALITÀ'
- Malcostume e pubblica immoralità. La politica cristiana deve
considerare come imperativo dovere la lotta contro tutte le forme di pubblica immoralità
quali l'abortismo legalizzato, la prostituzione, l'uso della droga, l'uso degli
antiprocreativi, l'omosessualità, la pornografia, e tutte le altre degenerazioni morali
vietate e non vietate dalle leggi dello Stato. - Malcostume nelle pubblicazioni e negli
spettacoli. Per la difesa del costume morale è particolarmente imperativo l'art. 21 della
Costituzione secondo il quale "sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli
e tutte le altre manifestazioni contrarie al buoncostume". La generale inosservanza
di tale norma nulla toglie al valore cogente di una norma voluta dalla libera Assemblea
democratica del popolo italiano. Esigere il rispetto di tale norma costituzionale è
dovere primario del politico cristiano il quale è ben conscio che il malcostume offende
la coscienza, viola il diritto, e degrada la dignità dell'uomo. - Educazione al buon
costume. Deve essere un fine essenziale della politica cristiana l'educazione al buon
costume per promuovere la sanità morale dell'individuo e della famiglia e la formazione
della gioventù.
Art. 6 DISCIPLINA
- Rispetto della disciplina democratica. Deve essere rispettato il
"principio della disciplina democratica" (De Gasperi), che implica il rispetto
dei voti dei Congressi vincolativi per tutti, nonché il rispetto di ogni altra direttiva
democraticamente adottata da legittimi organi di Partito. La disciplina riguarda "un
complesso di norme di convivenza e di realizzazione, norme di esercizio e di difesa"
(don Sturzo), e deve pure riguardare i rapporti con i dirigenti democraticamente eletti
alle cui direttive deve essere coordinata e pure subordinata l'attività del socio. Deve
essere combattuta ogni indisciplina dovuta a ignoranza, malevolenza, partito preso,
presunzione, e tale da indebolire il Partito. - Osservanza delle norme statutarie e
regolamentari. L'art. 15 dello Statuto stabilisce i seguenti doveri dell'iscritto alla DC:
"Ogni socio è tenuto all'osservanza dello Statuto, dei regolamenti e dei deliberati
degli organi statutari, e deve concorrere alla loro attuazione ed a quella del programma e
della linea politica della DC". Ogni violazione dei predetti doveri è pure
violazione delle norme di comportamento con tutte le conseguenze che da ciò possono
derivare.
Art. 7 CRITICA
- Critica interna ed esterna. Mentre la critica interna al Partito può
favorire opportuni chiarimenti e progresso delle idee, la critica esterna può risolversi
in una forma di disfattismo che fornisce armi all'avversario. - Critica costruttiva e
autolesionismo. E' incontestabile il diritto di criticare ogni politica ritenuta ingiusta
o inopportuna, a condizione che la critica sia costruttiva (positiva) nella denuncia dei
mali e dei modi di curarli, e non autolesionista (negativa) e spesso sabotatrice. -
Critica e rispetto delle decisioni del Partito. La critica è libera, ma deve rispettare
le decisioni congressuali e direzionali. Le norme degli organi superiori del Partito
debbono essere vincolanti per gli organi inferiori e per tutti gli iscritti, e il dissenso
espresso in sede interna può contribuire per mutarle e migliorarle ma non può tradirle
mentre sono vigenti. Critica degli uomini di Governo. Le critiche degli uomini di Governo
verso le direttive del Partito non debbono essere tali da diventare nocive per il Partito
che li ha designati alle supreme cariche, e pure nocive all'unità di una compagine
governativa.
Art. 8 PARTITO
- Moralità del Partito. La moralità del comportamento politico implica
moralità del Partito inteso come una comunità di individui che si ispirano ad uguali
principii e si pongono al servizio di una comunità politica. Il Partito va considerato
non solo come "movimento", ma anche come"corpo sociale", implicante un
sistema organico di diritti e doveri, uno stabile rapporto tra fini e mezzi in un
organismo sociale di natura etico politica. I legami di Partito vanno intesi non solo come
legami politici, ma anche come legami etici. Il Partito poggia su due pilastri
"libertà e organizzazione" (don Sturzo); libertà del socio, dell'elettore e
del parlamentare, ma anche organizzazione resa efficiente e stabile da legami di diritti e
doveri. - Azione formativa. Secondo l'art. 27 dello Statuto del Partito è dovere delle
Sezioni di svolgere "azione di formazione, di presenza e di proposta", cioè di
operare in tre campi distinti e complementari nei quali si esplica, per vari
gradi,l'azione politica. Il dovere di formazione va considerato anche come dovere di
comportamento morale di ogni socio. - Servizio sociale. Il socio della DC, considerando la
politica come un servizio alla comunità,e il Partito come un corpo di servizio alla
comunità per la garanzia dei diritti e doveri del cittadino, deve assicurare tale
servizio sociale con la giustizia delle leggi, con l'onestà e la saggezza
dell'amministrazione. - Solidarietà. Il dovere di solidarietà fra gli iscritti al
Partito si esplica con l'assunzione delle responsabilità individuali e sociali, con la
concordia sociale, con la subordinazione alle disposizioni degli organi direttivi
liberamente eletti, in quanto i "vertici" del Partito siano libera e democratica
espressione dell'effettiva volontà della"base". - Assistenza. Il politico
cristiano deve consigliare il cittadino, assisterlo nei suoi bisogni, aiutarlo a
rettificare i suoi erronei orientamenti, collaborare con il singolo per rendere sempre
più cosciente la sua partecipazione al sistema democratico. -Difesa. La milizia politica
va intesa come una milizia che ha il compito della difesa pubblica dei diritti della
persona nella vita dello Stato, nonché della difesa dalle ingiustizie politiche ed
economiche e della riparazione di ingiustizie subite. - Crisi di Partito e crisi di
istituzioni. E' dovere cercare di evitare ogni crisi di Partito, non solo per tutelare la
stabilità ed efficienza del Partito, ma anche per impedire che una crisi di Partito possa
provocare crisi di istituzioni.
Art. 9 ORGANIZZAZIONE
- Divieto delle correnti e orientamenti ideologici particolari. E' un
dovere, non solo politico ma anche morale (per rispetto della legge di solidarietà e
dell'esigenza dell'unità politica) rinnovare una tenace lotta contro le correnti che
dilaniano il Partito, ne sacrificano l'unità e favoriscono le ambizioni. Poiché le
correnti sono già state ripetutamente e inutilmente vietate, le norme di comportamento
morale devono essere applicate con maggior rigore e con sanzioni anzitutto contro i
promotori ed organizzatori di correnti. Oppure, se il Partito non intendesse sopprimerle,
si debbono rigorosamente regolamentare, fissando diritti e doveri di comportamento morale
di ogni legittima tendenza interna che operi come specifico orientamento ideologico e non
come gruppo organizzato e di pressione. Violano le norme di comportamento morale anche le
agenzie e pubblicazioni di corrente già definite da De Gasperi:"succursali della
stampa avversaria". - Diritti degli iscritti. Secondo l'art. 14 dello Statuto della
DC, ogni socio ha il diritto di: "partecipare all'attività del Partito",
"contribuire alla determinazione della linea politica", "concorrere
all'elezione degli organi statutari". Cioè: esercitare diritti politici che
riguardano l'ammissione alle candidature per pubblici incarichi, ed ogni nomina pubblica e
privata in cui si può legittimare una competenza diretta o indiretta del Partito. -
Referendum dei Soci. L'art. 124 dello Statuto prevede il referendum tra i soci al quale il
Partito dovrebbe ricorrere per tutte le decisioni più gravi di orientamento politico, in
modo da poter meglio garantire la certezza e democraticità delle maggiori decisioni,
sottraendole all'arbitrio e alle competizioni degli organi o gruppi di potere. - Dovere di
sostegno economico. L'art. 15 dello Statuto della DC prescrive che è dovere del socio
"sostenere economicamente il Partito" e, a tal fine, deve essere versata al
Partito una parte delle indennità percepite, fissata dagli organi dirigenti, essendo
particolarmente onerose la stampa, la propaganda e le campagne elettorali. Ogni violazione
dei predetti diritti e doveri è anche violazione delle norme di comportamento.
Art. 10 ELEZIONI
- Comportamento del candidato democristiano. Il candidato de deve
rispettare le norme della moralità elettorale che esige: propaganda veritiera, lealtà
verso gli altri candidati, obiettività nella critica degli avversari, fedeltà al
programma del Partito, non accettazione di candidature in liste avverse o concorrenti,
secondo quanto prescrive l'art. 105 dello Statuto della DC. - Denuncia delle spese
elettorali. Ogni candidato eletto o non eletto, deve rendere pubbliche e documentate la
spese sostenute per la campagna elettorale e i finanziamenti elettorali eventualmente
ottenuti dal candidato stesso o dal Partito per fini elettorali. - Rispetto delle
incompatibilità. Oltre le incompatibilità previste dall'art. 21 dello Statuto del
Partito, deve essere rispettata anche ogni altra incompatibilità di natura morale, anche
se non giuridicamente sancita, come nel caso di appartenenza, oltre che alla DC, ad
associazioni in tutto o in parte ostili ai valori cristiani, quali per es. la massoneria.
Nessuno può appartenere contemporaneamente ad ambedue le Camere (art. 65 della
Costituzione) e nessun parlamentare eletto nelle liste della DC può essere
contemporaneamente membro delle due Camere nazionali e del Parlamento europeo.
Art. 11 PARLAMENTO
- Dovere di difesa della funzione legislativa. Il parlamentare
democristiano deve difendere l'indipendenza dell'attività legislativa lottando contro le
ingerenze che turbano il libero e responsabile esercizio delle funzioni parlamentari, e,
quindi, opponendosi alle indebite ingerenze di partiti, di sindacati, di giornali, di
esponenti di interessi particolari. - Diritti di libertà del parlamentare. Deve essere
rispettata la libertà del parlamentare. Non vi è mandato imperativo nè degli elettori,
secondo l'art. 69 della Costituzione, ne dei Gruppi. Il Parlamento non può essere
considerato come "Camera di registrazione" e "non può essere un minorato
che attende per muoversi gli ordini di scuderia" (don Sturzo). Le norme di
comportamento combattono la partitocrazia conciliando la libertà con la responsabilità
del parlamentare. - Doveri del legislatore DC. Per il corretto ed efficiente adempimento
del compito di legislatore si esige dal parlamentare dottrina ed esperienza giuridica,
conoscenza della tecnica legislativa, perizia ed obiettività nella disciplina della
materia su cui legifera. Viene meno al dovere professionale chi trascura la formazione
della competenza professionale. - Dovere della dichiarazione patrimoniale. Affinchè la
vita degli uomini politici sia trasparente, e l'opinione pubblica non possa avere dubbi
sulla loro correttezza, è doverosa la dichiarazione patrimoniale dei DC aventi funzioni
nel Partito, nel Parlamento o nel Governo o negli Enti pubblici, e tale dichiarazione,
riguardante anche il coniuge ed i figli conviventi, deve essere periodicamente aggiornata.
- Lotta contro l'assenteismo parlamentare. Per impedire la decadenza dell'istituto
parlamentare, presidio della democrazia, il retto comportamento combatte la piaga
dell'assenteismo dei parlamentari, prevedendo sanzioni del Gruppo ed anche la decadenza
dalla carica per assenteismo abituale, in maniera analoga a ciò che è previsto dalla
legge comunale e provinciale. - Riforma dell'autorizzazione a procedere. Per favorire un
retto comportamento morale si deve promuovere la riforma dell'istituto dell'autorizzazione
a procedere essendo venute meno le principali ragioni storiche che lo giustificarono,ed
essendo causa di decisioni contraddittorie che creano privilegi sulla base di intese
politiche. E'però necessario stabilire nuove forme di garanzia dell'indipendenza del
Parlamento dai magistrati politicizzati. - Riforma del sistema di incriminazione dei
Ministri. Per garantire la giustizia uguale per tutti e per eliminare privilegi
determinati da complicità politiche, si impone la riforma del sistema dell'incriminazione
dei membri del Governo ai quali, comunque, deve essere assicurata la possibilità di
giudizio in seconda istanza.
Art. 12 GRUPPI
- Rispetto delle direttive del Gruppo. Il parlamentare DC deve
rispettare le direttive del proprio Gruppo parlamentare, per non indebolire la forza del
Gruppo e l'efficacia della sua opera nel Parlamento, secondo la volontà degli elettori. -
Presentazione di proposte di legge. E' doveroso il rispetto della disciplina di Gruppo in
materia di presentazione di proposte di legge, emendamenti, di ordini del giorno. Prima
della presentazione debbono essere sottoposti al direttivo del proprio Gruppo
parlamentare. - Discorsi dissenzienti. E' dovere del parlamentare de informare
preventivamente il direttivo del Gruppo parlamentare nel caso in cui intenda tenere
discorsi parlamentari dissenzienti dall'orientamento del Gruppo. E' pure doveroso esporre
al direttivo del Gruppo le ragioni del dissenso.
Art. 13 VOTAZIONI
- Sincerità nelle votazioni. In materia di dissenso del voto si esige
non solo coraggio nell'esprimere la propria opinione personale, ma anche sincerità nelle
motivazioni del dissenso. - Lealtà e pubblicità del dissenso nel voto. Il dissenso del
parlamentare de su una votazione deve essere leale, pubblico e comunicato preventivamente
al direttivo del Gruppo parlamentare DC. - lì voto e il rispetto della coscienza. Nessun
parlamentare può essere costretto a votare contro coscienza, cioè contro il divieto
della "retta ragione" (don Sturzo), e pure contro il citato precetto
costituzionale che stabilisce che ogni parlamentare "esercita le sue funzioni senza
vincolo di mandato" (art. 67). - Lotta contro i franchi tiratori. Sono inammissibili
nell'azione parlamentare i franchi tiratori, perché ipocriti e senza coraggio,
"falsano le regole del gioco" (don Sturzo). Mentre sono legittimi i motivati
dissensi interni, sono nocivi i dissensi esterni (disfattismo). - Abolizione del voto
segreto. L'abolizione del voto segreto è auspicabile per eliminare tutti i predetti
inconvenienti del voto segreto. La riforma del sistema di votazione comporta la riforma
dei regolamenti parlamentari, al fine di escludere il diritto di richiesta di voto segreto
e pure la preferenza attribuita dai regolamenti a vari motivi di votazione (don Sturzo).
Art. 14 OPINIONE PUBBLICA
- Orientamento dell'opinione pubblica. E' dovere del politico de
ispirare l'attività politica alla convinzione che il rispetto delle norme morali può
efficacemente influire, più di ogni altra attività, sul retto comportamento
dell'opinione pubblica. - Opinione pubblica e malinformazione. E' doveroso, per il DC,
cooperare alla formazione di una corretta opinione pubblica e combattere la
malinformazione faziosa. - Lotta contro lo scandalismo e la faziosità. E' dovere di ogni
membro della DC difendere il Partito ed i suoi membri, dallo scandalismo artificioso e
denigratorio, e combattere ogni faziosità della stampa e dell'oratoria demagogica.
Art. 15 STAMPA
- Dovere di precisare e di smentire. Il DC, investito o non investito di
pubbliche funzioni, ha il dovere di precisare o smentire dichiarazioni giornalistiche
gratuite e interviste arbitrarie o faziose o deformate concernenti la sua attività
politica. Si deve impedire che nell'opinione pubblica si accreditino orientamenti falsi o
imprecisi o comunque discreditanti. Devono essere combattute, nella stampa, le false
informazioni, ed è doveroso collaborare con il Partito combattendo ciò che è di fazioso
pregiudizio del prestigio del Partito che si intende difendere. - Collaborazioni
inopportune. Il DC è sconsigliato a collaborare a giornali o periodici sistematicamente
ostili alla DC, al fine di non dar credito ai denigratori e di non confondere,
nell'opinione pubblica la verità con gli errori. - Inopportunità di sottoscrivere
manifesti avversari. Ai soci della DC, specialmente a quelli che rivestono cariche di
responsabilità, è sconsigliata la sottoscrizione di manifesti promossi da avversari
politici, in quanto siano tali da recare pregiudizio all'autonomia ideologica della DC e
di confondere, di fronte all'opinione pubblica, responsabilità politiche diverse anche se
concordanti in qualche materia.
Art. 16 SANZIONI
- Le sanzioni previste per violazione delle norme di comportamento sono
nettamente distinte da quelle sanzioni, (sospensione ed espulsione) che sono previste
dallo Statuto e che possono essere decise sia dalla Direzione, sia dai Probiviri per
violazione di norme statutarie relative a disciplina non solo organizzativa ma anche
morale. Lo statuto del Partito determinerà quali misure disciplinari possano essere prese
nel caso della mancanza di rispetto di qualcuna delle norme di comportamento. Lo Statuto
indicherà pure quale organo, rigorosamente indipendente, avrà la facoltà di prendere
provvedimenti.
SEGUE: TESTO dei 16 ARTICOLI DEL CODICE APPROVATO DALLA DIREZIONE DEL
PARTITO, DALL'ASSEMBLEA NAZIONALE E DAL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA DC(29.XI.1981)-
(Omessi). |
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EDIZIONI PRECEDENTI |
SCELTE
PUBBLICHE: RIFORMA DELLA POLITICA IN ITALIA |
Matteo RENZI: La
terza via della sinistra e la mia ricerca di un nuovo
cammino.
Francesco CAPONNETTO, Democristiani non utopisti visionari, ma pieni di
ardimento
Gabriele CANTELLI, Renzi-Berlusconi: prove oltre la terza via, tra
riconoscimenti e coperture ? |
|
Matteo
RENZI, La terza via della sinistra
e la mia ricerca di
un nuovo cammino. |
(Testo ripreso da Il Sole 24 ORE, 28 nov. 2014 )
1.- Per tutto il Novecento, il destino della sinistra che cambiava le cose
è stato quello della incessante ricerca di una terza via. Una ricerca
appassionata e critica che, avendo a cuore che gli ideali di libertà e giustizia
continuassero a orientare una politica per i cittadini e per il cambiamento, sapeva
districarsi tra il cieco affidamento alle ragioni del mercato della destra e l'ideologismo
statalista della sinistra estrema.
Oggi quel compito è diventato più arduo. Ai due vecchi conservatorismi
di destra e di sinistra, si è difatti aggiunta l'inconcludenza di un populismo
che, oltre a tentare di permeare chiunque dei suoi pregiudizi, s'è fatto istanza politica
a sé e reclama a gran voce il suo spazio. In Europa, in particolare, questo populismo ha
avuto più successo che altrove, facendosi vanto di non essere interessato alla
comprensione dei problemi e alla pronta definizione delle soluzioni, quanto piuttosto alla
compilazione dell'elenco di presunti colpevoli. Un elenco che, seppure di tanto in tanto
lasci intravedere i nomi di qualche vero avversario del cambiamento, è composto in
maniera convenzionale e gretta. Così, nel nuovo secolo già carico di mutamenti
tali da apparire inimmaginabili anche negli ultimi anni del vecchio, il futuro della
sinistra che cambia le cose è diventato più complesso.
Sommatasi la loquace balbuzie populista ai due vecchi
conservatorismi, il nostro compito è divenuto quello della ricerca di un nuovo
cammino, originale e tuttavia memore del percorso fin qui realizzato.
Non è soltanto una questione di numeri. Quando, sotto la spinta della
stagione clintoniana, la sinistra definì i contorni della propria Terza via, riuscì nel
suo intento perché seppe disinnescare il determinismo della destra focalizzato sulla
inviolabilità del mercato e quello di una certa sinistra - che vediamo all'opera ancora
oggi - centrato sulla sacralità dello Stato.
La sinistra delle riforme aveva allora solo due avversari da
sconfiggere. Due avversari, per così dire, convenzionali.
Ci riuscì proponendo un umanesimo liberal-democratico,
costruito sulla dialettica nuova tra quanto al mercato andava concesso in termini di
realizzazione delle libertà dei singoli e quanto allo Stato era richiesto in ragione di
un'estensione delle opportunità per tutti. Quella lezione e le conquiste che ne seguirono
valgono ancora oggi.
Eppure non sono più sufficienti. Il populismo, nemico non
convenzionale nell'agorà della politica, si è affiancato ai due vecchi avversari e
impone la sua presenza urlando e spaventando. Unico modo per neutralizzarlo è
rispondere a quella legittima invocazione di trasparenza, che viene alla politica
trasversalmente da tutti.
La globalizzazione impone alle democrazie del mondo non soltanto di
essere più veloci nelle proprie dinamiche di rappresentanza e nei processi decisionali.
Richiede anche di rendere le dinamiche di rappresentanza e i processi decisionali più
trasparenti che in passato.
Per ridurre così la distanza che i cittadini percepiscono
tra se stessi e le istituzioni, utilizzando anche i nuovi strumenti di comunicazione della
Rete. Più velocità e più trasparenza, insomma: una sfida inedita per la storia del
pensiero e delle procedure democratiche. E tutta qui sta la difficile opera della ricerca
di una nuova via per la sinistra che vuole ancora cambiare il mondo per farlo più libero
e più giusto.
È successo e succede alla sinistra di affezionarsi troppo ai
cambiamenti che ha realizzato negli anni passati. Si affeziona a essi al punto di
pretendere di difendere le conquiste del passato anche quando diventano il principale
ostacolo per le conquiste future.
Un enorme paradosso per chi è di sinistra e sa che solo
la continua realizzazione degli ideali di libertà e giustizia conferisce, per ogni
generazione, un senso storico all'essere di sinistra.
2.- Nemmeno alla Terza via è oggi possibile affezionarci. Certo, tutti
noi abbiamo in tasca una bussola per attraversare il tempo del nostro impegno politico. Un
oggetto familiare che portiamo con noi ovunque: una guida, più che un semplice strumento
di orientamento.
E per molti di noi la Terza via è stata la bussola del cammino
degli ultimi anni.
Quando nel 1999 Bill Clinton e Tony Blair convocarono a Firenze
i progressisti di tutto il mondo, avevo ventiquattro anni e avevo deciso che per me la
politica, intesa come cambiamento in positivo, come partecipazione e scelta, come impegno
e responsabilità, poteva essere qualcosa di buono, un orizzonte possibile per trasformare
in meglio la realtà. Tuttavia nella stagione presente dei grandi mutamenti della
globalizzazione, la nostra vecchia bussola può indicarci la direzione sbagliata.
Oggi i grandi mutamenti in corso agiscono, difatti, come
inattesi e improvvisi campi magnetici che fanno saltare l'ago della Terza via.
Solo una bussola nuova, costruita dalle passioni e dalle
intelligenze del presente e ispirata dai bisogni reali che richiamano oggi il nostro
impegno - penso, ad esempio, agli sforzi di riforma che stiamo facendo in Italia, dagli 80
euro al cambiamento dell'architettura istituzionale, così come ad altre esperienze in
Europa e nel mondo che si muovono nella stessa direzione - può indicarci la giusta
direzione del futuro. Una nuova via che si faccia strada tra i tanti e diversi che agitano
paura e diffondono sfiducia, per indicare un nuovo verso per un futuro più prospero e
più felice. |
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Francesco
CAPONNETTO, Democristiani non utopisti visionari, ma pieni di ardimento |
NEL QUADRO DEI TENTATIVI IN ATTO
PER LA RICOSTRUZIONE DI UN PARTITO
UNITARIO DEI CATTOLICI, IN POLITICA
Non è facile, in questo panorama politico
italiano, ed in questi periodi di particolare crisi democratica, scrivere della Democrazia
Cristiana.
E un fatto, a tutti noto, che un insieme di politici, con astute
mosse, atte ad ingannare con illusioni fantastiche l'opinione pubblica, aspirano a farsi
riconoscere dal Parlamento Italiano «Legati Apostolici».
Essi hanno, cioè, la pretesa di ottenere il diritto speciale di
nominare, al posto degli elettori, i Deputatinazionali ed i Senatori' .
Anche il grande Conte norrnanno Ruggero, con una bolla pontificia
conferitagli dal Papa Urbano II, ottenne la prerogativa della Apostolica Legazia, per cui
i Vescovi siciliani erano nominati direttamente dal Re.
Questo privilegio, durato molti secoli, generò tante vicende
dolorose.
Non è facile scrivere della DC, anche perché, mentre due nostri
eroici connazionali tirano avanti alla meglio per non'fare la fine di Attilio Regolo,
milioni di famiglie faticano ad a,rnvare alla fine del mese.
Ma quello che ci deve servire da ammaestramento, è l'opinione di
Galileo Galilei, che scriveva in una sua lettera: " Oggi è invalso l'uso che
meglio sia errar con I'universale, che essere singolare nel rettamente discorrere".
Infatti una gran quantità di persone, in modo particolare quelle che diedero al pavido
Mino Martinazzoli il malvagio consiglio di sciogliere la D.C., si considerano dei furboni
e pensano di essere forti, solo perché numerosi. Perciò, senza diventare rossi in viso,
dopo avere ammainato la bandiera della Democrazia Cristiana, oggi espongono la
bandiera di ogni vento.
La ragione particolare per la quale hanno abiurato la propria fede
politica, ed hanno morso la mano che Ii ha nutriti, è nata dalla
brama di amare solo se stessi ed i1 portafogli gonfio.
L'orgoglio ridicolo del quale, questi "sciocchi politici di
mal talento pieni" vanno fieri, è la persecuzione della D.C.; i loro eroi sono i
disertori, che reclutano milizie mercenarie per pugnalarla alle spalle; le loro divinità
tutelari sono i volti velati dei ruffiani prezzolati, che nei momenti bui e pieni di
affanni della disfatta, la spingevano verso gli scandali di tangentopoli per farla cadere
nella palude, al fine di ridurre i suoi meriti ed il suo onore, ad un brandello di sogni.
Ma il ricordo del Partito e degli uomini di valore che avevano dato
vita alla D.C., ora torna ad esercitare un profondo fascino.
Ecco perché, non uomini di valore, ma uomini qualsiasi, o come dice
Leonardo Sciascia, mezzi uomini e quaquaraquà, con la forza delle pugnalate dei
congiurati, tentano di spegnere Ia Vita de1la D.C. e la sua storia.
Un Partito, che non ha bisogno di cambiare il nome, non ha bisogno
di cambiare il simbolo perché rappresentano un pregio, una importanza morale che affonda
le sue radici nell'etica cristiana e trae onore e vanto dal Magistero Ecclesiastico.
|
DEMOCRAZIA CRISTIANA,
in queste due parole sta tutta la grandezza e la maestà di questo Partito, al
quale, se vuole avere un awenire, spetta la gravosa responsabilità di individuare
l'Agamennone della sua Iliade. |
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Francesco Caponetto
P.S.: E' del Manzoni il verso che, se non è bello, esprime però una grande
verità: <l forti non sarem, se non siam uni ! ".
Roccella Valdemone (MESSINA) |
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Gabriele CANTELLI,
Prove di Renzi-Berlusconi, oltre la
terza via, tra riconoscimenti
e coperture ? |
1.- In prima pagina troviamo Napolitano: "Sul lavoro ci
vuole più coraggio, basta conservatorismi".
E' chiaro il riferimento alla tensione nel PD che suona come un
intervento di mutuo soccorso della Presidenza della Repubblica, a sostegno del Presidente
del Consiglio e che, dagli Usa, dove si trovava in viaggio promozionale fra i cugini
democratici, con la solita delicatezza dell'elefante nella camera degli specchi, avvertiva
l'irrefrenabile desiderio di affermare:"pronto allo scontro con i sindacati, se
vogliono",
Allora da una parte, Napolitano con Renzi,e dall'altra, quelli che
sulla questione del superamento dell'articolo 18 si portano dietro un loro passato nel
quale il sindacato era la cinghia di trasmissione del partito e viceversa anche in
funzione della formazione del personale politico spesso intercambiabile.
I ruoli a double face, giocati da Cofferati ed Epifani bastino a
rappresentare una serie infinita di casi a livello nazionale, regionale e comunale di
esperienze politiche e sindacali animate da una comune convinzione dell'importanza dei
consigli di fabbrica come avamposti della collettivizzazione dell'economia.
2.- Si tratta ora di vedere se la questione della soppressione
dell'articolo 18, per le sinistre catto-socialiste che fanno parte dell'opposizione
interna al PD, costituisce solo un onorevole pretesto per perseguire un nuovo equilibrio
nel partito o se, di fronte alla intransigenza sindacale, esse portino la tensione interna
al PD oltre il limite della rottura, come la sottoscrizione e presentazione degli
emendamenti al testo governativo farebbero ritenere .
3.- Ma potrebbe essere il Renzi a cogliere buona la occasione per
provocare le condizioni di una scissione a sinistra usando nei loro confronti la stessa
delicatezza con la quale si mossero i giovani cattolici approdati nella DC per acquisirne
sedi e simbolo e non la storia, facendoli sentire stranieri in patria nelle sezioni di un
partito che comunque vadano le cose non è più il loro.
In questo momento diviene particolarmente importante il ruolo di un
Berlusconi che, volenti o nolenti, sta restituendo a Renzi il favore ricevuto quando
l'astro nascente, dopo averlo dichiarato a legame overall, a fine partita per la
condanna definitiva nella quale era incorso, lo ricevette in sede al Nazzareno
riconoscendone la piena rappresentatività della maggior forza di opposizione, la piena
capacità di sottoscrivere accordi politici.
Ora è¨ Berlusconi col suo fido Brunetta a dire che ove Renzi mantenga
la sua posizione sull'articolo 18 e le riforme concordate con la opposizione di
centrodestra, potrà contare sui suoi voti fino alla costituzione di un governo delle
larghe intese.
L'arroganza con la quale il giovane leader del PD si sta muovendo in
campo nazionale ed internazionale, dicendo anche quanto sa di non poter mantenere per gli
stessi vincoli europei nei quali incepparono i suoi predecessori, fa ritenere che Renzi
stia pensando alla costituzione di una nuova forza politica che, eliminata la sinistra
catto-comunista (da Bindi a Bersani) comprenda sinistra cattolica e socialdemocratici ,un
nuovo partito espressione di un moderato classismo, pronto a riconoscere l'impegno di
quegli imprenditori illuminati, da sempre in grado di rapportarsi con tutti i tipi
di maggioranza a livello nazionale e locale, (Mediaset compresa), purchè sia assicurata
quella concertazione pubblico privato, che anche in Emilia Romagna ha dimostrato di
essere determinante per la programmazione urbanistica del territorio.
In tal caso sarà la grande cooperazione, in possesso degli agganci
giusti per svolgere un ruolo e coagulo e di guida delle cordate di interessi trasversali,
a rappresentare la sinistra sociale al posto di un sindacato i cui riferimenti culturali
non corrispondono alla attuale dimensione elettorale del PD. |
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SCELTE PUBBLICHE: RIFORMA DEI PARTITI
IN ITALIA |
UNA CONVENTION DEI CATTOLICI TASSONE, FONTANA, ALESSI E
ALTRI |
On. Avv. Gianni Fontana
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LA CONVENTION DI
FONTANA E TASSONE
a Roma, Auditorium Domus Pacis, Via della Torre Rossa 94
il 10 ottobre 2014, ore 10,00 |
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Verso la rianimazione di un partito "di" cattolici,
dopo il flop della UDC nelle elezioni del 2013 .
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LE LETTERE DI FONTANA
E TASSONE
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On. Avv. Mario Tassone
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La sequenza delle mini-DC nelle
elezioni politiche, dal 1994
ad oggi, prova che un partito di cattolici non è mancato mai.
Perchè tutte queste mini-DC sono rimaste "nane"? |
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1992 |
1994 |
1996 |
2001 |
2006 |
2013 |
Oggi |
Oggi |
Nota. La DC, dopo il presunto
scioglimento nel 1994, voluto da Martinazzoli, fu surrogata dal PPI, da cui scaturirono il
CDU di Buttiglione e Tassone, e poco dopo il CCD di Casini. Poi, da questi ultimi
scaturì l'unione in UDC, con l'aggiunta di DE-Democrazia Europea di D'Antoni.
Si direbbe che un partito di cattolici non sia mancato mai per l'elettorato,
eppure il successo elettorale di questa presenza è rimasto "nano".
Approfondire i motivi delle varie scissioni e del flop elettorale dell'UDC
nel 2013 è un passaggio necessario per la "buona" CONVENTION.
Va preso, poi, atto che nella primavera 2014 il CDU è uscìto dalla UDC, e
ciò ha messo in minoranza CASINI dentro la UDC, la quale adesso aspira ad una
"unione di fatto" con il NCD. Poi, ferve una discussione al centro e nel centro
destra, per l'invenzione di un'alternativa al PD. |
La lettera di Gianni Fontana Gentili
amiche e cari amici,
insieme ad altri organismi associativi e politici, sulla linea dellassemblea del
18-19 gennaio u.s. e degli ultimi incontri degli iscritti, venerdì 10 ottobre, dalle ore
10,00 alle 14,00, presso la Domus Pacis via di Torre Rossa 94 Roma, abbiamo convocato una
riunione al fine di giungere ad una concreta e costruttiva intesa finalizzata a condurci
alla fondazione di un nuovo soggetto politico entro il presente anno.
E nostra convinzione che i tempi siano maturi per portare a termine
quel tentativo che la nostra Associazione, sin dalla nascita, ha perseguito con tenacia,
generosità e speranza: la costituzione di un partito popolare, riformatore, europeista,
animato dal pensiero cristiano e dallo spirito dei costituenti.
Un partito impegnato a testimoniare il radicale insegnamento di Papa Francesco e le
virtù civili iscritte nella Carta: il partito della gente, delle donne e degli uomini di
buona volontà che non si sentono rappresentati dallattuale assetto politico o che
vi aderiscono come malinconica scelta del male minore.
Il partito che torna a riscaldare il cuore di chi, con la triste scelta dello
astensionismo e del disimpegno, si è lasciato andare, per rabbiosa rinuncia o non curante
indifferenza, ai margini della politica. Lappuntamento del prossimo venerdì avrà
un senso se la chiarezza, la qualità, loriginalità del progetto Paese
saranno supportate da una forte partecipazione, motivata e consapevole.
Partecipazione convinta che la battaglia in cui dovrà spendersi è quella di
tornare ad essere parte ed aver parte nella vita civile dellItalia per la
costruzione del bene comune.
A tal fine sono a chiedere non solo la tua presenza ma di impegnarti a fondo
per sollecitare ladesione di quanti auspicano un cambiamento che trova la sua radice
nella ricostruzione della persona umana disorientata e mutilata dalla superficialità,
dallegoismo dai fondamentalismi e dallimperante relativismo etico e politico.
Il 10 di ottobre, alla Domus Pacis, dovrà segnare la nuova aurora della politica
italiana.
Fraterni e benauguranti saluti.
Gianni Fontana |
La lettera di Mario Tassone
Caro amico,
sono lieto di invitarTi a partecipare alla manifestazione che il CDU, insieme ad altre
associazioni e formazioni politiche ha organizzato per il prossimo 10 ottobre alle ore
10.00 all'Auditorium Michelangelo presso la Domus Pacis Torre Rossa Park in Roma.
Questo fa seguito ad un impegno costante che il nostro Partito ha
assunto, per favorire il coinvolgimento ad una aggregazione fra soggetti che intendono
portare avanti un'azione tendente a recuperare il senso della politica, così come più
volte abbiamo detto e così come è stato deciso anche dal nostro Congresso nazionale del
14 e 15 marzo.
E' una grande occasione che dobbiamo cogliere, ecco perché chiedo la vostra
presenza mobilitando anche gli amici.
Dobbiamo dimostrare che la politica non è naufragata in una indistinta
e dannosa omologazione, ma ci sono fermenti vitali su cui bisogna scommettere, perché i
grandi ideali ed i grandi valori della democrazia e della libertà non siano messi in
discussione attraverso operazioni che sono estranee alla storia politica e culturale del
nostro Paese.
Ti ringrazio per l'attenzione e Ti invio i miei più cordiali saluti.
Mario Tassone |
Alberto Alessi, Il
Commento e il buon viatico Lappello di
Fontana e Tassone Uniamoci è un appello lanciato agli uomini di buona
volontà, con un convegno a Roma il 10 ottobre 2014.
Non è un richiamo ai cattolici, non è infatti questo il compito di un
movimento che vuole ispirarsi ai valori cristiani, per formare un nuovo partito
dei cattolici, ma anche di cattolici, cioè uniti intorno ad un
programma con al centro luomo, che dovrebbe agganciarsi al Maritain umano e
metafisico.
Poiché lincontro umano, tra coloro di uguale identità culturale, è
una questione importante, dove lì si scopre la dignità, lintelligenza, la
sincerità dellaltro, e dove si può trovare una verità nuova, correndo forse il
rischio di un fallimento, ma archiviando la tentazione del potere, perché non vi è
maggior potere che servire.
Saranno gli aderenti al progetto fontaniano-tassoniamo a tracciare il
sentiero dove nessuno deve sentirsi escluso e nessuno privilegiato. |
Nino Luciani, Una
sintesi delle cose ... e dei perchè ... 1.- Deve
tornare la DC ? Negli ultimi anni, è via via cresciuto, tra i cattolici a livello
individuale, il fervore per il ritorno della DC storica, pensosi che solo attraverso
lunione si possa contare in politica, campo di grandi ideali ma anche di grandi
interessi contrapposti.
La tensione è massima, oggi, alla constatazione che l'Italia (dal 1994, vale
dire dalla caduta della DC) si trova di fronte agli stessi problemi, da 20 anni, anzi
aumentati e con pessimismo sul futuro: meno attenzione a famiglia, formazione, scuola;
caduta dei posti di lavoro, caduta del PIL, oppressione dei partiti sulla società civile
sotto forma di cattura del danaro pubblico per i partiti e per arricchimento personale.
Ma anche la DC, pur benemerita della ricostruzione post-bellica dell'Italia e
del suo straordinario progresso economico e sociale, negli ultimi 10 anni (vale dire negli
anni '80) è risultata non immune dalla corruzione. |
Continua: LUCIANI:
Questo fatto ha alimentato l'idea che c'è, per tutti i
partiti, un problema di riscoperta dei valori profondi della politica, ma anche di
revisione del sistema politico, alla luce delle grandi democrazie, dove la chiave appare
l'alternanza tra i grandi partiti al potere (non fu così tra DC e PCI, ma anzi ci fu un
"compromesso storico" per imbrigliare tutto.2.- Per
lunità dei cattolici in politica. Solo questo ? Torno alla caduta dei grandi
valori, nella politica. Sia chiaro, innanzitutto, che i grandi valori non sono un
monopolio dei cattolici (e basti ricordare le grandi culture del liberalismo e del
socialismo, delle grandi religioni).
Al tempo stesso, ricordato il ruolo dei cattolici nella storia d'Italia, appare una
danno grave, per la Italia, l'assenza organizzata del mondo laico cristiano, e difatti una
cosa è la forza politica delle proposte individuali, altra cosa è quella delle proposte
unitarie.
Tuttavia, come si vede dalla tabella sopra costruita, non è mai mancato un
partito di derivazione DC nel parlamento italiano. E', dunque, dove sta il problema di
riorganizzazione della DC storica?
3.- Non solo questo . Come mai a partire dal PPI, successore
diretto della DC, si sono viste, via via, tante ulteriori scissioni, parziali
ricomposizioni e nuove scissioni ? Evidentemente qualcosa è andato storto tra i
"neo-DC", e forse prima di tutto i fallimenti elettorali.
E come mai la UDC (il partito più simile alla DC) è risultato non solo
fallimentare, a livello elettorale (2013), ma è anche incappato in una scissione a sua
volta ? (Quella del CDU).
Sento la responsabilità di non potere addurre motivazioni sicure. Qualcuna,
forse, la vedrei:
a) la prima è la sproporzione tra uomini come Casini e Berlusconi. L'ho visto da
un fatto significativo, irripetibile: nel 2008, al momento della caduta in minoranza del
Governo Prodi ( per venir meno in Senato dei tre voti di Mastella UDEUR), Casini avrebbe
potuto salvare Prodi con i suoi 40 voti, divenendo determinante la nuova maggioranza e
ricostruire la DC, e fors'anche aspirare alla Presidenza del Consiglio nella legislatura
successiva.
Ma Casini buttò via lacqua e il bambino. Era una scelta troppo
"grande" per un uomo "piccolo" come lui ?
b) la seconda il ruolo primario del "lucro personale" nei politici
di oggi, anche in quelli che si proclamano "cattolici".
4.- In cerca di un rimedio alle deviazioni dei politici. Questa
anomalia (ruolo del lucro personale) non va demonizzata, ma presa realisticamente, come
base per una giusta correzione di questa "anomalia".
A livello della scienza delle finanze, precisamente di quella sezione che riguarda
le "scelte pubbliche", è stato definitivamente acquisito il contributo di J.
Buchanan (premio Nobel), secondo cui i politici sono dei comuni mortali e dunque, (come i
comuni imprenditori) sono mossi primariamente dallinteresse personale, e solo in
seconda luogo dallinteresse pubblico.
Su questo, rinvio ad un mio libro, recensito da Sergio Quinzio (sul
settimanale SETTE de Il Corriere della Sera), che ne ebbe
scandalo. E difatti, per un cattolico come lui, la politica è solo e solamente un
servizio alla società civile.
Dobbiamo abituarci, invece, a prenderne atto, e regolamentarlo, perché il
binomio interesse personale-interesse pubblico vadano insieme correttamente.
Il punto è mai dimenticare che il bene e il male stanno in noi e che vanno
realizzate le condizioni perché prevalga il bene.
Nel caso del mercato, varie leggi hanno già dettato regole: divieto di limiti alla
concorrenza, lotta ai monopoli, divieto di adulterazioni dei prodotti, obbligo di indicare
la composizione dei prodotti e la loro origine geografica
.
Nel caso della politica, quali solo le leggi ? Direi che ci sono solo le leggi
penali. Proviamo a dare qualche indicazione:
a) oggi i partiti sono associazioni private. Questo non può essere.
Qui il punto più nero è un acordo tra alcuni gruppi riesca a trasformare il
partito in una proprietà personale, attraverso la cattura del consenso degli iscritti
(come avvenne nella DC) ;
b) oggi la governance dello Stato è debolissima per eccesso di
frammentazione (dualismo tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio);
precarietà temporale del governo e infatti, in qualunque momento durante il quinquennio
della legislatura, una delle camere può revocare la fiducia; il parlamento è
polverizzato tra molti partiti).
In queste condizioni anche una persona per bene e piena di volontà non può
fare nulla di significativo, e chiunque (mosso dallinteresse personale) ha potere di
veto.
5: Ultimo, ma non ultimo: un limite allo statalismo. Lo
statalismo a oltranza è la sede naturale delle "deviazioni", perché qui, quasi
per definizione, i vari operatori pubblici non portano individualmente la responsabilità
economica dei fallimenti.
Qui, in caso di inefficienze, paga "Pantalone". La storia
dellURSS è stata molto illuminante. Il settore pubblico era governato dal PCUS e
dalla burocrazia e, quando esso si allarga troppo, la società civile cade in ostaggio di
queste due categorie. Gorbaciov laveva chiamata "NOMENCLATURA".
In Italia constatiamo la stessa cosa, sia pur in proporzione al grado di socialismo
(60% in Italia, 95% in URSS).
E non c'è solo un fatto di aggressività politica dei partiti, ma anche
sociale, e infatti le attività private nel sociale subiscono la concorrenza di quelle
pubbliche (in quanto gratuite), pur se spesso inefficienti. |
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Gabriele Cantelli
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MENTRE
CONTINUA LA DISCUSSIONE
SUL RITORNO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA |
Gabriele Cantelli, Diffidare delle grossolane
imitazioni della DC
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SINTESI. Con
la vittoria del PD, per il detertminante contributo di forze estranee alla sua cultura e
le dimensioni interclassite assunte da quel partito, il problema della rinascita della D.C
diviene essenzialmente di natura religiosa. Si tratta di accertare,a breve scadenza se
anche il divorzio breve e il matrimonio gay cui a breve o medio termine segurà il
testamento della fine vita per una dolce morte morte a cura del S.S.N , verranno
considerati rientranti in quel progressismo inarrestabile nel quale la Chiesa intenda
svolgere il ruolo di onlus ospitaliera dei delusi e delle vittime ,o se vorrà sostenere
la sacralità del creato , della nostra esistenza compresa, minacciata non tanto e non
solo dalla provertà quanto da quel danichilismo progressista nato dall'identificazione
della verità nella prova scientifica . La dimensione del problema non é certamenta al
livello di un ragioniere che comunque ha voluto e dovuto comprendere ,a proprie spese,il
processo politico della Democrazia Cristiana e delle altre forze politiche per conoscere
la fisionomia dei propri interlocutori e finire vittima di giovani cattolici,forniti di
quell' assistenza ecclesiastica che progressivamente ci é venuta a mancare, che della
discontinuità dalla nostra esperienza politica,fecero l'arma per per definirla un
incidente storico.Se Dio ci ha dato la forza d'animo per affrontare un confronto tanto
più pesante quanto ristrette siano le dimensioni geografiche del nostro impegno, dove
conoscendoci direttamente conosciamo le vere ragioni del cambiamento di umore e
schieramento politico di amici in avversari , sta diventando assurda la continuità della
nostra testimonianza politica avendo contro una parte del Clero e dell'associazionismo
cattolico.
.
Diffidare ...
Una analisi del successo del PD alle Europee, confermato delle
contemporanee amministrative, che si fermasse al contributo determinante dei terrorizzati
dai proclami di Grillo sarebbe per lo meno superficiale ove non venisse collegato
all'eterogeneità del corpo elettorale che già alle primarie indette per l'elezione del
segretario di quel partito aveva concorso alla costruzione del fenomeno Renzi che
dell'affermazione si è avvalso per la inarrestabile ascesa alla presidenza del Consiglio.
Parziale anche se suggestiva pertanto è la tesi dei più noti
commentatori politici che per consistenza ed eterogeneità dei consensi hanno assimilato
la vittoria del PD di Renzi a quella della D.C alle elezioni del 1958 quando indubbiamente
allora come nelle successive tornate elettorali ai voti dei democratici cristiani si
aggiunsero si aggiunsero di quanti temevano il concreto rischio di una vittoria comunista.
Purtroppo sostanzialmente all'interno dello schieramento di
centrodestra l'analisi si è fermata alle ragioni dello scampato pericolo grillino quando
di ben altro spessore sono le ragioni dell'umore di quell'elettorato che ha votato Renzi
avendo capito che all'accanimento giudiziario nei confronti del suo leader si era aggiunto
l'accanimento terapeutico per mantenerlo in sella nonostante il suo percorso politico
fosse giunto al capolinea.
E' purtroppo senz'altro vero che, lungo tutti i vent'anni dalla sua
meritoria discesa in campo, nell'intero schieramento di centrodestra nessuno abbia voluto,
saputo o potuto dimostrare le qualità necessarie e sufficienti a offrire un modello di
leadership più consono a interpretare la serietà delle preoccupazioni degli italiani.
Così particolarmente nella fase conclusiva della recente campagna elettorale Renzi ha
potuto rivolgere all'Europa l'invito a cambiare registro per consentire col rilancio
economico la ripresa occupazionale, sostanzialmente la stessa linea tenuta da
Berlusconi,usata invece contro di lui in quanto definita antieuropea |
per scalzarlo dalla presidenza del
Consiglio e sostituirlo con un Monti più gradito alla masso-tecnocrazia finanziaria
internazionale. Ma siamo proprio certi che basteranno la
eliminazione delle Provincie,la soppressione del Senato e la riforma
elettorale,l'istituzione di un commissariato anticorruzione a rendere l'idea della nostra
volontà di cambiamento quando fino ad ora nessun partito ha avviato al suo interno una
verifica della propria estraneità al sistema politica-affari più serenamente operante
quanto più ampi e politicamente sostenuti siano i cartelli delle imprese(cooperazione
compresa), di esso partecipi?
La superficialità delle analisi dei partiti accompagnata dalla
distrazione e dal vuoto culturale dei molti che periodicamente compiono lo sforzo di
rispondere all'appello elettorale essendo essi sempre in tutt'altre faccende affacendati
potrebbe consentire al PD,sull'onda del successo di Renzi, di collocarsi nello spazio che
fu della Democrazia Cristiana della quale in tanti avvertono la nostalgia e il pudore di
rivelarlo per la sua fine traumatica in tangentopoli.
A rendere possibile questa evenienza potrebbe essere l'apporto di
una componente interclassista determinante il successo che Renzi non lascerà disperdere
alle prossime elezioni politiche.
A impedire il cambiamento della identità originariamente
classista non sarà la componente marxista dalla quale il lifting verrà ritenuto una
operazione strategica necessaria a garantire l'egemonia politica del partito e, sul piano
più propriamente economico,quell' incontro fra razionalismo marxista ed economicismo
liberale che Croce,agli inizi del '900 preconizzò potesse avvenire.
Come nessun ostacolo all'apporto delle diverse culture è
rappresentato dalla diversa e contrapposta considerazione interna allo stesso partito dei
valori definiti non negoziabili quando l'Autorità religiosa,ai suoi massimi livelli,
dovesse dare l'impressione di consentire l' impostazione dei cristiani adulti che |
ritenendoli appartenenti alla sfera
religiosa, li hanno relegano alla sfera individuale assoggettata a tutela della privacy.
Ove prevalesse la sensibilità pauperista sulle preoccupazioni
per un progressismo che esclude Dio la Chiesa assumerebbe quel ruolo di Onlus di
dimensioni mondiali che le merita il rispetto di quanti, non credenti,in quanto nei
sacerdoti riconosce il duplice ruolo di assistenti sociali e custodi del patrimonio
artistico del quale le chiese sono i pregevoli scrigni contenitori.
La situazione politica che ho delineato é tutt'altro che fantascientifica: è esattamente
quella che viviamo nelle realtà locali amministrate dalle sinistre dove sul piano
propagandistico dai diversi amboni si predica contro il capitalismo mentre sui "
tavoli di concertazione pubblico-privato" con gli imprenditori siedono i
rappresentanti delle istituzioni politiche e sindacali per discutere interventi sul
territorio altrimenti passibili di pericolose interpretazione di cartelli e comitati
d'affari.
Nell'attuale contesto che vede a livello locale la
moltiplicazione delle liste civiche per lenire il risentimento popolare nei confronti dei
partiti storici ritenuti complici della situazione di degrado in cui si trova il Paese, la
ripresentazione della Democrazia Cristiana non avrebbe senso se non condividessimo
l'esigenza di fare chiarezza sulle ragioni per le quali al momento della diaspora delle
realtà correntizie della passata esperienza partitica prevalse la logica spartitoria dei
beni materiali (immobili e mobili)e immateriali( il simbolo scudocrocaiato), sul dovere di
difendere l' onorabilità degli iscritti al partito da chi, nello stesso ambiente
cattolico, aveva tutto l'interesse a non separare il grano dal loglio per bruciare
l'intera esperienza storica del nostro partito.
Per ricandidare la Democrazia cristiana alla guida del Paese
occorre la volontà di separare le ragioni del potere fine a sé stesso dalle ragioni
dell'impegno politico dei cattolici quando chi ha condotto i reduci in schieramenti
contrapposti ha finito per accreditare la tesi che il nostro partito con la fine del
comunismo avesse esaurito il compito ad esso affidato dalla storia. |
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NUOVI SCANDALI, LEGATI
ALLA SPESA PUBBLICA |
Gabriele Cantelli, La nuova Tangentopoli
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TANGENTOPOLI A PUNTATE Con
tangentopoli1 la fine della prima Repubblica ! Con tangentopoli2 lo sconquasso
dell'attuale sistema democratico ?
La sopravvenienza di un nuovo ciclone giudiziario in un contesto di grande
sofferenza sociale quale l'attuale, accresce il rischio che sull'onda emotiva causata dal
sapiente dosaggio delle notizie in cronaca,finisca per prevalere l'irrazionalita' del
populismo giustizialista di Grillo che col suo il suo progetto sintetizzabile nella
destituzione di Napolitano e nell'assunzione della guida del Governo, porterebbe il Paese
allo conquasso istituzionale.
Questo certamente non significa che la Magistratura nell'attuale momento
politico,non debba esercitare il suo ruolo in assoluta autonomia, ma certamente meglio
sarebbe stato che la clamorosa emersione di una realta' sconvolgente, quale quella che si
sta delineando, fosse avvenuta prima della presentazione delle diverse liste in gara alle
prossime elezioni per consentire, con la verifica delle capacita' di penetrazione del
potere corruttivo sugli equilibri interni ai partiti,la adozione delle misure necessarie a
individuarne e colpirne i referenti politici . |
Le pressoche' due settimane che ci separano dalle
prossime elezioni infatti non bastano a mettere a fuoco le vere responsabilita' delle
forze politiche implicate in una vera e propria crisi di sistema della quale le vicende
giudiziarie di Berlusconi e la sua pretesa di risolverle a livello politico secondo una
logica ricattatoria nei confronti della Presidenza della Repubblica e del Governo, non era
che la punta dell'iceberg.
Se la scissione di F.I da parte di una schiera di parlamentari guidata da
Alfano e' frutto di una importante scelta fra detta logica e l'impegno di governo
nell'interesse del Paese, nella situazione alla quale ci troviamo rischia di non bastare
il tempo necessario alla sua componente politica per occupare lo spazio che intercorre fra
F.I di Berlusconi e il PD di Renzi dal quale si autoescludono una destra e una sinistra
incapace di uscire dalle suggestioni di antichi ricordi. Certamente non
basta a definire i contenuti di quest'area centrale l' accordo elettorale del NCD con la
UDC raggiunto in funzione dell'esigenza di conseguire il quorum richiesto per
rappresentanza delle forze politiche numericamente inferiori, quando l'appiattimento del
partito di Casini nelle ragioni del potere concretizza il rischio che alla sommatoria
degli indici di gradimento delle componenti non corrisponda, per |
difetto, il risultato elettorale della loro unione. La
presenza dello scudo crociato ,singolo o associato che sia a quello del NCD, ha infatti un
senso solo se ad essa venga dato il significato di un deciso rinnovato impegno politico
dei cattolici in difesa di quei valori etici e morali dalla cui mortificazione e' dipesa
la degenerazione dell'attuale sistema democratico; impegno, nell'area di sinistra,
relegato alla sfera personale per favorire la confluenza nel PSE dell'ala classista
cattolica con quello di derivazione marxista e, nell'area di centro destra, scivolato nel
culto della personalita' di partiti ridotti a congregazioni di supporto del loro leader.
In considerazione di quanto avvenuto nella discontinuita' dall'esperienza delle
Democrazia Cristiana la riorganizzazione di un Partito che ne voglia recepire il ruolo
svolto nella ricostruzione del Paese non puo' non essere legata alla volonta' di aprire un
confronto con l'intera area cattolica per una approfondita analisi dell'attuale situazione
sociale anche alla luce del contributo, nel bene e nel male, degli appartenenti alle
diverse realta' associative che fanno comune riferimento agli indirizzi della dottrina
sociale cristiana. Questo e' la condizione dell'impegno di quanti fra le diverse opzioni
del volontariato cattolico scelsero la azione politica nella Democrazia Cristiana
incuranti sempre del prezzo della propria testimonianza. |
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In tema di "public choice": la "democrazia
cristiana" tornata "giuridicamente"
Resoconto sul XIX Congresso
Nazionale, Roma, 10-11 nov. 2012 |
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Gianni Fontana
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ELETTO UN NUOVO SEGRETARIO NAZIONALE
On. le Avv. Giovanni Fontana
( con il 95,8% dei voti )
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ANCHE ELETTO IL CONSIGLIO NAZIONALE
Presidente: On.le prof.ssa Ombretta Fumagalli
( eletta con 49 voti su 80 del CN ) |
Ombretta Fumagalli
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NOTA DI SINTESI. Al momento, la DC è ricomparsa "giuridicamente". A
riguardo degli uomini, essa e' quella del 1992, tale e quale in ogni senso (salvo
pochi), ma con l'obiettivo dichiarato di far subentrare presto le nuove generazioni.
E' anche emerso necessario fondare la rappresentanza popolare non più
sulle tessere, ma su indicatori oggettivi di impegno e di merito.
Nel Congresso è prevalso il
"partito delle tessere", secondo il Manuale Cencelli, imposto da alcuni
"notabili", per la composizione del Con- siglio Nazionale, così da determinarne
un impianto zoppo. Infatti, sono risultate rappresentate solo 12 Regioni, su 20 in Italia.
In particolare, poi, tra le 12, a Marche ed Emilia Romagna è stato dato 1 rappresentante
rispettivo, pur se a Campania 20, a Calabria 11, a Sicilia 9.
Sui motivi di tanto "rigore" dei
detti notabili, è ipotizzabile la preoccupazione di controllare future mosse per la
ricerca del Tesoro della DC, scomparso, e di cui qualche "pierino" ha detto ...
dal podio, ma ignorato dal tesoriere ( pur ricomparso dal podio degli intervenuti),
successore diretto di Chitarristi, a suo tempo. |
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FONTANA :
"Speranza per l'Italia e Volontà di ritrovare il cammino dei Padri, che ci hanno
guidato per quasi 50 anni
senza inganno, prima di cedere ad un declino che nessuno di noi immaginava, ma che
è avvenuto per i nostri errori,
per i quali io qui, a nome di tutto questo partito, di tutti voi, chiedo
umilmente e solennemente scusa a tutti gli Italiani". |
Dal XIX Congresso della
Democrazia CristianaRelazione del Segretario Politico On.le Avv. Giovanni Fontana§Roma
11-12 novembre 2012 INSIEME ABBIAMO RICOSTRUITO LITALIA.
. INSIEME RIPRENDIAMO IL CAMMINO.
Gentili amiche e cari amici,
siamo qui, con umiltà ma anche con convinzione, per destinare qualche soldo di cultura,
molta passione e tutto il piccolo o grande patrimonio della nostra non più verde età, a
quanti vorranno vivere insieme con noi questa "impresa possibile":
tornare ad attivare, nel cuore della società italiana, valori di tempi lontani ma non
transeunti, e a testimoniare una più responsabile e lungimirante azione politica per il
Paese.
I IL TEMPO CHE VIVIAMO: DALLA CRISI ALLA RIPRESA
La crisi che, ormai da oltre quattro anni imperversa con i suoi tremendi
effettifinanziari, economici, sociali, morali ma che già covava da molto tempo, ha
spazzato via, ideologie, valori, tradizioni e culture; compresa quella componente storica
di liberalismo illuminato che, attualizzata con saggezza, avrebbe potuto costituire la
rivincita sulle ideologie che hanno bollato il 900 come un secolo anti-umano. Oggi,
anche in casa nostra, domina invece, un liberalismo molto diverso: è un liberalismo
cieco, un semplice "liberismo" economicistico distorsivo di ogni civile
aspirazione a giustizia e solidarietà.
Penso in concreto allavidità di quel liberismo finanziario deragliato
nellavidità delle banche americane, trasmessasi poi come un contagio a livello
planetario, compreso il nostro Paese. Oggi, negli Usa, esso è rintracciabile bene in
posizioni come quella espressa da Mitt Romney, il quale, nel corso della campagna
elettorale, aveva definito il 47% degli elettori di Obama fatto di parassiti che
pretendono lavoro, casa e sanità.
Per un partito di ispirazione cristiana e di radici popolari, come è la Democrazia
Cristiana, questo parlare dei poveri e dei deboli come parassiti è penoso. In Italia
questi "parassiti", cioè i poveri delle vecchie e nuove povertà, ingrossano le
loro file inglobandovi anche persone dei ceti borghesi che frequentano le mense della
Caritas e condividono con i barboni un dramma che non trova la solidarietà cui avrebbe
diritto anche da parte dello Stato che tale "liberismo" ha ritenuto di sposare.
Questi poveri, in genere, non frequentano gli indignados ma, a noi che li vediamo
con i nostri occhi, imprimono aghi profondi nella coscienza: interpellano il nostro
aver tradito, talvolta, in passato, il popolarismo cristiano e lidea
democratico-cristiana. Ma, soprattutto, ci sollecitano, essi poveri, a non restare
più oltre incerti nel riprendere una iniziativa di forte solidarietà e giustizia, anche
in politica.
Il fatto è che mentre lorizzonte delle possibilità umane si è venuto immensamente
allargando, in questi venti di assenza della Democrazia Cristiana dallo scenario politico,
il pensiero, la cultura, la tradizione, si sono invece venuti ritraendo: uno spazio di
grigiore è oggi sopra di noi, davanti a noi e in mezzo a noi. E noi sembriamo quasi
costretti a rifugiarci nella memoria delle cose positive e dei maestri che abbiamo
conosciuto e frequentato in passato, come a cercare qualcosa e qualcuno, che ci aliti una
rinnovata speranza e ci suggerisca un itinerario su cui riprendere a camminare con lena.
Su questo oggi siamo chiamati a riflettere e a decidere.
Sappiamo che la società ci guarda, mentre riprendiamo nelle mani questo barlume di
speranza e scrutiamo dentro di noi il cosa possiamo fare, il come operare di nuovo con
specificità, competenza, visibile affidabilità. Per noi, questo rinascere, questo,
quasi, re-indossare i pantaloni corti in età non più giovane, è come un secondo
battesimo al quale volontariamente e umilmente ci accostiamo per non essere
ulteriormente in balia della rassegnazione e della disillusione, per non smarrire il filo
di un vecchio cammino che abbiamo già percorso e che ebbe risultati anche grandi per il
nostro Paese: fin dal dramma della guerra e dal regime rovinoso che lha preceduta,
le cui macerie di distruzione e di morte hanno permesso il generarsi del risorgimento
dei nostri Costituenti.
Un risorgimento costruito insieme al popolo, per un credito di libertà e di
giustizia nella democrazia e nella solidarietà sociale, cui abbiamo saputo consegnare
conquiste che avrebbero meritato una più duratura e fertile vita.
Ma, oggi, non vogliamo celebrare gli eroi morti né le conquiste finite: agli eroi che ci
sono stati padri siamo debitori di quanto abbiamo imparato, e lonesto debitore paga
continuando i loro atti testimoniali. Così è stato fatto, sostanzialmente, da De
Gasperi Moro: ci accorti, tuttavia, a questo punto della nostra storia, di quanto
fosse impegnativa quella eredità, e difficile da gestire. Oggi ci sentiamo ancora fragili
nel riprendere in mano tale patrimonio che, in una parola, è il talento di governare
fondata su radici di forte penetrazione popolare, sociale, cristiana, non solo difficili
da estirpare ma anche molto esigenti in termini di coerenza personale: insomma una della
politica aderente alla vita e non della vita aderente alla politica.
Ci sentiamo, nello stesso tempo, decisi. Il concetto di inserire le classi popolari nello
Stato, la moralità dei comportamenti di gestione della cosa pubblica, la fermezza
di una laicità che per noi non significa confusione, né separazione, né equilibrismo,
ma cosciente responsabilità dentro la città delluomo, sono valori che desideriamo
nuovamente testimoniare con forza. Sapendo bene, come sapevano i padri, che la politica è
servizio che usa con competenza il potere per conto di chi ci ha delegato al potere e
della comunità cui il potere appartiene.
Sia ben chiaro, a noi e ai giovani cui parliamo, che non si può essere posseduti dal
potere: niente di umano può possedere luomo, né potere, né denaro, né
cultura, senza che sia rovinoso. Luomo è per laltro uomo, perché chi
possiede la nostra vita è soltanto Dio. Anche il politico deve ricordarlo ogni giorno.
In questa concezione della politica, la mediazione degasperiana e anche quella morotea,
è sempre stata allinsegna di cercare punti di contatto con chi camminava su strade
diverse. E oggi il dialogo, la ricerca di accostarsi allaltro in nome di una sempre
rinnovabile unità costruttiva del Paese, è ancora indispensabile non solo per evitare
guerre ideologiche tra le parti, lostinata condanna dellaltro, ma anche per
affermare un dialogo che non sia galateo di comportamento bensì rispetto profondo della
persona umana che occupa il suo posto nella società.
Bisogna liberarci dalla distruttiva posizione espressa dallaforisma di Sartre
"linferno sono gli altri". Per noi gli altri sono la nostra famiglia e la
nostra comunità solidale, anche quando ne percepiamo limiti ed errori, dai quali del
resto neanche noi siamo immuni. Per noi conta avere davvero nellanima il bene
comune.
Spesso ci si libera dalla propria difficoltà accusando laltro: siamo tutti
innocenti e laltro è il corrotto; non risolviamo i problemi: la colpa è
delleredità lasciataci da chi cera prima di noi. Senonché la dialettica
politica che dà frutti positivi è fatta di dialogo ininterrotto la cui esemplarità non
poggia su un "io" prepotente e sicuro, privo di prossimità con laltro.
In maniera forse un po ingenerosa, e me ne scuso, provo limpressione che
questa situazione di debolezza-incapacità suggerisca, nella situazione politica italiana,
i nomi rappresentativi di Alfano, Bersani e Casini, i quali non trovano la via
duscita per concordare una buona legge elettorale. LABC citato dovrebbe invece
suggerirci un alfabeto della democrazia del dialogo permanente; un dialogo formale e
informale, capace di valorizzare ogni spunto positivo da chiunque dei tre venga
proposto, anzi semplicemente da chiunque venga proposto.
Noi dobbiamo avere soprattutto la prossimità con chi non ha tutori ed è alla
periferia della rappresentanza politica e sociale, come chi abbandonato dalle istituzioni
è soccorso dalla carità ma aspetta di essere soccorso per atto di giustizia creduta e
praticata. La giustizia infatti è un concetto anche pre-cristiano; fu già celebrata
nellantica Grecia e poi esaltata fino allutopia marxista, oltre che espressa e
documentabile nella impostazione sociale della fede cristiana. Per questo noi, critici
verso la teologia della liberazione per i suoi eccessi privi di utilità, siamo
sinceramente impegnati in una autentica politica della liberazione, che può
trovare energie concordanti in mondi di buona volontà che vanno anche oltre
luniverso dei credenti. Una politica della liberazione, soprattutto, nei
confronti dei gruppi sociali meno abbienti e in varia misura emarginati.
In Italia, dopo la cosiddetta "prima repubblica", cè stata una
enfatizzazione di entusiasmo per il sorgere di una "nuova politica" annunciata
come liquidazione del passato e progettazione di un nuovo modello. Un nuovo modello
capace, si diceva appunto, di "liberarci" da pesantezze e inadeguatezze del
passato. In questo tentativo furono coinvolte anche personalità di buona cultura e di
buoni intendimenti penso ad esempio a Melograni, Urbani, e molti altri che
concepirono un cammino di lineare onestà in ottica di rivoluzione liberale, cioè
di liberazione: lo Stato di diritto e lo Stato dei diritti, la legalità, le scelte
selezionate dei candidati alla guida del Paese.
Ma a lungo andare - non molto lungo, a dire il vero il progetto manifestò qualche
prima crepa e poi, con frequenza crescente, crepe e crepacci fino ala caduta
delledificio. Il fenomeno Berlusconi non poteva resistere al peccato di origine del
suo populismo: in realtà una deviazione del concetto di popolo sovrano e partecipante.
E stato un populismo bisognoso di carisma da ubbidire più
che da condividere, di fedeltà di militanti più che di lealtà di compartecipi, di
una capacità di comunicazione politica che accetta di recitare promesse impossibili più
che impegni reali. Ne ricordiamo una fra le molte: Meno tasse per tutti; una
promessa che, così scriteriatamente espressa, tradurrei nellespressione
"evasione per tutti", che ne è leffetto pratico |
Silvio Lega:
"No a una
DC, partito".
.
"Sì a DC,
movimento" |
|
Silvio Lega |
|
Membri
|
del Consiglio Nazionale
|
Calabria |
Barbuto Nicola |
Calabria |
Colavolpe
Salvatore |
Calabria |
Cupi Vincenzo |
Calabria |
Donato Angelo |
Calabria |
Nisticò
Giuseppe |
Calabria |
Oliverio
Caterina |
Calabria |
Ripepi Massimo |
Calabria |
Squillace
Francesco |
Calabria |
Straface
Antonio |
Calabria |
Vazzana Carmelo |
Calabria |
Deseptis
Fiorella |
Campania |
Boffa Aldo |
Campania |
Brancaccio
Valeria |
Campania |
Cirino Pomicino
P. |
Campania |
Cuofano
Pasquale |
Campania |
Della Corte
Giovanni |
Campania |
Ferraiuolo
Luigi |
Campania |
Ferraro Roberto |
Campania |
Fiorenza
Nazzareno |
Campania |
Grippo Ugo |
Campania |
Nunziante
Maurizio |
Campania |
Pelosi Daniele |
Campania |
Picano Angelo |
Campania |
Polizio
Stanislao |
Campania |
Ravaglioli
Marco |
Campania |
Rodondini
Vincenzo |
Campania |
Scala Raffaele |
Campania |
Troisi Nicola |
Campania |
Bocchio
Isabella |
Campania |
Lombardo Maria
R. |
Campania |
Mazzitelli
Giovanni |
Emilia |
Duce Alessandro |
Lazio |
Alfano Giulio |
Lazio |
Darida Clelio |
Lazio |
Di Sangiuliano
Giuseppe |
Lazio |
Marinangeli
Alessandro |
Liguria |
Adolfo Vittorio |
Liguria |
Faraguti
Luciano |
Liguria |
Gaggero Gergio |
Liguria |
Tanzi Carla |
Liguria |
Gallina
Gabriella |
Ligurìa |
De Gaetani Gian
Renato |
Lombardia |
Abbiati Achille |
Lombardia |
Baruffi Luigi |
Lombardia |
Cazzaniga
Sergio |
Lombardia |
Cugliari Emilio |
Lombardia |
Donato
Salvatore |
Lombardia |
Fumagalli
Ombretta |
Lombardia |
Generoso
Serafino |
Lombardia |
Ravelli Roberto |
Lombardia |
Galli Anna
Maria |
Lombardia |
Soncina Greta |
Marche |
Morgoni Vinicio |
Piemonte |
Aceto Piero |
Piemonte |
Brustia Adelmo |
Piemonte |
Deorsola Sergio |
Piemonte |
Lega Silvio |
Piemonte |
Mazzucco
Francesco |
Piemonte |
Mussa Fabrizio |
Piemonte |
Sartoris
Riccardo |
Piemonte |
Pavesi Negri
Gabriella |
Puglia |
Cattolico
Antonio |
Puglia |
De Leonardis
Giovanni |
Puglia |
Di Giuseppe
Cosimo |
Puglia |
Donatelli
Francesco |
Puglia |
Fago Antonio |
Puglia |
Lisi Raffaele |
Puglia |
Palermo
Francesco |
Puglia |
Roberto Erminia |
Sicilia |
Alessi Alberto |
Sicilia |
Brancato
Antonino |
Sicilia |
Caponetto
Francesco |
Sicilia |
Cappadonna
Michele |
Sicilia |
De Vito Bruno |
Sicilia |
Grassi Renato |
Sicilia |
Pulvirenti
Antonio |
Sicilia |
Torre Carmelo |
Sicilia |
Di Quattro
Maria G. |
Toscana |
Bindi Marco |
Toscana |
Camaiti Maria
Pia |
Toscana |
Pizzi Piero |
Toscana |
Puja Carmelo |
Veneto |
Bonalberti
Ettore |
Veneto |
Bontorin
Fulgenzio |
Veneto |
Bottin Aldo |
Veneto |
D'Agrò Luigi |
Veneto |
Fregonese
Silvio |
Veneto |
Malvestio Pier
Giovanni |
Veneto |
Milani Luciano |
Veneto |
Zanforlin
Antonio |
Veneto |
Panin Maria
Grazia |
Veneto |
Zanferrari
Gabriella |
Cons.Reg. |
Nucera Giovanni |
Deputato |
Gargani
Giuseppe |
_________
TOTALE |
______________________
94 |
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NINO LUCIANI, Il Commento. 1.- Premessa. Il XIX Congresso
della DC (il XVIII fu il 17 febbraio 1989), celebrato a Roma il 11-12 novembre 2012, ha
mostrato due facce:
a) un Congresso ufficiale, in cui vedevi:
- un Segretario Nazionale (On.le Avv. Giovanni Fontana), 68 anni,
uomo buono, colto, di grande sensibilità, largo di vedute, acuto nel vedere il granello
"significativo", un discorso durato due ore. Mi sono ricordato il livello e gli
svolazzi di Aldo Moro;
- una sala stracolma ( la sala della Confindustria, a Roma, non
meno di 1000 persone, inclusi gli invitati), gente semplice carica di valori, che ha
seguito attentamente il Segretario, lo ha applaudirlo ripetutamente a scena aperta, e
anche interrotto con "parole" di enfatizzazione di singoli concetti.
b) un congresso nelle segrete stanze, dove
veniva contrattata e redatta la lista dei candidati (80) al Consiglio Nazionale. Qui
vedevi un andirivieni continuo di notabili e di chiamati e mettere la firma di
accettazione della candidatura.
Chi erano questi "notabili" ? Erano i notabili dell'ancien
règime, quelli del partito delle tessere. Non ho motivo
togliere un solo capello di stima alle singole persone elette. Ma avendo, alcuni
"notabili", imposto il Manuale Cencelli per le candidature regionali, ne è
uscito un impianto complessivo di Consiglio Nazionale, zoppo per la DC. Su 20 Regioni,
solo 12 hanno ottenuto la rappresentanza. E delle 12, Marche e Emilia Romagna è stato
dato 1 solo rappresentante, rispettivo (anzi quello dell'Emilia non è stato indicato dal
gruppo della E.R., ma dai "notabili").
E' offensivo definire i "notabili" come "partito delle
tessere" ? L'On. Paolo Cirino Pomicino, che ha fortemente condizionato il
Congresso, mi ha chiarito che, pur con qualche ombra, il fondare (sulle tessere) la
rappresentanza del popolo democristiano è il modo più democratico.
Ma chiunque io incontrassi per strada (fuori dal Congresso, e dappertutto in
Italia), e gli raccontavo che è stato applicato il Manuale Cencelli, lo vedevo andare in
escandescenze. Tutti hanno, infatti, ben presenti i fatti che originarono un "declino
inimmaginabile della DC" (parole della Relazione del Segretario), e che si
impose perchè la DC non trovo' la forza di auto-pulirsi.
Al contrario, in Germania, vicende simili (a carico del Cancelliere
Helmut KOHL) furono risolte velocemente: mandato a casa senza complimenti, pur avendo
grandi meriti politici verso la Germania (unificazione) e verso la Unione Europea (Euro).
E infatti la DC tedesca è ancora in parlamento, e oggi al Governo.
Credo che, per l'Italia, l'esempio tedesco vada applicato
rapidamente, senza scusanti.
Approfondiamo questa ricomparsa dei "notabili", dacchè la allora
umiliazione della DC (a prescindere che si tratti di un partito o di altro partito) pare,
ancora nel 2014, uno scotto insufficiente.
Ma, da altra parte, mi è sembrato molto potente e condiviso dal
popolo dei congressisti il comune sentire dei valori, e l'entusiasmo, intorno al
Segretario Fontana.
Questo è un buon viatico per l'ottimismo nel futuro. Il mezzo, per essere
vincente, potrebbe essere di fondare la rappresentanza su cosa diversa dalla
"tessera": su questo torno più avanti.
2.- Distinzione tra una DC di interessi
legati al potere politico e una DC di valori cristiani e laici liberali.
a) Premessa. Il fatto che la DC, come
un qualsiasi partito si possa proporre nel 2014, è fuori discussione, come diritto
costituzionalmente garantito a chiunque.
Ma il punto da affrontare in premessa è altro: chiarire se, mancando
nel parlamento italiano (ed europeo), un partito dei cristiani (cattolici, ortodossi,
protestanti, giudei) e dei laici liberali (cosa diversa da un partito cattolico,
subalterno alla Chiesa Cattolica), venga a mancare in Italia un pezzo di storia, una pietra
miliare.
La stessa domanda mi sono fatto per il PCI (diciamo per i due grandi partiti
del Socialismo italiano), scomparsi nel 1992.
Non ho risposte certe. Ritengo, però, che, dopo il venire meno della DC e
del PCI (e del PSI) nel 1992, in Italia è venuto meno lo Stato, e ci siamo trovati nelle
mani di partiti senza il senso dello Stato, con grave danno per la coesione
sociale intorno alle grandi idee alternative, su cui fondare il governo del Paese.
La via verso l'alternativa tra due grandi partiti nazionali è un
percorso che non inizia da zero e lo vediamo nel fatto che il PD si pone alternativo al
PDL (a parte se l'inserimento dei nostri giovani nella dialettica politica varra'
a riabilitarli o a disintegrarli, rispettivamente. Mi riferisco a Beppe
Grillo, a Matteo Renzi e a tanti altri giovani comparsi di
recente sui mass media).
b - No a una DC, che produce germi corruttivi, tipici
delle dittature. In generale parlando, una dittatura non è forte
primariamente per il potere di polizia o dell'esercito. Ne sappiamo qualcosa, in Italia,
senza bisogno di guardare alla Tunisia, alla Libia, alla Siria. Il potere dittatoriale,
dopo il primo colpo di mano (magari militare), cerca di catturare il consenso sociale con
vari privilegi a "parte della popolazione".
Poi, quando nel seguito, la dittatura fosse contestata, saranno costoro a
sostenerla, per non perdere privilegi.
In questo senso la tessera, legata ai poteri, è il germe corruttivo
della dittatura dentro la società civile.
3.- Una ipotesi che può spiegare il ritorno del partito
delle tessere. La DC non è oggi un partito di potere, per cui è
difficile spiegare questo ritorno del partito delle tessere.
Nelle nuove condizioni, la via, più naturale per creare la nuova
rappresentanza, pur se collegata giuridicamente agli iscritti del 1992, doveva essere di
ripartire la rappresentanza proporzionalmente al lavoro da fare nelle Regioni: ad es., in
proporzione alla popolazione regionale.
Poi, dopo le prime elezioni (con scudo crociato), si potrà anche premiare il
merito dei dirigenti locali, ad es. ripartendo, in parte, i posti sulla base dei voti
riportati nei Consigli Comunali della Regione.
Ma non è andata così. E
allora perchè tanta "diligenza" di "alcuni" notabili nella
ricerca di "tessere del 1992" ?
Una ipotesi plausibile è collegarla ad una "ombra" vagante nella sala
del Congresso, quasi la "ombra" un morto (ma che "morto" non era,
aveva detto la Cassazione).
L'ombra era un pensiero fisso al "Tesoro della DC", scomparso a suo
tempo, su cui qualche "pierino" ha anche fatto domande dal podio.
Forse qualcuno ha la mappa del luogo del tesoro, come i briganti della "Isola
del Tesoro" , il romanzo di R. L. Stevenson.
Ipoteticamente, potrebbe trattarsi di qualcuno che vuole rintracciare il
Tesoro per mettervi le mani sopra, o di qualcuno (cosa più probabile) che punta a
sciogliere il partito della DC, e crearvi un successore , come si fa per le moderne
società di capitali (far sparire i debiti, e ricominciare da capo).
Perchè il Tesoriere, che è successore diretto
di Chitarristi, non ha fatto chiarezza su questo "Tesoro" ?
La domanda è ineludibile, prima o poi. |
tendenziale; mentre
responsabilità davvero sociale e liberante avrebbe dovuto dire: Tasse eque per tutti
nella trasparenza assoluta, pubblica, permanente, del loro utilizzo. Così, se
dopo "tangentopoli" abbiamo conosciuto la fine della "prima
repubblica", non molto tempo dopo abbiamo dovuto constatare anche il rapido crollo
della seconda. Sono, a questo proposito, sollecitato a insistere sulla importanza di una
memoria storica positiva e fertile, e penso che in tal senso la relazione
Costituzione-democrazia-partecipazione-rappresentanza-solidarietà sia l"impresa
impossibile" che siamo chiamati a far diventare possibile. Dimenticata la
Costituzione, inquinata la democrazia, tra populismo e nuove forme di ribellione politica
e di protesta antipolitica, traballante limpalcatura delle istituzioni dove la
corruzione e la malversazione sembra assurta a prassi quotidiana accettata, la
rappresentanza pare impigliata in una rete che non pesca qualità adeguate ad affrontare
il dramma della crisi che stiamo vivendo.
Il mondo ci guarda, lEuropa ci osserva ed anche lanti-europeismo cresce,
mentre strisciano venature di neo-nazionalismo: in un paese dellAbruzzo sono stati
multati coloro che cantavano "Bella ciao"; in altri paesi di diverse regioni
sono state aperte strade intitolate a vecchi gerarchi fascisti; ci sono monumenti della
rimembranza e sacrari di "eroi" della guerra in Etiopia; e altro e peggio. Segnali
che ci pare non possano essere tollerati ma, prima ancora di essere combattuti, vanno
profondamente analizzati.
E stato detto per paradosso che oggi, se qualcuno si sognasse di fare unOpa
sullItalia, lasta andrebbe forse deserta: eppure lItalia è
tuttaltro che da rottamare; la ricchezza privata assomma almeno a ottomila
miliardi, il made in Italy è vivo e richiesto ampiamente, il turismo richiama
ancora un flusso ininterrotto di visitatori, le riserve auree sono solide, il reticolo
delle piccole imprese è tuttora quasi unico al mondo, molte nuove microimprese sorgono
anzi per iniziativa di giovani, e testimoni di vita esemplare circolano fra noi, li
vediamo nel nostro quotidiano muoverci tra le strade e i luoghi di lavoro.
Questa è la riserva sana del Paese reale: e allora le due Italie, quella dei poveri, dei
disoccupati, dei precari, dellAlcoa e dellIlva, e quella che, dallaltro
lato, rappresenta la parte non toccata dalla crisi ma pensosa del futuro e desiderosa di
assumersene la responsabilità, chiedono insieme una politica di nuova adeguatezza
testimonial, per una speranza di più lunga gittata.
La Democrazia Cristiana sceglie di farsi carico di questa speranza non già seminando al
vento promesse che non si possono fare, ma affidandosi con onestà e fattività a nuove
generazioni e ad antichi valori, come chi passa un simbolico testimone degli anni
gloriosi della ricostruzione e dei partiti politici che seppero camminare con passo
sicuro e adeguato alla gravità dei problemi da affrontare.
Se questo è il quadro che ci è dato vivere, quale è la nostra specifica
responsabilità? Il nostro compito è quello di riaprire lo spazio della speranza e
della concretezza operosa per una testimonianza di impegno politico che riprenda i
valori della nostra storia popolare e democratico-cristiana e sappia liberarli a una nuova
luce e a una nuova capacità realizzativa. II - PERCHE DC
Una volta finita, anche malinconicamente, lesperienza della Democrazia Cristiana
storica, avevamo sperato che la memoria collettiva del Paese avrebbe conservato i grandi meriti
del partito di De Gasperi e Moro e compreso gli errori di percorso della sua ultima
fase. Avevamo sperato che da quella grandiosa e umiliante esperienza, il Paese, i suoi
cittadini di buona volontà, avrebbero imparato molto. E avrebbero imparato anche dalle
esperienze degli altri partiti che si andavano consumando come il nostro, dopo quasi mezzo
secolo di vita repubblicana grande ma anche, spiritualmente, ormai prosciugata nelle anime
delle classi dirigenti.
In modo più specifico, avevamo sperato che sulle ceneri del nostro lavoro avrebbero
potuto sorgere due grandi partiti moderni, uno di centrosinistra ed uno di centrodestra, uno
di spinta progressista e uno di moderazione liberale, capaci di ereditare il lato
migliore di quella storia e di darci la fase adulta e compiuta dellItalia: un Paese
solido e serenamente capace di governare la propria crescita nella partecipazione e nella
solidarietà.
Avevamo sbagliato questa previsione. In effetti, senza far torto alla presumibile buona
volontà di tanti singoli, ci sentiamo di dire che le nostre attese sono state
totalmente deluse.
Non è nato un partito democratico di centrosinistra capace di
amalgamare il grande messaggio popolare e solidale della DC con laltrettanto
importante anelito di giustizia distributiva dello storico Partito Comunista: due anime
che mai si sono fuse nella armonica capacità di generare un partito di alta cultura
sociale riformatrice. Lassismo nellimpegno di rinnovamento del pensiero,
sottovalutazione dei fattori di complessità emergenti sulla fine del secolo appena
trascorso, preoccupazioni contingenti di equilibri fra gruppi, fretta di successi
elettorali contro avversari aggressivi e sicuri di sé
Forse qualcosa di tutto
questo ha giocato un ruolo nefasto: e ha generato la prima delusione per le speranze di
una responsabile democrazia dellalternanza.
Sul versante del centrodestra le cose sono andate anche peggio: insieme alla
mancata maturazione di una classe dirigente degna di questo nome, si è realizzato lo
sfacelo educativo e morale di una politica ridotta a messaggio di marketing
delleffimero in ogni sua manifestazione. Le poche persone di sincero pensiero
elaborante le abbiamo viste progressivamente lasciate ai margini dei luoghi decisori; la
leadership carismatica labbiamo vista ridotta a una inquinante commistione di
aziendalismo privatistico con libertinismo diseducativo; la linea programmatica sottomessa
a una dominanza economica che si è rivelata esasperatamente finanziaria e speculativa. Ed
è stata la seconda delusione.
Infine il centro. Nella zona che sul piano ideale avrebbe avuto le condizioni più
adatte a preservare anche una quota decisiva del messaggio storico della Democrazia
Cristiana, si è palesato il protagonismo di un partito che di fatto non è mai riuscito
ad aggregare né tradurre in politica organica alcun pensiero. Un improduttivo
oligarchismo che non ha mai respirato lossigeno impegnativo ma anche corroborante di
una partecipazione davvero popolare. Ed è stata la fine di una ulteriore speranza.
Tacciamo, da ultimo, di quanti, piccolissimi gruppi che non è appropriato chiamare
formazioni politiche, hanno cercato di insinuarsi, anche con buona volontà almeno
iniziale, in questo gioco ormai senza radici e senza prospettive, e del tutto più grande
delle loro possibilità. La idea di una "Italia dei valori" è diventata un dipietrismo
che oggi palesa anche nelle aule giudiziarie la confusione deleteria fra partito di
cittadini e gruppo personale; un grillismo che anela lodevolmente a far emergere
con forza la voce di chi dallestrema periferia dellelettorato reclama il suo
diritto a essere ascoltato, ma finisce in una protesta amebica incapace di tradursi in
risposta collettiva e nazionale ai problemi collettivi e nazionali; una sparpagliata ex sinistra
estrema, che a merito della sua annosa agitazione può vantare soltanto il risultato
di aver fatto cadere un governo Prodi che pure testimoniava uno sforzo sincero di
ricollegare la politica con il sentimento della gente; i resti di una gruppuscolare
destra riottosa che avendo trovato spazio risibile nella effettiva determinazione
degli orientamenti politici del Paese si è trovata a dialogare - contraddizione finale e
quasi irridente - con il leghismo separatista; il quale a sua volta non ha tardato a
testimoniare la miseria morale che ne attanagliava le intenzioni e i comportamenti, anche
negli uomini che avevano fatto consistere lunica loro bravura nel rimproverare agli
avversari i medesimi comportamenti.
Le sorprese più recenti sono Montezemolo, Riccardi, Bonanni e tante personalità della
società civile che hanno elaborato il loro manifesto: non un partito, non un movimento:
un mondo di proposte politiche, una realtà dopo tante delusioni, una specie di gruppo di
pressione fattosi coscienza critica del potere: un patto per una nuova politica. Più che
notabili, uomini di rango: non pensiamo che abbiano qualche piccola venatura di
popolarismo.
Il risultato è che non cè classe dirigente, oggi, nel nostro Paese, non cè
un pensiero espresso dalla politica sul suo futuro, non cè una cultura di gestione
e non cè una consapevolezza valoriale. Fino al punto che si è dovuto ricorrere
allespediente, legittimo e onesto ma tremendamente allarmante, di un governo
tecnico incaricato del puro e semplice ritorno a una normalità minima che di fatto è
solo la normalità della gestione formale del bilancio dello Stato. Questo è infatti in
sostanza il governo Monti, nonostante la buona volontà di diversi suoi esponenti e
nonostante la indiscussa competenza e correttezza dello stesso Presidente del Consiglio,
il quale, in un quadro così difficile, è riuscito comunque a restituire al mondo una
immagine più credibile e affidabile del nostro Paese.
Ed è per un atto di consapevolezza piena, e di buona volontà responsabilizzatrice di
fronte a tanto scempio e a tanta ombra sul futuro, che noi oggi siamo qui, a pensare in
termini di ripresa dellazione della Democrazia Cristiana per lItalia.
Oggi, siamo convinti che lItalia abbia più che mai necessità di "democrazia
cristiana": con la lettera minuscola e, insieme, con la lettera maiuscola.
Con la lettera minuscola, come sostantivo e aggettivo, nel senso che questo nostro Paese
ha bisogno di riconquistare democrazia vera e partecipata: solo così la politica può
giustificare il suo potere, le sue contese.
Attorno al ludibrio della vigente legge elettorale si è ridotta infatti quasi a zero la
pratica della democrazia e della relativa motivazione degli animi nella scelta della
classe dirigente; e ha bisogno di cristianesimo ispiratore, vissuto con coerenza per il
bene della "città delluomo" che ci è affidata: di cristianesimo come
lievito di valori che torni a fermentare una società in cui la centralità non sia
più quella della finanza che domina leconomia e delleconomia che domina
limpresa costringendola a non essere una comunità di lavoro per inseguire un
concetto di business eretto a mostro totemico contro la dignità della persona sancita
dalla Costituzione ma anche dal semplice diritto naturale.
Neanche il diritto naturale può infatti concepire il licenziamento collettivo di migliaia
di persone attraverso una e-mail spedita da migliaia di chilometri per effetto di una
notizia battuta in un nanosecondo sulla diminuzione di valore della quotazione di
unimpresa, in un mercato finanziario distante a sua volta migliaia di chilometri.
Questa "efficienza capitalistica" reputiamo, senza mezzi termini, sia figlia del
Male, Uno strumento di peccato, come recita la "Populorum progressio",
radicalmente incompatibile con la nostra visione di umanesimo e di personalismo, che
allabbrivio del ventunesimo secolo, riproclamiamo, entrambi, come permanentemente
nostri; e che sono la semplice, grande ed impegnativa eredità lasciataci dalla Dottrina
Sociale della Chiesa e dallidea democratico-cristiana.
Entrambe ci hanno lasciato ben diverso insegnamento: dalla Rerum Novarum alle
successive encicliche sociali, da monsignor Ketteler ad Antonio Rosmini, dalla Scuola di
Friburgo al Codice di Camaldoli, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa alla Caritas
in Veritate, questo insegnamento ci parla costantemente e puntualmente della liceità
del mercato ma anche del suo necessario ancoraggio a finalità morali, di diritto
indiscutibile a condividere i frutti dellimpresa fra tutti, di salario di dignità
per ogni famiglia, di illiceità della pura rendita e della pura speculazione
Ebbene, cè necessità che più democrazia cristiana, con questa lettera minuscola,
trovi al suo servizio, con forza, lucidità, sincerità morale, capacità tecnica,
accortezza politica, una rinnovata Democrazia Cristiana con la lettera maiuscola:
cè necessità che una grande associazione di cittadini "liberi e forti"
torni a generare una politica alta secondo la "nostra" Costituzione;
"nostra" perché ispirata proprio dal pensiero democratico cristiano, da De
Gasperi e Dossetti, da Gonella e La Pira, da Fanfani, Moro e Lazzati, e di nuovo indietro,
nei principi di riferimento, fino a Sturzo e Grandi e Miglioli e altri. E la faccia
diventare politica di rinnovamento potente e di rinfrancata solidarietà, di centralità
del lavoro e della impresa come comunità di lavoro, di processi formativi capaci di
rinforzare valori di libertà e di solidarietà fattiva: insomma, di comunità solerte e
rasserenante per tutti.
LItalia è infatti una comunità, innanzitutto; non una società per
azioni ad azionisti dispari, bensì una comunità di cittadini e persone che
hanno uguale dignità, servite da istituzioni fatte da tutti e da tutti partecipate, con
una economia al servizio di tutti e da tutti realizzata. E con le giovani generazioni come
primo tesoro da far crescere secondo responsabilità e autorealizzazione.
III - UN PROGETTO DI VALORI
Non temiamo la sfida perché, più tipicamente di ogni altro partito, la Democrazia
Cristiana possiede nella sua ispirazione valoriale una visione adatta a questo obiettivo
totale: totale nella sua pregnanza interna ed anche nella sua potenzialità diffusiva
oltre il nostro Paese, nella più vasta comunità costituita dallEuropa, dal
Mediterraneo, da un mondo che si è fatto sempre più villaggio comune; ricordo, fra
laltro, che di "internazionale dei democratici cristiani", con questo
spirito diffusivo e pregnante, si parlava già fin dai primi del 900 fra i cattolici
che, prima ancora che germogliassero il Partito Popolare Italiano e la Confederazione
Bianca del Lavoro costituivano i primi nuclei democratico-cristiani.
Ponte mediterraneo e crocevia planetaria, lItalia può tornare a essere, non solo
nei traffici economici, un Paese al quale il mondo può guardare come a una sua casa
simbolica di riepilogo collaborativo e di sintesi valoriale. Se la sede romana della
Chiesa cattolica rappresenta questo valore dal punto di vista religioso, la Roma
precristiana e lItalia universalistica di Dante e del Rinascimento possono
rappresentarlo dal punto di vista della unità tendenziale degli aneliti di realizzazione
umana complessiva; e il grande messaggio che da Rosmini passa a Sturzo, a De Gasperi, a La
Pira, a Moro, può rappresentarlo per il cammino di una città terrena che sappia
condividere il benessere, frutto della fatica comune, fra tutti gli uomini in questo
ventunesimo secolo ultraveloce e ultracomplesso.
Essere custodi attivi di questo patrimonio esige daltro lato che la forma e la
concreta gestione quotidiana del Paese, e la stessa modalità di essere e di operare come
partito, abbiano connotati di qualità alta.
I capisaldi di una tale politica ci sembrano almeno cinque:
La nostra Costituzione repubblicana, carta di principi e di valori da salvaguardare
con fedeltà, non chiusi aprioristicamente a ogni eventuale possibilità di affinamento,
ma lontani da quella frenesia inconsulta che ha portato a rivedere negli anni recenti il
suo Titolo V, con una superficialità che testimonia, accanto a intenzioni illusorie, la
inadeguatezza di una classe politica incapace di cogliere la grandezza dei padri
costituenti e di custodirla migliorandola: anche attraverso una nuova fase costituente
che, riteniamo necessaria per adeguare la sua seconda parte ai profondi cambiamenti
intervenuti sul piani istituzionale europeo e nazionale.
Uno Stato snello e partecipato, efficiente sul piano nazionale, arricchito da
autonomie territoriali in chiave di sussidiarietà e non di dissociazione
pseudofederalista; garantito da un intercontrollo democratico senza retoriche di
autonomismo fine a se stesso, spesso corrotto non meno di quanto esso stesso abbia
rimproverato allo Stato centrale; e, quasi sempre, colpevolmente incapace di utilizzare
persino le cospicue risorse economiche messe a sua disposizione dallEuropa.
La valorizzazione permanente e dinamica dellimmenso patrimonio culturale e
ambientale affidatole dai padri e dalla Provvidenza: almeno la metà dei beni
culturali di cui lumanità dispone è incredibilmente concentrata nel nostro Paese,
e questo solo fatto costituisce per noi "una missione nella missione" e quasi
una vocazione profetica.
Una cura gelosa della culla in cui nascono e si formano le nuove generazioni, cioè la
famiglia, attraverso la dedizione di uno Stato solerte nel favorirne solidità e
serenità, soprattutto con gli strumenti propri della sua missione formativa,
dellattivo supporto alle generazioni che declinano, affinché tale fisiologico
crepuscolo non diventi mai emarginazione né accantoni il tesoro della esperienza che si
trasmette; uno Stato che sappia garantire la sicurezza di un lavoro dignitoso per tutte le
persone che raggiungono letà adulta e si apprestano ad assumere, della famiglia, la
responsabilità più diretta.
Il governo sagace di una economia che ha oggettivamente potenzialità enormi, e che
anche nella presente crisi conferma di possedere nella creatività dei singoli e nel
tessuto della piccola e media impresa la sua linfa più vitale.
Con quali linee di orientamento pensiamo sia articolabile un simile
progetto?
Non parlo volentieri di riforme, e non perché la cultura democristiana sia aliena
dallidea di farne o perché non ne abbia realizzate le più coraggiose nella
storia del nostro paese portano la firma della Democrazia Cristiana, a partire dalla
grande riforma agraria di Antonio Segni poco dopo la nascita della repubblica ma
perché, a un certo punto della dialettica politica, il riformismo ha cominciato a vivere
quasi fosse un fine in se stesso: ma né il riformismo né le riforme sono un fine; essi
sono un mezzo, attraverso il quale la nostra quotidiana analisi della coerenza fra
"progetto paese" e realizzazioni concrete viene verificata e coerentemente
attuata; facciamo le riforme se servono e in quanto servono, ma non le adoriamo come
idoli, e le sottoponiamo costantemente a verifica perché restino effettivamente al
servizio dei valori che le ispirano.
Preferiamo parlare piuttosto di "gestione evolutiva" trasparente e
condivisa, capace cioè di governare dinamicamente le esigenze di miglioramento
permanente delle cose, senza rinviare ai tempi spesso deresponsabilizzanti di maturazione
delle "riforme": queste, quando davvero occorrono, devono essere consapevoli,
ponderate, impegnative di coerente attuazione, e non mito autoreferenziale.
Questo è il compito della politica disegnato dalla Costituzione italiana. E tale è, come
la Costituzione lo regola, anche lo strumento dei partiti politici, mezzo
privilegiato attraverso cui i cittadini partecipano al farsi del dibattito, alla
determinazione delle scelte, alla formazione della classe dirigente, e insomma alla
gestione del paese. Non temiamo, anzi decisamente vogliamo, un partito giuridicamente
riconosciuto, persona giuridica e perciò sottoposto a controllo pubblico nella sua
trasparenza di gestione.
In realtà i partiti politici operanti oggi hanno, via via, ignorato questo spirito
costituzionale per accentuare invece elementi crescenti di chiusura oligarchica, ben poco
democratica e partecipativa. Le ombre della corruzione e del clientelismo, quasi i partiti
stessi e i loro uomini fossero appunto fini e non mezzi, hanno realizzato, da ultimo, quel
nefasto distacco dei cittadini dalla politica che oggi enfatizza la sua gravità
attraverso una legge elettorale che chiude del tutto i partiti dentro se stessi quali
forme autoreferenziali di gestione del potere.
Con quale metodo pensiamo dunque di lavorare?
Innanzitutto con quello della partecipazione vera e diffusa. Pare espressione
scontata e banale, questa della partecipazione, ma essa viene in realtà ogni giorno
pronunciata e ogni giorno di nuovo tradita. Così come la partecipazione di tutti i
cittadini consente di costruire una logica di armonizzazioni progressive nel cammino di
crescita della società complessiva, analogamente la partecipazione di tutti i soci consente
al partito di essere punto di traduzione affidabile della domanda e delle attese del
paese.
I punti di partenza per noi sono certi: la Costituzione, la cittadinanza, la persona.
Essi meritano di essere confermati ma anche approfonditi in tutta la loro portata
potenziale: tanto più che nellItalia del ventunesimo secolo ci sono i cittadini e
cè, con loro, anche un numero crescente di persone in attesa di cittadinanza.
Persone provenienti dalle più diverse nazioni del mondo, o loro figli, che non
costituiscono più casi isolati ma un fatto sociale ormai strutturale: anchessi
diventano parte della nostra comunità, lo diventano in senso oggettivo: chiedono spazio
che non può essere loro negato se crediamo in una società di ispirazione cristiana. Il
problema è di fare in modo che lo spazio sia equo e i diritti, come i doveri, reciproci.
A questa condizione non si può negare lordinata e trasparente osmosi demografica,
non solo perché essa caratterizza da sempre i processi di sviluppo di ogni società
storica, ma perché la stessa grandezza della nostra civiltà italiana è germogliata e si
è sviluppata dal multiforme, secolare apporto di tali risorse.
IV IL FONDAMENTO DEL LAVORO, LA DIGNITA DELLIMPRESA, LA
SOLIDARIETA DELLECONOMIA
Subito dopo la cittadinanza, è il lavoro a costituire prioritario fondamento della
repubblica. Tale lo definisce la carta costituzionale, e si riferisce al lavoro in
tutte le sue forme, dipendente o autonomo o imprenditoriale che sia, manuale o
intellettuale.
Non sono invece fondamento della repubblica la rendita, né lattività
speculativa. Siamo qui in un campo che, fin dal medioevo, la Chiesa ha
chiarissimamente presente. La pura rendita e la pura speculazione sono un male, sono
illecite moralmente, e per noi questo principio comporta conseguenze coerenti sul piano
delle politiche attive, anche di redistribuzione reddituale e, ad esempio, di carico
fiscale.
La ricchezza nazionale resta essenzialmente frutto del lavoro e il lavoro, diritto e
dovere delluomo, è, per la Democrazia Cristiana, oggetto privilegiato di ogni
politica economica. Per tale motivo un punto caratterizzante il nostro "progetto per
lItalia" non può non essere costituito dalla revisione dellistituto
del collocamento, che ci pare da trasformare in istituto
dellaccompagnamento attivo nel lavoro.
Né vuol dire, questo, che il mercato del lavoro debba essere governato dal solo
collocamento pubblico; tuttaltro: esso si accompagna liberamente al movimento
spontaneo della domanda e della offerta che sul mercato si confrontano: il collocamento
pubblico opera invece, attivamente, su richiesta dei singoli lavoratori che vogliano
ricorrervi. Il fatto è che non cè dignità della persona se non viene attuato
per essa il diritto a un lavoro riconosciuto, remunerato e produttivo. Questo è il
concetto, ed è lobiettivo, da tenere sempre presente.
Vi è un ulteriore profilo di giustizia distributiva, e alla fine anche di efficienza
economica, che non ci sembra più possibile trascurare. Una visione distorta del libero
mercato, storicamente prevalente in tutto il mondo, riguarda la totale inesistenza di limiti
alle più atroci disparità reddituali generate allinterno delle stesse imprese.
Prevalgono anche in Italia, sia pure in dimensioni complessivamente meno abnormi,
parametri esasperati fino alliniquità, e assolutamente ingiustificabili da tutti i
punti di vista, compresa una reale efficienza economica di lungo andare delle imprese
medesime e del sistema.
Noi non assumeremo come nostro programma lidea, che pure ci viene da uno dei massimi
maestri di economia dellimpresa efficiente e a un tempo equa, e cioè Adriano
Olivetti, laddove affermava che tra lui, massimo vertice della sua azienda, e
lultimo dei suoi operai, il divario di reddito equo reputava essere da uno
a cinque. Lo corresse quel gran liberale, non certo democristiano, che era Valletta,
allora amministratore delegato della Fiat e grandissimo innovatore della vita aziendale,
affermando a sua volta che troppo stretta gli sembrava tale forbice e proponeva per essa
un raddoppio, cioè che fosse portata da uno a dieci.
Noi non assumeremo neanche questo parametro: ma se nel mondo assistiamo a rapporti
inconcepibili, persino di uno a quattrocento e oltre, e in Italia non mancano forbici di
uno a cinquanta e oltre, ci sentiamo in mezzo a una situazione alla lunga insostenibile,
per la quale assumiamo un duplice chiaro riferimento: da un lato il principio che i
parametri retributivi siano parte di una politica trasparente e perciò siano noti
pubblicamente; dallaltro che venga, con gradualità ma con inizio immediato,
stabilito un primo limite: ad esempio, che non possa essere superata la forbice di uno
a venticinque.
Siamo certi che passo dopo passo, anno dopo anno, ci sarà tempo e soprattutto ci saranno
condizioni di serenità per calibrare con il consenso sociale più ampio la misura equa,
senza mai far pensare che puntiamo a logiche di egualitarismo puro e semplice. Sottolineo
che anche questa è la Dottrina Sociale della Chiesa, prima di essere la linea
programmatica della Democrazia Cristiana. Sottolineo che anche questo è il cammino che
costruisce quella economia sociale e civile di mercato che, della suddetta
dottrina, è parte centrale.
Sottolineo che stiamo parlando di reddito personale, non di reddito
dimpresa, sul quale andranno invece considerate con intelligente accortezza le
dimensioni legate alle esigenze di espansione e innovazione più proprie della impresa
stessa, che del resto sono benedette per tutti: lavoratori ed azionisti, persone e
comunità. In particolare attraverso una riduzione dellattuale pressione tributaria
per abbattere il cuneo fiscale e stimolare ricerca e investimenti.
La Democrazia Cristiana è comunque contraria, nello stesso tempo e per lo stesso spirito,
anche a forme di garanzia del reddito che siano scisse da una corrispondente
responsabilità di lavoro produttivo. Non cassa integrazione, dunque, e neanche gli
istituti innovativi definiti in tal senso dalla recente "riforma Fornero", ma
piuttosto lavori utili in logica sostanzialmente e modernamente keynesiana,
intendendo per lavori utili gli investimenti in tutto ciò che possa essere bene comune
effettivo.
Nulla dunque ha da vedere, tutto questo approccio, con forme di assistenzialismo,
verso le quali nutriamo sostanziali dubbi tutte le volte che esse vogliano supplire a una
politica di giusta reciprocità fra cittadino e comunità. La dignità del lavoro,
espressione di una sostanziale parità nella cittadinanza responsabile, potrà in tal modo
accompagnarsi anche con una sostanziale parità di condizione fiscale e previdenziale
senza distinzioni fra categorie: come senza distinzioni ci pare debba essere, in linea di
tendenza, il diritto ad accedere a tutto il campo del lavoro, compreso quello delle libere
professioni, attraverso meccanismi semplificati e trasparenti rispetto a prassi ancora
piuttosto chiuse e per alcuni aspetti vetuste.
Certo è comunque limpresa che, per la consistenza oggettiva della sua dimensione
produttrice di ricchezza complessiva, resta il soggetto centrale per la elaborazione di
una attiva politica del lavoro. Inestimabile valore di una economia dinamica e
progrediente, limpresa deve essere, in questo senso, non solo protetta ma
sostenuta e incentivata nel suo naturale impulso di sviluppo. Punto cardine di una tale
politica ci sembra lo snellimento della burocrazia relativa alle autorizzazioni e ai
controlli.
Se questo è il lato normativo-burocratico della vita dimpresa, sul versante
economico ve nè uno non meno pregnante: limpresa si sostiene e cresce con il
duplice strumento dellautoinvestimento e del credito bancario, come è noto. Anche
sulla politica creditizia finalizzata allo sviluppo dimpresa vi è un particolare
elemento centrale nella cultura democratico-cristiana, che mentre non può, secondo noi,
essere trascurato: è quello costituito dalla idea del risparmio collettivo (dei
lavoratori ma anche degli utenti).
Come è evidente dalle riflessioni che stiamo dipanando, non possiamo nascondere il nostro
interesse privilegiato per la diffusione di politiche favorevoli ai modelli di partecipazione
dei lavoratori nellimpresa, conformemente alla costante tradizione, ancora una
volta, della Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche a tantissime esperienze consolidate
nei paesi più avanzati dEuropa, e al dettato dellarticolo 46 della nostra
Costituzione.
A tale riconoscimento del fattore lavoro fa riscontro il dovere ugualmente stringente
del lavoratore, di adempiere con senso di responsabilità il proprio ruolo produttivo. Ed
è evidente, in questo quadro, come anche lesperienza sindacale costituisca un
valore imprescindibile delle politiche del lavoro, quando naturalmente si tratti di sindacalismo
libero e pluralistico, come quello realizzatosi tipicamente nella esperienza della
Cisl italiana e ormai caratteristico di tutto il nostro sindacalismo confederale.
E questa dinamica che consente alla legge stessa di farsi carico con maggiore
competenza di quella garanzia di reddito vitale di dignità per ogni cittadino e per
ogni famiglia, che è da sempre nelle nostre aspirazioni. Non si tratta di una
richiesta avulsa dalle condizioni concrete della ricchezza prodotta dal Paese: nessun
paese può infatti distribuire più ricchezza di quella che produce. Si tratta invece di
unazione costantemente attenta a calibrare il triplice contestuale strumento
della politica occupazionale, della forbice massima fra redditi di lavoro, della
partecipazione dei lavoratori nellimpresa.
Vissuta con tale orizzonte, leconomia complessiva è veramente "amministrazione
della casa comune" finalizzata al "bene comune": che del resto può
assumere diversificate gerarchie in funzione della natura di ogni singolo bene e di ogni
singola persona. Vi sono ad esempio dei beni la cui natura appare anche al buon senso
come collettiva o pubblica e perciò dotata di una legittima aspettativa di fruizione
sostanzialmente paritaria da parte dei cittadini: tali sono ad esempio lacqua,
lambiente, la sicurezza. Tali beni sono essenziali e primari per la qualità della
vita e per essi la presenza della mano pubblica, sia essa quella dello Stato o quella
degli enti intermedi, non può non essere diversa da quella riservata a tutti gli altri
beni, lasciati allautoregolazione semplice del mercato.
Questa parola, chiara e ferma, ci è doverosa per il ristabilimento di una visione che è
stata resa ambigua e infine controproducente da una tendenza superficiale di questi lunghi
venti anni e oltre, favorevole a una semplicistica linea di privatizzazioni, condotta
con indiscriminatezza pari a quella che a suo tempo aveva presieduto agli eccessi opposti
delle statalizzazioni, o regionalizzazioni, o municipalizzazioni.
Il concetto che dobbiamo piuttosto avere sempre presente è quello della distinzione
chiara fra privatizzazione e liberalizzazione: quando si tratta di beni primari
liberalizzare è tendenzialmente un bene, privatizzare è tendenzialmente un male. La
liberalizzazione salvaguarda e stimola anche lintervento privato, la semplice
privatizzazione può tendere a generare monopoli a fini di lucro, tanto più negativi
quanto più riguardino beni appunto essenziali e primari per la dignità della persona.
V - ISTITUZIONI: LO STATO SNELLO PER LA PARTECIPAZIONE SOCIALE
Nelle polemiche interminabili che hanno accompagnato questo tipo di dibattiti
sullassetto delleconomia nazionale negli anni a noi vicini, si è tornati
anche a chiamare in causa, più latamente, una "pesantezza dello Stato"
che non sarebbe in grado di gestire con efficacia altro ruolo che non sia quello di
asettico controllore delle regole che pone, e in nulla o quasi nulla dovrebbe riguardarlo
il merito della regolazione sociale.
Storicamente cè stata, in effetti, in alcuni comparti del sistema economico
italiano, una parte di pesantezza che non era ulteriormente tollerabile perché fonte di
aggravio di costi e contemporaneamente di danno allefficienza.
Oggi è però essenzialmente sul piano burocratico che il concetto di "Stato
snello" compia passi coraggiosi. E infatti valutazione condivisa senza
incertezze che il nostro apparato-Stato abbia raggiunto una dimensione elefantiaca fonte a
un tempo di sprechi e di inefficienze in alcuni casi intollerabili.
La ragione profonda che presiede a queste considerazioni è semplicemente, ancora una
volta, quella che concepisce lo Stato come la organizzazione con la missione di servire
la persona e la comunità ai fini della loro crescente autorealizzazione (art. 2 della
Costituzione). Ed è questa chiave interpretativa che illumina anche le politiche
relative alle articolazioni intermedie non territoriali attraverso le quali si svolge la
vita sociale. Per questo che la Dc tutela la costituzione e la partecipazione dei
cittadini a forme associative e imprenditive nel campo del lavoro come nei campi della
cultura, dei servizi, delle iniziative di cittadinanza, delle tutele dei diritti, e così
via: con lobiettivo di realizzare quel vivace reticolo di vita sociale che possa
andare a coprire la più vasta area possibile della domanda di servizi avanzata dai
cittadini in questi settori. È nella cultura personalistica e comunitaria, connaturata
con la storia del nostro partito, lincoraggiamento attivo di quel "terzo
settore", che può costituire la grande "infrastruttura sociale" nella
quale possono trovare risposta meno burocratica e più densa di motivazioni e calore umano
le domande e i bisogni meno considerati e protetti dalle istituzioni.
Un approccio solidaristico che si esplicita anche in senso geopolitico, con lEuropa
che resta un riferimento che ci aiuta a tenere largo ed aperto lorizzonte, ed anche
un forte laboratorio di buone pratiche. UnEuropa che oggi pone la necessità di un
ritorno allo spirito dei suoi padri fondatori, affinché sia di nuovo, innanzitutto, un
ideale di fraternità con leconomia che segue: questo pensavano infatti De
Gasperi, Adenauer, Schumann, Monnet, Spaak e gli altri fondatori.
Un approccio globale e solidaristico lEuropa deve rivolgere anche verso il Mediterraneo.
Il mare delle tre religioni monoteiste, civiltà antiche che, intersecandosi, e non
ignorandosi, hanno dato al mondo gran parte della civiltà che oggi lo unisce. È presente
in me la suggestione indimenticabile dei "Dialoghi dei Mediterraneo" nella
Firenze, "nuova Gerusalemme", del Sindaco Santo, che chiamava il nostro mare
Lago di Tiberiade.
Questo approccio globale e solidaristico va perseguito e testimoniato, infine, per la
ricerca della pace e dellunità di tutto il pianeta. Messaggio che da Isaia
fino alla Pacem in Terris e alla Caritas in Veritate, il Popolo di Dio
vive come il traguardo finale della settimana storica delluomo che segue la
settimana biblica della Creazione.
VI PASSATO, PRESENTE, FUTURO: IL POPOLARISMO CHE VIVE.
Le considerazioni svolte sollecitano la politica i partiti ad una tensione morale e
culturale superiore a quella attuale, e che possa alimentare anche le loro modalità
interne di organizzazione e di democrazia partecipativa.
Anche il problema del finanziamento dei partiti si pone ormai con evidente urgenza morale.
Nacque nel cuore degli anni 1970 con lobiettivo dichiarato di consentire ai partiti
di "non essere costretti a farsi corrompere", come si disse allora.
Lintenzione era buona ma lesito non fu felice ed è venuto peggiorando nel
tempo.
Non è forse saggio tornare al puro e semplice sistema di "nessun
finanziamento"; lo dico chiaramente "non vogliamo i soldi dello Stato". Noi
preferiamo un sistema che, escludendo qualsiasi esborso di denaro pubblico, assicuri una
normativa semplice, trasparente e facilitata, attraverso la quale ogni cittadino possa
liberamente partecipare al finanziamento del partito nel cui programma si riconosce. A tal
riguardo mi sembra del tutto condivisibile la proposta di legge di iniziativa popolare
promossa dal professor Pellegrino Capaldo.
A fronte dei molti profeti che frettolosamente diagnosticano la fine del partito politico,
a me sembra che esso rimanga lo strumento meno imperfetto, lìunico ancora in grado
di consentire lesercizio della moderna democrazia rappresentativa.
Non va confuso il partito ideologico che guidava le masse della società industriale, con
le nuove forme partito capaci di interpretare e dare rappresentanza alla società
post-moderna nel mondo delle tecnologie informatiche fattosi uno.
Nessuno di noi pensa di rifare quella Democrazia Cristiana, quelle sezioni, quei comitati,
quelle commissioni, quella pletora organizzativa.
La prima delle nostre scommesse è costruire un partito nuovo adeguato alla
società del ventunesimo secolo.
Mi sembra che la evoluzione da mettere in campo abbia, tra le altre, le seguenti
caratteristiche:
.
- a. Un forte snellimento statutario, che infonda trasparenza ed efficacia
allesperienza associativa democratica dei soci, accorciando vertiginosamente la
distanza tradizionale fra vertice e base.
- b. Una quota maggiore di "democrazia diretta", nel senso di un
incremento di peso decisionale degli iscritti, anche attraverso lutilizzo delle
tecnologie telematiche nel determinare la scelta dei singoli dirigenti del partito a tutti
i livelli.
- c. Una mediazione ricca fra il valore fondante della sovranità associativa e la
necessità di un coinvolgimento più pregnante dei mondi esterni che si riconoscono nella
visione e negli ideali democratico-cristiani. Più peso agli iscritti e più peso ai
simpatizzanti, insomma.
d. Una grande rigorosità nellapplicazione della certezza giuridica interna,
con una magistratura di garanzia a sua volta semplificata e velocizzata.
- e. Unattività di formazione permanente per tutti i livelli del partito:
siamo anzi, su questo tema, a buon punto nella formulazione preparatoria di ipotesi che
tengono conto delle esperienze migliori maturate in questi venti anni nel mondo della
formazione politica e sociale.
- f. Infine, una diffusione capillare, sul territorio, di una rete di Circoli Culturali
di Iniziativa Politica: non come luoghi di tessere da contare, ma come luoghi di
aperta elaborazione, di formazione, di competenze e proposte e impegno sui problemi del
territorio.
- g. Riteniamo utile affiancare al partito una fondazione col compito di approfondita e
elaborata ricerca sui temi programmatici e sulle strategie della missione del partito
CONCLUSIONI
Cari amici, questo è, oggi, il mio contributo che, attraverso il dibattito di questi due
giorni e dei giorni che seguiranno, è aperto ad ogni positiva integrazione, correzione,
arricchimento.
Noi siamo qui con il proposito di realizzare insieme il passaggio da una storia antica
ricca di successi ma anche dolorosamente responsabile di errori, verso un futuro che deve
essere altrettanto ricco di successi e meno esposto agli errori. Mi permetto di
aggiungere che rappresento una generazione il cui compito precipuo è, oggi, quello
di fornire buon esempio e buoni consigli, trasmettere esperienza sana e forte, per far
avanzare sul proscenio delle responsabilità sociali, compresa la guida del partito, le
generazioni nuove.
Non è questione di anagrafe: vecchi e giovani hanno dato in tempi e modi diversi esempi
eroici ed esempi deleteri. E invece questione di anima e di effettiva pratica della
democrazia interna. E questa che provvede allimmancabile ricambio fisiologico
della classe dirigente. Una sola condizione occorre, che non sempre abbiamo onorato in
passato: una democrazia interna che vorrei definire, fanciullescamente, semplice e
rocciosa per la sua credibilità. Insieme allimpegno quotidiano della nostra
formazione permanente.
Nessuno deve mai violare la santità delle urne nelle quali i nostri iscritti sono
chiamati a scegliere in coscienza le persone cui affidare la guida del cammino. Con
semplicità e sapienza. Non abbiamo bisogno di altro. Forse, in questo momento, il Paese
non ha bisogno di altro." |
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EDIZIONE PRECEDENTE |
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Sentenza
della Corte, Progetto Renzi-Berlusconi, Documento "alt" di 26 Costituzionalisti |
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LA TESI DEI GIURISTI:
"Riformulato il Porcellum, con pochi correttivi". |
Nino LUCIANI: |
1) La vera novità, rispetto al "Porcellum" è il premio
di maggioranza su base nazionale anche al Senato, e questo eviterà diverse maggioranze
tra le due camere. Circa il progetto di Renzi-Berlusconi, clicca legge elettorale
2) Rimane irrisolto il problema del frazionamento delle coalizioni, in più gruppi, dopo
le elezioni, ossia il fenomeno dei "cambiacasacca" con caduta della maggioranza.
Circa un rimedio, ripeschiamo il grande costituzionalista e membro dell'Assemblea
costituente COSTANTINO MORTATI
3) Pesa l'ipoteca della incostituzionalità, e Napolitano non potrà non rilevarla, data
la sentenza fresca fresca della Corte Costituzionale sul vecchio Porcellum. |
|
1.- Premessa. Personalmente ho sempre
pensato che occorra una riforma costituzionale, che sottragga ai partiti il controllo del
governo (partiti ladri, anche legalmente: vedi legge che aggirò il referendum
costituzionale sul finanziamento pubblici dei partiti), e dunque permetta l'elezione del
Presidente del Consiglio (per 5 anni) direttamente dai cittadini.
Ed ho anche sempre pensato che, in assenza di una riforma costituzionale,
l'unica via praticabile è una forzatura della interpretazione della attuale Costituzione
(che è proporzionalista e sottopone il governo alla fiducia delle camere): ossia un nuovo
porcellum, corretto.
2.- I miglioramenti del
"nuovo"porcellum. Il primo, più importante, è che il
premio di maggioranza sarà su base nazionale anche al senato (oltre che alla camera), per
cui è molto improbabile una diversa "maggioranza" tra le due camere.
Il secondo miglioramento è la possibilità del ballottaggio
tra i primi due partiti o le prime due coalizioni, se nessuna raggiunge il 35% dei voti
totali delle elezioni.
3.- Difetto rimasto: la possibilità dei cambiacasacca nel dopo elezioni.
Qualora i due poli non siano partiti, ma coalizioni, non si può escludere il ripetersi di
quanto ripetutamente avvenuto in passato, vale dire che la coalizione di maggioranza si
frazioni in più gruppi, e in questo modo l'ostracismo ai piccoli partiti (disposto dalla
nuova legge) non sarebbe estirpato.
Sono convinto che questo fenomeno si potrebbe presentare anche se il premio
andasse al partito maggiore, perchè Forza Italia non è un partito ideologico (ma un
partito di affari) e il PD è una convivenza dell'anima liberale del PCI e dell'anima di
sinistra della veccha DC. (Queste cose non |
accadevano nella prima repubblica, quando c'erano due
grandi partiti con un alto senso dello Stato, la DC e il PCI, a parte deviazioni gravi
degli ultimi tempi, a causa del compromesso storico, anzichè della alternanza, tra loro,
al governo). 4.- Quale rimedio al fenomeno dei cambiacasacca. Il
rimedio al fenomeno comincia dalla valorizzazione dei piccoli partiti, non dal loro
ostracismo. Questo li spinge a fare coalizioni forzate innaturali, ma che poi (nel dopo
elezioni) si sciolgono. Il secondo rimedio consiste nel modificare la normativa
costituzionale e questo ripropone la ineludibilità di riforme costituzionali e la
insufficienza di riforme meramente elettorali. Vediamo meglio cominciando da questa, e
riprendendo infine come aggregare i piccoli partiti.
a) l'art. 67 della Costituzione dice che "ogni membro del
parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di
mandato". Dunque, la prima falla è nella Costituzione, per cui si ripropone il
problema di modificare Costituzione, se si vuole evitare la polverizzazione della
rappresentanza politica.
L'art. 64 apre, però, alla possibilità di correttivi
attribuendo alle camere il "potere regolamentare" per l'organizzazione interna.
Ad es., in Senato il regolamento dispone che per la formazione di un gruppo occorrono
almeno 10 membri. Alla Camera il minimo è 20.
E' pacifico che l'autonomia organizzativa interna sia essenziale alla
sovranità del parlamento, ma è anche evidente che la proliferazione dei gruppi potrebbe
minare il corretto funzionamento del parlamento, e dunque ciò non attiene ad un
problema organizzativo, in senso stretto, perchè ha rilevanti effetti
esterni. |
E' possibile intervenire sulla
formazione dei gruppi, senza minare l'autonomia organizzativa interna ? La
risposta non si trova facilmente nei testi di diritto costituzionale. La si trova, però,
nelle lezioni del grande costituzionalista (e padre costituente) Costantino Mortati, di
cui sono stato studente molti anni fa a Roma, e di cui riporto il paragrafo qui sotto.
In sintesi, per intervenire sul regolamento (circa la proliferazione dei gruppi),
deve farlo la Costituzione direttamente o affidando alla legge il potere di regolazione,
però nel rispetto nel diritto di auto-organizzazione interna, in senso stretto.
5.- Le conseguenze benefiche per il problema della frammentazione. In
premessa, evidenzio che la limitazione alla formazione del numero dei gruppi parlamentari
è un modo alternativo per evitare la frammentazione dei partiti mediante sbarramenti alla
entrata.
Vediamo come. Ipotizziamo (come caso estremo) che la norma
costituzionale disponga che in parlamento sono ammessi solo due gruppi, uno di maggioranza
e uno di minoranza.
Ipotizziamo anche (coma caso estremo) che la rappresentanza dei
partiti sia ammesso con riparto proporzionale puro (senza alcun sbarramento).
Come mettere d'accoro le conseguenze delle due ipotesi ? La soluzione
sta nel disporre:
- che i due partiti maggiori costituiscano due rispettivi
gruppi;
- che tutti gli altri siano tenuti ad afferire ad uno dei due,
secondo la preferenza.
In questo modo tutti sono vincolati a contribuire alla coesione, ma
con forzature ragionevoli, meno pesanti della esclusione in partenza, propria degli
sbarramenti all'entrata. Nino Luciani |
|
TRE DOCUMENTI A CONFRONTO
CORTE
COSTITUZIONALE: SENTENZA N. 1 - ANNO 2014 nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per
la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge 21 dicembre 2005,
n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica); degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato
della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005, promosso dalla Corte
di cassazione nel giudizio civile vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del
Consiglio dei ministri ed altro con ordinanza del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25,
prima serie speciale, dell'anno 2013. 3.1.- La questione sollevata (dalla Corte di
Cassazione) è fondata. Questa Corte ha da tempo ricordato che l'Assemblea Costituente,
"pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il
sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese
irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta
proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la
configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria" (sentenza n. 429 del
1995). Pertanto, la "determinazione delle formule e dei sistemi elettorali
costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della
scelta legislativa" (sentenza n. 242 del 2014; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n.
107 del 1996). Il principio costituzionale di eguaglianza del voto - ha inoltre rilevato
questa Corte - esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di
parità, in quanto "ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia
alla formazione degli organi elettivi" (sentenza n. 43 del 1961), ma "non si
estende [
] al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore
[
] che dipende [
] esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non
avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e
amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni
popolari" (sentenza n. 43 del 1961). Non c'è, in altri termini, un modello di
sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest'ultima lascia alla
discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace
in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo
espressione dell'ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo
sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente
irragionevole (sentenze n. 242 del 2014 e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002).
Nella specie, proprio con riguardo alle norme della legge elettorale della Camera qui in
esame, relative all'attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di
una soglia minima di voti o di seggi, questa Corte, pur negando la possibilità di
sindacare in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo profili di
illegittimità costituzionale, in particolare attinenti alla ragionevolezza delle predette
norme, ha già segnalato l'esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni
profili di un simile meccanismo. Alcuni aspetti problematici sono stati ravvisati nella
circostanza che il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione
della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un
numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi.
In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed
attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella
specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di
eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008). Successivamente, questa Corte,
stante l'inerzia del legislatore, ha rinnovato l'invito al Parlamento a considerare con
attenzione i punti problematici della disciplina, così come risultante dalle modifiche
introdotte con la legge n. 270 del 2005, ed ha nuovamente sottolineato i profili di
irrazionalità segnalati nelle precedenti occasioni sopra ricordate, insiti
nell'"attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna soglia
minima di voti e/o di seggi" (sentenza n. 13 del 2014); profili ritenuti, tuttavia,
insindacabili in una sede diversa dal giudizio di legittimità costituzionale. Gli stessi
rilievi, nella perdurante inerzia del legislatore ordinario, non possono che essere
ribaditi e, conseguentemente, devono ritenersi fondate le censure concernenti l'art. 83,
comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. Tali disposizioni, infatti, non
superano lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza, al quale soggiacciono anche
le norme inerenti ai sistemi elettorali. In ambiti connotati da un'ampia discrezionalità
legislativa, quale quello in esame, siffatto scrutinio impone a questa Corte di verificare
che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato
con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura
eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve
svolgersi "attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti
dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive
da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e
delle limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di
proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni
costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale
strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di
legittimità degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma
oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia
necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,
tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e
stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi. Nella
specie, le suddette condizioni non sono soddisfatte. Le disposizioni censurate sono
dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di
garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo
decisionale, ciò che costituisce senz'altro un obiettivo costituzionalmente legittimo. |
IL
DOCUMENTO DEI 26 GIURISTI*
G.Azzariti, M.Barberis, M.Bovero,
E.Bettinelli, F.Bilancia, L.Carlassare, P.Caretti, G.Cocco, C.De Fiores, M.Dogliani,
G.Ferrara, L.Ferrajoli, A.Musumeci, A.Pace, S.Rodotà, L.Ventura, M.Villone, E.Vitale,
P.Adami, A.Falcone, G.Incorvati, R.La Valle, R.La Macchia, D.Gallo, F.Marcelli, V.Pazè,
P.Solimeno.
(Fonte: IL MANIFESTO, 25 gen. 2014-01-27)
Nota. Per capire il Documento è forse
utile leggere, prima, il progetto di legge.
Clicca su:
La proposta di riforma elettorale depositata
alla Camera a seguito dell'accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi
e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi
correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale - il cosiddetto
"Porcellum" - e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno
motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della
Corte costituzionale n. 1 del 2014.
Questi vizi, afferma la sentenza, erano essenzialmente due.
Il primo consisteva nella lesione dell'uguaglianza del voto e
della rappresentanza politica determinata, in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67
della Costituzione, dall'enorme premio di maggioranza - il 55% per cento dei seggi della
Camera - assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse
raggiunto la maggioranza relativa.
La proposta di riforma introduce una soglia minima, ma stabilendola nella
misura del 35% dei votanti e attribuendo alla lista che la raggiunge il premio del 53% dei
seggi rende insopportabilmente vistosa la lesione dell'uguaglianza dei voti e del
principio di rappresentanza lamentata dalla Corte: il voto del 35% degli elettori,
traducendosi nel 53% dei seggi, verrebbe infatti a valere più del doppio del voto del
restante 65% degli elettori determinando, secondo le parole della Corte,
"un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla
quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente" e
compromettendo la "funzione rappresentativa dell'Assemblea". Senza contare che,
in presenza di tre schieramenti politici ciascuno dei quali può raggiungere la soglia del
35%, le elezioni si trasformerebbero in una roulette.
Il secondo profilo di illegittimità della vecchia
legge consisteva nella mancata previsione delle preferenze, la quale, afferma la sentenza,
rendeva il voto "sostanzialmente indiretto" e privava i cittadini del diritto di
"incidere sull'elezione dei propri rappresentanti".
Questo medesimo vizio è presente anche nell'attuale proposta di riforma, nella
quale parimenti sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte. La
designazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei
partiti. Viene così ripristinato lo scandalo del "Parlamento di nominati"; e
poiché le nomine, ove non avvengano attraverso consultazioni primarie imposte a tutti e
tassativamente regolate dalla legge, saranno decise dai vertici dei partiti, le elezioni
rischieranno di trasformarsi in una competizione tra capi e infine nell'investitura
popolare del capo vincente.
C'è poi un altro fattore che aggrava i
due vizi suddetti, compromettendo ulteriormente l'uguaglianza del voto e la
rappresentatività del sistema politico, ben più di quanto non faccia la stessa legge
appena dichiarata incostituzionale. La proposta di riforma prevede un
innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento: mentre la vecchia legge, per
questa parte tuttora in vigore, richiede per l'accesso alla rappresentanza parlamentare
almeno il 2% alle liste coalizzate e almeno il 4% a quelle non coalizzate, l'attuale
proposta richiede il 5% alle liste coalizzate, l'8% alle liste non coalizzate e il 12%
alle coalizioni. Tutto questo comporterà la probabile scomparsa dal Parlamento di tutte
le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre
forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai
loro capi.
Insomma questa proposta di riforma consiste in una riedizione
del porcellum, che da essa è sotto taluni aspetti - la fissazione di una quota
minima per il premio di maggioranza e le liste corte - migliorato, ma sotto altri - le
soglie di sbarramento, enormemente più alte - peggiorato. L'abilità del segretario del
Partito democratico è consistita, in breve, nell'essere riuscito a far accettare alla
destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa stessa varata nel 2005 e oggi
dichiarata incostituzionale.
Di fronte all'incredibile pervicacia con cui il sistema
politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la
Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia
rappresentativa, i sottoscritti esprimono il loro sconcerto e la loro protesta
Contro la pretesa che l'accordo da cui è nata la proposta
non sia emendabile in Parlamento, ricordano il divieto del mandato imperativo stabilito
dall'art.67 della Costituzione e la responsabilità politica che, su una questione
decisiva per il futuro della nostra democrazia, ciascun parlamentare si assumerà con il
voto. E segnalano la concreta possibilità - nella speranza che una simile prospettiva
possa ricondurre alla ragione le maggiori forze politiche - che una simile riedizione
palesemente illegittima della vecchia legge possa provocare in tempi più o meno lunghi
una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima,
un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica onde
sollecitare, in base all'art.74 Cost., una nuova deliberazione, con un messaggio motivato
dai medesimi vizi contestati al Porcellum dalla sentenza della Corte costituzionale. Con
conseguente, ulteriore discredito del nostro già screditato ceto politico.
Primi firmatari: Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Michelangelo Bovero,
Ernesto Bettinelli, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Paolo Caretti, Giovanni Cocco,
Claudio De Fiores, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Angela Musumeci,
Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale, Pietro
Adami, Anna Falcone, Giovanni Incorvati, Raniero La Valle, Roberto La Macchia, Domenico
Gallo, Fabio Marcelli, Valentina Pazè, Paolo Solimeno |
Prof. Costantino Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e
comparato, A.A. 1957-58, Università di Roma La Sapienza, ed.
Ricerche, Roma. (Le lezioni sulla riserva di legge sono state svolte dal prof. Sergio
Fois, (pp. 233-237).
La riserva dei regolamenti delle
Camere del Parlamento,
La nuova costituzione, all'art. 64, ha disposto che "ciascuna camera
adotta il proprio regolamento, a maggioranza assoluta dei propri componenti
Si chiede se da tali disposizioni si possa trarre argomento per l'esistenza di una
"riserva" a favore del Parlamento, nel senso di escludere l'intervento della
legge nella materia in essa rientrante.
A meglio intendere i termini del problema gioverà accennare al modo come storicamente si
è affermata l'autonomia delle Camere.
L'esame comparativo dell'evoluzione subita dallo istituto in discorso mostra le diversità
di manifestazioni secondo il grado dell'efficienza politica raggiunta dalle assemblee
parlamentari. Così, mentre nelle monarchie germaniche si affermò la tendenza alla
regolamentazione dell' attività interna delle Camere con legge, o addirittura con
regolamento regio, viceversa in Inghilterra ed in Francia si verificò una netta
affermazione di autonomia, pur con diversità di manifestazioni e di vicende.
Per quanto riguarda l'Inghilterra deve essere
ricordato che il Parlamento era all'origine organo con competenza multipla, poichè, oltre
a votare le leggi di imposta, aveva non solo funzioni amministrative di indole consultiva,
ma anche giurisdizionali, in quanto formava la Suprema Corte di giustizia. Ed appunto
nella qualità di organo giudiziario la Camera dei Lords rivendicò il privilegio della lex et consuetudo Parlamenti.
Tale privilegio importava anzitutto il potere di determinare in modo insindacabile la
portata e l'ampiezza del modo d'esercizio delle proprie attribuzioni., ed inoltre quello
di ottenere obbedienza dalle autorità amministrative con sanzione di punizione a carico
dei disobbedienti per il reato di "contempt of
Court".
Si giunse anche ad affermare lefficacia dei regolamenti parlamentari pur se contra legem, desumendola dal carattere di
giudicato che si attribuisce alle deliberazioni che li sancivano.
Le norme regolamentari, fondate in un primo tempo sulla consuetudine, vennero poi
consacrate (all'epoca delle lotte del sec. XVII, ed allo scopo di rafforzarne la funzione
che erano andate assumendo di arma contro il sovrano), in parte, nei Rolls of Parliament, distinguendosi negli
"standing orders" (destinati a rimaner fermi fino ad esplicita abrogazione) e
nei "sessional orders" con efficacia limitata alla sessione in corso.
In Francia, mancando una tradizione
parlamentare, il potere di auto-organizzazione venne rivendicata dagli "Stati
generali" sulla base della titolarità del potere costituente, di cui essi si
proclamavano investiti. Così il Mirabeau assimilava il regolamento al "patto
sociale", emergente all'origine dall'unanime consenso, e modificabile poi a
maggioranza.
Da tale concezione si faceva altresì derivare il principio del carattere di organo nuovo
assunto da ogni nuova assemblea, non vincolata perciò al regolamento emanato dalla Camera
disciolta.
Con la Restaurazione si rivendicò alla legge il potere di regolare le attività delle
Camere interferenti con quelle di altri organi, e con la legge 13-8-1814 si conservò tale
differenziazione delle attività stesse, distaccandole da quel le fatte rientrare negli interna corpis, in senso stretto.
Il principio dell'autonomia delle camere si
afferma in seguito in tutti i paesi, sembrando
strumento necessario per l'esercizio della funzione di controllo sul governo affidato alle
medesime.
Nella successiva evoluzione subita dal regime parlamentare, in senso
"maggioritario" e con l'introduzione di elementi di accentuata eterogeneità nella composizione delle assemblee, vengono ad
affermarsi nuove esigenze che giustificano l'autonomia e che si esprimono, da una parte,
nella tutela delle minoranze (o inversamente in quella della maggioranza contro
1'ostruzionismo" delle minoranze); e dall'altra nel bisogno di consentire
1"assolvimento dei maggiori compiti assunti dalla legge statale, meglio disciplinando
(anche attraverso il sacrificio dell'autonomia dei singoli membri del parlamento, ormai
legati alla disciplina dei gruppi parlamentari costituiti sulla base dei partiti) il
lavoro affidato alle Camere.
5 Visto così lo svolgimento storico e la funzione attuale dei regolamenti parlamentari,
occorre ora rendersi conto della loro posizione nell'ordine delle fonti.
E osservare come la Costituzione mentre,
per una parte detta direttamente alcune norme relative allattività delle Camere,
(art. 62, 63, 64, 82), per un'altra parte affida alla legge la disciplina di rapporti attinenti ai
membri del Parlamento (art. 69), ed infine rinvia al regolamento di disporre sul modo di esercizio
delle altre funzioni.
Da quanto si è detto prima, si possono trarre argomenti sufficienti per ritenere che
l'art. 64 sia solo "dichiarativo" di un potere appartenente in proprio, ed
originariamente, alle Camere, perchè inerente alla loro posizione di organi sovrani,
forniti di prerogative per la tutela degli speciali interessi che ad esse fanno capo e che
importano una cornpetenza di autorganizzazione. diretta a sottrarre i propri membri a
influenze estranee, ed a disporre dei mezzi personali e materiali necessari
all'assolvimento dei propri compiti.
Risulta altresì confermato (sulla base delle premesse poste) il carattere
£riservato" di tale competenza; sottratta ad ogni intervento del legislatore.
Si vedrà poi (sia pure fugacemente) se si possa ritenere sussistente anche la
sottrazione, ad ogni sindacato, delle norme regolamentari.
Per quanto riguarda la riserva è da osservare come essa si desuma in modo decisivo
dallaggravamento di procedura per la formazione dei regolamenti dellart- 64 e
che rende insostituibile ad esse la fonte della legge ordinaria. Infatti, essendo
quest'ultima validamente deliberata con il voto della metà più'' uno dei presenti, la
disciplina, con essa dettata, degli interna
corporis non offrirebbe la garanzia che il voto favorevole della metà più uno dei
componenti offre; e pertanto verrebbe a contraddire all'esigenza, voluta tutelare, della
costituzione.
Se problema vi è, esso si riferisce ai limiti entro cui deve ritenersi contenuta la
materia propria degli interna corporis riservata
al Parlamento.
|
Continua: CORTE COSTITUZIONALE Questo obiettivo è perseguito mediante un meccanismo premiale destinato ad
essere attivato ogniqualvolta la votazione con il sistema proporzionale non abbia
assicurato ad alcuna lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una
maggioranza anche superiore a quella assoluta di seggi (340 su 630). Se dunque si verifica
tale eventualità, il meccanismo premiale garantisce l'attribuzione di seggi aggiuntivi
(fino alla soglia dei 340 seggi) a quella lista o coalizione di liste che abbia ottenuto
anche un solo voto in più delle altre, e ciò pure nel caso che il numero di voti sia in
assoluto molto esiguo, in difetto della previsione di una soglia minima di voti e/o di
seggi. Le disposizioni censurate non si limitano, tuttavia, ad introdurre un correttivo
(ulteriore rispetto a quello già costituito dalla previsione di soglie di sbarramento
all'accesso, di cui al n. 3 ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83, qui non
censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi "in ragione
proporzionale", stabilito dall'art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957,
in vista del legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze
parlamentari e quindi di stabili governi, ma rovesciano la ratio della formula elettorale
prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la
rappresentatività dell'assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una
eccessiva divaricazione tra la composizione dell'organo della rappresentanza politica, che
è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo
parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa
attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della
sovranità popolare, secondo l'art. 1, secondo comma, Cost. In altri termini, le
disposizioni in esame non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla
lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano
automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in ipotesi,
una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella
che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell'assemblea. Risulta, pertanto,
palese che in tal modo esse consentono una illimitata compressione della
rappresentatività dell'assemblea parlamentare, incompatibile con i principi
costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della
"rappresentanza politica nazionale" (art. 67 Cost.), si fondano sull'espressione
del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate
funzioni fondamentali, dotate di "una caratterizzazione tipica ed infungibile"
(sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e
controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della
Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre
assemblee rappresentative di enti territoriali. Il meccanismo di attribuzione del premio
di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale
introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l'assenza di una
ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio, è pertanto
tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione,
basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.).
Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato
sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia
alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume sfumature
diverse in funzione del sistema elettorale prescelto. In ordinamenti costituzionali
omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto principio e non è
costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente
riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche
solo in modo parziale, esso genera nell'elettore la legittima aspettativa che non si
determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del
"peso" del voto "in uscita", ai fini dell'attribuzione dei seggi, che
non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell'organo parlamentare
(BVerfGE, |
CONTINUA: MORTATI Come si e' visto, in Francia, ebbe ad affermarsi il principio dell'intervento
della legge per quanto riguarda i rapporti fra i poteri delle Camere e quelli degli altri
organi.
Non sembra che tale principio sia utilizzabile, ove si volesse dare al medesimo un
significato estensivo e quindi farlo valere per escludere lautonomia parlamentare
tutte le volte che 1'attività di ogni camera si ricolleghi con il funzionamento di .altri
organi.
Ciò sembra da escludere non solo nel caso di poteri di un ramo del Parlamento
interferenti con quelli dell'altro ramo (come nell'ipotesi del procedimento di formazione
delle leggi di revisione costituzionale) in cui occorre lasciare alla libera iniziativa
dei due la scelta dei modi necessari ad armonizzare fra loro le procedure, ma altresì
quando tali interferenze si abbiano nei confronti di organi diversi o anche di soggetti
singoli.
Così non sembra che competesse alla legge (come invece è stato fatto con l'art. 3 della
legge 11.3.1953 n. 87) dettare le modalità per l'elezione ad opera del Parlamento in
seduta comune di 5 membri della Corte Costituzionale. Ogni limite, in questa sfera,
dovrebbe venire disposto con legge costituzionale.
L'autonomia regolamentare delle Camere e'da ritenere fondata in ogni sua espressione sullo
stesso titolo, e cioè sulla sua posizione di organo supremo, sicchè 'non sembra da seguire l'opinione del Martines (La natura giuridica dei regolamenti parlamentari, p. 70),
che distinguendo le norme dei regolamenti parlamentari in tre gruppi:
a) esecutive della costituzione;
b) espressione del potere di supremazia speciale che si fa valere nei confronti dei propri
mèmbri o degli estranei che vengono a contatto con le Camere;
c) di organizzazione degli uffici interni,
ritiene di dovere attribuire a ciascuno dei gruppi un proprio fondamento.
Naturalmente i regolamenti di cui si parla sono da ritenere assoggettati ai principi
generali dellordinamento.
Non potrebbe però prendersi alla lettera l'affermazione formulata di recente dal Bon (Sui
regolamenti parlamentari, p. 118), secondo cui
essi incontrano il limite materiale costituito da tutte le materie che lordinamento
assoggetta alla riserva di legge. Infatti vi è tutta una serie di attribuzioni delle
Camere che incidono su situazioni giuridiche soggettive e dovrebbero in via generale,
essere regolate dalla legge e tuttavia ricadono nell'ambito della sua normazione (così le
procedure per la messa in stato d'accusa dei ministri o del Capo dello Stato, l'esame
delle petizioni, l'accertamento dei titoli di ammissione alle cariche parlamentari,
l'assunzione dei funzionari, il loro trattamento giuridico ecc.).
36. Le osservazioni fatte per ultimo conducono a far rientrare le norme, di cui si parla,
nell'ordinamento generale dello Stato, e quindi ad escludere che si possano
considerare quali "norme interne" (a
parte la questione se in via ge-nerale siano ammissibili norme di ordinamenti
pubblicistici da considerare interne).
L'ammissione che si è fatto del carattere di fonti di diritto oggettivo da attribuire ai
regolamenti de quibus è del tutto indipendente da quello della loro sindacabilità da
parte del giudice.
La possibilità di tale sindacato è vivamente discussa, ed anzi l'opinione dominante è
nel senso di escluderla, anche se non vi sia concordanza fra coloro che partecipano ad
essa in ordine alla ragione idonea a giustificare l'esclusione.
Non è qui opportuno (perché non conciliabile con l'economia del presente corso) fermarsi
ad analizzare il punto. Se ne è tatto cenno solo per l'occasione che esso offre di
riaffermare la possibilità di quella dissociazione fra forza di legge e valore di legge,
di cui si è parlato, e che è stata contestata dal Sandulli. Una volta ammessa la
insindacabilità, da parte del giudice, degli atti delle Camere (esecutivi dei rispettivi
regolamenti, anche se vertenti su rapporti con terzi e che riescano lesivi di situazioni
di vantaggio di costoro), si dovrebbe concludere per la sussistenza di atti aventi
efficacia di legge, senza tuttavia il valore proprio della legge. |
CONTINUA CORTE COSTITUZIONALE
sentenza 3/11 del 25 luglio 2014; ma v. già la sentenza n. 197 del 22
maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952). Le norme censurate, pur perseguendo un
obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese
e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, dettano una
disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri
interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1,
secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è
proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione
della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'eguale diritto di voto,
eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della
rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento
costituzionale vigente. Deve, quindi, essere dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. 4.- Le medesime
argomentazioni vanno svolte anche in relazione alle censure sollevate, in relazione agli
stessi parametri costituzionali, nei confronti dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n.
533 del 1993, che disciplina il premio di maggioranza per le elezioni del Senato della
Repubblica, prevedendo che l'Ufficio elettorale regionale, qualora la coalizione di liste
o la singola lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell'àmbito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55 per cento dei seggi
assegnati alla regione, assegni alle medesime un numero di seggi ulteriore necessario per
raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione. Anche queste norme,
nell'attribuire in siffatto modo il premio della maggioranza assoluta, in ambito
regionale, alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto semplicemente un numero
maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto del raggiungimento di una soglia
minima, contengono una disciplina manifestamente irragionevole, che comprime la
rappresentatività dell'assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la
sovranità popolare, in misura sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito (garantire
la stabilità di governo e l'efficienza decisionale del sistema), incidendo anche
sull'eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo
comma, e 67 Cost. Nella specie, il test di proporzionalità evidenzia, oltre al difetto di
proporzionalità in senso stretto della disciplina censurata, anche l'inidoneità della
stessa al raggiungimento dell'obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla
disciplina prevista per l'elezione della Camera dei deputati. Essa, infatti, stabilendo
che l'attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l'effetto che
la maggioranza in seno all'assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di
premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o
coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari
non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto
nell'insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento
della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale
il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia
l'esercizio della funzione legislativa, che l'art. 70 Cost. attribuisce collettivamente
alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende
conseguire con un'adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo. E
benché tali profili costituiscano, in larga misura, l'oggetto di scelte politiche
riservate al legislatore ordinario, questa Corte ha tuttavia il dovere di verificare se la
disciplina legislativa violi manifestamente, come nella specie, i principi di
proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo comma, 3,
48, secondo comma, e 67 Cost. Deve, pertanto, dichiararsi l'illegittimità costituzionale
dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993. 5.- Occorre, infine, esaminare le
censure relative all'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale,
all'art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché all'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533
del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l'art. 4, comma 2, del d.P.R. n.
361 del 1957, che "Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini
dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un'unica scheda
recante il contrassegno di ciascuna lista"; l'art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che
"Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista";
nonché l'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che "Il voto si esprime
tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo
contenente il contrassegno della lista prescelta". Secondo il rimettente, tali
disposizioni, non consentendo all'elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di
scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione e la collocazione in lista
di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente "indiretto", posto
che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l'art. 67 Cost. presuppone
l'esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Ciò violerebbe gli artt.
56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all'art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla
"scelta del corpo legislativo", e l'art. 49 Cost. Inoltre, sottraendo
all'elettore la facoltà di scegliere l'eletto, farebbero sì che il voto non sia né
libero, né personale, in violazione dell'art. 48, secondo comma, Cost. 5.1.- La questione
è fondata nei termini di seguito precisati. Le norme censurate, concernenti le modalità
di espressione del voto per l'elezione dei componenti, rispettivamente, della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica, si inseriscono in un contesto normativo in base al
quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n.
361 del 1957; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati "secondo un
determinato ordine", in numero "non inferiore a un terzo e non superiore ai
seggi assegnati alla circoscrizione" (art. 18-bis, comma 3, del d.P.R. n. 361 del
1957 ed art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali, la cui
disciplina non è investita dalle censure qui esaminate, corrispondono sempre, per il
Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993); per la Camera dei
deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005), le circoscrizioni corrispondono ai
territori regionali, con l'eccezione delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali
sono presenti due circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre
(Lombardia). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in
ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza (art. 1,
comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957), che è definito, per il Senato, "di coalizione
regionale" (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati "eletti,
nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista
medesima, secondo l'ordine di presentazione" nella lista (art. 84, comma 1, del
d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993). In questo quadro,
le disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a
determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è un voto per la scelta
della lista, escludono ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri
rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti
dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa,
ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta
dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la
lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie, come si è
rilevato - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere
all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza,
difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di
ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai
partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che "le funzioni attribuite ai
partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee - quali la
"presentazione di alternative elettorali" e la "selezione dei candidati
alle cariche elettive pubbliche" - non consentono di desumere l'esistenza di
attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha
ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di
associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per
concorrere nell'ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello
stesso art. 49 Cost." (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi,
essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla
realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo
elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in
riferimento ai candidati. Sulla base di analoghi argomenti, questa Corte si è già
espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente nel 1975 per i Comuni al
di sotto dei 5.000 abitanti, contraddistinto anche esso dalla ripartizione dei seggi in
ragione proporzionale fra liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte ha
affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di
indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di
voto del cittadino: a condizione che quest'ultimo sia "pur sempre libero e garantito
nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre
alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta,
attraverso il voto di preferenza" (sentenza n. 203 del 1975). Nella specie, tale
libertà risulta compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare l'elezione
di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle
circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero,
sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell'ordine
di presentazione, sì che anche l'aspettativa relativa all'elezione in riferimento allo
stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature
multiple e della facoltà dell'eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle
indicazioni del partito. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei
parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale
dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione.
Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere
in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di
conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in
lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né
con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con
altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte,
nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire
l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la
libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali). Le
condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l'intero
complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi,
impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di
scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che
costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto
contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui
all'art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978). Deve, pertanto, essere dichiarata
l'illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957,
nonché dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non
consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati, al fine di
determinarne l'elezione. Resta, pertanto, assorbita la questione proposta in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 3 del protocollo 1 della CEDU.
Peraltro, nessun rilievo assume la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del
13 marzo 2014 (caso Saccomanno e altri contro Italia), resa a seguito di un ricorso
proposto da alcuni cittadini italiani che deducevano la pretesa violazione di quel
parametro precisamente dalle norme elettorali qui in esame, sentenza che ha dichiarato
tutti i motivi di ricorso manifestamente infondati, sul presupposto dell'"ampio
margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati in materia" (paragrafo 64).
Spetta, in definitiva, a questa Corte di verificare la compatibilità delle norme in
questione con la Costituzione. 6.- La normativa che resta in vigore per effetto della
dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni
sollevate dalla Corte di cassazione è "complessivamente idonea a garantire il
rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo", così come richiesto
dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2014). Le
leggi elettorali sono, infatti, "costituzionalmente necessarie", in quanto
"indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi
costituzionali" (sentenza n. 13 del 2014; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del
2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29
del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l'eventualità di "paralizzare il potere di
scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall'art. 88 Cost." (sentenza
n. 13 del 2014). In particolare, la normativa che rimane in vigore stabilisce un
meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l'attribuzione di tutti i
seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera
che per il Senato. Ciò che resta, invero, è precisamente il meccanismo in ragione
proporzionale delineato dall'art. 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 e dall'art. 1 del d.lgs. n.
533 del 1993, depurato dell'attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate
riguardanti l'espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di
preferenza. Non rientra tra i compiti di questa Corte valutare l'opportunità e/o
l'efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla
Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad
elezioni con la restante normativa, condizione, quest'ultima, connessa alla natura della
legge elettorale di "legge costituzionalmente necessaria" (sentenza n. 32 del
1993). D'altra parte, la rimettente Corte di cassazione aveva significativamente
puntualizzato che "la proposta questione di legittimità costituzionale non mira a
far caducare l'intera legge n. 270/2005 né a sostituirla con un'altra eterogenea
impingendo nella discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge
elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti la disciplina del premio di
maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente idoneità del sistema
elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali", fatta salva
"l'eventualità che si renda necessaria un'opera di mera cosmesi normativa e di
ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che può essere
realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione".
La presente decisione non può andare al di là di quanto ipotizzato e richiesto dal
giudice rimettente. Per quanto riguarda la possibilità per l'elettore di esprimere un
voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque "non incidono
sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità
dell'organo" (sentenza n. 32 del 1993), possono essere risolti mediante l'impiego
degli ordinari criteri d'interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già
vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad esempio, con riferimento alle
previsioni, di cui agli artt. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del
d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti,
nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista
medesima "secondo l'ordine di presentazione", non appaiono incompatibili con
l'introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l'ordine di lista operante solo
in assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalità di
redazione delle schede elettorali di cui all'art. 31 del d.P.R. n. 361 del 1957 ed
all'art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella scheda
devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella
circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non escludono che quegli
schemi siano integrati da uno spazio per l'espressione della preferenza; o, quanto alla
possibilità di intendere l'espressione della preferenza come preferenza unica, in linea
con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in
relazione alle formule elettorali proporzionali. Simili eventuali inconvenienti potranno,
d'altro canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente
tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle soluzioni interpretative sopra
indicate. Resta fermo ovviamente, che lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga,
"potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua" (sentenza n.
32 del 1993). 7.- È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento
delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le
elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in
occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o
secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente
decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle
Camere. Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di
quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle
elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il
principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte,
alla stregua dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino
al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio "che suole essere
enunciato con il ricorso alla formula della c.d. "retroattività" di dette
sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione
di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida"
(sentenza n. 139 del 1984). Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle
norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e
con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere
si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le
Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. Rileva nella
specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un'astrazione e
dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi
costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È
pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio - è appena il caso di ribadirlo - che nessuna
incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti
che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi
costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di
esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di
assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio,
a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti "finchè
non siano riunite le nuove Camere" (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le
Camere, "anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque
giorni" per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77,
secondo comma, Cost.).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei
deputati); 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, commi 2 e 4, del
decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per
l'elezione del Senato della Repubblica); 3) dichiara l'illegittimità costituzionale degli
artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell'art. 14, comma 1, del
d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una
preferenza per i candidati. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013. F.to: Gaetano SILVESTRI, Presidente Giuseppe
TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 gennaio
2014. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI |
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Corte Costituzionale trasforma
il "Porcellum" in legge proporzionalista
IL TESTO INTEGRALE
DEL COMUNICATO STAMPA
(clicca su: Corte)
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LUCIANI: la proporzionalità della
rappresentanza è un valore, e lo è il bipolarismo, e c'è un modo di incanalare l'una
nell'altro, senza sbarramenti in entrata. Poi... il bipolarismo è sterile se non
accompagnato da una Costituzione che obblighi a governi di legislatura, con premier eletto
dal popolo, o dal parlamento, per 5 anni. Matteo Renzi, attenzione: "Acqua e chiacchiere non fan
frittelle". |
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Traditori del Re o Servi di Dio ? |
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G. Quagliariello
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Angelino Alfano
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Maurizio Lupi
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Nota. Mi valgo del riferimento alla nota vicenda di Tommaso
Becket ( anche perchè ripresa da Jean Anouilh nella nota opera "Becket e il suo
Re", da taluno rivisitata come "Becket o l'onore di Dio") , perchè vi
trovo analogie (sia pur più terra a terra, e meno romanzate) con la vicenda di eroi del
nostro tempo, e che non vanno lasciati soli, perchè mossi dall'interesse nazionale: tale
la salvaguardia delle riforme costituzionali del Governo Letta, vero essendo che l'Italia
è quasi in ginocchio (lo sono molte famiglie, in difficoltà del giorno per giorno), per
mancanza di un governo forte, pari delle difficoltà.
Becket fu fatto Arcivescovo di Canterbury perchè era amico del Re
Enrico II, affinchè facesse (anche da vescovo di Dio) la volontà del Re.
Ma a tutto c'è un limite, anche per il Re. E, ad un determinato
momento, la coscienza di Becket si risvegliò: "Come vescovo sono divenuto servo di
Dio; non posso più essere ancora servo del Re ". Tommaso vescovo e servo di Dio
finirà ucciso dal Re.
Qui, per i "nostri tre" (e per altri, con loro) la
causa di Dio è di avere opposto il proprio corpo al Re d'Italia, per salvare il programma
delle riforme costituzionali del Governo Letta, a costo di mettere a rischio sicuro la
propria carriera politica.
Qui c'è che l'Italia è da molto tempo una barca alla deriva,
perchè (pur avendo fors'anche dei timonieri), è una barca senza
timone: si tratta del fatto che la Costituzione vigente ammette solo governi
soggetti alla fiducia della Camere. E poichè, da 30 anni, le Camere sono occupate
da partiti che sono bande senza il senso dello Stato, i governi sono soggetti a cadere in
ogni momento, senza potere mai risolvere i problemi di fondo. Si pensi al Governo Letta,
che potrebbe essere un buon governo, se non fosse che è già stato sottoposto a 5 voti di
fiducia, e il giorno 11 dicembre ci sarà la sesta fiducia, in soli 7 mesi di governo.
Non entro nelle questioni giudiziarie dello SFASCISTA di turno (nome
Berlusconi, se ci fosse il dubbio), ma proprio lui a gennaio 2013, ospite della TV la7,
vinse (10 a 0), il match con Santoro, per avere spiegato chiaramente, e con verità, agli
Italiani che nessuno, con questa Costituzione, può governare l'Italia difficile di oggi,
perchè il Premier conta pochissimo, essendo ricattato ogni giorno, in parlamento, da
numerosi piccoli gruppi (quelli che sopra ho chiamati è partiti "bande"), che
gli chiedono ogni genere di richieste, pena la sfiducia. |
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Il testo pubblicato dalla
Corte
I motivi di incostituzionalità della Legge
elettorale n. 270/2005
"La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme
della legge n. 270/2005 che prevedono:
- l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera
dei Deputati che per il Senato della Repubblica
- alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il
maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al
Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme
che stabiliscono:
- la presentazione di liste elettorali "bloccate", nella parte
in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza.
Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà
luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti
giuridici.
Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali,
secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali."
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SEGUITO DELLA NOTA DI NINO LUCIANI
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1) Per governi di legislatura, con
premier eletto dal popolo o dal parlamento;
2) Per un parlmento eletto proporziolmente, ma incanalato alla bipolarità ;
3) in subordine, per l'estensione al parlamento, della legge dei sindaci. |
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1.- Potrà tornare la DC ? Una
legge proporzionalista privilegia di solito il centro moderato che, nella esperienza DC,
aveva modo di mediare a destra e sinistra, ritardando l'evoluzione naturale del sistema
politico verso l'alternanza tra due grandi partiti (allora DC e PCI), come avviene nelle
grandi democrazie Ma adesso è venuto il momento di mandare insieme la proporzionalità
con il bipolarismo e modificare la Costituzione per "obbligare" a Governi di
legislatira. Ma andiamo per gradi.
Sia anche chiaro che il sistema maggioritario non crea necessariamente
il bipolarismo in parlamento
E non si dimentichi che il bipolarismo puramente elettorale ha
creato, negli scorsi anni, maggioranze obbligate "innaturali", create dalle
leggi (compreso il mattarellum), che sono andate in frantumi, prima o poi, durante la
legislatura.
Ed è anche un fatto che la DC nel 1988, verso la fine della presenza
in parlamento (avvenuto, poi, nel 1992), fece un seminario a Villa Miani, rimasto famoso
(partecipanti Mino Martinazzoli, Leopoldo Elia, Giuseppe de Rita, Ciriaco de Mita, e
altri), in cui si invocava un Governo di legislatura, la fine del bicameralismo perfetto,
...) , anche perchè l'opinione pubblica aveva cominciato a lamentarsi di governi che
cadevano ogni 6 mesi.
In conclusione il problema preoccupante non è mai stato, per la DC,
la legge elettorale, ma il fatto che i governi vivessero sulla fiducia delle
Camere, revocabile in ogni momento.
Le cose funzionarono bene fino a quando non entrarono in crisi i due
grandi partiti partiti storici (la DC e il PCI) che tradizionalmente avevano un alto senso
dello Stato. Poi, in seguito al disfacimento della DC e del PCI, l'uso del meccanismo
della sfiducia è divenuto un abuso ricorrente.
Questa stessa evidenza l'abbiamo constatata perfino nei Governi
Berlusconi, che (a inizio legislatura) pur avevano maggioranze di oltre 100 voti. Dopo la
caduta della DC e del PCI, in parlamento sono subentrati dei partiti che sono delle vere a
proprie bande organizzate, per derubare lo Stato e i cittadini.
Con i Goverrni Berlusconi, abbiamo anche capito definitivamente che
non basta il bipolarismo. Occorre anche che chi governa abbia durata certa e ne risponda
al popolo, e sia sostituibile alla scadenza, dopo un tempo adeguato per organizzarsi e
fare, se vuole davvero.
Questo implica che cambiare la sola legge elettorale non garantisce circa la
responsabilizzazione del governo, verso il popolo.
Ma voglio anche chiarire che il bipolarsimo, se origina il bipartitsmo, è
il più vicino alla democrazia diretta. Il motivo è che di solito, se sono solo due i
contendenti, la distanza di voti totali tra i due è piccola, per cui nelle successive
elezioni uno spostamento di pochi elettori dall'un campo all'altro, può rovesciare la
maggioranza. Questo vuol dire che in questo sistema anche un "pinco pallino" è
tenuto in grande considerazione. E lo vediamo negli Stati Uniti, dove gli umili, i
diseredati toccano quasi con mano la Casa Bianca.
2. La retta via per il Governo. La
retta via è affrontare in primo luogo il problema della governabilità con
governi di legislatura, come avviene nella grande democrazia americana e non solo
colà. Le modalità possono essere:
a) Elezione diretta del Premier, da parte del popolo (
sfiduciabile dal parlamento solo per determinati casi gravi, es. attentato alla
Costituzione, ...);
b) oppure elezione del Premier per 5 anni, da parte del parlamento (e
sfiduciabile solo per determinati casi gravi, es. attentato alla Costituzione, ...).
Inoltre il premier (non il presidente della Repubblica) nomina e revoca i ministri.
Attenzione: la fiducia va attribuita al Premier, non al Governo, in
quanto il Premier deve poter nominare e revocare i ministri, all'occorrenza.
3. La retta via per il Parlamento. La legge
proporzionalista è la retta via perchè da rappresentanza al popolo in base alle varie
idee e composizioni etniche.
In passato, questa modalità privilegiava i partiti al centro, diciamo
l'elettorato moderato, e questa è insufficiente a fare bene.
Tuttavia va tenuto conto della possibilità di frammentazione, e di
maggioranze ricorrenti instabili, incompatibili con governi di legislatura.
E' noto che, una volta esclusi premi di maggioranza (tra l'altro, non visti di buon
occhio dalla Corte Costituzionale), in teoria i rimedi sono:
- mettere degli sbarramenti in entrata (2%, 4%, 10% ?);
- oppure elevare il numero minimo per ammettere la formazione dei Gruppi
parlamentari: es., attualmente, alla Camera il minimo per fare un gruppo è 20 membri; al
Senato, questo minimo è 20 membri).
Personalmente sono un proporzionalista puro, e vorrei invece
alzare significativamente il numero minimo per costituire un gruppo parlamentare (es.: un
gruppo non possa avere meno del 40% dei membri della camera di appartenenza), in modo da
ammettere due soli gruppi: uno di centro-destra e uno di centro-sinistra.
Voglio chiarire che poco importa che ci siano accordi
elettorali per fare grandi coalizioni, se il dopo dopo le elezioni le coalizioni si
possono rompere e dare luogo a numerosi gruppi. Per questo preferirei lasciare libertà di
candidatura in ingresso, e invece obbligare (nel dopo) gli eletti a mettersi assieme per
trovare accordi per le scelte legislative.
4.- Il compromesso. In alternativa, ci sarebbe una soluzione che
mette d'accordo capra e cavoli (vale dire il punto 2 e il punto 3): essa la legge
comunale, da applicare al parlamento, come propone il Sindaco di Firenze,
vale dire:
- elezione diretta del premier (che preannunci, possibilmente, la squadra) in
due turni, e collegamento delle liste al candidato premier;
- le liste collegate al candidato prendono il 60% dei seggi in entrambe le
camere, il resto dei seggi va ripartito proporzionalmente tra le liste di minoranza.
Va, tuttavia, osservato che, in un buon sistema, non basta che la
maggioranza sia forte. Dev'essere abbastanza forte anche la minoranza sia forte. Ma in
questo sistema l'opposizione è frazionata tra tanti piccoli partiti. Un rimedio potrebbe
essere di obbligarli a costitituire un solo gruppo, che decide a maggioranza, al proprio
interno. |
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CORTE DEI CONTI, DI NUOVO PER
LE RIFORME. QUELLE DELLA SIGNORA MERKEL ? |
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La Corte torna alla Camera per Rapporto
sul Coordinamento della finanza pubblica
e, con l'occasione, per fare proposte
sul modo di superare la crisi economica
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LUCIANI, Per la priorità alla crescita
del PIL, nei
prossimi tavoli "Europei", con chiarezze, quali : |
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1.- MONTI ha motivo di restare, solo se
è per sbloccare
la spesa pubblica, perchè i sacrifici imposti vadano a
frutto. Meglio se con il consenso della U.E. ; |
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2.- La spending revew ha un senso, se in una
prospettiva di lungo periodo (non per subito) ;
3.- Urgono sgravi fiscali per i profitti reinvestiti (Laffer docet) |
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Presidente L.
Giampaolino, Presentazione del Rapporto 2014. (Stralcio). Roma 5 giugno 2014.
Per il testo integrale del rapporto, clicca su: http://www.corteconti.it/:::::
1.- "Lobiettivo di completare il percorso di adeguamento al
benchmark europeo è essenziale per aprire prospettive
di crescita, ma non appare né facile né semplice, tanto per le dimensioni dello
sforzo da richiedere alla finanza pubblica, quanto per i limitati spazi di copertura
disponibili.
Sostanzialmente esauriti i margini
finora offerti dalle entrate volontarie, a cominciare da quelle per giochi, e
dallefficientamento dellattività di riscossione, si rafforzano, pertanto, le
ragioni per puntare sulla soluzione dellampliamento della base imponibile,
assegnando alla lotta allevasione ed allelusione ed al ridimensionamento
dellerosione il compito di assicurare margini consistenti per un riequilibrio del
sistema di prelievo al fine di poter almeno in parte conciliare rigore, equità e
crescita.
Resta naturalmente fermo che
lopzione di fondo da perseguire non può non essere quella di una
consistente riduzione della spesa corrente sia primaria che per interessi
sul debito.
Riduzione della spesa primaria da
ottenersi attraverso la reingegnerizzazione dei processi amministrativi, il ridisegno
organizzativo delle amministrazioni pubbliche e la ridelimitazione dei confini del
pubblico, ma anche innovando nelle modalità di erogazione dei servizi amministrativi,
prevedendone - quando economicamente giustificata e tecnicamente fattibile - una gestione
autonoma ed autofinanziata.
Va in questa direzione la decisa accelerazione del Governo (decreto-legge n. 52 del
2014) verso il rafforzamento dei meccanismi di razionalizzazione e controllo quantitativo
e qualitativo della spesa pubblica (spending review).
Il programma di revisione integrale della spesa pubblica, specie di quella
corrente primaria rappresenta uniniziativa particolarmente apprezzata,
rappresentando un criterio di fondo della programmazione della spesa e
dellorganizzazione dellamministrazione idoneo a segnare un passaggio
innovativo rispetto alla tecnica dei cd. tagli lineari.
Va, infine, ripreso con maggiore continuità e convinzione il processo volto
a realizzare un abbattimento significativo del debito, attraverso la dismissione
di quote importanti del patrimonio mobiliare ed immobiliare in mano pubblica.
Nelle recenti occasioni di confronto con il Parlamento, la Corte ha più
volte sottolineato lurgenza di soluzioni operative su un fronte, come quello delle dismissioni, finora carente nellidentificare
dimensioni, condizioni e responsabilità realizzative.
2.- Passando al merito delle valutazioni svolte nel Rapporto vorrei
evidenziare che gli andamenti del 2011, come già quelli del 2010, sono rivelatori del
grado di disciplina della politica di bilancio italiana.
Orbene, in virtù di riduzioni di spesa superiori alle attese,
lindebitamento è sceso lo scorso anno al 3,9 per cento del Pil, rispettando
pienamente gli obiettivi fissati a inizio danno. Al contempo, i risultati del 2011
riflettono la difficoltà in cui incorre la gestione della finanza pubblica in un contesto
di sostanziale assenza di crescita.
Anche lo scorso anno, infatti, il gettito fiscale è rimasto al di sotto
delle previsioni, penalizzato dalla mancata ripresa delleconomia. Un fenomeno non
occasionale, ma destinato a protrarsi per alcuni anni, dal momento che il vuoto di
prodotto apertosi dopo la crisi finanziaria è lungi dallessere recuperato.
Sono dunque esplose lo scorso anno le contraddizioni che accompagnano
lattuazione della politica di bilancio. Da una parte, lefficacia delle misure
di contenimento delle spese, che nei fatti si rivelano più stringenti di quanto sembri
essere percepito dallopinione pubblica nazionale e, soprattutto, internazionale;
dallaltra, una dinamica di crescita asfittica, che rende difficile conseguire
risultati migliori di quelli effettivamente realizzati.
La percezione di una notevole e quasi inattesa efficacia dei provvedimenti di
contenimento della spesa è confermata, in primo luogo, dallesame dei risultati
conseguiti nel controllo della dinamica delle spese delle amministrazioni centrali e, in
particolare, dello Stato.
Con riguardo al comparto statale, vi è da osservare che, nel 2011, si sono
cumulati gli effetti dei robusti tagli delle spese dei ministeri, disposti,
già nel 2008, con il ricordato DL n. 112 e di quelli integrativi derivanti dai DD.LL n.
78 del 2010 e n. 98 del 2011.
Al netto degli interessi e dei trasferimenti alle amministrazioni locali, le
spese dello Stato risultano diminuite, nel biennio 2010-2011, di circa il 6 per cento. Uno
sforzo di contenimento di grande rilievo, anche se del tutto sbilanciato nella
composizione: ad una riduzione di meno del 3 per cento delle spese primarie correnti fa,
infatti, riscontro la caduta delle spese in conto
capitale del 26 per cento.
Nel solo 2011, la spesa primaria segna anche una diminuzione superiore di
quasi 4 miliardi al livello previsto in sede di DEF nellaprile 2010.
Nel quadro della generale compressione delle spese in conto capitale, risalta il taglio
applicato ai contributi alle imprese che, sempre nel biennio, ha nettamente superato il 50
per cento.
Lultimo biennio segna una netta inversione di tendenza rispetto
allintero arco degli anni 2000, durante il quale la spesa primaria dello Stato era
aumentata ad un tasso medio annuale di circa il 6 per cento.
Limitando lattenzione ai consumi pubblici,
gli ultimi anni e non solo il 2011 offrono levidenza di un vero e
proprio cambio di rotta nelle dinamiche tanto delle spese di personale quanto degli
acquisti di beni e servizi (i c.d. consumi intermedi) dello Stato.
I redditi da lavoro dipendente segnano, nel 2011, una riduzione che
risulta superiore alle attese e che fa seguito ad un rallentamento in atto già da anni,
se si considera come, rispetto alle previsioni avanzate allinizio della legislatura,
le retribuzioni delle amministrazioni pubbliche si collochino ben 13 miliardi più in
basso. Un risultato che evidenzia lefficacia delle numerose misure di controllo
della dinamica retributiva e di razionalizzazione e riorganizzazione degli organici
(soprattutto nel comparto scolastico) adottate con il DL n. 112/08 e con il DL n. 78/10.
La stretta impressa agli acquisti di beni e servizi dei ministeri si è
tradotta, poi, nel triennio 2009-2011, in una riduzione complessiva degli impegni di
bilancio dello Stato di oltre l8 per cento. Una riduzione che è stata conseguita
nonostante che, negli ultimi quattro anni, siano state regolate posizioni debitorie
pregresse emerse presso le amministrazioni statali - e relative alla categoria dei consumi
intermedi - per un ammontare di oltre 3,5 miliardi.
Note senza dubbio positive si traggono anche dalla valutazione della
disciplina di bilancio applicata al livello delle Amministrazioni locali, attraverso un
progressivo affinamento degli strumenti di coordinamento.
3.- Nel consuntivo del 2011, il contributo degli Enti territoriali allobiettivo generale di
indebitamento è stato, anche se di poco, migliore delle attese: il disavanzo si è
arrestato allo 0,3 per cento del Pil. Per il secondo anno consecutivo si sono ridotte le
uscite complessive. Un andamento dovuto ancora alla caduta della spesa in conto capitale,
ma anche ad una spesa corrente che, per la prima volta dalla metà degli anni novanta,
presenta un risultato in flessione dell1,2 per cento. Un dato di rilievo se si
considera che tra il 2005 e il 2010 si era registrato un aumento medio del 3,3 per cento,
ben al di sopra del tasso di crescita medio del prodotto. Ma anche un risultato forzato
dal progressivo inaridimento delle risorse disponibili per gli enti locali.
Nel 2011 si è confermata, dunque, lefficacia delle misure di
consolidamento fiscale assunte, per le Amministrazioni locali, a partire dal DL 112/2008,
almeno dal punto di vista degli obiettivi quantitativi. Le correzioni al quadro
tendenziale di inizio legislatura, disposte dai provvedimenti che si sono succeduti nel
triennio, era previsto producessero una riduzione della spesa del settore di circa 18
miliardi, accompagnata da minori trasferimenti per poco meno di 9 miliardi. A consuntivo
la spesa complessiva è stata di 22 miliardi inferiore al dato tendenziale.
Nonostante la crisi, le misure di consolidamento fiscale hanno quindi
consentito di mantenere il contributo degli enti territoriali al disavanzo complessivo
delle amministrazioni pubbliche sui livelli previsti a inizio legislatura. Non senza
pagare, tuttavia, un prezzo in termini di una dequalificazione della spesa e di un, seppur
moderato, aumento della pressione fiscale locale.
Va aggiunto che se le regioni si sono mantenute nei limiti previsti dal
Patto di stabilità interno per il 2011, il quadro finanziario si presenta più articolato
per quanto riguarda i Comuni, che nel complesso non sono riusciti a conseguire
lobiettivo cumulato, con gli Enti inadempienti aumentati al 4,6 per cento, dal 2,2
per cento del 2010.
Al di là dei risultati quantitativi ottenuti, gli strumenti di coordinamento
applicati alle amministrazioni locali vanno considerati per alcuni fondamentali
aspetti evolutivi, che ne stanno migliorando la qualità.
Lintroduzione di meccanismi di compensazione regionale, oltre ad aver reso più
sostenibili gli obiettivi dei singoli enti, ha avuto un effetto positivo sul livello dei
pagamenti in conto capitale.
Pur nella generale flessione degli investimenti pubblici, proprio gli enti che hanno
ottenuto spazi aggiuntivi di saldo dal Patto regionale, espongono standard di pagamenti di
spesa in conto capitale più elevati e riescono a contenere la caduta rispetto ai livelli
2010 (-3,8 per cento) in maniera più significativa dei restanti enti (-9,2 per cento).
4.- Piuttosto incerte, tuttavia, rimangono le prospettive di sviluppo se non saranno
adeguatamente affrontate alcune problematiche. Innanzitutto il potenziamento dei
meccanismi decentrati di controllo e di sanzione/penalizzazione, per evitare che il
mancato conseguimento dellobiettivo da parte di alcuni enti possa compromettere
lequilibrio dellintero sistema regionale; in secondo luogo, il coordinamento
con il meccanismo del Patto nazionale orizzontale, onde evitare un depotenziamento del
già fragile mercato dei diritti allindebitamento; infine, ma non di
minore importanza, laffinamento di un sistema di garanzie tra livelli di governo,
affinché tale strumento possa effettivamente costituire lasse portante per
consentire, anche in futuro, il finanziamento degli investimenti in disavanzo
compatibilmente con il vincolo costituzionale dellobiettivo generale di pareggio.
Anche la gestione della spesa sanitaria ha presentato, nel 2011, risultati
migliori delle attese. A consuntivo le uscite complessive (112 miliardi) sono state
inferiori di oltre 2,9 miliardi al dato previsto e riconfermato, da ultimo, lo scorso
dicembre, nel quadro di preconsuntivo contenuto nella Relazione al Parlamento.
Per la prima volta, la spesa sanitaria ha ridotto, seppur lievemente, la sua
incidenza in termini di Pil, scendendo dal 7,3 per cento del 2010 al 7,1. Si sono ridotte
di un ulteriore 28 per cento le perdite prodotte dal sistema (e che devono essere in ogni
caso coperte dalle amministrazioni regionali). Un risultato frutto, soprattutto, della
riduzione dei costi registrata in alcune regioni in piano di rientro. Nonostante i
progressi evidenti nei risultati economici, tuttavia, il settore sanitario continua a
presentare fenomeni di inappropriatezza organizzativa e gestionale che ne fanno il
ricorrente oggetto di programmi di taglio della spesa." |
NINO
LUCIANI, Urge sbloccare la spesa pubblica, se i sacrifici fiscali devono servire a
qualcosa. Sarebbero cosa buona anche sgravi fiscali ai profitti e svalutare l'Euro, ancora
un pò.
POI ... BASTA BESTEMMIE CONTRO L'EURO. CON I VARI TRATTATI
EUROPEI, CI PRESERVA DA NUOVE GUERRE IN EUROPA.1.- La situazione, sei mesi fa. Quando Monti prese
in mano la staffetta, da Berlusconi, la situazione finanziaria ed economica era grosso
modo la seguente:
a) bilancio statale in disavanzo, da finanziare con ulteriore
aumento del debito pubblico, e ciò incrementava l'aspettativa di insolvenza dello Stato.
Questa aspettativa non era causata, in modo diretto, da una anomalia grave
della situazione finanziaria statale (per l'ammortamento dell'attuale debito, basta una
rata annuale, venntennale, pari al 10% del PIL, al tasso di interesse del 5%), ma da
quella che sarebbe potuta diventare, se lo Stato avesse dovuto soccorrere le banche, per
"salvare" il risparmio delle famiglie, di seguito a casi di flop delle banche.
Infatti, le banche erano in grave stato di sofferenza, per avere ecceduto (nel passato
decennio) nell'impiegare a rischio i depositi della clientela.;
b) C'era dell'altro. Pur dopo gli interventi della BCE, le banche
non potevano, tout court, girare danaro (di genesi BCE) alle imprese, sia perchè esse
dovevano ricapitalizzare se stesse, sia perchè era tutt'altro che attesa la ripresa delle
vendite del settore produttivo (così da giustificarne il finanziamento, con un rischio
bancario ragionevole). Motivo: non c'era ancora domanda "effettiva" sufficiente,
vale dire sorretta da "potere di acquisto"
2.- Cosa è stato fatto. Dobbiamo
prendere atti che, allo stato attuale, non si può stare tranquilli, pur tenuto conto
della liquidità messa a loro disposizione dalla BCE,. Vi nuoce la interdipendenza tra le
grandi banche dell'intero sistema Euro (e dei loro rapporti con tutti gli Stati,
dell'Euro).
Storicamente la via maestra, per affrontare il grande debito pubblico,
sarebbe stata la svalutazione monetaria. Ma si poteva puntare a un misto che e':
a) la "parziale" svalutazione monetaria;
b) l'aumento delle entrate fiscali ;
c) la diminuzione della spesa pubblica ;
d) la vendita del patrimonio "non strategico" dello Stato.
e) In affiancamento, la possibilità dell'assistenza dell'Unione Europea sia sotto
forma di "seconda firma" di propri Fondi, nella collocazione del debito pubblico
(soprattutto per rifinanziare il debito in scadenza) sia sotto forma di ombrello della
BCE, nel mercato secondario, per le obbligazioni statali.
f) abolire l'Euro e tornare alla Lira ?
Di queste possibilità, il Governo Monti ha fruito delle soluzioni sub a),
sub b), sub e) e qualcosa di quella sub c), e messo in Costituzione l'obbligo del pareggio
del bilancio. Nell''insieme, tutto è risultato poco, soprattutto per carenze
della BCE nel punto determinante, che è l'avere potere di deterrenza nei
confronti dei mercati, in casi estremi, con interventi di ultima istanza a favore degli
Stati.
Per questo, l'idea di abolire l'euro ha raccolto qualche sostenitore, e di
tornare la vecchia Banca dItalia, usa a fare da ombrello al Tesoro. Vediamo meglio.
3.- Svalutazione dell'euro ? Se
consuderiamo il cambio euro/dollaro ed euro/yen oggi, rispetto a se mesi fa, troviamo:
a) a marzo 2014 il dollaro USA era 1,33 rispetto all'euro. Oggi il cambio è 1,25
(svalutazione 6%. Nello stesso periodo lo yen giapponese è passato da 1,10 a 1,00
(svalutazione 9%). Non è poco. Questo comporta un corrispondente minor valore del debito
pubblico italiano, detenuto da residenti esteri (essi posseggono la metà del debito
pubblico italiano), e aver aiutato le esportazioni verso le aree non-Euro.
Sarebbe consigliabile una ulteriore svalutazione: fino al 20%, purchè con
l'impegno di risarcire (quanto prima possibile) il reddito fisso.
b) il debito greco è rimasto una mina vagante su di noi. Sarebbe saggio se
la Germania lo caricasse su di sè (a intenditor poche parole), visto che
la Grecia non è in conidizioni di pagare, e che la cifra è modesta.
4.- Sull'alternativa: "aumento entrate
fiscali, minori spese pubbliche".
Monti ha preferito aumentare le entrate ficali. Era
meglio diminuire le spese ?
Nelle grandi difficoltà, lo Stato deve offrire i muscoli, esercitando
il potere sovrano "fiscale" (la grande differenza, rispetto ai poteri del
Mercato).
Tuttavia, dal punto di vista strutturale avrebbe un senso ridurre
le aliquote fiscali (quelle sui profitti) per aumentare il gettito fiscale, se
avessimo in U.E. dei governanti meno "ragionieri" e più "economisti.
Ce lo dice la curva di Laffer. Essa si fonda sulla legge
economica (di Maffeo Pantaleoni) secondo cui, ipotizzando che si parta da un tempo
"zero" (in cui c'è solo il mercato e non c'è lo Stato), ad un tempo n,
(in cui c'è sia lo Stato sia il mercato), è verosimile che la spesa pubblica abbia una
utilità marginale positiva e via via decrescente, via via che aumenta l saturazione
crescente dei bisogni pubblici. Nello stesso tempo è verosimile che le imposte (che
finanziano quella spesa pubblica) arrechino ai cittadini una penosità via crescente, al
margine.
L'incontro tra le due rispettive curve (decrescente e crescente) determina
una soluzione ottimale. Fino a quel punto il PIL cresce, oltre quel punto, il PIL cala.
La curva di Laffer riassume il tutto. La
pressione fiscale è una percentuale del PIL. Aumentando questa percentuale, il gettito
arriva ad un massimo (Max), in corrispondenza a PIL crescente. Il gettito comincia,
invece, a calare quando cala il PIL, pur se cresce l'aliquota. Nel grafico, una aliquota
del 45% rende meno che il 30%. La situazione dell'Italia è, grosso modo, nel punto A,
ossia a destra del gettito, corrispondenre al PIL massimo. Pertanto il calo della pression
fiscale farebbe aumentare il gettito fiscale.
Purtroppo, negli scorsi anni (da Padoa-Schioppa a Tremonti a Grilli) abbiamo
avuto dei ministri "ragionieri", che non vedevano gli aspetti economici.
Sempre dal punto di vista strutturale, non ho dubbi che
vada tagliata fortemente la spesa pubblica (portarla dall'attuale 55% del
del PIL al 45% del PIL). Questa è una evidenza saltata ai nostri occhi al momento (1991)
della caduta del sistema comunista sovietico. In quegli anni l''Italia aveva gli stessi
problemi economici dell'URSS, in proporzione al proprio grado di statizzazione (60%).
Oggi siamo al 55%. Resta da fare molta strada.
Ma va messo in conto che la Germania OVEST ha impiegato 20
anni per adeguare la Germania EST all'economia di mercato. Sbaglia la Signora
MERKEL a pensare a repentine privatizzazioni, pur se bisognar cominciare, sia pure con
gradualità. Ma si è visto che neppure la vendita del patrimonio immobiliare si può
improvvisare (la Corte dei Conti ci ha ammonito in questi giorni) che le accelerazioni ci
fanno "svendere", vale dire incassare pochi spiccioli.
Diffido anche dalla "spending revew", se non è impostata
sul medio-lungo periodo.
3. Invece, dal punto di vista congiunturale, serve assolutamente la
spesa pubblica (purchè non "in deficit). Se non ci sbrighiamo, rischiamo di
smantellare il sistema produttivo pre-esistente la crisi, che non più aspettare una
domanda che non arriva.
Presso i classici prevaleva l'idea che "l'offerta crea la domanda".
Di regola è così. Ma, poi, Keynes precisò che la domanda ha, in qualche modo, una sua
autonomia (gli alti redditieri spendono meno del reddito, ed al crescere del reddito,
spendono meno, in proporzione), e dunque non sempre la domanda è
"effettiva", vale dire "accompagnata da potere d'acquisto".
Di più, nei periodi di pessimismo economico, le famiglie tendono a
tesaurizzare, e le imprese a non investire, per cui l'unico modo di creare "domanda
effettiva" è sbloccare la spesa pubblica.
Sì, sbloccare. Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non
è grandine che distrugge i raccolti, se al prelievo segue prontamente la spesa. Invece
vediamo la spesa "tanto, quanto".
E' noto che la spesa pubblica è lenta a causa del processo burocratico, ma
il troppo stroppia (quei fornitori dello Stato, non pagati ...; quegli imprenditori
suicidati, ...). La Corte dei Conti vada a vedere cosa succede al Tesoro,
visto che questo ha la maggior responsabilità di spesa.
Oggi c'è la aggravante che alcuni blocchi della spesa ci sono per decisioni
europee (patto di stabilità). E' grave che Monti non
abbia ancora buttato all'aria il tavolo.
4.- Un ombrello anti-spread ? Per sua natura un prezzo pubblico va
difeso con i poteri dello Stato: quelli di poter comunque coprire i costi in caso di
disavanzo. Nel caso degli interessi per l'emissione di debito pubblico dovrebbe valere lo
stesso principio. E se un singolo Stato vi è impotente, dovrebbe subentrare l'UE. Peccato
che l'UE non conosca queste elementari regole della scienza delle finanze.
Invece, in UE sembra voler prevalere l'idea (per creare "domanda
effettiva") di mettere a disposizione (delle imprese) fondi europei per investimento
privati.
Per me questa idea è sbagliata, perchè al momento le imprese non investono,
per pessimismo sul futuro. I Fondi europei per gli investimenti vadano agli Stati, in
questa fase, purchè per pronta spesa.
5.- Abolire l'Euro e tornare alla Lira ? Ognun vede che, in una comunità
di Stati diversi e con differente stuttura Stato-Mercato, e senza regole di Goverance
pre-pattuite, gli Stati più "deboli" sono destinati a subire le decisioni di
quelli più forti.
Per l'Italia, il caso più eclatante è stato il cambio Lira/Euro, al momento
dell'abbandono della lira. Infatti, solo pochi mesi dall'adozione dell'Euro, la Banca
d'Italia dichiarava che il commercio estero dell'Italia aveva perduto competitività
dell'8% e più tardi, del 40%.
Non solo questo. I prezzi interni al consumo raddoppiarono. Era dunque palese
che il cambio lira/euro era stato "imposto" dagli Stati più forti (il Premier
era Prodi, e il Governatore di Bankitalia era Fazio). Ma al momento dell'entrata in vigore
(2002) il Premier era Berlusconi. Il settore del reddito variabile fece affari d'oro (vale
dire Berlusconi) ed il reddito fisso fu messo sul lastrico.
Ci conviene tormare alla lira ? Quelle parole roboanti, di
"qualcuno", secondo cui ll'Euro" è una specie di camicia di forza, che
protegge la debole Italia dai venti del mondo globale, non mi hai scaldato più di un
dente.
Ritengo, però, anch'io che l'Euro deve restare, ma per motivi
politici. Non dobbiamo mai dimenticare quante guerre abbiamo avuto, in Europa,
per la regolazione dei differenti interessi, e che da quando abbiamo trovato forme di
convivenza economica (CECA, CEE, ...., UE) non abbiamo avuto più guerre.
Per questo, direi che è una bestemmia imprecare contro l'Euro.
E' meglio continuare a scornarci, intorno a un tavolo, che tornare a guerre,
ma anche farlo in modo adeguato, a cominciare da momenti di raccordo tra i Paesi deboli.
Penso che la Federazione sarebbe il modo appropriato, centralizzando il minimo
indispensabile. NINO LUCIANI |
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|
Verso una nuova riforma fiscale ?
ATTESO IL DDL DEL GOVERNO " MONTI " |
Frattanto,
sottoponiamo, non in contrapposizione, ma come utile
riflessione preparatoria, una sintesi della riforma Cosciani del 1970. |
E proponiamo anche un uso
"deflazionistico" della riduzione dell'IVA,
per compensare il perduto potere sul cambio, a pro esportazioni |
|
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E lo Stato, se vuol tassare autorevolmente, impari ad essere serio per primo. Ad
es., tenga conto che :
.
- a) l'IVA è sui costi, nei casi (tanti) in cui, di fatto, non è trasferibile sul
consumatore;
- b) il valore patrimoniale è sopravvalutato se è calcolato moltiplicando la rendita per
100 (peggio per 160), perchè ciò equivale a
capitalizzare al tasso dell'1% (o meno), mentre il tasso effettivo è
nell'intorno del 5% (per cui, il moltiplicatore realistico è 20);
- c) che il costo amministrativo del prelievo potrebbe superare il gettito (questo accade
tassando imponibili bassi);
- d) va contro la crescita, se non spende tempestivamente il gettito fiscale (es.: se paga
i fornitori con ritardi irragionevoli ) |
UNA RIFORMA
FISCALE EQUA, E PER LA CRESCITA DELL'ECONOMIA ?
Nota. Non desti meraviglia riandare ad una
riforma di 42 anni fa. Il motivo è che fu la prima (e unica) riforma
fiscale organica dell'Italia democratica, post-fascista, e che fu l'espressione della
tradizione della scienza delle finanze italiana. Si tratta, dunque, di un viatico
fondamentale per una nuova riforma.
Non solo per questo motivo: i vari inserimenti successivi,
a pezzettini (ICIAP, INVIM, IRAP, ..., poi ripensati), erano motivati dal fatto che
(all'ultimo) la legge di riforma aveva eliminato la finanza locale (in attesa di
rimetterla entro 4 anni...). Il motivo è che anche allora non c'era pace circa l'assetto
federale dello Stato, e l'ordinamento regionale era ancora in viaggio. Del resto,
anche il recente "federalismo fiscale" tale non è, perchè fatto con
imposte locali meramente aggiuntive, non con un diverso riparto delle imposte tra Stato ed
enti locali (a favore di questi ultimi), dentro un prefissato sistema fiscale nazionale
unitario (come richiedeva la riforma Cosciani).
Ci sono, poi, fatti nuovi sopravvenuti (la perdita
del potere monetario dello Stato; una evasione fiscale abnorne per eccesso di pressione
fiscale; eccesso di ritardo dello Stato nel pagare i fornitori. Di questi
mi occupo nella nota qui sotto.
La tassazione ha, a sua volta, una autorevolezza
se lo Stato è serio nel modo di attuarla. Rinvio ai punti a), b), c), d) più sopra. In
particolare, il fatto che lo Stato spenda tempestivamente quanto autorizzato dalla legge
di bilancio (il 50% del PIL, è tantissimo) è lo strumento più importante per la
crescita. Monti lo sa ? |
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Ripartendo dalla
riforma "C. Cosciani"
("Ministero del Bilancio, Progetto di programma di sviluppo economico
per il quinquennio 1965-69,
cap. XXIII - Finanza Pubblica, p. 163 e ss.)
LA RIFORMA DEL SISTEMA TRIBUTARIO
" 20. - II nuovo sistema tributario, più aderente agli schemi
vigenti negli altri Paesi della Comunità Economica Europea, dovrà rispondere a requisiti
ben determinati.
a) In primo luogo, il sistema dovrà essere manovrabile, in modo da poter
essere adattato, quando occorra, alle fondamentali esigenze e finalità di politica
economica. Il sistema tributario deve, perciò, tendere ad una articolazione
basata su pochi tributi di carattere fondamentale e su tassi relativamente moderati ma da
applicarsi su una massa imponibile la più ampia possibile.
A tal fine si rende necessaria: l'eliminazione di tutti quei tributi che
creano distorsioni nell'impiego economico delle risorse e determinano inutili aggravi dei
costi; la loro sostituzione con tributi efficienti non soltanto dal punto di vista
fiscale, ma anche da quello della politica economica; la revisione e la razionalizzazione
delle esenzioni.
b) In secondo luogo, il sistema tributario deve risultare chiaro,
in modo che il contribuente possa rendersi facilmente conto dell'onere che gli viene
addossato. Il contribuente ha diritto di esigere che le imposte siano trasparenti e che
non si creino processi di illusione finanziaria, lasciando bassi i tassi di imposta
formali e tuttavia aggravandoli - spesso in misura sensibile - con una serie di
addizionali. A tal fine è necessario il conglobamento, in linea di massima, di
tutte le imposte, sovrimposte e addizionali, a qualsiasi titolo prelevate e senza riguardo
all'ente cui sono dovute, in un'unica imposta. Ciò significa l'abolizione di
tutti i prelievi tributar! non statali e il conglobamento dei vari tassi in un'unica
aliquota del tributo erariale.
c) In terzo luogo, il sistema tributario deve assicurare una
progressività perequata e logica.
d) In quarto luogo, la struttura della finanza degli enti territoriali minori deve
essere coordinata con quella della finanza statale, per evitare conflitti nelle politiche
finanziarie ed economiche perseguite. (Nel rapporto del 1965, viene rimarcato il
dualismo tra "più livelli di enti tassatori" e la "unica tasca" del
contribuente, e pertanto la concorrenzialità degli enti nel pescare dalla "unica
tasca" va subordinata al rispetto di un tetto alla pressione fiscale globale -
N.d.R.).
21. - La vasta riforma del nostro sistema tributario richiede un
adeguato scaglionamento nel tempo ed una attuazione per tappe successive debitamente
coordinate tra loro, sia per consentire all'Amministrazione di adeguare un poco alla volta
la propria attrezzatura ai nuovi compiti, sia per facilitare ai contribuenti la
comprensione e la accettazione delle modificazioni introdotte, sia, infine, per agevolarne
l'inserimento nell'equilibrio di mercato. Per quanto riguarda il prossimo quinquennio
possono essere previsti per l'azione pubblica i seguenti obiettivi concernenti la
riorganizzazione degli uffici, le imposte dirette, le imposte indirette, la finanza
locale, l'allargamento della base imponibile.
a) riorganizzazione degli uffici (parte omessa)
b) Imposte dirette. Nel quinquennio 1965-69
potranno essere adottati, in conformità allo schema di riforma dianzi delineato, i
seguenti provvedimenti:
a) incorporazione nell'imposta personale sul reddito complessivo, con opportuni
adattamenti, dell'imposta di famiglia, delle attuali cedolari (terreni, fabbricati,
redditi agrari e ricchezza mobile) e di tutte le imposte addizionali comunque denominate e
da qualsiasi ente percepite;
b) istituzione di un'imposta reale, a tasso proporzionale ed uniforme, onde
conservare l'attuale discriminazione tra i redditi di capitale e quelli di lavoro, da
attribuire agli Enti locali, con tassi variabili entro limiti ristretti, e il cui
accertamento verrebbe conservato allo Stato;
c) assorbimento di tutti i tributi gravanti sulle società di capitali e
sulle altre persone giuridiche in una unica imposta sulle società;
d) revisione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni. Tali provvedimenti
potranno essere emanati entro il 1966 ed entrare in vigore dal 1967.
c) Imposte indirette. II progetto di direttiva
della Comunità Economica Europea prevede l'armonizzazione delle imposte sulla cifra di
affari sulla base del valore aggiunto, da effettuarsi in due tappe: emanazione delle
relative leggi nazionali entro il 31 dicembre 1967 ed entrata in vigore dal 1° gennaio
1970. Si tratta di un impegno al quale il nostro Paese non può sottrarsi. Sono d'altra
parte evidenti le difficoltà di soddisfare tale impegno nei termini fissati, e le cautele
che devono essere assicurate perché l'introduzione delle riforme non turbi l'andamento
del gettito e la struttura dei prezzi. Inoltre, il successo della riforma è legato alla
riduzione delle attuali aliquote delle imposte dirette, la cui elevatezza costituisce uno
stimolo all'evasione. L'introduzione di un'imposta sul valore aggiunto
implica un perfezionato accertamento contabile dei redditi delle imprese, che non può
essere assicurato con gli attuali mezzi a disposizione del Ministero delle Finanze. Queste
considerazioni hanno consigliato il Governo italiano a chiedere talune modifiche al
progetto di direttiva della CEE, come la facoltà di istituire l'imposta monofase* sulla
fase precedente il commercio al dettaglio, nonché la proroga di due anni dei
termini previsti. Il Ministero delle Finanze, tuttavia, farà ogni sforzo per avviare la
riforma alla fine del prossimo quinquennio. Contemporaneamente all'imposta sul valore
aggiunto sarà istituita, come suo necessario complemento, l'imposta monofase da applicare
prima del passaggio del prodotto al dettaglio, restando l'ultima fase riservata
all'imposta locale sui consumi.
Questa imposta monofase, a tassi discriminati, prima del passaggio al
dettaglio, avrà anche la funzione di contenere l'aliquota dell'imposta sul valore
aggiunto in modo da ridurre gli stimoli alla evasione. L'assorbimento, previsto dallo
schema di riforma, di altri tributi indiretti nell'imposta sul valore aggiunto formerà
oggetto di successivi provvedimenti.
Si potrà, tuttavia, procedere nel quinquennio ad una semplificazione
dell'imposta di registro ed alla formazione di testi unici delle norme relative ad altre
imposte di cui non sia prevista la radicale trasformazione.
d) Finanza locale. Per la finanza locale i
provvedimenti da adottare sono di due ordini. I provvedimenti di riforma del sistema
statale di imposizione diretta, che saranno adottati nel quinquennio, comporteranno la
sostituzione dell'imposta di famiglia, delle imposte cedolari sui redditi e delle connesse
sovrimposte ed addizionali con un'unica imposta uniforme sui redditi patrimoniali. Nello
stesso tempo si provvederà alla revisione dell'imposta sulle aree fabbricabili alla luce
dell'esperienza dei primi anni di applicazione. Sempre nel quinquennio dovrà essere
riveduto, correlativamente alle modifiche introdotte, il sistema delle partecipazioni
degli Enti locali alle entrate statali e dei contributi. Quanto alle imposte comunali di
consumo, una riforma organica e completa non potrà essere attuata che ad avvenuta
trasformazione dell'imposta generale sull'entrata.
e) Allargamento della base imponibile. La
riforma da attuare, imperniata sulla semplificazione dei tributi e sulla riduzione delle
aliquote globali, rende ancora più urgente l'allargamento della base imponibile
attraverso l'esatto accertamento della materia tassabile ed il reperimento di quella che
oggi sfugge, legalmente o illegalmente, all'imposizione.
I provvedimenti saranno contemporaneamente rivolti alla riduzione delle
esenzioni, alla prevenzione e repressione delle evasioni ed al perfezionamento della
definizione legislativa di reddito imponibile e del suo accertamento, onde evitare
rendite, salti e sperequazioni:
a) la maggior parte delle esenzioni vigenti, rimaste prive di
giustificazione, creano vuoti fiscali di rilievo, sono fonte di controversie e finiscono
con l'essere un ostacolo ad una efficace politica degli incentivi fiscali. Il disegno di
legge-delega, già presentato al Parlamento, dovrà essere opportunamente modificato ed
approvato entro il 1966;
b) il problema delle evasioni sarà, in parte, risolto attraverso la
maggiore efficienza dell'amministrazione; saranno tuttavia indispensabili nuove
disposizioni intese, da un lato, a perfezionare gli obblighi contabili dei contribuenti in
genere e delle imprese, distinguendo le grandi dalle piccole e, dall'altro, al
rafforzamento dei controlli e delle sanzioni. Queste norme potranno essere emanate
parallelamente a quelle di riforma delle imposte dirette;
c) l'accertamento della materia imponibile incontra notoriamente gravi
difficoltà in conseguenza delle numerose controversie sulla nozione di reddito
imponibile. È pertanto necessario, nel campo dei redditi mobiliari, rivedere anche il
trattamento dei redditi saltuari in sede di imposta progressiva e la tassabilità di
alcune plusvalenze.
Nel campo, invece, dei redditi immobiliari si
tratterà di ammodernare ed aggiornare il sistema catastale sia per i terreni sia per i
fabbricati.
L'attuazione di detti provvedimenti richiede la preliminare meccanizzazione degli atti del
catasto, a mezzo della quale si conseguirà anche la possibilità di fornire, per
ciascun nominativo intestato, gli elementi da inserire nell'anagrafe tributaria ai fini
dell'applicazione dell'imposta unica progressiva sul reddito. Le norme intese ad
introdurre le descritte riforme potranno essere elaborate con una certa rapidità ed
entrare in vigore entro il 1966. La loro attuazione pratica richiederà un periodo di anni
abbastanza ampio, ma si potrà studiare la possibilità di un'applicazione graduale man
mano che saranno state realizzate le premesse di ordine amministrativo." |
Nino Luciani. Anche un
"uso monetario" delle imposte per affrontare problemi nuovi (difficoltà del
commercio estero ...) 1.- Quale impostazione per una
riforma fiscale, equa socialmente e propizia alla crescita ? Tra le possibili
impostazioni, applico la seguente:
- a parità di gettito tra le forme di imposta, applicare quella che ostacola meno
lo sviluppo del PIL e dell'occupazione.
Rispetto ad essa, ritengo che una base tuttora valida sia il rapporto
della Commissione per la riforma tributaria del 1962, presieduta da C. Cosciani
La sua attualità sta nel fatto che fu una "riforma
organica" e che fu la prima riforma, in democrazia, in Italia, dopo quella fascista
del 1923, e modificazioni.
Per una ricognizione dei suoi aspetti innovativi, rinvio alla sintesi
(qui a fianco) della riforma Cosciani, divenuta legge negli anni '70.
2. Problemi nuovi. Qui di seguito mi soffermo, invece, su
alcuni problemi nuovi e precisamente:
- sulla perdita del potere monetario, da parte dello Stato, a cui
si ricorreva di solito per sanare i disavanzi del commercio con l'estero. E' possibile
usare la fiscalità per compiti "monetari" ?;
- sulla evasione fiscale abnorme, ma ben poco per
colpa del contribuente.
a) Perdita del potere monetario. Dallarrivo
delleuro, il commercio estero italiano è in tilt, per perdita di competitività
internazionale.
La questione qui esaminata è, pertanto, la seguente: è possibile
l'uso "monetario" di strumenti fiscali, per sostenere il commercio estero
?
Un tempo le difficoltà del commercio estero si affrontavano
svalutando la lira (l'ultima è del 1992), e tutto si sbloccava. Adesso non è più così.
Con l'arrivo dell'Euro, è scoppiata l'inflazione, e i prezzi interni
(in ) sono risultati in forte aumento, rispetto ai prezzi in altre valute.
Precisamente i prezzi, in dollari, delle esportazioni sono aumentati del 78%, e i prezzi
in dollari delle importazioni sono aumentati del 96%.
Vediamo qualche dato sui cambi (si veggano i due grafici, più sotto).
L'Euro è stato molto rivalutato rispetto allo Yen Giapponese
e al Dollaro USA fino al 2009. Dopo il 2009 la situazione si è invertita verso
lo Yen e, invece, rimasta ancora la tensione verso il Dollaro, ma meno. In questo
periodo, le esportazioni e le importazioni sono rimaste, grosso modo, costanti in termini
reali, e comunque importanti in termini di PIL: esportazioni, pari al 25,9% del PIL);
importazioni pari al 27,% del PIL, così da mantenere il loro peso strategico, come
principale volano della economia italiana, notoriamente povera di materie prime.
Concludiamo per la necessità di un intervento
"monetario" della riforma fiscale pro-commercio estero.
Risulta dalle statistiche che, pur in queste condizioni, i saldi sono
stati quasi nulli, grazie a competitività recuperata con ristrutturazioni.
Per il futuro prossimo, lo sblocco naturale può venire solo
dalla soppressione del divario tra prezzi interni e prezzi esterni. Se non interverrà una
svalutazione dell'Euro verso il Dollaro nell'ordine del 30%, il solo rimedio possibile va
cercato in area fiscale, ferme le regole della concorrenza.
Quali strumenti fiscali con effetti "monetari" ?
R.A Mundell, economista premio - Nobel aveva fatto uno studio (nel 1967), in cui aveva
"dimostrato la convenienza ad uno impiego specializzato delle leve monetarie e
fiscali (dedicare all'equilibrio dei conti con l'estero, la leva monetaria, ed alla
stabilità dei prezzi interni la leva fiscale). Io, poi, (Rivista Bancaria, 1974) avevo
fatto uno studio in cui avevo dimostrato che la leva fiscale aveva anche effetti sui conti
con l'estero.
Abbassare l'IVA ? Tradizionalmente le imposte indirette
sono ritenute scaricarsi sui prezzi (non le dirette, pur se è tesi semplificata). Dunque,
se la riforma fiscale sostituisse parte dell'IRPEF con aumento dell'IVA, il commercio
estero ne avrebbe ulteriore difficoltà.
Veramente, il discorso è un pò più complicato, in quanto nel
commercio vige il principio della tassazione del Paese di destinazione (trascuriamo la
normativa in elaborazione all'interno dell'UE, e che prevede aliquote tra il 15% e 25%).
Pertanto l'IVA sull'export è restituita e quella all'import è caricata.
Tuttavia, l'import - export non è un circuito a parte, e pertanto gli
effetti interni (es. aumento del costo del lavoro, che non può non essere adeguato al
nuovo costo della vita; parte delle importazioni maggiorate di IVA è destinato a usi
interni, ...) avrebbero importanti effetti monetari sulle imprese esportatrici.
(Ma c'è anche chi pensa a tutt'altro: aiutare l'export abbassando il
costo del lavoro, con il taglio dei contributi sociali sul lavoro, e compensando il taglio
con aumento dell'IVA, M. Bordignon, Il Sole 24 ORE, 12.3.2014 ). Non concordo,
perchè i "contributi sociali" a carico del datore di lavoro sono imposte
speciali sui costi; e anche l'IVA è un'imposta sui costi di produzione, per la parte non
trasferita, e quindi non cambia nulla, pro-quota.
Concluderei per proporre il contrario: sostituire l'IVA con imposte
sul reddito e sui patrimoni. Queste hanno anche il vantaggio di essere direzionabili in
modo più equo.
3.- Evasione fiscale abnorme. L'abnormità della attuale
evasione fiscale ha il suo primo fondamento nello eccesso di pressione fiscale (45%
del PIL).
In termini complessivi, si direbbe che il fisco funzioni già troppo.
In termini interpersonali, dal punto di vista dell'equità le imposte indirette sarebbero
consigliabili perchè gli evasori fiscali (quelli che non pagano le imposte dirette, a
parte che c'è anche evasione sull'IVA) pagherebbero. Siamo nella stessa situazione
dell'Ancien Régime quando le imposte più eque erano quelle indirette, dato che clero e
nobiltà non pagavano imposte dirette.
Tuttavia questa tesi vive su una presunzione: che le imposte indirette
siano totalmente trasferibili (come vorrebbe la legge).
Ma questo non è, salvo per i beni a domanda rigida. Per questo,
l'aspetto più negativo di queste imposte è che, in parte, colpiscono una capacità
contributiva solo presunta, che in realtà non c'è, e restano largamente sui costi, nelle
fasi di caduta della domanda "effettiva".
A questo punto, se cè chi si oppone a pagare lIVA perché
non ha capacità contributiva, è costituzionalmente nel giusto. Non
dimentichiamo i suicidi di imprenditori, i tanti fallimenti di imprese nel 2011, le grandi
difficolta' di credito in questa fase, che provano non esservi capacita' contributiva da
tassare.
Più in generale, in un sistema fiscale "civile"
la capacità contributiva di base dovrebbe essere cercata nei redditi.
Considerata, tuttavia, la difficoltà di quantificare i redditi d'impresa (e dunque anche
la relativa facilità di occultarli) si potrebbe tassarli indirettamente: vale dire sotto
forma di tassazione del patrimonio produttivo di reddito ( immobiliare e mobiliare,
escluse le obbligazioni), in quanto facili da rintracciare.
Teoricamente, tassare il reddito o il capitale è solo un percorso
alternativo, perchè il capitale è pari al valore attuale del reddito: dunque capitale e
reddito sono due facce della stessa medaglia.
Il Governo ammette l'eccesso di pressione, e ci illude con un trucco
mediatico, sbandierato da anni: "pagare tutto, per pagare meno".
Nel 1993 la pressione fiscale era al 39% e anche allora si sbandierava quella illusione, e
adesso è al 45%.
Ma tant'è che, in risposta ai reclami del pubblico, questo Governo
aveva introdotto un "fondo salvatasse" (per abbassare le aliquote, via via al
recupero dell'evasione) per poi toglierlo e poi, reintrodurlo, e di nuovo toglierlo, anche
per obiettive difficoltà di separare il recupero dellevasione dal maggiore gettito.
A mio avviso, la denominazione (anche se imperfetta) di fondo salva
tasse, va formalizzata in una legge, affinchè il concetto non cada nel dimenticatoio.
Direi, tuttavia, che, per la sua credibilità, quel fondo andrebbe
collegato ad obiettivi strutturali di rango costituzionale ( pareggio del bilancio, già
approvato in Costituzione, e ammortamento del debito pubblico per un rapporto debito/PIL
del 60%, da realizzare, come da Trattati Europei).
Ho da ridire anche sulla rivalutazione delle rendite
catastali. Le rendite catastali (terreni e fabbricati) sono ritenute
(giustamente) sottostimate. Ma, poi, il valore dei fabbricati è calcolato
moltiplicando le rendite con il coefficiente 100.
Il capitale è pari alla rendita moltiplicata per l'inverso del tasso di
interesse. Se questo è 1%, il suo inverso è 100. Un tasso di interesse dell'1% (per la
capitalizzazione della rendita), è manifestamente irreale (quello reale è nell'intorno
del 5%). Dunque, ben venga la rivalutazione delle rendite, ma anche la rettifica del
moltiplicatore. Al tasso del 5% il moltiplicatore è 20.
Andiamo avanti: per le prossime dichiarazioni dei redditi, il
fisco farà una rivalutazione del capitale, del 5%, rispetto allo scorso (pur se l'aumento
non c'è stato), e applicherà un moltiplicatore di 160 (equivalente ad un tasso di
interesse dello 0,625%). Dunque, ancora si correggerà una scorrettezza con una
aggravante della scorrettezza.
4.- Concluderei che la via per abbattere la grande
evasione è che lo Stato sia serio di suo, e sia abbattutta la pressione fiscale (ridurla
al 40% sul PIL), ma che passa per l'abbattimento della spesa pubblica (max 45% del PIL).
Questo non è possibile con scorciatoie. Servono anni e
anni. Era la missione storica di Berlusconi (clicca su: Forum di S. Vincent, 1995) ma
non l'ha fatto.
NINO LUCIANI |
____________________________________________________
P.S. La Commissione per la riforma era stata istituita nel 1962. Il
Prof. Cesare Cosciani (Vice-Presidente) ne pubblicò i lavori nel 1965 (Milano, F.
Giuffrè, 1965). Il documento riassuntivo fu recepito dal Governo Italiano nel
"Progetto di programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-69, (Ministero
del Bilancio, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1965) e diverrà legge (non
tutto) nel 1970. Il testo, riportato qui sotto, è preso dal cap. XXIII (Finanza
Pubblica).
Membri della Commissione
per lo studio della riforma tributaria, nominata con D. M. del Ministro Trabucchi, che la
Presiedeva, 8 agosto 1962:
Prof. Cesare Cosciani, Vice Presidente
Prof. Enrico Allorio
Prof. Antonio BerliriDott. Benedetto Bernardinetti
Prof. Sergio Casaltoli
Dott. Carmelo Di Stefano
Prof. Francesco Forte
Dott. Angelo Gallizia
Dott. Antonio Gianquinto
Dott. GIuseppe Potenza
Dott. Aristide Salvatori
Prof. Aldo Scotto
Prof. Gaetano Stammati
Prof. Sergio Steve
Prof. Bruno Visentini
Dott. Lello Zappalà
* Questa imposta non fu mai
introdotta formalmente, per presunta incompatibilità con le regole comunitarie. Nei fatti
essa vivrà sotto forma di IRAP.
Non si confondano le parole della legge (che la chiamò "imposta
diretta"), con i fatti. Già la scienza delle finanze italiana la classicò come
seconda IVA e correttamente (qui l'esenzione dei beni strumentali vive sotto forma di
detrazione dello ammortamento, dal valore aggiunto). Ricordo poi che la somma dei valori
aggiunti "parziali" (al netto dell'ammortamento) è uguale al valore finale dei
beni: dunque l'IRAP è un'imposta sui consumi finali. |
Dopo la bocciatura del Referendum elettorale
da parte della Corte Costituzionale
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Auspicabile un
dibattito sul metodo e sui criteri per la riforma
della Governance, che dovrà riguardare Governo e Parlamento
LA RIFORMA ELETTORALE, SU QUALI
BASI ? |
1) L'iniziativa dovrebbe venire
dalle due maggiori forze politiche nazionali (PDL-PD), senza escludere l'apporto di una
"forza terza" (il Governo Monti ? );
2) Nella riforma, va garantito per legge un orizzonte temporale medio-lungo per la
Governance;
3) Il Premier potrebbe essere eletto dalle camere per 5 anni;
4) Il Parlamento di un Paese, dai mille campanili (come l'Italia) non può non avere una
rappresentanza proporzionale, purchè unitaria sul piano nazionale e dunque con premio di
maggioranza al partito di maggioranza relativa;
5) Va messo in Costituzione che i Gruppi parlamentari non possono avere un numero
di membri minore del 30% dei membri della camera di appartenenza. |
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1.- Il bipolarismo, punto da cui ripartire per la
riforma. Cinicamente parlando, la storia mostra che la legge elettorale è un
"prodotto" della parte politica più forte in parlamento, al di là
dell'interesse generale. In teoria la parte politica più forte è il partito che ha vinto
le ultime elezioni politiche e che si gioca tutto per salvaguardare la sua supremazia.
In Italia, questa posizione "forte" del partito che ha vinto
le elezioni, parrebbe confermata su determinati fatti (come la votazione parlamentare del
13 gennaio u.s. , a proposito del deputato Cosentino), ma non su altri in cui il governo
Berlusconi è risultato eccessivamente inadeguato, e sicuramente se Berlusconi volesse
andare ad elezioni anticipate, cosa che non è voluta da una parte rilevante dei deputati
e senatori del PDL.
Per questi motivi (vale dire, per il fatto che la
"maggioranza di Berlusconi si è rifatta viva) assume rilevanza ripartire dalle
dichiarazioni di Berlusconi, alla Camera il 14 dicembre 2010, in occasione del dibattito
sulla mozione di fiducia.
Egli, grosso modo, ha dichiarato: "Sono disponibile a discutere di
tutto, fuorchè del sistema bipolare".
E' noto, d'altra parte, che questa sua idea non è condivisa da
altri importanti partiti in parlamento, che non vogliono il premio di maggioranza e
vogliono il voto di preferenza.
Ma è anche un fatto che l'idea bipolarista è un punto fermo, largamente
maggioritario nel Paese, che non vuole più tornare ai Governi di 6 mesi, un anno ...
degli ultimi tempi della DC - Democrazia Cristiana.
Ed è altro fatto che, in Italia, il bipolarismo non è
risuscito a darci "governi di legislatura", perchè poco dopo le elezioni, il
Gruppo parlamentare di maggioranza ha cominciato a frazionarsi. Oggi alla Camera ci sono 8
gruppi parlamentari, di cui il Gruppo misto ha 8 sottogruppi.
Su questa base, si concluderebbe che la legge
bipolarista debba essere accompagnata da una norma di salvaguardia: ad es., non
essere ammissibili in parlamento, dei Gruppi parlamentari con un numero minore del 30% dei
membri della camera di appartenenza.
2.- Necessità di garantire per legge un orizzonte
medio-lungo per la governabilità. Ma tant'è che, se le soluzioni elettorali
migliori non albergano nel cuore degli uomini, nessuna mai (anche la più perfetta,
tecnicamente) sarà applicata fedelmente.
Nel cuore degli uomini c'è, in primo luogo, che l'interesse
generale non possa vivere se ad esso non è agganciato l'interesse personale dei politici.
Questa visione è oggi un "teorema" della scuola scientifica
di public choice, "dimostrato", ormai anni fa, da J. Buchanan, premio Nobel,
sostenuta in Italia da D. da Empoli (e anche da me), pur se non aliena dal suscitare
scandalo, ad es. presso i Cattolici, secondo i quali lo scopo primario ed unico della
politica è servire il bene comune. Se mi è consentito, rinvio ad una recensione, del 1993, di Sergio
Quinzio ad un mio libro, sul settimanale SETTE del Corriere della Sera.
Se posso insistere, la conferma di questo "teorema"
è sotto gli occhi di tutti, in questi mesi, dacchè il il Governo MONTI è
stato voluto da "tutti" per fare cose, che i grandi partiti non si sono sentiti
di fare, perchè (facendolo) avrebbero certamente perduto le prossime elezioni.
Il Presidente MONTI, a sua volta, ha ben rimarcato che questo
criterio di comportamento dei politici costituisce il vero costo della politica
(più che le retribuzioni, da loro carpite): precisamente il fatto che essi hanno un
"orizzonte temporale" breve, per cui tutti i grandi problemi strutturali sono,
di norma, continuamente rinviati. Perfino il Card. Bagnasco ha
dichiarato, qualche mese fa, che in Italia, pur dichiarando tutti, da anni, di essere
d'accordo su determinate riforme, si è sempre al punto di partenza.
Per questo la riforma dovrà garantire per
legge un orizzonte temporale medio-lungo per la Governance dello Stato, già
all'inizio della legislatura.
La Governance dello Stato è, forse, il maggiore dei problemi
strutturali dell'Italia ma, di esso, quello della legge elettorale è solo una parte: vale
dire un piede che resta zoppo, se non è associato ad altri piedi, riassumibili nel
concetto di Governance costituzionale.
La conclusione di questo secondo paragrafo è che per fare una legge
ordinaria elettorale che funzioni serve, prima, una legge costituzionale per una nuova
Governance dello Stato, e per questo serve una maggioranza qualificata.
La ulteriore conclusione è che serve il dialogo diretto tra le due
maggiori forze politiche nazionali (PDL-PD), a cui non dovrà mancare il
contributo delle altre forze.
3. Quale Governance in Costituzione ? Per quanto
riguarda il Governo (per la cui riforma serve, prima, una legge
costituzionale) mi verrebbe istintivo (guardando agli USA, alla Francia ...) che ci debba
essere l'elezione diretta popolare del Premier.
Personalmente ho fatto molte cose in questo senso (giungendo a fare un
Comitato nazionale per le legge elettorale - si clicchi su http://www.impegnopoliticocattolici.bo.it/
), ma devo dire che ho trovato uno zoccolo duro contrario, soprattutto tra gli
anziani, ancora memori dell'esperienza fascista. C'è anche che il temperamento
latino porta i politici (appena acquistano potere) a collocarsi dall'altra parte della
barricata, tra gli dei. Lo vedi, tra l'altro, dal repentino cambiamento di atteggiamento,
per cui, appena "uno" diventa "qualcuno", si mette in bocca il sigaro
toscano, in TV, e si gonfia il petto.
Al tempo stesso è sotto gli occhi di tutti che, pur senza elezione diretta,
noi in Italia abbiamo avuto dei grandi Presidenti della Repubblica
(eletti dalle camere, come è noto), e dunque una buona soluzione potrebbe essere
che il Premier sia eletto dalle camere per un tempo prefissato (5
anni ?), rieleggile una seconda volta. E comunque, dovrebbe rimanere la figura del
Presidente della Repubblica, con funzioni di controllo e garanzia costituzionale, come
attualmente.
Un'altra buona soluzione potrebbe essere quella di fare elezioni
primarie nelle Regioni, ed ammettere a candidati Premier, con elezione diretta
popolare, i candidati che hanno avuto più voti "primari" in almeno 3 Regioni.
Per il Parlamento, in un Paese dai mille campanili,
preferirei il riparto proporzionale senza sbarramento, ma col premio di
maggioranza al partito di "maggioranza relativa" (più che alla
coalizione), caso mai col limite che la maggioranza relativa debba essere di almeno un
terzo dei voti validi espressi. Vale dire dobbiamo spingere verso l'unità nazionale, ma
senza sopprimere la nostra anima "locale".
Metterei, inoltre, in Costituzione (non nel Regolamento delle camere), che
non vanno ammessi Gruppi parlamentari con un numero di membri, inferiore ad un terzo dei
membri della camera di appartenenza, e inoltre che il parlamentare che passa da un gruppo
di maggioranza ad uno di minoranza, o viceversa, cessa dalla posizione di parlamentare.
Riformulerei l'art. 67 dell'attuale costituzione nel senso che
"ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mancato" , ma all'interno del Gruppo di appartenenza (aggiunta mia,
quest'ultima). Vale dire uno è libero di dire e votare come vuole dentro il gruppo, ma
fuori dal gruppo deve fare quello che la maggioranza ha deciso.
Il voto di preferenza mi sembrerebbe una necessità,
ma non perchè il popolo spiccio sappia scegliere candidati che non conosce, ma perchè
possano farlo almeno le lobby, le associazioni ... , perchè le sole in condizioni di
conoscere i candidati. Però, non più di una preferenza, se non si vuole
che i parlamentari siano scelti da poche lobby, attraverso l'orientamento matematico delle
preferenze, magari catturate a pagamento.
Inoltre la possibilità di dare la preferenza serve a sottrarre il
parlamentare dalla dipendenza stringente dal capo partito, e quindi a dargli qualche grado
di libertà. NL |
.
INVENZIONI DEL "GENIO DEGLI ITALICI"
Elenco incompleto, ricostruito in
modo libero, di elementi presi dal libro di: Rino Camilleri,
Doveroso elogio degli Italiani, Ed. BUR, 2001) e qui riorganizzato in
ordine alfabetico |
-
Acido salicilico, inventato d al Raffaele Piria, e che con aggiunta di acido acetico (nel
1897, da parte di Felix Hoffman) diverrà l'aspirina, nel XIX secolo; - Acqua di
colonia, inventata da Giovanni Maria Farina nel XVIII secolo;
- Aereo a reazione inventato da Giovanni Caproni e Secondo Campini nel XX secolo;
- Albero a camme, compare in Toscana nel X secolo;
- Albero di bompresso (che permette di navigare col vento di fianco) , inventata dai
Romani nel I secolo d.C..;
- Aliscafo inventato da Enrico Forlanini nel XX secolo ;
- Ammoniaca (prima, solo gassosa) e' liquefatta da Liberato Giovanni Baccelli,
nel XIX secolo;
- Anatomia patologica, fondata da Giovanni Battista Morgagni (1761);
- Anello di fidanzamento con diamante, compare a Venezia nel XV secolo;
- Anticiclone delle Azzorre, scoperto da Luigi De Marchi, nel XIX secolo;
- Armi da fuoco portatili compaiono in Italia nel XIII secolo;
- Assicurazioni sulla vita, inventate da Lorenzo Tonti nel XVII secolo ;
- Asteroide, Cerere, il primo è scoperto da Giuseppe Piazzi, nel XIX secolo.;
- Autostrada del mondo, la prima nel mondo è la Milano-Laghi nel XX secolo;
- Bagni termali nel II secolo a.C., a Roma;
- Balestra, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Banca moderna, la prima nasce a Genova nel XV secolo;
- Barile, inventato dai Romani nel I secolo d.C.;
- Barometro inventato da Evangelista Torricelli nel XVII secolo;
- Bicicletta, ideata da Leonardo da Vinci nel XV secolo;
- Bilancia idrostatica, ottenuta da Archimede, in base al principio di Archimede, nel
III secolo a.C.;
- Bodoni, caratteri tipografici, ideati da Giambattista Bodoni nel XVIII secolo ;
- Bombarda compare in Italia nel XIII secolo;
- Caffettiera moka express, inventata da Alfonso Dialetti) nel XX secolo;
- Calcestruzzo, entra in uso a Napoli, fatto con pietra vulcanica (pozzolana, da
Pozzuoli), calce e acqua, nel II secolo a.C.;
- Calcio fiorentino, primo gioco di palla a squadre nasce a Firenze nel XIII secolo ;
- Calendario ""giuliano", introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C.";
- Calendario "gregoriano" (ancora valido) nel 1582 dal papa Gregorio
XIII.";
- Calzini (udones) compaiono a Roma nel IV secolo a. C. ;
- Campo magnetico rotante, inventato da Galileo Ferraris, nel XIX secolo;
- Canale di Suez, progettato da Luigi Negrelli, nel XIX secolo ;
- Cannocchiale astronomico, inventato da Galileo Galilei nel XVII secolo;
- Carrello cinematografico inventato da Giovanni Pastrone nel XX secolo;
- Carrucola, inventata nel IV secolo a.C. da Archila di Tarante;
- Carta stagnola, compare in Italia nel XV secolo;
- Cellule cancerogene, individuate da Renato Dulbecco (Nobel per la medicina) nel XX
secolo ;
- Champagne, inventato dal benedettino Francesco Scacchi (1335), tre secoli prima di
Perignon;
- Compasso, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Concerto musicale , creato dal bolognese Adriano Banchieri nel XVI secolo;
- Corsivo, inventato da Aldo Manuzio nel XV secolo;
- Crema emolliente inventata da Galeno nel II secolo d.C.;
- Cruciverba inventato da Giuseppe Airoldi nel XIX secolo ;
- Cupola (la prima è quella del Pantheon), inventata dai Romani nel I secolo d.C. ;
- Declinazione magnetica, intuita da Cristoforo Colombo nel XV secolo;
- Dentiera inventata nel VIII secolo a.C dagli etruschi (che trapiantano anche denti
d'oro, d'avorio e d'osso).;
- Dizionario alfabetico, il primo è compilato dal bergamasco Ambrogio Calepino nel XVI
secolo. ;
- Docente universitaria donna, Laura Bassi, la prima nella storia ;
- Elettroshock, inventato da Ugo Cerletti nel XX secolo. ;
- Elicottero moderno inventato da Corradino d'Ascanio nel XX secolo.;
- Enciclopedia delle scienze, la prima ("Naturalis Historia") è di Plinio il
Vecchio nel 77 d.C.;
- Energia elettrica per via geotermica, ottenuta da Piero Ginori Conti nel XX secolo
(1904);
- Fattore di crescita neurale, scoperto da Rita Levi Montalcini (Nobel per la medicina)
nel XX secolo;
- Fecondazione artificiale, ideata da Lazzaro Spallanzani, nel XIX secolo. ;
- Ferro da stiro, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Fisarmonica, inventata da Paolo Soprani, nel XIX secolo.;
- Forchetta, compare in Toscana nell'XI secolo;
- Fotografia della corona solare, la prima - 1842 - è fatta di Maiocchi, nel XIX
secolo;
- Funicolare, la prima a Napoli, nel XIX secolo ;
- Futurismo inventato da Filippo Tommaso Marinetti nel XX secolo.;
- Gelato, inventato dal toscano Bernardo Buontalenti nel XIV secolo;
- Generatore di corrente (dinamo), inventato da Antonio Pacinotti , nel XIX secolo;
- Gioco del lotto, il primo, nasce a Genova nel XVI secolo;
- Lampadina di Edison, migliorata da Arturo Malignani (portandone la durata da 100 ore
a 800 ore, e da luce rossastra a luce bianca e intensa), nel XIX secolo;
- Legge di Avogadro (volumi uguali di gas, alla stessa temperatura e pressione,
contengono lo stesso numero di molecole), scoperta da Amedeo Avogadro, nel XIX secolo. ;
- Libri tascabili, inventati da Aldo Manuzio nel XV secolo ;
- Macchia rossa di Giove, scoperta da Giandomenico Cassini nel XVII secolo ;
- Macchina da scrivere, inventata da Giuseppe Ravizza, nel XIX secolo.;
- Macchina seminatrice, inventata dal bolognese Taddeo Cavallini nel XVI secolo;
- Malattie infettive, individuate, per primo, da Gerolamo Fracastoro nel XVI secolo;
- Mappa di Marte, la prima è disegnata da Francesco Fontana nel XVII secolo;
- Martello pneumatico, inventato da Ernesto Curri nel XX secolo; |
-
Melodramma, ideato da Jacopo Peri XVI secolo; - Metodo scientifico moderno: i suoi
caratteri sono dettati per primo da G. Galilei nel XVII secolo;
- Microchip, inventato da Federico Faggin ) nel XX secolo;
- Moderna elica navale, ideata da Giuseppe Ludovico Ressel, triestino, nel XIX secolo;
- Moto alternato in rotatorio e altro: la macchina per la trasformazione dell'uno
nell'altra è inventata da Leonardo da Vinci nel XV secolo;
- Motore a scoppio, creato da Felice Matteucci ed Eugenio Barsanti nel XIX secolo;
- Motore a stella per aerei inventato da Alessando Anziani nel XX secolo.;
- Motore elettrico, ideato da Galileo Ferraris nel XIX secolo (1883);
- Musica "Jazz" , inventata dall'italo-americano Nick La Rocca (1917, primo
disco) ) nel XX secolo;
- Neuroni, scoperti da Camillo Golgi (premio Nobel per la medicina) , nel XIX secolo ;
- Nitroglicerina (su cui lavor, poi, Alfredo Nobel per ottenere la dinamite -
1867), inventata da Ascanio Sobrero nel XIX secolo;
- Notazione musicale è ideata da . Guido d'Arezzo nell'XI secolo;
- Novella, genere letterario creato da Giovanni Boccaccio nel XIV secolo;
- Nutella, inventata da Michele Ferrero) nel XX secolo;
- Ocarina, costruita da Giovanni Donati, nel XIX secolo.;
- Occhiali compaiono a Pisa nel XIII secolo ;
- Orologio meccanico, detto ""svegliatore monastico"" perchè in
uso nei monasteri, compare nell'XI secolo";
- Orologio pubblico: i primi comparvero su campanili, in Italia, nell'anno 1000;
- Oscillazioni isocrone del pendolo: le relative leggi sono intuite da Galileo Galilei
nel XVII secolo;
- Pantaloni, i primi sono fatti a Venezia nel XVI secolo nel XVI secolo;
- Pantelegrafo (antenato del fax) creato da Giovanni Caselli nel XIX secolo.;
- Particelle Zeta, individuate da Carlo Rubbia (Nobel per la fsica) nel XX
secolo.;
- Partita doppia della contabilità è creata da Luca Pacioli nel XV secolo;
- Periodo di rotazione di Venere, scoperto da Giovanni Schiaparelli, nel XIX secolo;
- Pianoforte, costruito da Bartolomeo Cristofari nel XVIII secolo;
- Pila elettrica, inventata da Alessandro Volta, nel XIX secolo;
- "Pinocchio", il libro più tradotto dopo la Bibbia, scritto da Carlo
Lorenzini (""Collodi""), nel XIX secolo;
- Pistola a tamburo (nel 1833, due anni prima di Colt), inventata da Francesco Antonio
Broccu, nel XIX secolo.;
- Pizza, compare a Napoli nel X secolo ;
- Pneumotorace artificiale per la cura della tubercolosi, inventato da Carlo Forlanini,
nel XIX secolo.;
- Polipropilene (cioè, la plastica) inventato da Giulio Natta nel XX secolo.;
- Polo nord, sorvolato la prima volta Da Umberto Nobile, con un dirigibile, nel XX
secolo;
- Portolano, il primo compare a Pisa nel XIII secolo;
- Preservativo moderno, ideato da Gabriele Falloppio nel XVI secolo;
- Prospettiva, le sue regole sono elaborate e codificate, rispettivamente, da Filippo
Brunelleschi e da Leon Battista Alberti nel XIV secolo;
- Protuberanze solari scoperte da Angelo Secchi , nel XIX secolo;
- Quotidiano, introdotto nel I secolo a. C. da Giulio Cesare con gli Acta Diurna che
informano delle decisioni del Senato;
- Radio, inventata da Guglielmo Marconi nel XX secolo;
- Radiogoniometro (determina la provenienza dei campi magnetici e il trasmettitore che
li emette), inventato da Alessandro Artom nel XX secolo;
- Raggi cosmici , scoperti da Bruno Rossi nel XX secolo.;
- Reazione nucleare a catena, provocata da Enrico Fermi nel XX secolo;
- Riscaldamento centralizzato, inventata dai Romani nel I secolo d.C.;
- Rubinetto creato dai romani nel I secolo a.C.;
- Ruota da bicicletta lenticolare, inventata da Antonio Dal Monte ) nel XX secolo;
- Salsa piccante compare a Roma nel III secolo a.C.;
- Satelliti di Giove, scoperti da Galileo Galilei nel XVII secolo;
- Sciopero (il primo della storia - 1378 - a Firenze, da parte dei "ciompi"
fiorentini, lavoratori della lana; il secondo a Londra - 1396 - da parte dei marinai
veneziani)";
- Scooter inventato da Corradino d'Ascanio nel XX secolo;
- Sfigmomanometro, inventato da Scipione Riva Rocci, nel XIX secolo. ;
- Siluro, inventato da Giovanni Battista Luppis, nel XIX secolo.;
- Sismografo, inventato da Luigi Palmieri , nel XIX secolo;
- Sonetto è inventato dal siciliano Jacopo da Lentini nel XIII secolo;
- Spaccio pubblico di acquavite, il primo compare a Modena nel XV secolo;
- Stenografia inventata nel 63 a.C. Marco Tullio Tirono.;
- Suole per scarpe in gomma, create da Vitale Bramani nel XX secolo. ;
- Telefono, inventato da Antonio Meucci, nel XIX secolo;
- Telescrivente inventata da Luigi Cerebotani nel XX secolo.;
- Teorema di Pitagora, inventato da Pitagora, nel VI secolo a.C , a Crotone.;
- Termocoppia (che misura piccole differenze di temperatura) ideata da Leopoldo Nobili,
nel XIX secolo.;
- Termodinamica, le relative leggi sono scoperte da Galileo Galilei nel XVII secolo;
- Termometro inventato da Santorio Santorio nel XVII secolo;
- Torta nuziale (che viene buttata addosso alla sposa) introdotta da Romani nel I
secolo a.C..;
- Trapianto di pelle, il primo è eseguito da Gaspare Tagliacozzo nel XVI secolo;
- Trasporto pubblico a trazione elettrica, il primo a Firenze, nel XIX secolo (1890);
- Trattato di architettura, il primo è di Vitruvio nel I secolo d.C. ;
- Università, la prima nasce a Bologna nel XI secolo (988 ?);
- Vaccino contro la pertosse (tramite ingegneria genetica), scoperto da Rino Rappuoli)
nel XX secolo;
- Vento solare, scoperto da Bruno Rossi nel XX secolo.;
- Violino, costruito da Gasparo Bardotti nel XVI secolo;
- Vite, inventata nel IV secolo a.C. da Archila di Tarante. ;
- Vite senza fine, ottenuta da Archimede, nel III secolo a.C.;
-Volta a crociera, compare a Roma nel II secolo d.C. |
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