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Tag: storia uomini
e fatti della dc, De gasperi, G. Dossetti, F. Marini, valori non negoziabili |
MENTRE TUTTORA SI DISCUTE DEI DANNI
ALL'UNIVERSITA' ITALIANA, DALLA LEGGE GELMINI |

Università del Salento
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dal "CORRIERE DELLA SERA, 27 ottobre 2014"
Notizie sulla Università del Salento |
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Gian Antonio Stella*,
Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda
AllUniversità del Salento più punti a chi ha avuto cattedre nei nostri
atenei |
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*Nato ad Asolo nel 1953. Per gli studi di
base, risulta aver "frequentato" il Liceo Ginnasio Antonio Pigafetta di Vicenza.
Giornalista e scrittore italiano. Inviato speciale
del Corsera. Ha numerose pubblicazioni. |
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Gian Antonio Stella
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Nota. No comment alle considerazioni del noto giornalista, in
omaggio alla libera informazione.
Gli faccio, invece, due domande e aggiungo alcune notizie
"notorie", per chi vive nell' università.
1) La prima domanda: "Si è informato se il "presunto"
professore di Yale è disponibile a insegnare all'università del Salento ?
2) La seconda domanda: "Dato che fa riferimento ad un problema
della reputazione" dell'università italiana, quale università ha frequentato ?
3) Alcune notizie "notorie".
a) Circa le classifiche cosiddette
"internazionali", mi sono occupato più volte di conoscere e capire i parametri
sui quali si basano le valutazioni, comprese le datazioni delle statistiche su cui essi
sono calcolati. Ma i classificatori non erano mai generosi circa il metodo impiegato, per
cui non ne sono mai venuto a capo, in modo veramente profondo. Grosso modo, ho anche
dedotto che tra i parametri delle varie classifiche non ci sia omogeneità, e dunque
confrontabilità.
In generale, poi, i dati statistici, forniti dalle università italiane sono
poveri, per cui mi sono anche sempre domandato come i classificatori internazionali
abbiano fatto certi miracoli per accedere alle statistiche locali. Qualcosa c'è
all'Ufficio statistico del Miur, dell'ANVUR (da poco), del CINECA. Nulla c'è, neppure
all'ISTAT, non sulla contabilità nazionale delle università, da alcuni anni.
Uno sforzo di informazione è in atto, in seguito alla introduzione della
abilitazione scientifica nazionale, con la legge n. 240/2010, che obbliga gli atenei a
dare le necessarie informazioni per calcolare parametri simili a quelli usati nei paesi
anglosassoni. Invece, in passato i giudizi avevano luogo solo sulla base
dei testi originali.
Tuttavia, in seguito ai vari ricorsi ai TAR, dei candidati alle
abilitazioni, risulta che le Commissioni giudicatrici, volendo dare giudizi fondati, hanno
visionato i parametri, ma senza poterne conto più di tanto, per giudizi seri.
b) Circa l'uso privilegiato delle abilitazioni nazionali italiane, da
parte della università del Salento, personalmente avrei anzi privilegiato i nativi del
Salento. I motivi sono:
- le commissioni giudicatrici sono nazionali, e pertanto (in generale) gli
abilitati sono tutti ad un buon livello;
- quelli del nord, se chiamati al sud, fanno i pendolari e scappano definitivamente
alla prima occasione;
Ne deriva che le università del sud sono continuamente in cerca di
professori di ruolo, e non riescono a costruire scuole scientifiche stabili.
c) Circa l'importanza di ottenere al Salento professori di Yale, sono
convinto che, in generale, l'internazionalità dei rapporti sia utile, ma anche da parte
di Yale (reciprocamente), nei confronti del Salento.
Ciò rientra largamente nella tradizione storica italiana. E' notorio,
del resto, che la città di Bologna conserva, tuttora, delle vie intestate a studenti
universitari e docenti stranieri (es.: Via degli Alemanni). Nino Luciani |
Gian Antonio STELLA,
Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda. AllUniversità del Salento più
punti a chi ha avuto cattedre nei nostri atenei Cattedre
autarchiche - bando al contrario alluniversità del salento: più punti per chi ha
insegnato nei nostri atenei rispetto, a chi può vantare curriculum internazionali.
1.- Vale di più una cattedra ad Harvard o allateneo di
Villautarchia? Dipende. Alla Università del Salento, pare impossibile, il
concorso per assumere 16 professori riconosce più punti a chi ha già insegnato nelle
nostre aule piuttosto che ai docenti di Berkeley o Yale.
Che gli atenei italiani possano essere sottovalutati dalle classifiche
mondiali, come sospirano i rettori, è possibile. Anche lultimissimo «World
University Ranking» del Times Higher education vede nelle prime 200 addirittura 74
università statunitensi, 29 britanniche, 12 tedesche, 11 olandesi, 8 canadesi, 8
australiane, 7 svizzere, 7 francesi, 5 giapponesi, 4 turche (quattro!) e una sola
italiana: cioè la Normale di Pisa che si piazza al 63º posto e, nella classifica pro
capite, tenendo conto del numero degli studenti, starebbe molto più in alto.
Seguono, nella seconda fascia, lateneo di Trieste e la Bicocca
di Milano: nelle prime 250, a dispetto di tutte le vanità sulla «patria della cultura»,
non abbiamo altro.
2.- Domanda: "Allora come
mai, se le università italiane sono così scarse, i nostri ragazzi appena mettono il naso
al di là della frontiera fanno spessissimo un figurone in tutto il mondo?
Risposta: perché evidentemente, nonostante tutti i
difetti, tutti i concorsi truccati, tutte le Parentopoli, nelle nostre aule si insegna e
si impara meglio di quanto si pensi. Il problema della reputazione,
però, resta. |
3. Ed è pesante: come possiamo rassegnarci ad avere tra le
prime 400 università dEuropa solo 17 italiane? Fatto sta che, non contentandosi di
contestare la sacralità di queste classifiche, lUniversità del Salento ha deciso
di andare oltre. E di valutare di più i curriculum «caserecci» che non quelli di
profilo internazionale. Lo dice il bando di selezione «per la copertura di 16 posti di
professore universitario di ruolo di 2ª fascia» firmato dal rettore Vincenzo Zara.
::::::::
Già alla prima delle cattedre messe in palio, infatti,
quella di Archeologia, il massimo riconosciuto per l«attività di docenza svolte in
Italia» è di 20 punti, quello per le «attività di docenza e attività di ricerca
allestero» compresi gli «incarichi o fellowship ufficiali presso atenei e centri
di ricerca esteri di alta |
qualificazione» e la
«partecipazione a convegni internazionali in qualità di relatore», solo di
4. Cinque volte di meno. Col risultato, ad esempio, che se un fuoriclasse celebre nel
mondo come Andrew Stewart, specializzato in «Ancient Mediterranean Art and Archaeology»,
volesse prendersi lo sfizio di lasciare lUniversità di Berkeley per venire a Lecce
(ammesso che fosse accettato nonostante il passaporto straniero) avrebbe per la sua
esperienza didattica 4 punti rispetto ai 20 riconosciuti a un ipotetico professor Tizio
Caio che abbia insegnato in ununiversità telematica di Rocca Cannuccia. Assurdo.
Tanto più di questi tempi, coi docenti delle «telematiche» che paiono (ma ci torneremo)
moltiplicarsi miracolosamente.
E se può essere spacciato come una scelta sensata lo squilibrio (16 punti
agli «italiani», cinque agli «stranieri») per la cattedra di letteratura italiana
contemporanea, anche se ci sono fior di stranieri che la conoscono meglio di tanti
italiani, appare folle la sproporzione, ad esempio, per la cattedra di Econometria (20
punti a 10), di «Meccanica applicata alle macchine» (30 punti a 10), di Botanica (20
punti a 5) o di «Misure elettriche ed elettroniche» dove lo squilibrio è ancora
quintuplo: 10 punti ai «casalinghi», 2 agli eventuali acquisti dallestero. Un
terzo del punteggio che laspirante professore potrebbe guadagnare dimostrando di
sapere linglese! E non è tutto. Un ricercatore ha generalmente un punteggio uguale
a quello del capo-ricerca e in alcune discipline perfino più alto. Peggio: a
«Progettazione industriale» chi ha avuto la «responsabilità scientifica di progetti di
ricerca, nazionali e internazionali ammessi al finanziamento sulla base di bandi
competitivi» ottiene un punto. Chi ha solo partecipato ne ottiene nove! Che razza di
criterio è? 4.- Per carità: evviva lItalia ed evviva gli
italiani! Ma se allestero vanno a cercarli apposta gli stranieri (compresi
moltissimi dei nostri, soprattutto giovani) per dotare il proprio ateneo di una classe
accademica più variegata e internazionale e multiculturale possibile, perché mai noi
dobbiamo fare il contrario?
A Flavia Amabile che ne ha scritto nel blog de La Stampa , il
direttore del dipartimento di fisica leccese ha spiegato che era importante «avere
personale docente con esperienza didattica in Italia che possa da subito svolgere al
meglio i corsi e, eventualmente, ricoprire cariche accademiche» (testuale!) e che
cera da «valorizzare i ricercatori (italiani e non) che in questi anni di blocco
dei concorsi hanno consentito il normale svolgimento delle attività didattiche».
Per carità, sarà anche vero... Ma allestero come la vedranno, questa
faccenda? Ci farà guadagnare o perdere altri punti nelle classifiche? |

Vincenzo Zara
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La voce della Università
del Salento
(a prescindere
dal caso
sollevato
dal Corsera) |
Messaggio del Rettore
La comunità accademica è formata dai docenti, dai ricercatori, dal
personale tecnico-amministrativo e dagli studenti.
Come le membra di un corpo umano ognuno di questi elementi non può fare a
meno degli altri.
I docenti e i ricercatori, coloro che hanno la difficile missione di trasmettere i
loro saperi, i magistri, che devono saper essere giusti e severi, magnanimi e
propositivi;
ma anche coloro che hanno il compito di dubitare, di porsi sempre
nuove domande, di ricercare risposte, di esplorare ciò che non è noto, cercare nuove
soluzioni a vecchi problemi;
a loro è dedicato il mio invito a mantenere alto il nome dell'ateneo
salentino, a fare loro la missione di mantenere viva la cultura della qualità
dell'insegnamento e della ricerca, di base e applicata.
Il personale tecnico e amministrativo, la linfa, il sangue che scorre nelle vene
dell'università, coloro che rendono possibile, ogni giorno, con il loro lavoro, il loro
impegno e la loro dedizione, il funzionamento della macchina amministrativa e tecnico
scientifica, senza la quale tutto sarebbe immobile; a loro il mio invito a considerare
l'università come un organismo di cui si è parte integrante.
Gli studenti, coloro a cui è dedicata la missione di diffondere il sapere, di
creare cittadini consapevoli, colti e preparati ad affrontare il futuro, dotati di spirito
critico e costruttivo; il mio invito per loro è quello di aderire alla nostra missione,
di sentirsi coinvolti in prima persona in essa, di portare il loro prezioso e vitale
contributo perché si possa continuare a essere orgogliosi di essere studenti
dell'Università del Salento.
A tutti voi va il mio ringraziamento per avermi fatto scoprire l'esistenza di una
comunità di persone che credono nella bellezza di un fare, animato da sane
passioni, sincere emozioni e costruttivo entusiasmo.
Vincenzo Zara |
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MENTRE SI DISCUTE DELLA RIFORMA DEI PARTITI IN
ITALIA |
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RIPERCORSO
CRITICO DI UOMINI E FATTI DELLA DC
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Gabriele Cantelli*, Pensieri
intorno a A. De Gasperi, G. Dossetti, F. Marini:
PER DIFENDERE VALORI NON NEGOZIABILI |
* Già dirigente locale della DC |

Gabriele Cantelli
|
1.- Alcide De Gasperi.
Lazione cattolica, con la costituzione dei Comitati Civici, diede un contributo
determinante alla vittoria della Democrazia Cristiana nel confronto col " il Fronte
progressista", passato alla storia come Fronte Popolare, che raggruppava movimenti e
partiti di ispirazione marxista e il modello di organizzazione sociale sovietico, e che
individuavano nella religione uno dei principali ostacoli a un analogo percorso della
rinata democrazia italiana.
Chi riteneva inconciliabile con le proprie idee di
umano consorzio le teorie che per la loro realizzazione presupponevano lutilizzo
della violenza per la assunzione del potere da parte della classe operaia , diede vita ad
una alleanza di forze politiche e movimenti che fecero perno sul partito che si qualificò
Democrazia Cristiana per un chiaro riferimento all esperienza politiche del PPI di
Sturzo e allassociazionismo cattolico mobilitato in difesa di valori in gioco.
Dagli ambienti cattolici quindi pervenne un aiuto
pari al pericolo di una predicazione del campo avverso che face intravvedere al Clero e
per chi era schedato solo in quanto frequentatore della messa domenicale la stessa fine
riservata agli sfortunati confratelli dei Paesi caduti sotto il dominio sovietico,
martirizzati nella guerra civile spagnola e, venendo in Emilia Romagna, assassinati nel
triangolo della morte nella lotta liberazione versione PCI.
La vittoria della Democrazia Cristiana (1948) , la sua
partecipazione all impegno unitario nella stesura della Carta Costituzionale , il
suo contributo alla realizzazione delle idee ricostruttive elaborate da De Gasperi e da
autorevoli esponenti del pluralismo associativo cattolico, dai popolari ai rappresentanti
del mondo universitario, ha certamente contribuito a smentire le ricorrenti campagne
allarmistiche su possibili svolte autoritarie del partito che aveva conseguito il consenso
della maggioranza dellelettorato italiano .
Basti per tutte quella contro la "legge truffa" che la
DC propose per assicurare la governabilità del paese attraverso la assegnazione di un
premio di maggioranza al partito che avesse conseguito la maggioranza relativa nelle
consultazioni elettorali politiche.
La politica delle alleanze democratiche delineò sempre i confini
dellazione politica di una DC fedele alla sua concezione interclassista lungo una
cinquantennale esperienza di governo che ha portato lItalia fra le potenze
economiche mondiali passando da paese prevalente agricolo a paese industriale nella
libertà.
Sarebbe troppo lungo elencare e trattare adeguatamente il processo
storico che ha condotto clero e laicato della sinistra cattolica al sostegno alla
Democrazia Cristiana col PD nel PSE . Non è nemmeno producente farlo quando la
stessa politica, definita larte del possibile, induce ad accantonare quanto non
convenga trattare.
Ma quelle che in tale ottica potrebbero essere considerate
reminiscenze partigiane divengono necessarie quando il cambiamento di umore politico venga
fatto rientrare nel luogo comune della fine della guerra fredda per la caduta del muro di
Berlino o attribuita alla fine ingloriosa sui banchi dei tribunali di
"tangentopoli", facendoci ritenere, nel primo caso, vittime del crollo e nel
secondo una specie di consorteria del malaffare dalle più diverse connotazioni.
Ciò, perché non furono queste le vere ragioni per le quali noi vedemmo
provenire dagli stessi ambienti parrocchiali che avevano sensibilizzati allimpegno
sociale , giovani religiosi e laici che orientati alle ideologie di Marcuse a Mao Tse-Tung
e Che Guevara, che contestavano il sistema capitalista del quale noi eravamo considerati
la struttura portante .
Allora sbagliammo attribuendo alla contestazione orientamenti ideologici
incompatibili con la loro formazione cattolica come sbagliammo successivamente, aiutati in
questo da Rossana Rossanda, nel riconoscere nel terrorismo rosso solo le stesse
motivazioni che animarono personaggi dellalbum di famiglia del PCI.
Dallampia pubblicistica riguardante stagione del terrorismo
che vide il momento più buio nellassassinio dellonorevole Moro, abbiamo
infatti appreso della formazione cattolica di alcuni fra i fondatori delle BR e degli
appartenenti al gruppo strategico delle formazioni terroristiche e della loro decisione di
passare alla lotta clandestina maturata nel"gruppo dellappartamento" cioè
a casa di Corrado Corghi a Reggio Emilia.
A casa sua, lui, dirigente nazionale e regionale della Democrazia cristiana,
riuniva giovani cattolici e comunisti infervorandoli delle notizie dei suoi contatti con
le formazioni guerrigliere dellAmerica Latina che, sulla base interpretativa del
messaggio evangelico, avevano elaborato la teologia della liberazione, e delle strategie
della lotta clandestina.
Questo è particolarmente grave quando, dalla ricostruzione storica
di quel tragico periodo incontestabilmente emerge che il principale obbiettivo delle BR fu
proprio la Democrazia Cristiana in quanto fautrice di uno modello di sviluppo incentrato |
sull'interclassismo e che con
l'assassinio di Moro si è inteso annientare sul nascere il progetto di compromesso
storico fra DC e PCI del quale, con Berlinguer, lo statista democristiano fu ideatore, in
quanto aveva come presupposto il riconoscimento della pari dignità delle forze politiche
allo avvicendamento democratico alla guida del paese. Corghi nel 1968 lasciò la DC.
Quali le origini di tanto livore contro la Democrazia Cristiana maturato all?ombra
dei campanili? 2.- Giuseppe Dossetti. La
fine della Democrazia Cristiana avrebbe rappresentato un fatto liberatorio per quella
parte del mondo cattolico che con Dossetti non ne aveva condiviso la impostazione
interclassista degasperiana, che inserì lItalia nel sistema economico occidentale e
allalleanza atlantica, che ebbe come primo passaggio la rottura dellalleanza
con le sinistre nel governo delle forze che avevano partecipato al Comitato di liberazione
nazionale.
Per Dossetti invece il governo tripartito (DC,PCI,PSI), aveva dato un
significato ben diverso da quello del contingente stato di necessità accettato da De
Gasperi. Il tripartito era concepito come la prima fase della costruzione di un blocco
storico , alla cui direzione non fossero i marxisti ma i cattolici, in quanto la sinistra
cattolica rappresentata da lui e La Pira scorgeva una maggior contrapposizione dei valori
cristiani alla società capitalistico-borghese, che non ai valori "popolari"
espressi da tradizione marxista italiana.
La opzione per la vita religiosa del leader della sinistra cattolica , al
quale il professor Ardigò, idealmente molto vicino, diede la definizione
"Cera in Dossetti il monaco nel politico, e il politico nel monaco". Lo
avvicinamento di autorevoli esponenti della sua corrente alla posizione dello statista
trentino (probabilmente in considerazione della inconciliabilità del modello di
socialismo reale attuato in Unione sovietica , al quale il PCI a lungo ha fatto
riferimento, coi rischi conseguenti ove fosse stato importato, la sapiente distribuzione
del potere fra le diverse correnti) consentì la coesistenza nello stesso partito di anime
inconciliabili.
Le stesse battaglie referendarie contro la applicazioni delle leggi
sul divorzio e sullaborto furono dalle sinistre cattoliche considerate negative in
quanto avrebbero finito per turbare le prospettive della alleanza a sinistra e fu in tale
frangente che venne da esse sancito il principio della privatizzazione delle convinzioni
religiose che costituì linizio della fine dellunità politica dei cattolici
nella Democrazia Cristiiana.
Non so se nel PD con Renzi sia avvenuto quanto si determinò nel
periodo agonico della DC nelle cui sedi entrarono giovani a frotte provenienti dalle
diverse espressioni dellassociazionismo cattolico, che allinsegna della
discontinuità dalla nostra storia diedero assoluta prova di mancanza di rispetto per le
persone che li avevano preceduti nellimpegno politico e dei luoghi ai quali
accedevano.
Si trattò di una situazione allucinante nella quale chi aveva dato
testimonianza specialmente nei momenti più difficili della storia del nostro paese, si
sentì "straniero in patria" .
Motivai il mio rifiuto di aderire al PPI di Martinazzoli con la
mancanza delle condizioni politiche ed ambientali per una mia adesione .
Con la liquidazione della D.C. e la diaspora delle sue
correnti immediatamente si avviò quello che tecnicamente viene definito processo di
despecificazione caratterizzato dal disconoscimento dei rapporti anche di amicizia
intessuti nel partito originario per la giustificazione delle nuove scelte politiche.
Per la sinistra democristiana lapprodo al PD, e la adesione al
PSE ha costituito il traguardo di un lungo percorso che, in funzione classista, aveva
tratto impulso dalla stessa esperienza dellunità sindacale e delle centrali della
cooperazione.
Per quanto riguarda larea centrale, la costituzione del
CCD di Casini, del CDU di Buttiglione e per la restante parte la confluenza in Forza
Italia , complessivamente non ha saputo andare oltre la tecnica di gestione del potere di
stampo doroteo e lossessione del culto della personalità dei rispettivi leader dove
il richiamo allesperienza politica degaperiana ha reso più stridente il contrasto
delle qualità e dello stesso stile di vita del grande statista trentino con la fisionomia
di chi ha avuto lardire di dichiarare la continuità del percorso da lui tracciato
nellinteresse complessivo della società italiana.
Alla luce della Sentenza di Cassazione che ha dichiarato la continuità della
Democrazia Cristiana in quanto mai legittimamente sciolta, interessante sarà vedere la
conclusione della vicenda giudiziaria tesa a far luce sulla legittimità dei comportamenti
dei rappresentanti i diversi settori della diaspora che, dichiaratosene eredi, se ne
divisero i bani mobili ed immobili, come interessante è poter conoscere i percorsi che
hanno condotto quegli esponenti politici che con la fine della DC dichiararono la fine del
loro impegno politico alla guida di istituti e fondazioni bancarie, associazioni di
categoria e quantaltro nel campo economico e finanziario. |
Così si sono create le
condizioni ideali per le prosecuzione dei fenomeni degenerativi ai quali, si si volle far
credere fosse stata posta fine con la eliminazione della DC e del PSI per via giudiziaria.
Dalle inchieste in corso sta emergendo limportante ruolo di capo fila
esercitato dal movimento cooperativo per il buon esito delle gare di appalto in una sorta
di capovolgimento del rapporto che vedeva i partiti legiferare in difesa di una
cooperazione improntata alla elevazione economica e morale delle classi più deboli, ora
sono le cooperativ |
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MENTRE SI DISCUTE DELLA RIFORMA DEI PARTITI IN
ITALIA |
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RIPERCORSO
CRITICO DI UOMINI E FATTI DELLA DC
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Gabriele Cantelli*, Pensieri
intorno a A. De Gasperi, G. Dossetti, F. Marini:
PER DIFENDERE VALORI NON NEGOZIABILI |
* Già dirigente locale della DC |

Gabriele Cantelli
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1.- Alcide De Gasperi.
Lazione cattolica, con la costituzione dei Comitati Civici, diede un contributo
determinante alla vittoria della Democrazia Cristiana nel confronto col " il Fronte
progressista", passato alla storia come Fronte Popolare, che raggruppava movimenti e
partiti di ispirazione marxista e il modello di organizzazione sociale sovietico, e che
individuavano nella religione uno dei principali ostacoli a un analogo percorso della
rinata democrazia italiana.
Chi riteneva inconciliabile con le proprie idee di
umano consorzio le teorie che per la loro realizzazione presupponevano lutilizzo
della violenza per la assunzione del potere da parte della classe operaia , diede vita ad
una alleanza di forze politiche e movimenti che fecero perno sul partito che si qualificò
Democrazia Cristiana per un chiaro riferimento all esperienza politiche del PPI di
Sturzo e allassociazionismo cattolico mobilitato in difesa di valori in gioco.
Dagli ambienti cattolici quindi pervenne un aiuto
pari al pericolo di una predicazione del campo avverso che face intravvedere al Clero e
per chi era schedato solo in quanto frequentatore della messa domenicale la stessa fine
riservata agli sfortunati confratelli dei Paesi caduti sotto il dominio sovietico,
martirizzati nella guerra civile spagnola e, venendo in Emilia Romagna, assassinati nel
triangolo della morte nella lotta liberazione versione PCI.
La vittoria della Democrazia Cristiana (1948) , la sua
partecipazione all impegno unitario nella stesura della Carta Costituzionale , il
suo contributo alla realizzazione delle idee ricostruttive elaborate da De Gasperi e da
autorevoli esponenti del pluralismo associativo cattolico, dai popolari ai rappresentanti
del mondo universitario, ha certamente contribuito a smentire le ricorrenti campagne
allarmistiche su possibili svolte autoritarie del partito che aveva conseguito il consenso
della maggioranza dellelettorato italiano .
Basti per tutte quella contro la "legge truffa" che la
DC propose per assicurare la governabilità del paese attraverso la assegnazione di un
premio di maggioranza al partito che avesse conseguito la maggioranza relativa nelle
consultazioni elettorali politiche.
La politica delle alleanze democratiche delineò sempre i confini
dellazione politica di una DC fedele alla sua concezione interclassista lungo una
cinquantennale esperienza di governo che ha portato lItalia fra le potenze
economiche mondiali passando da paese prevalente agricolo a paese industriale nella
libertà.
Sarebbe troppo lungo elencare e trattare adeguatamente il processo
storico che ha condotto clero e laicato della sinistra cattolica al sostegno alla
Democrazia Cristiana col PD nel PSE . Non è nemmeno producente farlo quando la
stessa politica, definita larte del possibile, induce ad accantonare quanto non
convenga trattare.
Ma quelle che in tale ottica potrebbero essere considerate
reminiscenze partigiane divengono necessarie quando il cambiamento di umore politico venga
fatto rientrare nel luogo comune della fine della guerra fredda per la caduta del muro di
Berlino o attribuita alla fine ingloriosa sui banchi dei tribunali di
"tangentopoli", facendoci ritenere, nel primo caso, vittime del crollo e nel
secondo una specie di consorteria del malaffare dalle più diverse connotazioni.
Ciò, perché non furono queste le vere ragioni per le quali noi vedemmo
provenire dagli stessi ambienti parrocchiali che avevano sensibilizzati allimpegno
sociale , giovani religiosi e laici che orientati alle ideologie di Marcuse a Mao Tse-Tung
e Che Guevara, che contestavano il sistema capitalista del quale noi eravamo considerati
la struttura portante .
Allora sbagliammo attribuendo alla contestazione orientamenti ideologici
incompatibili con la loro formazione cattolica come sbagliammo successivamente, aiutati in
questo da Rossana Rossanda, nel riconoscere nel terrorismo rosso solo le stesse
motivazioni che animarono personaggi dellalbum di famiglia del PCI.
Dallampia pubblicistica riguardante stagione del terrorismo
che vide il momento più buio nellassassinio dellonorevole Moro, abbiamo
infatti appreso della formazione cattolica di alcuni fra i fondatori delle BR e degli
appartenenti al gruppo strategico delle formazioni terroristiche e della loro decisione di
passare alla lotta clandestina maturata nel"gruppo dellappartamento" cioè
a casa di Corrado Corghi a Reggio Emilia.
A casa sua, lui, dirigente nazionale e regionale della Democrazia cristiana,
riuniva giovani cattolici e comunisti infervorandoli delle notizie dei suoi contatti con
le formazioni guerrigliere dellAmerica Latina che, sulla base interpretativa del
messaggio evangelico, avevano elaborato la teologia della liberazione, e delle strategie
della lotta clandestina.
Questo è particolarmente grave quando, dalla ricostruzione storica
di quel tragico periodo incontestabilmente emerge che il principale obbiettivo delle BR fu
proprio la Democrazia Cristiana in quanto fautrice di uno modello di sviluppo incentrato |
sull'interclassismo e che con
l'assassinio di Moro si è inteso annientare sul nascere il progetto di compromesso
storico fra DC e PCI del quale, con Berlinguer, lo statista democristiano fu ideatore, in
quanto aveva come presupposto il riconoscimento della pari dignità delle forze politiche
allo avvicendamento democratico alla guida del paese. Corghi nel 1968 lasciò la DC.
Quali le origini di tanto livore contro la Democrazia Cristiana maturato all?ombra
dei campanili? 2.- Giuseppe Dossetti. La
fine della Democrazia Cristiana avrebbe rappresentato un fatto liberatorio per quella
parte del mondo cattolico che con Dossetti non ne aveva condiviso la impostazione
interclassista degasperiana, che inserì lItalia nel sistema economico occidentale e
allalleanza atlantica, che ebbe come primo passaggio la rottura dellalleanza
con le sinistre nel governo delle forze che avevano partecipato al Comitato di liberazione
nazionale.
Per Dossetti invece il governo tripartito (DC,PCI,PSI), aveva dato un
significato ben diverso da quello del contingente stato di necessità accettato da De
Gasperi. Il tripartito era concepito come la prima fase della costruzione di un blocco
storico , alla cui direzione non fossero i marxisti ma i cattolici, in quanto la sinistra
cattolica rappresentata da lui e La Pira scorgeva una maggior contrapposizione dei valori
cristiani alla società capitalistico-borghese, che non ai valori "popolari"
espressi da tradizione marxista italiana.
La opzione per la vita religiosa del leader della sinistra cattolica , al
quale il professor Ardigò, idealmente molto vicino, diede la definizione
"Cera in Dossetti il monaco nel politico, e il politico nel monaco". Lo
avvicinamento di autorevoli esponenti della sua corrente alla posizione dello statista
trentino (probabilmente in considerazione della inconciliabilità del modello di
socialismo reale attuato in Unione sovietica , al quale il PCI a lungo ha fatto
riferimento, coi rischi conseguenti ove fosse stato importato, la sapiente distribuzione
del potere fra le diverse correnti) consentì la coesistenza nello stesso partito di anime
inconciliabili.
Le stesse battaglie referendarie contro la applicazioni delle leggi
sul divorzio e sullaborto furono dalle sinistre cattoliche considerate negative in
quanto avrebbero finito per turbare le prospettive della alleanza a sinistra e fu in tale
frangente che venne da esse sancito il principio della privatizzazione delle convinzioni
religiose che costituì linizio della fine dellunità politica dei cattolici
nella Democrazia Cristiiana.
Non so se nel PD con Renzi sia avvenuto quanto si determinò nel
periodo agonico della DC nelle cui sedi entrarono giovani a frotte provenienti dalle
diverse espressioni dellassociazionismo cattolico, che allinsegna della
discontinuità dalla nostra storia diedero assoluta prova di mancanza di rispetto per le
persone che li avevano preceduti nellimpegno politico e dei luoghi ai quali
accedevano.
Si trattò di una situazione allucinante nella quale chi aveva dato
testimonianza specialmente nei momenti più difficili della storia del nostro paese, si
sentì "straniero in patria" .
Motivai il mio rifiuto di aderire al PPI di Martinazzoli con la
mancanza delle condizioni politiche ed ambientali per una mia adesione .
Con la liquidazione della D.C. e la diaspora delle sue
correnti immediatamente si avviò quello che tecnicamente viene definito processo di
despecificazione caratterizzato dal disconoscimento dei rapporti anche di amicizia
intessuti nel partito originario per la giustificazione delle nuove scelte politiche.
Per la sinistra democristiana lapprodo al PD, e la adesione al
PSE ha costituito il traguardo di un lungo percorso che, in funzione classista, aveva
tratto impulso dalla stessa esperienza dellunità sindacale e delle centrali della
cooperazione.
Per quanto riguarda larea centrale, la costituzione del
CCD di Casini, del CDU di Buttiglione e per la restante parte la confluenza in Forza
Italia , complessivamente non ha saputo andare oltre la tecnica di gestione del potere di
stampo doroteo e lossessione del culto della personalità dei rispettivi leader dove
il richiamo allesperienza politica degaperiana ha reso più stridente il contrasto
delle qualità e dello stesso stile di vita del grande statista trentino con la fisionomia
di chi ha avuto lardire di dichiarare la continuità del percorso da lui tracciato
nellinteresse complessivo della società italiana.
Alla luce della Sentenza di Cassazione che ha dichiarato la continuità della
Democrazia Cristiana in quanto mai legittimamente sciolta, interessante sarà vedere la
conclusione della vicenda giudiziaria tesa a far luce sulla legittimità dei comportamenti
dei rappresentanti i diversi settori della diaspora che, dichiaratosene eredi, se ne
divisero i bani mobili ed immobili, come interessante è poter conoscere i percorsi che
hanno condotto quegli esponenti politici che con la fine della DC dichiararono la fine del
loro impegno politico alla guida di istituti e fondazioni bancarie, associazioni di
categoria e quantaltro nel campo economico e finanziario. |
Così si sono create le
condizioni ideali per le prosecuzione dei fenomeni degenerativi ai quali, si si volle far
credere fosse stata posta fine con la eliminazione della DC e del PSI per via giudiziaria.
Dalle inchieste in corso sta emergendo limportante ruolo di capo fila
esercitato dal movimento cooperativo per il buon esito delle gare di appalto in una sorta
di capovolgimento del rapporto che vedeva i partiti legiferare in difesa di una
cooperazione improntata alla elevazione economica e morale delle classi più deboli, ora
sono le cooperative e le cordate di imprese di riferimento ad influire sulla politica dei
partiti avvalendosi del" plusvalore" conseguito coi prezzi gonfiati delle opere
forniture effettuate. Lattuale quadro politico
quindi stride con lentusiasmo che ha accompagnato giovani cattolici alla festa de
lUnità per ascoltare Renzi, come risulta dalle foto pubblicate su facebook ,
che li rende del tutto simili ai boy scout che hanno accolto il premier al loro raduno ;
è lo stesso entusiasmo col quale é stata diffusa per internet la locandina della festa
parrocchiale di una frazione del mio paese dove , fra le varie manifestazioni , è
pubblicizzata la inaugurazione di una mostra nella quale con i parroci succedutisi dal
medio evo ad oggi , uno dei i quali beatificato, vengono ricordate le benemerenze di due
apostoli socialisti, omettendone lanticlericalismo che giunse ad impedire nella
socialista Molinella i cortei funebri nei funerali religiosi, laccesso di un vescovo
e del parroco al cimitero per la benedizione delle tombe il 2 novembre, le processioni del
Corpus Domini , alle suore della confinante Vedrana di Budrio, che ospiterà la mostra, di
recarsi alla vicina chiesa per assistere alla Messa mattutina , fino a che non intervenne
una "squadraccia" a ristabilire lordine.
Per chi nei momenti di più accesa contrapposizione politica con
me aderì allinvito allimpegno politico in difesa dei valori cristiani ,
allora solo più apertamente in gioco rispetto ad oggi , è doloroso constatare che dagli
stessi ambienti nei quali venimmo sensibilizzati a farlo è provenuta lintera gamma
delle propensioni politiche dei giovani cattolici , dai maoisti,ai DS, al PD ai grillini
unita nella valutazione negativa dellesperienza democratica cristiana ritenuta il
perno del sistema politica-affari, quando esso ha dimostrato la sua maggiore tranquilla
vitalità dove la sinistra , nelle sue poliedriche espressioni ed alleanze, è sempre
riuscita a rimanere al potere.
Certamente i contenuti della riflessione e ricordo non aprono nuovi
ampi spazi di simpatia per il suo estensore.
Chi mi conosce comunque sa quanto per me sarebbe assurdo aderire alla
nuova Democrazia Cristiana per sostenere valori non negoziabili e la massima correttezza e
trasparenza gestionale per il perseguimento del bene comune senza la elaborazione di idee
ricostruttive adeguate alla attuale situazione politica e una precisa strategia politica
in grado di difenderci dal fuoco amico.
Con queste premesse la cosa più assurda sarebbe che la Nuova DC
riprendesse il cammino della vecchia traumaticamente interrotto facendo finta che nulla
sia accaduto a interromperne il percorso come sarebbe assurdo rilanciare lalleanza
di centrodestra sulle rovine della casa delle libertà senza riscoprire ragioni e
obbiettivi della alleanza.
3.- Franco Marini e LA SINISTRA CATTOLICA NEL PSE. Qui
si inserisce il compito della Democrazia Cristiana Nuova per la individuazione delle
ragioni profonde della crisi e la promozione di un confronto con tutte le componenti
sociali( cultura, politica, capitale imprese, lavoro) per una generale riassunzione di
responsabilità che scongiuri il latente rischio di una avventura rivoluzionaria.
Se lapprodo al PSE della sinistra cattolica se non altro
semplifica linterpretazione del quadro politico, non possiamo non osservare che
nonostante il cambiamento delle sigle permanga la tradizione del vecchio P.C.I., di
assorbire ogni formazione politica con la presunzione di riuscire a mantenere la propria
identità originaria.
Come lesperienza del "fonte popolare", definito
"fronte progressista", il l patto di unità dazione, lalleanza
sindacale nella CGIL e nelle Camere del Lavoro, costituirono le tappe dellascesa del
P.C.I a scapito del PSI, la convergenza della sinistra cattolica con la Margherita
nellUlivo e nel PD ne rivela la permanenza di un vizio pari all ambizione di
un segretario che ha ampiamente dimostrato di saper trasformare le sue scelte politiche in
gradini della sua ascesa personale.
L affermazione di Renzi di giocarsi la faccia nella attuale
esperienza di governo, quasi che nessuno fosse più in grado di comprendere quanto , con
la espugnazione della segreteria del suo partito e la apertura della crisi
extraparlamentare per la assunzione della Presidenza del Consiglio, lui la faccia se la
sia già giocata, non dovrebbe tranquillizzare quanti stanno seguendo le evoluzioni di una
fulminante carriera. |
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PROSPETTIVE DI GOVERNABILITÀ DELL'ITALIA DOPO
LE ELZIONI EUROPEE |
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FORTE PASSO VERSO IL BIPOLARISMO
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I risultati, se si trascura il PARTITO DEI
NON VOTANTI (voti 20.348.165):
- Primo partito: PARTITO
DEMOCRATICO (voti 11.172.861);
- Secondo partito: MOVIMENTO 5
STELLE (voti 5.792.865);
- Altri partiti : Forza Italia e tanti altri in area di CENTRO-DESTRA (voti
8.495.627) |
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Nino Luciani
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LUCIANI: Adesso dovrebbe essere compito della legge
elettorale accelerare il passo verso il traguardo finale bipolare, ma
guai se questo avvenisse con sbarramenti all'entrata, per escludere i piccoli
partiti.
La polarizzazione dei partiti eletti puo' essere ottenuta in sede
parlamentare mediante la incisiva modifica del Regolamento
delle Camere, che alzi drasticamente la soglia minima per costituire i gruppi
parlamentari. |
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ELEZIONI EUROPEE
(25 maggio 2014)
VOTI ESPRESSI
e voti non espressi
Elezioni
25 maggio 2014 Voti in Italia |
Numero
dei voti espressi |
In % |
PARTITO
DEMOCRATICO |
11.172.861 |
40,81 |
MOVIMENTO
5 STELLE |
5.792.865 |
21,16 |
FORZA
ITALIA |
4.605.331 |
16,82 |
LEGA
NORD |
1.686.556 |
6,16 |
NUOVO
CENTRO DESTRA - UDC |
1.199.703 |
4,38 |
L'ALTRA
EUROPA CON TSIPRAS |
1.103.203 |
4,03 |
FRATELLI
D'ITALIA - AN |
1.004.037 |
3,66 |
VERDI |
245.443 |
0,89 |
SCELTA
EUROPEA |
196.157 |
0,71 |
ITALIA
DEI VALORI |
179.693 |
0,65 |
SVP |
137.448 |
0,5 |
IO
CAMBIO MAIE |
48.450 |
0,17 |
Totale voti attribuiti |
27.371.747 |
100,00 |
VOTANTI:
NON VOTANTI: |
28.908.004
(59%)
20.348.165 (41%) |
TOTALE aventi
diritto |
49.256.169
(100%) |
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Fonte: Ministero dell'Interno |
Nino Luciani, Per un
bipolarismo, quale strumento vicino alla democrazia diretta
( non quale strumento per escludere i piccoli partiti, alzando la soglia di sbarramento).1.- Premessa. I risultati elettorali del PD sono il frutto della
fiducia che il Partito Democratico ha conquistato nel popolo italiano.
E' poco il dire che il PD ha conquistato il quasi 41% dei voti espressi. Il
PD aveva preso 8.646.034 di voti un anno fa, nelle elezioni politiche, e dunque ne
ha guadagnati 2.526.827.
L'arrivo dei Grillini al secondo posto premia i loro meriti etici e morali.
Risulta, infine, lo spappolamento del centro destra, considerato
evidentemente una costellazione di partiti in cerca di vantaggi personali a carico
dello Stato, salvo forse il NCD-Nuovo Centro Destra, di cui diremo poi.
La posizione di Forza Italia appare molto deteriorata dalla perdita della
bussola del suo leader, convinto di contare quanto basta per "scambiare" il
proprio appoggio al governo Letta, ma solo in cambio della grazia di Napolitano...
circa una condanna da parte della magistratura, confermata in tre gradi indipendenti di
giudizio.
Ahimè saremmo già molto avanti verso le riforme costituzionali, se il 28 sett.
2013, alla Camera, Berlusconi avesse confermato la quarta votazione in favore della
riforma dell'art.138 della costituzione, che prevedeva la istituzione di un comitato
bicamerale per la riforma veloce della governance.
2.- Prospettive per il bipolarismo, in Italia.
Il fatto che l'80% dei voti espressi sia ripartito fra soli tre partiti (PD, M5S, FI) è
un passo avanti importante, ma solo numericamente. Il nodo da sciogliere è se il fatto è
una scelta consapevole verso la governabilità dell'Italia, o un modo dei grandi parititi
di appropriarsi del controllo della cosa pubblica.
Nelle esperienze fatte, l'aggregazione dei partiti ha avuto
luogo per superare le soglie di sbarramento in ingresso, ma poi la coalizione vincente,
alla prima occasione in parlamento si frazionava in molti gruppi parlamentari.
Quello che serve al Paese è, invece, una bipolarismo che dia
governabilità di durata pari alla legislatura e la faccia determinare direttamente al
popolo.
E' il sistema elettivo più prossimo alla democrazia
diretta.
La spiegazione semplice è che, di solito, quando i poli (o i partiti) sono
solo due, il numero dei |
voti si ripartisce quasi alla pari
tra i due partiti (o coalizioni): l'uno ottiene poco più del 51%, e l'altro poco meno del
49%. In queste condizioni, è facile prevedere che, nelle successive elezioni politiche,
un piccolo spostamento dell'elettorato (tra i due) inverte la maggioranza. E' quanto
vediamo da anni negli USA.
La conseguenza è che chi sta al governo è "costretto" a
rispettare il popolo e anche l'uomo della strada conta molto.
3. Quali poli per il futuro ? Il polo di
centro sinistra, incardinato nel PD, mi parrebbe in buon stato di progresso.
Circa il polo dei Grillini, la partita è rinviata al momento in cui
essi sceglieranno di divenire classe governante, cosa che va anticipata (ora per allora)
con convergenze sulle grandi scelte, ma non unilateralmente, bensì con contrattazione.
In termini di avvenuta maturazione politica, le prospettive più
realistiche mi parrebbero stare nell'area di centro destra.
Qui conterà molto la nuova legge elettorale, ma prima
cominciamo da Alfano.
Direi che la scelta di Alfano di fare la scissione da FI è benemerita
per il Paese in quanto ha salvato il Paese da un baratro elettorale improvviso, ma (a
riguardo della formazione del secondo polo) essa è tutt'altro che una strada in discesa.
C'è lo dice la storia che, infatti, ha sempre castigato i riformatori
(perchè odiati dai propri, che si sentivano traditi; e non accolti dagli oppositori, per
una questione di bandiera). E' stato così con Tommaso Bechet, Gorbaciov, Mario Segni ...,
perfino con Gesù Cristo, ai suoi tempi .
Per questo la conduzione del progetto di polarizzazione al
centro destra dovrà essere affidata ad un mediatore "terzo".
Circa i ritardi, molto dipenderà dai tempi necessari
a Berlusconi per rendersi conto che la sua stagione è finita, anche solo per l'età.
Ci sono, poi, nell'area di centro, i molti diseredati, tuttora in
cerca di una casa, della diaspora della DC, ma di cui la gran parte pensa a
ritrovare un posto al sole, senza privilegiare la governabilità del Paese.
Circa la legge elettorale bipolarista, la vedo bene
se include i piccoli, e per fare questo è sufficiente la modifica dei Regolamenti delle
Camere, mediante una drastica elevazione del numero per fare un gruppo parlamentare. Per
una spiegazione clicca su: Porcellum
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PADOAN PUNTERÀ A RIFORMARE L'EURO,
DURANTE IL SEMESTRE ITALIANO PRESSO LA UE ? |
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Domande dopo la Intervista a Padoan, dal Financial Times
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Secondo il Ministro:
la ripresa economica equilibrata passa attraverso
un aumento dell'inflazione e un euro più debole.
.
LUCIANI: dato il Trattato attuale, la ricetta non è
applicale . |

Nino Luciani
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Quel concetto è associato da Padoan a quello seguente,
che ne è strumento, che applicherebbe durante il semestre italiano presso la UE :"Completare il processo di aggiustamento ", che "comprende
un approfondimento del mercato unico e delle riforme per ottenere maggior
credito che scorre per le piccole e medie imprese del continente". |
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FONTE:
http://www.ft.com/cms/s/0/b552d8bc-d057-11e3-af2b-00144feabdc0.html#axzz30S4YLgry |
INTERVISTA
al ministro Padoan
di Ferdinando Giugliano and Tony Barber su Financial Times, 30 aprile 2014, Londra
(stralcio)::::::::::::
Il Ministro delle finanze d'Italia ha criticato l'UE per il
sostegno solo " a parole " alla crescita e all'occupazione in Europa , dicendo
che il percorso di una ripresa economica equilibrata passa attraverso un aumento
dell'inflazione e un euro più debole
.
.
Il signor Padoan obietta che, al contrario di quanto sostenuto dalla UE, l'Italia
non vuole rinegoziare il cosiddetto fiscal compact , che obbliga l'Italia a raggiungere e
mantenere un equilibrio strutturale di bilancio ma anche di ridurre il debito pubblico, ma
solo a farlo ad una velocità più lenta ", anzi essa vuole
attenersi a un obiettivo di disavanzo del 2,6 per cento del reddito nazionale già nel
2014.
.
L'Italia vorrebbe utilizzare il suo semestre di presidenza dell'Unione europea , a
partire dal mese di luglio, per completare questo " capitolo incompiuto del processo
di aggiustamento " , ha detto. Ciò comprende un approfondimento del mercato
unico e delle riforme per ottenere maggior credito che scorre per le piccole e medie
imprese del continente .
Il sig Padoan ha detto ha detto che Bruxelles
dovrebbe ampliare il "focus" degli indicatori economici che ha scelto di
guardare , per esempio prestando maggiore attenzione alla composizione di tagli alla spesa
e aumenti delle tasse.
::::::::::::::
Il ministro delle finanze ha anche avvertito che le pressioni
deflazionistiche della zona euro , nonché la forza dell'euro potrebbero
rivelarsi pietre d'inciampo sulla via di una ripresa . " Un tasso di cambio più
basso sarebbe utile nello stesso modo che i tassi di inflazione più elevati sarebbero
utili ", ha detto.
:::::: |
Nino Luciani,
Cerchiamo di capire i misteri di Padoan, visto che la BCE non può ....
1.- Premessa. Quelle parole di Padoan (la ripresa passa per l'inflazione
e per un euro debole) sarebbero una verità quasi ovvia (nel senso che Keynes ci ha
insegnato), se la BCE fosse una banca centrale normale, come la FED americana o la Banca
d'Inghilterra.
Ma non è così. La BCE è vincolata per statuto a dare stabilità ai prezzi, e men
che meno può sognarsi di fare da ombrello al Tesoro di un qualche Stato: vale dire non
può operare sul mercato finanziario primario come "prestatore di ultima istanza (ma
solo su quello secondario, e solo per le forzature di DRAGHI, che notoriamente hanno
indotto ricorsi presso la Corte Costituzionale tedesca.
Se, dunque, prescindiamo da questo potere di una banca centrale normale (non
della BCE) l'applicazione della ricetta di Padoan ha un significato ben diverso e anche
pericolosissimo, perchè significhebbe che egli vuole finanziare i disavanzi correnti del
bilancio dello Statoi (sia pure inferiori al 3%), emettedo titoli sul mercato finnziario.
Giovi ricordare, in proposito, che questo ricorso al mercato finanziario
potrebbe essere benedetto, ma nel pieno della crisi, quando i privari operatori non
investono, per solo lo Stato potrebbe muoversi avendo un orizzonte temporale di lungo
periodo.
Ma oggi si notano segni di risveglio degli operatori, e lo Stato non deve
fare a loro la concorrenza nella ricerca dei fondi, facendo pressione sui tassi di
interesse.
2. Ma forse Padoan tiene un asso nella manica. Ad un certo punto della
intervista, Padoan ha sfoderato il pensiero sul semestre italiano pressoi la UE, dal
prossimo luglio e il collegato proposito di "completare (in quella
occasione) il processo di aggiustamento " , che comprendebbe " un approfondimento
del mercato unico e delle riforme per ottenere maggior credito che scorre per le piccole e
medie imprese del continente".
Questo vuol dire che Padoan vuole mettereall'ordine del giorno della UE la
rinegoziazione del Trattato di Maastricht, da cui discende quella tipologia mutilata di
BCE , banca centrale "incompiuta" ? Se così fosse, il proposito di Padoan
sarebbe che la BCE divenga prestatore di ultima istanza e sia |
indipendente dagli Stati, ma con
potere di intervento differenziato in taluno di essi, al bisogno.
Voglio chiarire, qui, che la fabbricazione di moneta aggiuntiva, ma cum
grano salis, non dovrebbe avere impatti inflazionistici apprezzabili in Italia, (in
Inghilterra la svalutazione della sterlina è rimasta sotto il 30%), perchè abbiamo
rilevanti risorse inutilizzate e bilancia commerciale passiva (i due casi, previsti dai
Keynesiani, in cui non dovrebbe derivare inflazione).
Non va anche trascurato che, pur fermi nel nostro europeismo, oltre
certi limiti di sacrificio potremmo vacillare.3. La retta via,
al momento. In attesa che Padoan riesca a fare accettare la sua agenda,
suggerireidue operazioni di breve termine (a parte la scelta di fondo, ma che richiede
anni, di riportare la spesa pubblica e la pressione fiscape sotto il 45% del PIL):
a) accelerare la tempistica della spesa pubblica, in modo che al
prelievo segua prontamente spesa (cosa che oggin c'è solo per pagare gli stipendi, come
risulta da documenti della Ragioneria Generale dello Stato).
Ricordo che c'è un teorema (di Haavelmo), secondo cui, in caso di
pronta spesa (finanziata da entrata di eguale ammontare), il moltiplicatore del reddito
monetario è pari alla unità (vale dire si crea un reddito monetario aggiuntivo pari alla
spesa).
Io, poi, ho scoperto che si ha un moltiplicatore del reddito
monetario, pari alla unità, anche in caso di sgravio da imposta indiretta, bilanciato da
aggravio di imposta diretta di uguale ammontare (rinvio a ... pag. 702) .
b) estendere il criterio adottato dal governo per dare gli 80
Euro ai percettori di reddito 24.000. Consiglierei, ma una sola volta , di
aumentare l'IRPEF sui redditi sopra i 100.000 Euro (perchè con relativa alta propensione
al risparmio), e di ridurre l'IRPEF (per un pari ammontare) sui redditi sotto i 50.000
Euro (perchè con relativa alta propensione al consumo). |
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Blog frettolosi
diffondono sfiducia verso l'Italia
strumentalizzando impropriamente la London School of Economics |

Roberto Orsi
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Leggiamo da mesi ...
e tuttora sui blog.
Es. : "www.quifinanza.it"
: London School of Economics, Londra choc:
"Fra 10 anni dell'Italia non resterà
nulla".
. |
Ma
guardando dentro, si trova che è la esternazione ragionata di un ricercatore
italiano (33 anni, associato alla London School), ma non
supportata dall' "analisi causa-effetti", la sola ideonea ad un supporto
scientifico, a parte che una proiezione decennale è impossibile. |
Nino LUCIANI, Pur tra tante cause ostative del
risollevamento dell'Italia, il ritorno della Fiat (clicca qui), la
nuova macchina della Ferrari (clicca
qui),l'interesse degli Arabi per l'Italia (" IQ Made in Italy",
"Alitalia" ...) non dicono nulla ? Ma cominciamo dalla lettura del testo
originale, qui sotto a sinistra. |

Giuseppe Pietro Grillo
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Nota. Titolo originario :
Roberto Orsi, "The Demise of Italy and the Rise of Chaos".
Laureato in Giurisprudenza a Torino, PhD in relazioni internazionali alla LSE, professore
a contratto nell'Università di Tokyo.
Testo integrale in inglese: http://blogs.lse.ac.uk/eurocrisispress/2013/10/08/the-demise-of-italy-and-the-rise-of-chaos/ |
Traduzione in italiano: R.
Orsi, Il collasso dell'Italia e l'ascesa del caos. Fonte: http://www.beppegrillo.it/2013/10/la_caduta.html Gli storici del futuro probabilmente guarderanno all'Italia come un
caso perfetto di un Paese che è riuscito a passare da una condizione di nazione prospera
e leader industriale in soli vent'anni in una condizione di desertificazione economica, di
incapacità di gestione demografica, di rampate terzomondializzazione, di caduta verticale
della produzione culturale e di un completo caos politico istituzionale.
Lo scenario di un serio crollo delle finanze dello Stato italiano sta
crescendo, con i ricavi dalla tassazione diretta diminuiti del 7% in luglio, un rapporto
deficit/Pil maggiore del 3% e un debito pubblico ben al di sopra del 130%.
Peggiorerà. Il governo sa perfettamente che la situazione è
insostenibile, ma per il momento è in grado soltanto di ricorrere ad un aumento
estremamente miope dell'IVA (un incredibile 22%!), che deprime ulteriormente i consumi, e
a vacui proclami circa la necessità di spostare il carico fiscale dal lavoro e dalle
imprese alle rendite finanziarie.
Le probabilità che questo accada sono essenzialmente trascurabili. Per
tutta l'estate, i leader politici italiani e la stampa mainstream hanno martellato la
popolazione con messaggi di una ripresa imminente. In effetti, non è impossibile per
un'economia che ha perso circa l'8 % del suo PIL avere uno o più trimestri in territorio
positivo.
Chiamare un (forse) +0,3% di aumento annuo "ripresa" è una
distorsione semantica, considerando il disastro economico degli ultimi cinque anni. Più
corretto sarebbe parlare di una transizione da una grave recessione a una sorta di
stagnazione.
Il 15% del settore manifatturiero in Italia, prima della crisi il più
grande in Europa dopo la Germania, è stato distrutto e circa 32.000 aziende sono
scomparse. Questo dato da solo dimostra l'immensa quantità di danni irreparabili che il
Paese subisce.
Questa situazione ha le sue radici nella cultura politica enormemente
degradata dell'élite del Paese, che, negli ultimi decenni, ha negoziato e firmato
numerosi accordi e trattati internazionali, senza mai considerare il reale interesse
economico del Paese e senza alcuna pianificazione significativa del futuro della nazione.
L'Italia non avrebbe potuto affrontare l'ultima ondata di
globalizzazione in condizioni peggiori. La leadership del Paese non ha mai
riconosciuto che l'apertura indiscriminata di prodotti industriali a basso costo dell'Asia
avrebbe distrutto industrie una volta leader in Italia negli stessi settori.
Ha firmato i trattati sull'Euro promettendo ai partner europei riforme mai
attuate, ma impegnandosi in politiche di austerità. Ha firmato il regolamento di Dublino
sui confini dell'UE sapendo perfettamente che l'Italia non è neanche lontanamente in
grado (come dimostra il continuo afflusso di immigrati clandestini a Lampedusa e gli
inevitabili incidenti mortali) di pattugliare e proteggere i suoi confini.
Di conseguenza , l'Italia si è rinchiusa in una rete di strutture
giuridiche che rendono la scomparsa completa della nazione certa.
L'Italia ha attualmente il livello di tassazione sulle imprese
più alto dell'UE e uno dei più alti al mondo. Questo insieme a un mix fatale di
terribile gestione finanziaria, infrastrutture inadeguate, corruzione onnipresente,
burocrazia inefficiente, il sistema di giustizia più lento e inaffidabile d'Europa, sta
spingendo tutti gli imprenditori fuori dal Paese .
Non solo verso destinazioni che offrono lavoratori a basso costo, come
in Oriente o in Asia meridionale: un grande flusso di aziende italiane si riversa nella
vicina Svizzera e in Austria dove, nonostante i costi relativamente elevati di lavoro, le
aziende troveranno un vero e proprio Stato a collaborare con loro, anziché a sabotarli.
A un recente evento organizzato dalla città svizzera di Chiasso per
illustrare le opportunità di investimento nel Canton Ticino hanno partecipato ben 250
imprenditori italiani. La scomparsa dell'Italia in quanto nazione industriale si riflette
anche nel livello senza precedenti di fuga di cervelli con decine di migliaia di giovani
ricercatori, scienziati, tecnici che emigrano in Germania, Francia, Gran Bretagna,
Scandinavia, così come in Nord America e Asia orientale.
Coloro che producono valore, insieme alla maggior parte delle persone
istruite è in partenza, pensa di andar via, o vorrebbe emigrare. L'Italia è diventato un
luogo di saccheggio demografico per gli altri Paesi più organizzati che hanno
l'opportunità di attrarre facilmente lavoratori altamente, addestrati a spese dello Stato
italiano, offrendo loro prospettive economiche ragionevoli che non potranno mai avere in
Italia.
L'Italia è entrata in un periodo di anomalia costituzionale.
Perché i politici di partito hanno portato il Paese ad un quasi -
collasso nel 2011, un evento che avrebbe avuto gravi conseguenze a livello globale. Il
Paese è stato essenzialmente governato da tecnocrati provenienti dall'ufficio del
Presidente Repubblica, i burocrati di diversi ministeri chiave e la Banca d'Italia. Il
loro compito è quello di garantire la stabilità in Italia nei confronti dell'UE e dei
mercati finanziari a qualsiasi costo.
Questo è stato finora raggiunto emarginando sia i partiti politici sia il
Parlamento a livelli senza precedenti, e con un interventismo onnipresente e
costituzionalmente discutibile del Presidente della Repubblica , che ha esteso i suoi
poteri ben oltre i confini dell'ordine repubblicano.
L'interventismo del Presidente è particolarmente evidente nella
creazione del governo Monti e del governo Letta, che sono entrambi espressione diretta del
Quirinale. L'illusione ormai diffusa, che molti italiani coltivano, è credere che
il Presidente, la Banca d'Italia e la burocrazia sappiano come salvare il Paese.
Saranno amaramente delusi. L'attuale leadership non ha la capacità,
e forse neppure l'intenzione, di salvare il Paese dalla rovina. Sarebbe facile sostenere
che Monti ha aggravato la già grave recessione. |
Nino
Luciani, I giovani hanno antenne speciali, per cui non vanno mai ignorati. Ma un vero
economista fa l'analisi causa-effetti (non basta annotare statisticamente gli
"effetti"). Poi, in termini di etica del comportamento, sarebbe stato
appropriato allertare i blog-lettori che il blog del ricercatore è ospite di uno dei siti
della propria università, e non ne impegna la responsabilità scientifica. 1.
Il significato fondamentare del testo di R. ORSI. Secondo me, esso rivela in
primo luogo la profonfa sfiducia personale di un giovane significativo (è un
ricercatore apprezzato ovunque, ma non accolto in Italia) e questa è una grave
responsabilità non dell'Italia, ma di tutti noi anziani, che abbiamo pensato molto a noi
e poco a loro, quando potevamo.
Nel merito dei suoi argomenti, essi sono tutti validi in termini
descrittivi di effetti. Manca, invece, una totale percezione delle cause di tanto
"collasso" per il nostro Paese.
Non ho una sicurezza piena, nè una contezza esaustiva, delle cause
del collasso, ma su tre cause so dire fondatamente (ma anch'io, a titolo personale).
a) L'euro ha declassato la concorrenzialità dell'Italia.
Nel 2002 l'Euro fece raddoppiare i prezzi, nel giro di un anno. Questo non era avvenuto in
Germania, e in nessun altro Paese dell'Unione. Motivi ? Era stato sbagliato il calcolo el
cambio, nella conversione della Lira in Euro.
Se andiamo a vedere l'andamento del commercio estero dell'Italia, troviamo
che dal 2002 al 2014 (sono ricerche che ho fatto l'anno scorso) troviamo che in
termini reali la quantità dell'import e dell'export non è amentata.
Visto che abbiamo perduto il potere monetario, potremmo valersi del
potere fiscale. Es. ridurre l'IVA al minimo (16%), e questo è coerente con Orsi. Ricordo
che l'IVA non grava sulle esportazioni, ma sulle importazioni.
Dunque: non c'è futuro per l'Italia?
Circa le responsabilità ( e serietà) della UE ho poca fiducia.
Circa la rimozione della caduta di concorrenzialità dell'Italia, in questi
mesi e in questi giorni sono avvenuti alcuni fatti molto significativi:
- La Fiat, con Crysler, ha conquistato uno
scenario commerciale mondiale ( Stati Uniti, in Asia, oltre che in Euopa, e altro). Questo
fatto è fondamentale per dare coraggio a tutti gli imprenditori.
- La Ferrari ha fatto un motore di assoluta
avanguardia per velocità e basso consumo di energia. Anche queso fatto è molto
"in".;
- Gli Arabi stanno venendo in Italia. Non è da adesso che da
quella parte (Arabi e Turchi) si aspira ad entrare in Europa. Li abbiamo fermati
militarmente a Tolosa (721), a Poitiers (732), a Lepanto (1572), definitivamenta a Granata
(1614), a Vienna (1683).
Ma adesso vogliono venire in pace. Ho sempre pensato che una Europa
vera è "romana", vale è mediterranea e continentale.
b) L'eccesso di socializzazione del sistema economico, ha
messo un macigno al piede alle imprese. La socializzazzione dell'Italia fu
avviata nel 1961 (con il centro-sinistra: il PSI entrò al governo, e fu espulso il PLI) e
portata molto avanti negli anni 1970-80. Siamo passati da una pressione
fiscale del 30% nel 1960 al 55% del 2014 (pressione in senso stretto + grado di
inflazione).
I motivi iniziali erano molto validi. L'Italia aveva fatto il
"miracolo economico" a fine anni '50, ma le diseguaglianze sociali erano
aumentate. Serviva portare le scuole e gli ospedali uniformemente nel Paese. Serviva
fare le grandi autostrade e ammodernare la rete ferroviaria.
Ma si è dato troppo oltre: non occorreva fare le Regioni a statuto
ordinario, non occorreva nazionalizza e municipalizzare le imprese.
Non solo questo. Sfortunatamente l'eccesso di socialismo (a scapito
del mercato) si accompagna di solito a fenomeni degenerativi: i partiti si impadroniscono
dello Stato.
Sono rimaste famose le denunce di Gobarciov. La
"nomenlclatura" (intendi: il partito e, sotto il partito, la l'alta burocrazia e
la polizia politica) si era impadronita della ricchezza del Paese, ma portando il
PIL al declino.
Torniamo in Italia. E' sotto gli occhi di tutti il ladrismo e la
furfanteria dei partiti (non le persone), e ciò ha portato lo Stato all'impotenza
finaziaria (tutti i soldi sono impegnati per loro, e lo Stato non paga le imprese
fornitrici, il massimo della disonestà e impunità pubblica). Le voci criminali stanno
all'interno di denominazioni nobili, quali "spese generali della Pubblica
Amministrazione", le Regioni, i cosiddetti "Enti pubblici" non territoriali
.
E' possibile riportare l'Italia dal socialismo al mercato,
ferme le fondamentali conquiste umane e sociali del nostro popolo ?
Su questa palla al piede dell'Italia (vale dire eccesso di spesa pubblica)
sarà una gara dura (servono 20 anni). Qui c'è di mezzo anche la incapacità di decisione
del Governo. Vediamo il punto seguente
c) Da anni si invoca la riforma costituzionale della
Governance, visto che le leggi elettorali non sono bastate, ma non si vede la via.
Torno qui su concetti che espresso in altri servizi.
ll Governo non riesce a prendere decisioni importanti,
impopolari, perchè è sottoposto al voto di fiducia dei partiti in parlamento
Potrebbero, mai, i partiti-ladri sostenere a un Governo che vuole
privarli dei loro privilegi ? Dunque la via di uscita è far dipendere il governo
direttamente dal popolo (come in USA, in Russia)
Nel dopo elezioni 2013, il Governo Letta si era impegnato per la
riforma costituzionale e, solo dopo, per una nuova elettorale.
Così pareva quando, poi, arrivò Renzi, che si impegnò per una legge
dei sindaci, da applicare al Governo.
Ma ultimamente c'è stata la virata di Renzi-Berlusconi, verso la
legge elettorale, e che ha abbandonato la legge dei Sindaci.
Questo vuole dire lasciare il Governo nelle mani dei partiti (sia pure
quelli grandi e quindi non cambierà nulla.
Qui tornano i motivi di sfiducia sulla rimozione delle cause.
Ma ORSI se la prende con Napolitano, andato oltre i poteri
legittimi costituzionali, in realtà giustificato dalla "necessità" (come fonte
del diritto), di colmare un vuoto lasciato dal Governo.
Dunque, la responsabilità va caricata sui partiti, e qui pare che
Renzi ci sia dentro tutto, se ama più il partito che l'Italia. Nino
Luciani |
Continua: Roberto Orsi
Letta sta seguendo esattamente lo stesso percorso: tutto deve essere
sacrificato in nome della stabilità. I tecnocrati condividono le stesse origini
culturali dei partiti politici e, in simbiosi con loro, sono riusciti ad elevarsi
alle loro posizioni attuali: è quindi inutile pensare che otterranno risultati migliori,
dal momento che non sono neppure in grado di avere una visione a lungo termine per il
Paese.
Sono in realtà i garanti della scomparsa dell'Italia.
In conclusione, la rapidità del declino è davvero
mozzafiato. Continuando su questa strada, in meno di una generazione non rimarrà nulla
dell'Italia nazione industriale moderna. Entro un altro decennio, o giù
di lì, intere regioni, come la Sardegna o Liguria, saranno così demograficamente
compromesse che non potranno mai più recuperare. I fondatori dello Stato italiano 152
anni fa avevano combattuto, addirittura fino alla morte, per portare l'Italia a quella
posizione centrale di potenza culturale ed economica all'interno del mondo occidentale,
che il Paese aveva occupato solo nel tardo Medio Evo e nel Rinascimento.
Quel progetto ora è fallito, insieme con l'idea di avere una qualche
ambizione politica significativa e il messianico (inutile) intento universalista di
salvare il mondo, anche a spese della propria comunità. A meno di un miracolo, possono
volerci secoli per ricostruire l'Italia.
Roberto Orsi, London School of Economics |
|
.
Unione Europea: Il TESTO INTEGRALE del COMUNICATO sull'ITALIA
FONTE: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-1082_en.htm |

Olli Rehn
|
Ricominiciando
dalla audizione del commissario europeo OLLY REHN,
alla commissione bilancio del 17 sett. 2013
.
Il Commissario parlò a "nuora" perchè
"suocera" intenda:
"La FERRARI, come l'Italia, incarna una grande tradizione di
stile e di capacità tecnica, ma per vincere nella gara della crescita globale bisogna
avere il motore più competitivo ed essere sempre pronti a modificare, a cambiare e ad
adeguarsi". |

Enrico Letta
|
LUCIANI: |
Tutti sanno
che la Ferrari rientra sempre nelle prime posizioni delle gare, e quindi il motore non
c'entra per niente. Non si capisce come ragioni questo Rehn... . Quanto al rapporto
debito/PIL, bisogna capire che l'aumento della tassazione permette di ridurre il
numeratore,
ma fa cadere il denominatore, col rischio di trovarci intrappolati in una spirale
senza fine, e aumento del rapporto. Ne parliamo qui sotto. |
|
COMMISSIONE EUROPEA - Il COMUNICATO STAMPA del 15 nov. 2013
Parere sul documento programmatico di bilancio dell'Italia (legge di stabilità):
" 1) Vi è il rischio che il documento programmatico di bilancio per il 2014
non sarà conforme alle regole del patto. In particolare, il punto di riferimento la
riduzione del debito nel 2014 non è rispettata.
2) Il piano di bilancio Progetto dimostra progressi limitati per quanto riguarda la
parte strutturale delle raccomandazioni fiscali emanate dal Consiglio nel contesto del
semestre europeo.
3) La Commissione invita le autorità a prendere le misure necessarie nell'ambito
del processo di bilancio nazionale, al fine di garantire che il bilancio 2014 sarà
pienamente compatibile con il PSC e in particolare per affrontare i rischi individuati
nella valutazione.
4) La Commissione ha concluso che l'Italia non può usufruire della clausola di
investimento nel 2014 in quanto, sulla base della Commissione 2013 previsioni d'autunno,
non avrebbe l'aggiustamento minimo strutturale necessario per portare il rapporto
debito-PIL su un sentiero abbastanza in declino."
FONTE: http://europa.eu/rapid/press-release_IP-13-1082_en.htm |
|
|
Audizione del Vicepresidente della Commissione europea,
Olli Rehn.
PRESIDENTE.
L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto delle Comunicazioni della
Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio «Verso un'Unione economica e monetaria
autentica e approfondita Creazione di uno strumento di convergenza e di
competitività»
........
.......
OLLI REHN, Vicepresidente
della Commissione europea. Grazie e buongiorno onorevole presidente e onorevoli
colleghi. Il dialogo con i parlamenti nazionali è un elemento chiave della nuova governance
economica europea. Pertanto, sono davvero lieto di essere qui con voi oggi per parlare del
cammino verso la ripresa in Italia e in Europa e delle sfide comuni che dobbiamo
affrontare insieme.
:::::::::::::::::::
1- Prima di
entrare nelle noiose questioni economiche, so che un mio connazionale è
ultimamente salito agli onori della stampa italiana e spero che l'ingaggio di Kimi
Raikkonen da parte della Ferrari sarà fonte di ispirazione non solo per
la Ferrari, ma anche per l'Italia nel suo complesso.
Per essere chiari, purtroppo, il talento non basterà. La Ferrari, come
l'Italia, incarna una grande tradizione di stile e di capacità tecnica, ma per vincere
nella gara della crescita globale bisogna avere il motore più competitivo
ed essere sempre pronti a modificare, a cambiare e ad adeguarsi.
L'Italia è la terza economia dell'Eurozona in ordine di grandezza
e, quindi, non può permettersi di far andare a singhiozzo il motore della
crescita. Il motore dell'economia italiana ha bisogno di un'urgente revisione e
non può perdere tempo in dispute ai pit stop. Spero, quindi, che l'Italia guidi
con due mani sul volante e che rimanga fermamente in pista.
La situazione della pista sta migliorando, perché l'estate ci ha portato
alcuni segnali incoraggianti, secondo cui le economie dell'Eurozona si stanno avvicinando
al punto di svolta che da tanto tempo attendevamo. È in corso
l'inizio di una graduale ripresa nell'area dell'euro, che speriamo si consolidi nei
prossimi mesi e acquisti slancio durante l'anno prossimo, in cui dovremmo vedere anche un
miglioramento dei dati sull'occupazione. Ciò dimostra che la nostra strategia di
consolidamento di bilancio differenziato e di riforme economiche a sostegno della
competitività, una volta applicata, ha successo, funziona e apre la strada a una
ripresa sostenibile della crescita, dello sviluppo economico e dell'occupazione.
2.- Ci sono, però, ancora differenze considerevoli tra i diversi Stati membri. In alcuni
Paesi, tra cui l'Italia, i dati recenti sulla crescita economica sono
stati, purtroppo, deludenti. Sono dolorosamente consapevole del fatto che in alcuni Stati
membri la disoccupazione è ancora troppo elevata.
Le condizioni di credito troppo rigide, specie per le
piccole e medie imprese, seguitano a rappresentare un collo di bottiglia molto grave, che
ostacola la crescita.
Sono consapevole anche delle difficoltà di molte famiglie italiane e di
molte piccole e medie imprese nell'ottenere prestiti a tassi accettabili.
Dichiarare, quindi, che la crisi è finita sarebbe prematuro. Tutti noi sappiamo che
questa crisi non è un normale rallentamento ciclico, ma affonda le sue radici negli
insostenibili squilibri macroeconomici che abbiamo lasciato accumularsi nell'ultimo
decennio.
Nel caso italiano questi squilibri assumono la forma
di un elevato livello del debito e un lungo declino della
competitività, in particolare di quella legata ai prezzi, che
ha sofferto moltissimo.
I costi unitari della manodopera sono aumentati più rapidamente
rispetto al resto dell'area dell'euro, situazione che risale già al 1998. Per
questo motivo sia in Europa, sia in Italia noi dobbiamo avviare le riforme economiche. Ci
vorrà una forte volontà, ma, lo ripeto, non cè margine di manovra per indulgere
in forme di autocompiacimento.
L'Unione europea ha perseguito con coerenza una strategia globale per
risolvere la situazione delle finanze pubbliche mentre attuava le riforme economiche per
la crescita. Questo ha rafforzato la fiducia nell'economia europea tra gli operatori del
mercato e l'opinione pubblica.
Per conseguire un ulteriore miglioramento della fiducia degli
investitori e dei consumatori e rafforzare la domanda interna, un fattore fondamentale è
ovviamente la stabilità politica. Nel caso dell'Italia, dove l'economia
mostra ancora segni di debolezza e stiamo ancora attendendo la crescita, l'incertezza
politica frena gli investimenti e la ripresa tanto necessari.
Questo è il contesto in cui l'Unione europea ha chiesto
collettivamente all'Italia di adottare azioni e interventi urgenti. Mi riferisco alle
raccomandazioni del Consiglio.
3.- Nel mese di luglio,
all'unanimità, il Consiglio ha espresso una serie di raccomandazioni dirette a tutti gli
Stati membri, ivi inclusa l'Italia.
a) Specificamente, nelle raccomandazioni del Consiglio dirette all'Italia si
parlava della riduzione del debito pubblico, dell'attuazione di riforme
del mercato del lavoro e dei prodotti e di migliorie al funzionamento
della Pubblica amministrazione e del sistema giudiziario.
L'onere fiscale sul lavoro in Italia è elevatissimo, tra i
più alti in Europa, ragion per cui il Consiglio ha raccomandato all'Italia di spostarlo,
togliendolo dai fattori di produzione, per incoraggiare la crescita economica.
Sono passati tre mesi da luglio. Qual è adesso la posizione dell'Italia ? Si
stanno realizzando passi in avanti per migliorare il contesto economico, affrontare gli
annosi problemi della giustizia civile e combattere la disoccupazione
giovanile, per esempio attraverso il programma di garanzia per i giovani, ma sono
fondamentali anche alcune riforme strutturali protratte per valorizzare il potenziale di
crescita italiano e per affrontare in maniera decisiva una disoccupazione che è arrivata
al 12 per cento in luglio e che è elevatissima tra i giovani. Si è attestata, infatti,
al 39 per cento, sempre a luglio. |
Nino
Luciani, Il debito pubblico aggiuntivo è l' "ultima risorsa" per alimentare
subito in Italia una adeguata "domanda effettiva", prima che la metà
delle imprese vada perduta. Vediamo perchè. 1.
Partire dalla corretta diagnosi, quale presupposto per una terapia idonea. Il
sistema economico italiano è oggi quasi impotente a reagire alla crisi economica per il
fatto che lo Stato (incluse le Regioni) .
Il nodo della crisi sta nel fatto che è una forte caduta della
"domanda effettiva" (parola di J.M. Keynes, che sta a significare una domanda
accompagnata da potere d'acquisto in moneta), pur se c'è ancora in Italia una struttura
produttiva importante, ma che rischia di sparire sempre più se l'assenza di domanda
effettiva si protrae.
Questo pone il problema della indifferibilità della creazione di domanda
effettiva, ma da affrontare sulla base di una chiara distinzione
tra problemi congiunturali (vale dire del subito) e problemi strutturali (vale dire da
programmare in 5-10 anni), che si possono risolvere solo con governi di legislatura ( la
quale cosa rinvia alle riforme costituzionali della governance, del governo Letta,
più che alla legge elettorale, pur utile).
Sia chiaro che tra le due tipologie di problemi c'è un legame: nel
senso che, teoricamente, le questioni congiunturali possono essere affrontate
adeguatamente solo dallo Stato, ma lo può fare solo in stretti limiti, perchè lo Stato
oggi è divenuto un lungo vecchio treno, difficile da controllare, quasi senza freni e
quasi senza acceleratore.
Pertanto, quando OLLI REHN ci dice di abbattere la spesa pubblica (se non possiamo
sostenere l'attuale pressione fiscale), ci domandiamo con chi stiamo parlando. Non puoi
tagliare la coda al cavallo, mentre giace a terra con il febbrone.
Ma andiamo per gradi. Qui discuto i problemi di congiuntura. Tratto dei
problemi di struttura in altra pagina. Clicca su: FORUM
2-2013.htm.
2.- Perchè manca una domanda effettiva ? Come
conseguenza delle ultimi due grandi guerre (IRAQ e AFGHANISTAN), complice il sostegno
finanziario delle grandi banche, si è venuta a creare una grande modifica della
distribuzione del reddito tra i cittadini (in Italia e all'estero), con molte somiglianze
a quanto avvenuto nel 1929. Come allora molte persone sono divenute povere, e altre sono
divenute ricche e super-ricche, in Italia e fuori.
Ma i ricchi hanno una relativa alta propensione al risparmio (e
invece, bassa per la spesa in consumi) e questa propensione aumenta tantissimo in caso di
crisi (perchè le persone vi trovano motivi aggiuntivi per chiudersi in casa e proteggere
la ricchezza conquistata). Questa è una prima ragione, sul lato domanda effettiva, della
caduta delle vendite e quindi della crisi delle imprese.
In queste condizioni cadono anche gli investimenti privati, perchè
gli operatori privati hanno un orizzonte temporale breve e si muovono in base alle
aspettative di ottimismo.
Poco importa che Draghi aumenti la liquidità alle banche, e questo
per due motivi:
- anche se i tassi di interesse sono bassi, ma le aspettative sono di tassi
di rendimento del capitale negativi, il denaro non interessa;
- ci sono operatori in difficoltà, che tentano di prendere tempo, chiedendo
credito, ma le banche non sono "benefattori" e non fanno credito a chi è messo
male.
Teoricamente, solo lo Stato ha i requisiti per salvare la situazione, perchè ha un
orizzonte temporale molto lungo.
Ma abbiamo visto quanto avvenuto col governo Monti. Non il fatto di tassare per
salvare lo Stato dalla bancarotta, ma il fatto di non spendere in tempo reale quanto
prelevato, e dunque di creare recessione.
Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che distrugge
i raccolti, perchè alla imposta segue poi la spesa del prelievo (quello che lo Stato
toglie a te, lo da a un altro, che spende al posto tuo). Il presupposto è che lo Stato
spenda in tempo reale, quanto spendibile .
L' economista norvegese T. Haavelmo, premio Nobel, ci
aveva insegnato che una spesa pubblica, bilanciata da imposta di eguale ammontare, crea un
PIL monetario aggiuntivo pari all'ammontare della spesa, in un determinato tempo. Il
presupposto è che lo Stato spenda, in tempo reale, lo spendibile e che la propensione
alla spesa, dello Stato, sia il 100%, mentre quella dei privati tassati sia minore del
100%.
Quanto a Monti, dai documenti della Ragioneria dello Stato risultava
che lo Stato riusciva a spendere (causa lentezza burocratica) grosso modo
il 70% di quanto spendibile. Di più, aveva l'opposizione della UE, causa il patto
stabilità.
Adesso Letta fa qualcosa in più di Monti, perchè (con la legge di
stabilità) modifica la distribuzione dei redditi a favore dei redditi medio-bassi,
ma ancora poco rispetto a quanto serve, e tuttavua il massimo fattibile da un governo,
dove la destra (che rappresenta le classi di reddito medio-alte) è determinante per fare
maggioranza.
Vale, in ogni caso, anche per Letta, quanto detto per Monti: causa
lentezza burocratica la elevata pressione fiscale continuerà ad avere effetti recessivi,
prevalenti.
3.- Per sbloccare domanda effettiva, può andare bene un debito pubblico
aggiuntivo, purchè in un quadro di bilanci di competenza in pareggio. Va
chiarito che la lentezza del procedimento burocratico dello Stato italiano non è nuova.
E' stato sempre così, ma in passato provvedevano le banche a fare le anticipazioni di
cassa alle imprese, in attesa che arrivasse il danaro statale.
Ma adesso le banche sono in tilt di loro, e questo evidenzia il buco
nero statale.
Come risolvere ? Se la legge di stabilità è veritiera e dunque se il
bilancio di competenza è in pareggio ( meglio dire, se il saldo rispetta il tetto del 3%
del PIL), grosso modo la previsione dovrebbe essere recuperata in un orizzonte di 2-3
anni, a parte effetti positivi sul PIL.
Il problema è come coprire il buco di bilancio in corso d'opera, e
questo è possibile se c'è la possibilità di anticipazioni di cassa di qualcuno.
Questo qualcuno non può che essere il grande pubblico, mediante
sottoscrizione di Buoni del Tesoro di due-tre anni. Si tratterebbe grosso modo di un
debito fluttuante, almeno come concetto, in quanto assorbibile nel triennio.
E dietro questo qualcuno, c'è la BCE sul mercato secondario.
Torniamo a OLLY REHN. Mi pare che continuare a battere il chiodo sul lento
rientro del debito pubblico (cosa diversa dal rapporto deficit/PIL, ma che ne è il
risvolto), non vada bene. E' come mettere la testa dentro il sacco.
E' anche vero che OLLI REHN dice: se non potere aumentare le imposte,
abbassate le spese.
Ma anche questo non va bene. Non puoi tagliare la coda al cavallo, mentre
giace a terra col febbrone.
Con questo sono tornato alle parole iniziali, più sopra.
Per quanto, invece, riguarda gli aspetti strutturali della crisi
italiana, rinvio alla pagina NINO LUCIANI |
|
Inoltre,
la recente decisione di abolire l'IMU sulle prime case per il 2013 ha
suscitato e suscita preoccupazioni per quanto riguarda lo spostamento dell'onere
fiscale dai fattori di produzione verso altri cespiti.
Valuteremo, come è nostro dovere, l'impatto della programmata service
tax sotto questi profili, una volta che in seno al Governo italiano saranno convenuti
i dettagli concreti della proposta e questa sarà trasmessa alla Commissione europea e
all'Eurogruppo.
4.- All'inizio dell'anno noi avevamo raccomandato al Consiglio di
sospendere la procedura per il disavanzo eccessivo per l'Italia, ragion
per cui l'Italia è uscita dalla procedura per disavanzo eccessivo.
La procedura è chiusa, dunque, ma l'Italia dovrà essere
all'altezza degli impegni assunti, come il Governo italiano ha più volte dichiarato.
Rilevo ciò perché la stabilità di bilancio è
fondamentale per consentire all'Italia di avviare il proprio altissimo debito pubblico,
pari a circa il 130 per cento del PIL, sulla strada di una riduzione costante e
intraprendere un percorso sostenibile a favore della crescita e dell'occupazione.
Sono fiducioso che le autorità italiane nel loro lavoro sul bilancio questo
autunno terranno presenti tali priorità. Per la prima volta il bilancio italiano sarà
poi oggetto di valutazione approfondita da parte della Commissione europea e, in una fase
successiva, dell'Eurogruppo.
:::::::::::::::
Ci potremmo chiedere che cosa significhi concretamente tutto ciò.
Cercherò di spiegarlo.
a) Entro il 15 ottobre tutti i Paesi membri dell'euro dovranno presentare
i progetti di bilancio per il 2014 alla Commissione europea e all'Eurogruppo.
b) A novembre la Commissione europea procederà a una valutazione dei
progetti di bilancio per valutare se gli interventi proposti siano conformi alle regole di
bilancio europee e alle pertinenti raccomandazioni del Consiglio.
Il nostro parere verrà reso pubblico e potrà essere
considerato come una voce indipendente che concorrerà al dibattito sui bilanci nazionali,
i quali, però, in ultima analisi, sono deliberati a livello nazionale.
Se il progetto di bilancio non è conforme agli impegni assunti, la
Commissione europea ha il dovere di chiedere alcune correzioni, mantenendo la vigenza
delle normali regole di bilancio.
Se uno Stato membro viola i valori di riferimento del Trattato per
quanto riguarda il disavanzo e/o il debito, la Commissione dovrà adottare i passi
necessari e aprire la procedura per disavanzo eccessivo.
:::::::::::::::::
Dagli Stati membri
siamo criticati molto spesso, e in pari misura.
Fintantoché però gli Stati membri non si rendono pienamente conto che le
riforme sono fondamentali per il coordinamento delle politiche economiche nell'area
dell'euro, secondo il dettame del trattato, io temo che l'Europa non andrà molto avanti
sulla strada di un'integrazione economica e di bilancio più profonda e autentica.
Un'Unione di bilancio più autentica e approfondita può
essere creata soltanto con una profonda dinamica democratica a livello nazionale ed
europeo. Ogni passo compiuto verso una maggiore solidarietà e verso la messa in
comune dei rischi economici deve accompagnarsi con un'assunzione di maggiore
responsabilità e prudenza di bilancio, con un'ulteriore condivisione della
sovranità, nonché con un'integrazione più approfondita dei processi decisionali. Questo
è il principio che ispira la Commissione europea nel suo tentativo di costruire un'Unione
economica e di bilancio che sia forte quanto già lo è l'Unione monetaria.
5.- Dobbiamo
anche affrontare i punti deboli che ancora permangono nel settore
bancario e che rappresentano un problema che riguarda anche l'Italia. Per
esempio, i passi avanti nell'attuazione dell'Unione bancaria sono fondamentali per
rafforzare la fiducia dei mercati e attribuire un fondamento alla stabilità finanziaria
di lungo periodo in Europa.
Al proposito abbiamo adottato la settimana scorsa il Meccanismo unico
di vigilanza per le banche dell'area dell'euro, un passo significativo dopo il
voto del Parlamento europeo, con una grande e ampia maggioranza. Il passo successivo è la
creazione del Meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie, che comprende sia
un'Autorità, sia un fondo. Su questo la Commissione ha presentato una
proposta in luglio. L'obiettivo sarà quello di garantire che i soldi dei contribuenti
siano utilizzati in casi eccezionali e in modo limitato.
I fondi per la risoluzione delle crisi bancarie dovrebbero
provenire in linea primaria dal settore bancario stesso, ragion per cui noi
abbiamo proposto di accompagnare l'Autorità europea di risoluzione delle crisi bancarie
con un fondo comune finanziato dal settore.
L'Unione bancaria necessita di un avvio solido e forte, con una
revisione rigorosa della qualità degli attivi. I test previsti per l'anno
prossimo sono una componente fondamentale della nostra strategia complessiva per una
crescita sostenibile e per un miglioramento dell'occupazione.
Ricorderete, non più tardi dell'anno scorso, le speculazioni e i
timori delle forze di mercato rispetto a una crisi dell'euro iniziata in Grecia, una
Grecia travolta dall'instabilità politica.
Invece di perdere vecchi membri, stiamo, in realtà, per acquistarne
uno nuovo, la Lettonia, che ha condotto in maniera determinata riforme economiche e una
linea di rigore di bilancio.
Attraverso un processo molto impegnativo ma relativamente breve, la
Lettonia si è lasciata alle spalle il suo programma di aggiustamento ed è tornata a
forti dati di crescita economica, più o meno al 4 per cento per quest'anno e per l'anno
prossimo, con la disoccupazione in calo dal 13 per cento a meno del 10 per cento. Il 1
gennaio 2014 la Lettonia aderirà, quindi, all'area dell'euro. Il paese ha dato prova di
quella capacità di adeguamento e quella cultura della stabilità che sono vitali per la
partecipazione all'Eurozona.
6.- Complessivamente, quindi, i recenti dati
positivi sull'economia europea dimostrano che la nostra strategia economica comune
funziona e può aprire la strada a una ripresa sostenibile e al miglioramento
dell'occupazione.
Le nostre strategie si fondano sulla riforma e l'ammodernamento del
modello economico e sociale europeo, senza aggrapparci a nostalgie per lo status quo
che porterebbero soltanto al declino economico permanente dell'Europa, facendo di noi un
pezzo da museo per il resto del mondo, e senza smantellare il modello europeo.
Noi crediamo infatti nella combinazione tra cultura della stabilità,
impulso imprenditoriale e giustizia sociale, ma vogliamo riformare in maniera autentica,
ammodernando l'economia sociale di mercato a beneficio della crescita sostenibile e della
creazione di posti di lavoro in Europa. Grazie.
:::::::
Omesse domande (e rispettive
risposte) di BOCCIA FRANCESCO, GIAMPAOLO GALLI. ANDREA ROMANO. ROCCO PALESE.
GUIDO GUIDESI. GIULIO MARCON. PAOLA CARINELLI, GIANFRANCO LIBRANDI.
La seduta termina alle 13.10. |
|
.
EDIZIONI
PRECEDENTI |
In margine al Seminario della Banca d'Italia, Palazzo Koch,
Roma 16 sett. : " Dal T.U.B. -Testo unico bancario all'Unione bancaria "
http://www.bancaditalia.it/media/notizie/convegno-giuridico-160913/Programma.pdf |

Renzo Costi
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.
DUE RELAZIONI SOTTOPOSTE ai nostri lettori
|
Dott. S. Rossi, Direttore della Banca d'Italia;
" Regolamentazione e vigilanza sulle banche"
|
|
. Prof. R. Costi, Ordinario di diritto dei mercati
finanziari:
" Il Testo unico bancario, oggi " |
|

Salvatore Rossi
|
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|
Nota. Questo seminario ha voluto "avviare una
riflessione su quali parti del nostro Testo unico bancario (1993) debbano ritenersi
obsolete, superate dalla nuova legislazione europea; quali parti siano invece ancora
attuali e vadano conservate".
Delle 10 relazioni presentate si focalizza l'attenzione solo sulle due più
direttamente chiamate a rispondere al quesito,anche perchè solo l'una è già pubblicata
sul sito della Banca d'Italia e la seconda ci è stata data generosamente dal prof. Costi.
Llimito il commento alla introduzione del Direttore Generale, perchè più
politica e di tono economico, più vicina alla mia formazione, ma anche dopo aver studiato
la seconda, un testo magistrale per documentazione e considerazioni. |
|
|
Salvatore
Rossi , Il Testo unico bancario
1.- Premessa. I vent'anni dall'emanazione in Italia del Testo unico delle leggi
in materia bancaria e creditizia ricorrono quasi in contemporanea con il varo del
regolamento dell'Unione europea che istituisce il Meccanismo di vigilanza unico. Con
questo Convegno ci siamo proposti di avviare una riflessione su quali parti del nostro
Testo unico bancario debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione
europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate e suggerite come
modello per l'Unione bancaria. 2.- Banca
come impresa e sua sfera di attività. Il Testo unico bancario razionalizzò la
normativa preesistente nel nostro paese; non introdusse precetti radicalmente nuovi, ma
disegnò linee di politica legislativa volte a guidare le autorità creditizie
nell'applicazione della legge.
Il Testo unico diede innanzitutto un segnale chiaro di riconoscimento delle ragioni
del mercato, in un tempo e in un campo ancora segnati da forti pregiudizi dirigisti.
Un mercato regolato, certo, ma in un sistema che riconosce centralità
all'iniziativa privata: lo testimonia il bisogno sentito dall'estensore del Testo di
statuire espressamente che l'attività bancaria "ha carattere d'impresa" (art.
10, comma 1).
In altri passaggi, il Testo unico intese sprigionare le forze del mercato,
come nel rendere possibili - all'art. 31 - trasformazioni e fusioni di banche popolari non
solo a fini di rafforzamento patrimoniale ma anche di "razionalizzazione del
sistema", purché dal processo risultassero società per azioni. In generale, la
società per azioni veniva scelta come il modello di governance più adatto a stimolare
l'efficienza gestionale e il ricorso al mercato dei capitali, anche in funzione di una
maggiore capacità di erogare credito, date le regole di Basilea I che già legavano tale
capacità alla dotazione patrimoniale.
Si sancì anche un notevole ampliamento delle possibilità operative delle
banche: queste potevano svolgere, oltre all'attività bancaria vera e propria, oggetto di
riserva, anche "ogni altra attività finanziaria" (art. 10, comma 3); si
superavano definitivamente le diverse specializzazioni creditizie tradizionali e si
ponevano le premesse normative per la banca universale, che gli intermediari potevano
scegliere in alternativa o in combinazione con la struttura di gruppo, secondo criteri di
efficienza affidati alla scelta del mercato.
Al tempo stesso, quel corpus di norme riaffermò una salda fiducia nella
capacità del diritto di promuovere le riforme. Ad esempio, l'art. 151 assoggettò alla
disciplina comune le "banche pubbliche residue": l'aggettivo chiaramente evocava
il processo di privatizzazione allora in corso e implicitamente indicava l'obiettivo di
completarlo.
3.- Una vigilanza tecnica e indipendente.
Affermare che una banca è un'impresa aveva a quel tempo una portata
quasi eversiva in vasti settori di opinione pubblica; implicava un ripensamento profondo
dei controlli pubblici sulle banche.
Il senso ultimo di quel ripensamento stava nel sottrarre l'attività bancaria
alla longa manus della politica.
Quest'ultima aveva avuto gioco facile sino a quando le banche erano rimaste
quasi tutte in mano pubblica, ma influenze e pressioni restavano possibili in presenza di
controlli pubblici ampiamente discrezionali, sebbene iscritti in un quadro di finalità
finalmente esplicite e chiare.
Si comprende così lo sforzo che fu fatto negli anni successivi di
valorizzare le regole "prudenziali" di vigilanza, quelle fondate sostanzialmente
su indicatori oggettivi dello stato di salute dell'impresa bancaria. Ma sarebbe illusorio
credere di poter eliminare la discrezionalità nei controlli, oggettivandoli totalmente.
Chi fa impresa bancaria deve godere della più ampia autonomia
imprenditoriale, purché siano rispettati i principi della "sana e prudente
gestione" (art. 5): se quei principi non vengono rispettati è chiamata in causa la
responsabilità propria dell'imprenditore o del manager bancario.
Da questo punto di vista, è indicativo che il Testo unico abbia conservato e
valorizzato la possibilità per l'Autorità di vigilanza di adottare provvedimenti di
gestione coattiva dell'impresa bancaria anche solo per "irregolarità", non solo
per specifiche violazioni normative (artt. 70, 78 e 80).
Specularmente, le autorità di vigilanza sono responsabili delle decisioni
discrezionali che devono comunque prendere. Ne discende la necessità che quelle decisioni
siano fondate su analisi tecniche approfondite e motivazioni chiare.
La natura prettamente tecnica dell'attività di vigilanza è al tempo stesso
presupposto e conseguenza dell'indipendenza dell'autorità che la svolge.
L'indipendenza della Banca d'Italia, suo tratto distintivo pur nelle
temperie che ha attraversato nella sua storia ultra-secolare, è stata da ultimo
esplicitamente ribadita dalla legge (l. 262/2005, cosiddetta Legge sul risparmio).
Il contraltare dell'indipendenza è il dover rendere conto, l'accountability.
La Banca d'Italia ha innalzato in questi anni i livelli di estensione e di
dettaglio dei rendiconti della sua azione in ogni campo, a iniziare dall'attività di
vigilanza: nei confronti del Parlamento e del Governo con una relazione che da quest'anno
è stata ulteriormente arricchita di contenuti e meglio articolata; nei confronti di ogni
portatore d'interesse e di tutta l'opinione pubblica attraverso il suo sito Internet, che
dall'anno prossimo sarà anch'esso arricchito e migliorato nella funzionalità.
4.- Una vigilanza integrata. La vigilanza
della Banca d'Italia ha la caratteristica, non sempre riscontrabile in altri ordinamenti,
di essere integrata: ricomprende, e fa interagire, l'attività di regolazione, quella di
supervisione (macro e microprudenziale), quella sanzionatoria e la gestione delle crisi
bancarie.
Il Testo unico bancario ha fatto proprio questo approccio integrato. Ad esempio, lo
art. 53 è rubricato "vigilanza regolamentare", a sottolineare quanto
l'attività normativa sia considerata parte integrante della vigilanza.
Il Testo unico, come modificato dalla Legge sul risparmio del 2005, delinea poi
l'attività sanzionatoria a carico degli esponenti bancari responsabili di violazioni
normative quale naturale prosecuzione della vigilanza, assegnando conseguentemente alla
Banca d'Italia quel compito (art. 145, comma 1).
Nella gestione delle crisi, pur lasciando al Ministro dell'economia e delle
finanze la decisione finale, è l'Autorità di vigilanza che propone i provvedimenti di
amministrazione straordinaria o di liquidazione coatta amministrativa, sulla base di sole
considerazioni di ordine tecnico-prudenziale (artt. 70 e 80).
5.- La tutela dei clienti delle banche e degli
altri intermediari finanziari. Il Testo unico bancario copre un'area più vasta
della vigilanza bancaria: vi trovano disciplina, ad esempio, la raccolta del risparmio da
parte di soggetti non bancari, i controlli sui sistemi di pagamento.
Attraverso emendamenti recenti, approvati nel
2010, il Testo unico ha anche recepito in modo compiuto le crescenti istanze di tutela
della clientela delle banche. L'art. 127 stabilisce ad esempio che la Banca d'Italia deve
aver "riguardo, oltre che alle finalità indicate nell'articolo 5 (sana e prudente
gestione), alla trasparenza delle condizioni contrattuali e alla correttezza dei rapporti
con la clientela"; l'art. 128-ter dà alla Banca d'Italia
penetranti poteri inibitori in caso di irregolarità nei rapporti con la clientela.
L'insieme delle norme cerca di assicurare che nei rapporti negoziali vi siano
trasparenza, equilibrio, consapevolezza. Nella sensibilità sociale e politica dei nostri
giorni la correttezza dei rapporti banche-clienti - ma il tema abbraccia tutti gli
intermediari finanziari - occupa un posto di grande rilievo.
La crisi finanziaria globale iniziata nel 2007- 2008 ha d'altro canto acuito
l'attenzione di tutto il mondo sulle possibili degenerazioni della finanza e sui danni che
esse causano innanzitutto ai piccoli risparmiatori.
La regolazione e la supervisione esercitate dalla Banca d'Italia hanno
seguito l'evoluzione di questa sensibilità, innalzando l'attenzione alla tutela della
clientela delle aziende bancarie e finanziarie, dedicando via via più risorse a questo
aspetto, ritenuto anch'esso parte integrante della vigilanza.
La costituzione dell'Arbitro Bancario Finanziario, con i suoi tre collegi di
Milano, Napoli e Roma, è stato uno snodo importante. Il processo è in corso, intendiamo
accrescere il nostro impegno in questo campo. Se la fiducia del pubblico nei
confronti della correttezza dei comportamenti dell'industria finanziaria è incrinata,
come a volte è accaduto in questi anni, è messa a repentaglio la sana e prudente
gestione di singoli intermediari, è minacciata la stabilità dell'intero sistema
finanziario. L'azione di vigilanza prudenziale e la tutela dei clienti si rafforzano l'un
l'altra.
6.- Le riforme europee
6.1- Il cammino verso la vigilanza europea. |
Renzo
COSTI, Il Testo Unico Bancario, oggi 1.
Il Testo Unico e il "nuovo ordinamento bancario". Il Testo
Unico Bancario del 1993 rappresenta il momento di complessiva sistemazione del nuovo
ordinamento del mercato bancario e finanziario che si era venuto sviluppando nel nostro
paese dalla metà degli anni Ottanta, a partire cioè dall'attuazione nel nostro
ordinamento delle norme comunitarie che ponevano fine alla vigilanza strutturale su quel
mercato, nel momento in cui veniva preclusa all'Autorità di Vigilanza la possibilità di
tener conto delle "esigenze economiche del mercato" nell'assumere i propri
provvedimenti relativi all'esercizio dell'attività bancaria.
L'accesso al mercato bancario cessava di essere subordinato ad un'autorizzazione
discrezionale dell'Autorità di vigilanza per diventare un atto dovuto, nel momento in cui
fossero stati presenti i necessari requisiti oggettivi e soggettivi; requisiti oggetto di
un mero accertamento tecnico da parte della stessa Autorità. Risultava così rovesciata
la prospettiva della legge bancaria del 1936 che attribuiva all'Autorità di vigilanza il
potere di disegnare il piano regolatore del credito.
La banca cessava di essere considerata un'impresafunzione, manovrabile
dall'Autorità di Vigilanza, per diventare esercizio di un diritto di iniziativa
economica, protetto dalla riserva di legge dettata dall'art. 41 della Carta
Costituzionale. In questa nuova prospettiva assumevamo poi grande rilievo due
provvedimenti legislativi del 1990.
a) La legge 30 luglio 1990, n. 218 (e il d. lgs. 20 novembre 1990, n. 356)
che consentiva l'adozione, da parte delle banche pubbliche (per lo più in forma di
fondazione), della forma della società per azioni, con la possibilità di ricorrere a
nuovo capitale di rischio, e
b) la legge 10 ottobre 1990, n. 287 che rendeva applicabile anche al
mercato bancario la tutela della concorrenza; concorrenza non più considerata un
pericolo, come nel vigore della legge bancaria del 1936, ma come uno strumento capace di
assicurare una maggiore efficienza alla intermediazione bancaria.
Nella stessa direzione sollecitava anche l'attuazione della seconda
direttiva bancaria (direttiva 15 dicembre 1989, n. 646) che, dando attuazione al principio
del mutuo riconoscimento, esponeva alla concorrenza delle banche degli altri paesi della
comunità il nostro sistema bancario, rendendo indispensabile la rimozione delle tante
forme di specializzazione che lo caratterizzavano e rendendo urgente l'adozione del
modello della banca universale, già accolto negli altri ordinamenti comunitari.
Queste, in estrema sintesi, le caratteristiche dell'ambiente nel quale vide
la luce il Testo Unico Bancario del 1993.
2. Le scelte di fondo del Testo Unico. Mi pare necessario, per verificare
cosa sia rimasto oggi del Testo Unico del 1993 e che cosa sia stato cancellato, ricordare,
ancora in estrema sintesi, alcune delle più importanti scelte di politica legislativa che
lo stesso ha effettuato. Ne ricorderei soltanto due, anche se su molti altri punti (penso
ai crediti speciali) le scelte del Testo Unico furono di particolare spessore.
La prima concerne la concezione della impresa bancaria e la seconda riguarda
i fini che possono e debbono essere perseguiti dalle Autorità creditizie.
A) A norma dell'art. 10 del Testo Unico l'attività bancaria "ha
carattere d'impresa" e "le banche esercitano oltre all'attività bancaria, ogni
altra attività finanziaria". Viene così fissato, a chiare lettere, che
a) l'attività bancaria è attività di impresa anche ai sensi dell' art. 41, 1°
comma della Carta Costituzionale e
b) che il tipo di banca che viene consentito è quello della banca universale,
ossia che può raccogliere depositi ed erogare crediti senza alcuna distinzione fra breve,
medio e lungo termine e che può svolgere oltre all'attività bancaria anche le altre
attività finanziarie, quando non riservate, e, in particolare, quelle di mercato
mobiliare, anche investendo per proprio conto. Annoto qui, anche se non concerne tanto
l'esercizio dell'attività, quanto piuttosto la struttura proprietaria della banca, che il
Testo Unico del 1993 sanciva la separatezza fra banca e industria, almeno nel senso che
non permetteva all'industria il controllo della banca (art. 19, comma 6) e, sotto questo
profilo, non consentiva la banca mista.
B) La seconda scelta di politica legislativa di segno sistematico è quella
contenuta nell'art. 5 del Testo Unico che individua le "finalità" della
vigilanza, stabilendo che le Autorità creditizie esercitano "i poteri di
vigilanza" "avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati,
alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema
finanziario". Non v'è dubbio che il linguaggio utilizzato consenta di rilevare che i
fini della Vigilanza sono individuati con formule piuttosto generiche, ma è certo,
tuttavia, che lo stesso fissa un limite alla discrezionalità delle Autorità creditizie
nell'adozione dei propri provvedimenti. Le Autorità creditizie non potrebbero esercitare
i loro poteri per finalità diverse da quelle fissate dalla norma appena ricordata.
E sotto questo profilo il Testo Unico segna una netta distinzione nei
confronti della legge bancaria del 1936 che attribuiva alle Autorità creditizie una
delega di potere sostanzialmente in bianco.
3. Le fonti normative esterne al T.U. . Prima di passare ad un
esame analitico di ciò che è rimasto e di ciò che è caduto del Testo Unico, a seguito
dei ben 39 provvedimenti legislativi che hanno apportato alle sue disposizioni
modificazioni e integrazioni, credo possa essere utile riflettere sul ruolo che il T.U. ha
svolto e svolge nell'ambito dell'ordinamento bancario e finanziario.
A) Negli anni successivi al 1993 sono intervenute molte norme che hanno
interessato capitoli importanti dell'ordinamento bancario, ma che non sono state inserite
nel Testo Unico Bancario. Basti in proposito ricordare
1) il d.lgs. 30 maggio 2005, n. 142, che ha disciplinato la vigilanza supplementare
sui conglomerati finanziari, e
2) la legge 28 dicembre 2005, n. 262,
a) che ha inciso profondamente sull'ordinamento della Banca
d'Italia e
b) che ha spostato la competenza in materia di tutela della
concorrenza nel mercato bancario da quest'ultima all'autorità antitrust.
B) Ma non è soltanto questo tipo di produzione normativa che incide sulla
centralità del Testo Unico nell'ordinamento bancario; mi pare che sia soprattutto la
normativa comunitaria che occupa sempre nuove province dell'ordinamento, affiancandosi con
crescente rilevanza alle disposizioni del Testo Unico. E questa incidenza delle norme
comunitarie passa attraverso due strade: quella dei regolamenti comunitari (come quelli
che hanno dato vita alle autorità di settore e al comitato per il rischio sistemico) e
quella delle direttive selfexecuting, la cui applicazione prescinde dalle norme di
attuazione dei paesi membri.
C) La rilevanza, in concreto, delle disposizioni legislative del Testo Unico
risulta poi, come è ovvio, fortemente limitata dal processo di delegificazione che ha
continuato a caratterizzare l'ordinamento del settore: così ad es. in materia di governo
societario delle banche non v'è dubbio che abbiano un ruolo determinante le disposizioni
della Banca d'Italia, che, per altro, fonda la propria competenza su una delega specifica
da parte della norma primaria del Testo Unico.
Anche se spesso il recepimento, da parte dell'ordinamento primario è
puramente formale, come è accaduto per le "nuove disposizioni di Vigilanza per le
banche" dettate lo stesso giorno nel quale fu adottato il D.L. 27 dicembre 2006, n.
297 che dava attuazione alle direttive comunitarie 2006/48 e 2006/49.
4. Il mutamento di due scelte fondamentali operate
dal T.U. Passo ora all'esame di alcuni profili di ciò che resta e di ciò che è
caduto del Testo Unico del 1993, partendo da quelle che mi sembrano le due scelte di
politica legislativa più importanti: a) la concezione dell'impresa bancaria e b) le
finalità della Vigilanza. Sotto entrambi i profili qualcosa è cambiato rispetto alle
scelte del 1993.
1) La banca continua ad essere considerata un'impresa e lo svolgimento
della relativa attività l'esercizio di un diritto; inoltre viene
tenuto fermo il modello della banca universale, anche se non mancano le proposte dirette
ad imporre la separazione societaria per alcune attività, come il trading in proprio.
Viene invece abbandonato il divieto per l'industria di acquisire
partecipazioni rilevanti nelle banche, divieto stabilito dall'art. 19, commi 6 e 7 del
Testo Unico del 1993; commi abrogati dall'art. 14, 1° comma del D.L. 29 novembre 2008, n.
185. La possibilità per l'industria non finanziaria di assumere partecipazioni anche di
controllo in una banca è rimessa alla disciplina generale dettata per l'autorizzazione
della Banca d'Italia, che condiziona l'assunzione di partecipazioni rilevanti in una
banca.
2) Anche per quanto concerne le finalità che possono essere perseguite dalle
Autorità creditizie è intervenuta una integrazione importante delle finalità fissate
dall'art. 5 del Testo Unico del 1993. L'art. 127, riscritto dal d.lgs. 13 agosto 2010, n.
141, stabilisce infatti che "le Autorità creditizie esercitano i poteri previsti dal
presente titolo" (ossia il Titolo VI, dedicato alla trasparenza delle condizioni
contrattuali e dei rapporti con i clienti) "avendo riguardo oltre che alle finalità
indicate nell'art. 5, alla trasparenza e alla correttezza dei rapporti con la
clientela".
Come è noto, la trasparenza dei rapporti con la clientela, è una
delle condizioni per l'efficienza e la competitività di un sistema finanziario ed è
quindi uno strumento indispensabile per assicurare il raggiungimento delle finalità di
cui all'art. 5 del testo originario del TUB. Oggi la trasparenza e la correttezza dei
rapporti con la clientela cessano di essere considerate soltanto come obiettivi intermedi
e indiretti, per diventare un obiettivo diretto ed esplicito della Vigilanza con
riferimento ai rapporti della banca con la propria clientela. |
Nino
Luciani, In margine al testo di Rossi. 1. Premessa. Questo seminario, come introduce il
direttore della B.d'I, ha voluto "avviare una riflessione su quali parti del nostro
Testo unico bancario (1993) debbano ritenersi obsolete, superate dalla nuova legislazione
europea; quali parti siano invece ancora attuali e vadano conservate".
Il commento, che qui segue, è limitato alla introduzione del Direttore
Generale.
In estrema sintesi, il Direttore ha, prima, esaltato l'impresa bancaria
orientata al profitto (ma limitata dalla concorrenza tra banche) ed esaltato la
banca universale (eliminazione della differenziazione tra banche a breve e banche a
medio-lungo termine), una innovazione fatta anche negli USA, come noi, nei primi
anni '90, seguiti da altri Paesi).
Ma, poi, date le innegabili deviazioni delle banche, dall'interesse pubblico
(vedi: crisi mondiale in corso), e non volendo farla derivare dalle leggi permissive del
1993 in Italia (e, nello stesso periodo, anche negli USA), ha ripiegato velocemente
verso la giustificazione del suo sì alla vigilanza bancaria su base larga europea,
dunque saltando a pié pari il collegamento tra la vigilanza e la diagnosi della crisi.
Questo fatto dell'allargamento del quadro territoriale della vigilanza va
visto positivamente (ma che, pur divenendo europeo, dunque oltre il suolo nazionale, è
ancora impari rispetto al necessario quadro planetario). Ma mi parrebbe dare troppo per
scontato che i burocrati europei siano dei marchingegni onniscienti e onnipotenti
nell'inserirsi nei meandri bancari, per fermarne le deviazioni in tempo reale.
Soprattutto, mi parrebbe che la vigilanza ex-post sia insufficiente se
non è accompagnata da filtri ex-ante, che sono quei tali noiosi filtri burocratici, che
il TUB del 1993 ha tolto deliberatamente. Ma andiamo per gradi, a partire dalla diagnosi
della crisi, per poi riprendere i punti chiave del Direttore.
a) la diagnosi della crisi. In estrema sintesi, la mia diagnosi è
la seguente (e che è, poi, la stessa fatta dagli economisti per la analoga crisi del
1929).
Negli ultimi 10 anni ( dall'avvio delle grandi guerre, in Iraq, ecc. ) le
banche hanno creato molta moneta bancaria (vale dire hanno fatto credito, accompagnato da
emissioni di blocchetti di assegni bancari,...) assumendo grandi rischi, nella illusione
che fare credito crei sempre valore (anche a prescindere da puntuali garanzie reali : vedi
mutui sub prime).
Nel fare credito, esse hanno goduto della complicità degli Stati, bisognosi
di finanziamenti per le guerra; ma, poi, con la decelerazione delle guerre, la domanda
pubblica di prodotti per la guerra è calata, e grandi imprese debitrici non hanno
restituito il danaro.
Ciò ha a creato una serie di sofferenze, a domino: sulle banche, e poi sui
creditori delle banche, sfociate in crisi di illiquidità in tutta l'economia. Da qui i
fallimenti di imprese e disoccupazione, per mancanza di domanda "effettiva"
(vale dire accompagnata da potere di acquisto, termine inventato da Keynes).
Non solo questo. La guerra ha anche foraggiato super-profitti,
nei vari Stati , a favore di cittadini operanti per la guerra che, tuttavia, data la crisi
sopravvenuta, hanno trattenuto presso di sè la liquidità, e questo ha aggravato la
crisi.
Torniamo al Direttore. Egli, dando per scontato che
una vigilanza europea sia sufficiente ad evitare nuovi eccessi di creazione di
moneta bancaria, non ha potuto che confermare la validità del TUB. Ma riprendiamo i
punti da lui esaltati.
a) La banca universale, come impresa orientata al profitto,
e solo limitata dalla concorrenza tra le banche.
Egli ha esaltato, già in premessa, questo concetto. Ma, per quanto ne so, il
mercato di concorrenza presuppone:
- moltissime banche grosso modo di piccola dimensione,
- libertà di entrata e uscita dal mercato;
- omogeneità del prodotto e relativa sostituibilità di un prodotto con un
altro.
Ricordo solo:
- che, in Italia, solo 9 banche private hanno il 53% del capitale della Banca
d'Italia, vale dire controllano Bankitalia.;
- che le banche sono coalizzate dentro l'ABI-Associazione Bancaria Italiana
che, di tanto in tanto, ha almeno il pudore di limitare le commissioni (%) che le banche
applicano alle operazioni dei clienti;
- che ogni contratto cliente-banca di deposito o giro ha un diverso
tasso di interesse (ma non diverso da banca a banca);
- che la moneta è un bene praticamente insostituibile.
Questi fatti reclamano a gran voce la riforma del TUB.
Sono, anzi, sorpreso che il direttore abbia ignorato che gli USA e il Regno
Unito stanno tornando alla separazione tra banche commerciali e istituti finanziari
(propri della legge bancaria italiana del 1936, abolita nel 1993 dal Testo Unico bancario,
oggi in vigore).
b) Patrimonializzazione. Questa parola c'è nella relazione
del Direttore, dando per scontata la validità di Basilea 3.
Ma una cosa è la ragioneria, una cosa è l'economia. Per la ragioneria i
punti di riferimento primari sono i dati contabili, storici (non solo questo). Per
l'economia il capitale è il valore attuale del reddito atteso.
In contesti di mercato normali, il conto torna. In contesti di gravi crisi,
la liquidabilità del capitale è molto a rischio.
Dunque Il patrimonio è una garanzia di larga massima, per gli obbligati con
la banca, ma lo è direttamente solo il patrimonio liquido.
Negli scorsi mesi, negli USA, si è discusso se portare al 5% il capitale
liquido, rispetto al totale delle attività patrimoniali.
Ma l'ipotizzare che una autorità esterna determini il capitale liquido, a
cui obbligare una banca, è assurdo perchè prescinde da un calcolo benefici/costi nel
medio-lungo periodo, che un vigilante esterno non è capace di fare.
Diverso è se la vigilanza prende a riferimento la gestione corrente,
dove può censurare, già in origine, le eventuali piccole patologie. Questo ci porta, in
primis, alla riserva obbligatoria bancaria.
Attualmente c'è una percentuale del 2% (dei depositi e obbligazioni
con scadenza inferiore a 2 anni) che le banche devono depositare presso la BCE; e c'è una
percentuale dei depositi (di norma non superiore al 10%, ma anche 0%), che le banche
locali devono depositare presso la B.d'I. (anche una % maggiore per determinate
patologie di clientela).
Il parametro della riserva obbligatria non serve solo a garanzia diretta del
risparmiatore-depositante, ma anche per determinare la creazione di moneta bancaria
(aggiuntivamente alla moneta legale) per il controllo dei prezzi.
E' noto che la quantità di moneta bancaria che una banca può creare è pari
alla moneta legale, moltiplicata per l'inverso della percentuale di riserva obbligatoria.
Es., se questa percentuale è 5%, e la moneta legale è 1.000,
la moneta bancaria che una banca puà creare è : 20*1000=20.000.
Direi che, anche sotto il profilo morale, vada impedita la connessa possibile
ruberia della ricchezza privata, in caso di eccessi di creazione di moneta bancaria e
derivati. Ciò ricorda gli abusi dei principi e re, a suo tempo, nel battere moneta
legale.
c) Partecipazioni delle banche al capitale delle imprese private e
viceversa. Andrebbe rivisitata la possibilità di incroci di partecipazione
reciproca, al capitale, tra banche e imprese produttive di grandi
dimensioni..
d) Ultimo, ma non ultimo. La fiducia del Direttore nel mercato
(come regolatore delle banche), è oggettivamente coerente con il fatto che la Banca
d'Italia è di fatto, dal 2006 (col governo Prodi, alla faccia delle sinistra),
un istituto privato, da cui Rossi è dipendente.
Infatti, il D.P.R. del 12 dicembre 2006 ha cancellato l'articolo
3 dello Statuto della Banca d'I., che così recitava: " In ogni caso dovrà
essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della Banca
da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di
voto sia posseduta da enti pubblici".
Dallo Statuto della B.d'I., risulta che i partecipanti al capitale sono
60, di cui 52 sono banche (419 voti, su totali 535, dell'Assemblea dei partecipanti); e 8
sono enti assicurativi e previdenziali, di cui due sono enti pubblici, INPS e INAIL
(totali 116 voti).
Troviamo anche che 9 banche e assicurazioni hanno da sole la
maggioranza assoluta 285/535 voti, pari al 53% del capitale.
Queste banche sono: Intesa Sanpaolo S.p.A. UniCredit S.p.A. Assicurazioni
Generali S.p.A. Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. Banca Carige S.p.A. Banca Nazionale
del Lavoro S.p.A. Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. Monte dei Paschi di Siena Cassa
di Risparmio di Biella e V. .
Questa situazione suggerisce che il legislatore italiano riveda presto
il TUB, inserendovi criteri di utilità pubblica. Per subito, chiederei che nella
Assemblea dei partecipanti entri il Direttore generale del Tesoro con diritto di
veto. Nino Luciani |
Mentre in Italia veniva
elaborato il Testo unico bancario, si compivano in Europa i primi significativi
passi verso l'armonizzazione minima delle regole del mercato finanziario di quella che
oggi è l'Unione europea.
L'espansione del mercato unico europeo ha innescato un processo di osmosi fra
gli ordinamenti nazionali del credito e il diritto europeo, che veniva a disciplinare
settori sempre più ampi.
Il Testo unico del 1993, pur avendo un respiro europeo (art. 6), era tuttavia
incentrato sulle autorità creditizie nazionali.
D'altro canto, fino alla crisi degli ultimi anni non c'era un vero centro
organizzativo capace di formulare politiche di vigilanza in una prospettiva globale o
europea, distinta da quella propria delle singole autorità nazionali.
Sull'onda della crisi veniva dapprima riaffermato e consolidato il
ruolo del Financial Stability Board - che per l'occasione cambiava il nome pre-esistente
di Forum - e del Comitato di Basilea come sedi di definizione tecnica della regolazione
bancaria e finanziaria su scala globale.
Alla fine del 2010 nasceva il Sistema europeo di vigilanza finanziaria
(European System of Financial Supervision - ESFS). Questo Sistema ha segnato in Europa un
primo vero cambiamento, non tanto per i poteri attribuiti - che riflettono ancora un
modello tributario della centralità delle competenze nazionali - quanto perché ha
rappresentato il primo tentativo di superare il mero coordinamento di interessi nazionali
e ricercare una sintesi genuinamente europea.
Oggi il nascituro Meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory
Mechanism - SSM) amplia notevolmente la strada, imprimendole al contempo una direzione
diversa: la amplia perché dà alla Banca Centrale Europea (BCE) , coadiuvata dalle
autorità nazionali, poteri incisivi, idonei all'esercizio effettivo della vigilanza; le
imprime una direzione diversa in quanto coinvolge, almeno nella sua fase di avvio,
soltanto gli Stati dell'area dell'euro, in risposta alla crisi dei debiti sovrani.
Quasi contemporaneamente al raggiungimento del consenso politico sull'SSM è
stato emanato il pacchetto legislativo europeo sui requisiti di capitale delle banche,
composto da una direttiva (n. 36 del 2013) e da un corposo e dettagliato regolamento (n.
575 del 2013), al fine di ottenere quel Single Rulebook per il sistema bancario di tutta
l'Unione europea a lungo vagheggiato.
Un corpo omogeneo di disposizioni regolerà l'attività bancaria nell'Unione;
nell'area dell'euro, la BCE vigilerà direttamente sulle banche più significative, con la
collaborazione delle autorità nazionali; queste ultime conserveranno la responsabilità
di vigilare, con la guida della BCE, sulle banche meno significative.
Sarà essenziale che regole e prassi di vigilanza siano uniformate in tutta
l'area, senza allentare gli standard rispetto alle esperienze nazionali più
significative, come quella italiana. 7.- Si
conferma l'indipendenza della vigilanza . Nell'SSM la BCE verrà a trovarsi in
una situazione non dissimile da quella della Banca d'Italia al tempo dell'entrata in
vigore del Testo unico bancario, unendo poteri di politica monetaria e di vigilanza
prudenziale, vantando una piena indipendenza in entrambi i campi.
L'indipendenza delle banche centrali dell'Eurosistema è assicurata dal
Trattato (art. 130 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea).
L'indipendenza nell'esercizio dell'attività di vigilanza è sancita,
sia per la BCE sia per le autorità nazionali appartenenti all'SSM, dal regolamento del
Consiglio dell'Unione europea istitutivo del Meccanismo unico (art. 19), in via di
approvazione.
7.1- Regolazione e supervisione nell'SSM
. Il nuovo quadro di regole europee separa la funzione normativa da quella di
supervisione.
La produzione delle regole prudenziali in materia bancaria spetta infatti
all'Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority - EBA) e alla Commissione
Europea, nel rispetto delle norme stabilite per l'intera Unione nel pacchetto legislativo
sui requisiti di capitale.
Alla BCE spetta - oltre a un potere normativo in materia
macroprudenziale concorrente con quello delle autorità nazionali - la vigilanza
microprudenziale e la definizione delle sole regole organizzative e applicative del
Meccanismo stesso.
E' bene ricordare come e perché si è arrivati a questa separazione.
Il Rapporto de Larosière prevedeva un'architettura istituzionale basata, oltre che su un
organismo per la sorveglianza del rischio sistemico, su tre autorità europee di vigilanza
microprudenziale, che avrebbero dovuto unire, come nel caso italiano, la vigilanza sui
singoli intermediari alla preparazione di atti normativi, che la Commissione avrebbe poi
fatto propri sotto forma di technical standards.
La crisi dei debiti sovrani nell'area dell'euro ha fatto precipitare gli
eventi e ha indotto i Governi a trovare urgentemente una soluzione specifica per l'area,
accentuando gli elementi di unitarietà della supervisione prudenziale e creando il
Meccanismo unico di vigilanza incentrato nella BCE.
L'eventuale assegnazione alla BCE, per la sola eurozona, anche dei poteri
normativi di completamento del Single Rulebook avrebbe interferito con la produzione per
l'intera Unione di regole di funzionamento del Mercato interno nel settore bancario. Si è
quindi fatta la scelta di conservare all'EBA il potere di concorrere con la Commissione
nella produzione di regole.
Non è stata estranea a questa decisione la preoccupazione di bilanciare i
vasti poteri di vigilanza esercitabili su scala europea. Bisognerà ora che l'azione
regolatoria dell'EBA e quella di supervisione della BCE trovino un raccordo efficiente;
proprio come avviene in quelle Autorità, come la Banca d'Italia, in cui esse albergano
nella stessa struttura.
L'SSM non modifica regole e competenze in materia di risoluzione delle crisi bancarie.
L'Unione bancaria resterà zoppa fintantoché non disporrà anche di un sistema unico di
risoluzione delle crisi e di uno per la tutela dei depositanti, come le proposte
legislative della Commissione indicano chiaramente.
8.- Dal Testo unico bancario alla nuova vigilanza europea.
Il Testo unico che ha disciplinato in questi vent'anni il settore bancario
nel nostro paese può considerarsi un esempio di buona regolamentazione: esso fu il
risultato di un grande sforzo per rendere più razionale la legislazione che si era andata
stratificando nel tempo, più semplici e chiare le regole.
Le prassi amministrative che ne sono discese sono state coerenti con
quei principi. Ci piacerebbe che anche la nuova legislazione europea in materia bancaria
raggiungesse quei risultati.
Del Testo unico abbiamo potuto apprezzare nel tempo tanti aspetti:
innanzitutto la visione unitaria della vigilanza, su cui mi sono già soffermato e che non
è tuttavia al momento accolta nel disegno europeo; ma anche gli strumenti giuridici per
la gestione delle crisi bancarie.
Alcuni, come l'amministrazione straordinaria o l'affidamento alle sole
autorità tecniche del potere di proporre misure di gestione e risoluzione delle crisi,
possono essere indicati a modello in sede europea.
L'Unione bancaria disegna un'architettura istituzionale che avrà
necessariamente bisogno del puntello di norme nazionali. Su almeno un tema, quello dei
rapporti degli intermediari con la clientela, il Testo unico continuerà ad avere piena e
diretta rilevanza.
Altre sue parti sono però superate dall'evoluzione del quadro legale.
Ad esempio, l'alta vigilanza ancora attribuita al Comitato Inter- ministeriale per il
Credito e il Risparmio è evidentemente incompatibile con la cornice d'indipendenza totale
assicurata dall'SSM alle Autorità di vigilanza.
*** Rispetto a venti anni fa, ma anche solo a cinque anni fa, abbiamo
imparato una grande lezione: la stabilità finanziaria è la piattaforma su cui poggiano
le prospettive di sviluppo di ogni economia nazionale; ma il sistema finanziario è
interconnesso su scala globale e lo è ancor più su scala continentale per noi europei.
Dunque, regole e prassi di controllo pubblico dell'attività bancaria e finanziaria sono
essenziali; devono almeno in parte trascendere l'ambito nazionale restando coerenti ed
efficaci. Vi si gioca il successo dell'Unione bancaria, forse della stessa Unione europea.
FINE |
E quando
si pensa che le norme che disciplinano tali rapporti sono sì dirette ad assicurarne, per
lo più, la trasparenza, ma non mancano quelle che invece si propongono la tutela del
cliente, pensato come contraente debole, anche con interventi di merito, appare di tutta
evidenza l'importanza di questa norma che detta per la vigilanza l'obbligo di perseguire
anche finalità che vanno oltre quelle previste dall'art. 5 del testo originario del Testo
Unico (come del resto emerge dalla lettera della norma che tale ampliamento prevede).
5. Le modificazioni del sistema delle autorità creditizie
a) I poteri delle Autorità creditizie nazionali disegnati dal Testo Unico del 1993
sono destinati ad essere profondamente modificati nel momento in cui verrà istituita la
vigilanza della BCE, sia per quanto concerne i provvedimenti rimessi alla stessa per tutte
le banche (accesso al mercato e acquisizione di partecipazioni) sia per quelli per i quali
si pone un problema di coordinamento fra la vigilanza comunitaria e quelle nazionali. Di
questo futuro assetto che si realizzerà probabilmente al di fuori del Testo Unico, non
posso occuparmi in questa sede.
b) È invece ordinamento vigente quello che prevede la costituzione dell'Eba
(Regolamento 1093/2010) alla quale viene attribuito non solo il potere di rendere omogenee
le regole di vigilanza vigenti nei paesi membri, ma anche un potere di intervento sulle
autorità nazionali che non si adeguino alle regole uniformi e mettano così a repentaglio
il regolare funzionamento del sistema finanziario.
c) È stato costituito anche il Comitato europeo per il rischio sistemico, ma non
mi pare che lo stesso incida sulla struttura e sui poteri delle Autorità creditizie
nazionali, dal momento che ha soprattutto la funzione di monitorare il rischio sistemico e
di emettere le conseguenti segnalazioni e raccomandazioni alle autorità nazionali e
comunitarie.
d) A me pare che la costituzione e l'operatività delle Eba non determinino
mutamenti strutturali delle Autorità di controllo e che tali mutamenti strutturali
saranno marginali anche con l'attuazione dell'Unione bancaria. Risulteranno invece
condizionate le competenze e la discrezionalità della Banca d'Italia e del CICR
nell'esercizio dei poteri agli stessi attribuiti. Il che, sia detto per inciso, rende
sempre più difficile pensare che il CICR sia un organo politico e sempre più ragionevole
procedere alla sua eliminazione.
e) Dalle disposizioni che hanno modificato il T.U. non mi pare invece che sia
stato stravolto il sistema dei rapporti reciproci e delle competenze, rispettivamente
della Banca d'Italia e del CICR fissato dal Testo del 1993 con l'attribuzione di una
funzione eminente, alla prima, in materia di vigilanza sulle banche e al secondo in
materia di risparmio non bancario.
f) Mette piuttosto conto, per il suo significato sistematico, ricordare
l'abrogazione, nella sostanza, del potere, che l'art. 129 del T.U. riconosceva alla Banca
d'Italia e al CICR, di controllare, allo scopo di "assicurare la stabilità del
mercato dei valori mobiliari", le emissioni, appunto di valori mobiliari, superiori
ad un certo ammontare. Potere che aveva una lunga e travagliata storia e che il d.lgs.
415/1996 ha sostanzialmente eliminato, riducendolo ad uno strumento meramente conoscitivo
della Banca d'Italia (e non più anche del CICR).
g) Un cenno meritano anche gli "organismi" preposti alla gestione
degli elenchi degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi (128,
undecies) e degli organismi di Microcredito (art. 113) non previsti dal Testo Unico del
1993; strutture dichiarate di diritto privato con funzioni di autodisciplina ma sottoposti
alla vigilanza della Banca d'Italia.
h) Nell'ambito degli organismi di vertice del settore, può ricomprendersi
anche l'Arbitro Bancario Finanziario (art. 128, bis), ignoto al T.U. del 1993, introdotto
nel T.U. dal d.lgs. 141/2010, e chiamato a risolvere stragiudizialmente alcune specie di
controversie fra le banche e la clientela.6. La raccolta
del risparmio non bancaria. Le norme successive al T.U. del 1993, pur ribadendo
il divieto, per i soggetti diversi dalle banche, di raccogliere risparmio tra il pubblico,
hanno in qualche misura limitato la portata del divieto, a) da un lato, non considerando
raccolta quella effettuata dagli istituti di moneta elettronica e quella inserita nei
conti di pagamento per la prestazione del relativo servizio e, b) dall'altro, consentendo
la raccolta effettuata dalle società di capitali, anche non quotate, attraverso la
emissione degli strumenti finanziari disciplinati dal codice civile; strumenti finanziari
previsti dalla riforma societaria del 2003 in termini più liberali nei confronti del
previgente diritto societario.
7. Autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria e all'assunzione di
partecipazioni nelle banche. Su entrambi i versanti, ovviamente connessi, mi pare
che, da un lato,
a) sia stato tenuto fermo il principio che le relative autorizzazioni sono
atti dovuti quando ricorrano i presupposti fissati dalla legge e dalla Banca d'Italia,
anche se i criteri ai quali quest'ultima deve attenersi (art. 19, 5° comma) consentono un
notevole grado di discrezionalità, e
b) che, dall'altro, siano stati concessi gradi di libertà maggiori di quelli
fissati dal Testo Unico del 1993. Infatti
b1) è caduto il divieto per i soggetti che svolgono
attività non bancaria o finanziaria di acquisire in una banca partecipazioni superiori al
15 per cento del capitale con diritto di voto e
b2) la soglia della partecipazione per la cui acquisizione è
richiesta l'autorizzazione della Banca d'Italia è stata elevata dal 5 al 10 per cento del
capitale della banca.
A questa maggiore libertà di ingresso nel mercato bancario si accompagna
l'imposizione di un obbligo di trasparenza degli assetti proprietari anche più accentuato
di quelli previsti dal Testo Unico del 1993 (v. acquisto di concerto disciplinato dal 2°
comma dell'art. 22).
8. Vigilanza informativa e regolamentare. Sia la Vigilanza informativa
sia quella regolamentare, previste dal T. Unico del 1993, sono state rafforzate dalle
norme successive, anche se l'impianto di base disegnato da quel testo ha sorretto
efficacemente i vari provvedimenti di vigilanza che la Banca d'Italia è andata via via
adottando:
a) La vigilanza informativa ha visto estendersi il proprio ambito alle
vicende relative ai soggetti incaricati della revisione legale dei conti (art. 51, comma 1
bis) e ha imposto agli stessi il medesimo obbligo di informare l'organo di vigilanza delle
vicende che possono costituire irregolarità nella gestione della banca previsto per i
sindaci (art. 52, 2° comma).
b) Particolarmente rafforzati, ampliati ed articolati sono i poteri di
vigilanza regolamentare:
a) è stato esplicitamente ricompreso nell'ambito
della Vigilanza regolamentare il "governo societario", attribuendo così alla
Banca d'Italia il potere di dettare le regole di governo delle società bancarie, anche
intervenendo sulle norme codicistiche non inderogabili (e la Banca d'Italia l'ha fatto
soprattutto attraverso il provvedimento del marzo 2008;
b) è stato imposto, dando attuazione al terzo pilastro di
Basilea 2, che le banche forniscano al pubblico le informazioni relative alle
c) sono stati legislativamente fissati i metodi (rating,
sistemi interni) di misurazione dei rischi;
d) ha avuto una specifica consacrazione nel Testo Unico la
necessità che vengano fissati i limiti e le condizioni per le operazioni con parti
correlate e per la gestione dei conflitti di interessi (art. 53, 4° comma);
e) è stato rafforzato il potere nella Banca d'Italia di adottare
provvedimenti specifici nei confronti di singole banche, potere che concerne sia
l'attività della banca sia la vita della società bancaria (distribuzione di utili e
livello delle remunerazioni degli esponenti aziendali (art. 53, comma 3, lett. d).
L'ampliamento e la precisazione delle basi legislative, recepite
nell'art. 53 del T.U., soprattutto in forza del d.lgs. 27 dicembre 2006, n. 297, ha
offerto una legittimazione primaria più sicura di quella reperibile nel Testo Unico del
1993 all'imponente contemporanea produzione normativa, da parte del CICR, ma nella
sostanza della Banca d'Italia, che ha disegnato tutti i momenti più importanti |
della Vigilanza regolamentare (Nuove
disposizioni di vigilanza per le banche).
Il modello adottato è quello della better regulation: la legge fissa i
principi generali la cui attuazione è rimessa alle Autorità di Vigilanza che, a loro
volta, dettano, piuttosto che regole puntuali, disposizioni ancora di carattere generale,
rimettendo ai soggetti vigilati il compito di dar specifica attuazione alle regole
generali dettato dell'Autorità di Vigilanza.
9. Gruppi bancari e vigilanza consolidata. Le norme
successive al T.U. del 1993 hanno apportato una serie di piccoli ritocchi alla disciplina
di quel testo, ad es.: a) estendendo la nozione di società finanziaria alle società di
gestione del risparmio, b) ricomprendendo nella categoria delle società strumentali le
società che si limitano a possedere ed amministrare immobili (art. 59), c) precisando la
stessa nozione di gruppo bancario quando capogruppo sia una finanziaria, d) introducendo,
per la vigilanza consolidata sul gruppo, le stesse innovazioni adottate per la vigilanza
sulle banche e già ricordate.
Queste norme non hanno intaccato le linee di fondo della disciplina del
gruppo e soprattutto non hanno detto nessuna nuova parola sui poteri di direzione e
coordinamento della capogruppo sulle società del gruppo. Sul punto forse offre ragioni
per ripensare quel problema e, con tutta probabilità per rimuovere molte delle
perplessità che la norma del T.U. aveva sollevato, l'art. 2497 c.c., introdotto dalla
riforma societaria e che costituisce oggi il quadro normativo generale nell'ambito del
quale si colloca il gruppo bancario.
In altri termini, il dettato del Testo Unico del 1993 può essere
reinterpretato alla luce del nuovo 2497, al quale, del resto, quel dettato ha fatto da
battistrada. 10. Disciplina della crisi e garanzia
dei depositanti
a) Un'osservazione preliminare: il nostro paese, già sulla
base dell'ordinamento precedente il Testo Unico, aveva dettato, in deroga al diritto
comune, una disciplina specifica che consentiva un forte potere di intervento delle
Autorità creditizie nelle crisi bancarie. Il Testo Unico ha adottato la stessa linea di
politica legislativa; linea che non solo non è stata modificata dalle norme interne
successive, ma che sta costituendo un modello anche per la prossima direttiva comunitaria
in materia di gestione e di risoluzione delle crisi delle banche e anche delle imprese di
investimento; direttiva che sostanzialmente prevede soluzioni analoghe a quelle adottate
dal nostro ordinamento quando disciplina l'amministrazione straordinaria e la liquidazione
coatta. Gli interventi operati sul Testo Unico sono prevalentemente diretti a risolvere
alcuni dei problemi che la pratica aveva posto, ma non cambiano le linee delle scelte del
1993.
b) Su un punto, per altro, l'impianto del Testo Unico del 1993 è stato
modificato, in conformità con la direttiva 94/19 (attuata nel nostro ordinamento dal
d.lgs. 659/1996), ossia quello relativo ai Sistemi di garanzia dei depositanti. Il Testo
Unico aveva previsto sistemi di garanzia e ne aveva fissato lo stretto legame con le
procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta, ma considerava
facoltativa la loro costituzione. Sulla scia della direttiva comunitaria l'adesione ad un
sistema di garanzia, "riconosciuto" dalla Banca d'Italia, costituisce oggi
condizione necessaria per poter esercitare l'attività bancaria.
11. Soggetti operanti nel settore finanziario .
Il Testo Unico, già nel dettato del 1993, aveva preso atto, correttamente, che nel
mercato finanziario operano soggetti diversi dalle banche e aveva ritenuto che la loro
disciplina, a) da un lato, non potesse essere abbandonata al diritto comune ma, b)
dall'altro, che la stessa dovesse essere meno stringente di quella delle banche, non
raccogliendo, questi soggetti, depositi e comunque fondi con obbligo di restituzione.
Il Testo Unico aveva ricompreso (art. 106), indistintamente, in questa
categoria gli enti che esercitano nei confronti del pubblico le attività "di
assunzioni di partecipazioni, di concessione di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, di
prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cam
Le norme successive, pur muovendosi in una logica sostanzialmente
analoga a quella adottata nel 1993, hanno profondamente modificato il relativo dettato
legislativo, anche sotto l'impulso delle direttive comunitarie. Hanno così disegnato a)
uno statuto speciale per gli Istituti di moneta elettronica (artt. 114-bis, 114-quinques),
b) uno statuto speciale per gli Istituti di pagamento (d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141), c)
ed uno per gli operatori di microcredito (art. 111), resti-tuendo al diritto comune
l'assunzione di partecipazioni.
E in questa prospettiva si colloca anche la disciplina dei mediatori
creditizi (art. 128-sexies) e degli agenti in attività finanziaria (art. 128-quater).
Ha poi delineato uno statuto generale per tutti i soggetti che esercitano nei
confronti del pubblico l'attività di "concessione di finanziamenti sotto qualsiasi
forma", definiti come "intermediari finanziari". Questo statuto generale,
pur non essendo stringente come quello delle banche, è stato tuttavia redatto in termini
che solo in piccola parte lo differenziano da quello.
Credo che il nuovo ordinamento dei "soggetti operanti nel settore
finanziario" debba essere apprezzato in quanto capace di adeguare, meglio del dettato
originario del T.U., la disciplina alle caratteristiche economiche dei diversi operatori.
12. Trasparenza delle condizioni contrattuali e dei
rapporti con i clienti . Ho già ricordato che il Testo Unico del 1993
considerava la trasparenza dei rapporti con la clientela un momento importante per
assicurare l'efficienza dell'intermediazione bancaria, ma non ne faceva un obiettivo
diretto dall'azione di vigilanza e che questa emancipazione della trasparenza è stata
realizzata dal d.lgs. 141/2010, in coincidenza con l'attuazione, nel nostro ordinamento,
della direttiva 2008/48 del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai
consumatori.
Le norme oggi vigenti, per altro, non si limitano ad imporre la
trasparenza delle condizioni contrattuali ma, abbastanza spesso, intervengono sul merito
dei rapporti contrattuali (come ad es.: nel computo dei giorni valuta, sulla possibilità
di modificazioni unilaterali del rapporto, o sulla fissazione di un tetto alle commissioni
di massimo scoperto (art. 117-bis, 1° comma); il che è soprattutto vero per i contratti
di credito al consumo. E non v'è dubbio che queste norme se non possono essere
considerate come un ritorno al controllo amministrativo del credito, forse consentito
dalla legge bancaria del 1936, non possono neppure con troppa facilità essere considerate
soltanto come uno strumento per favorire l'efficienza del mercato e la sana e prudente
gestione della banca.
E sotto questo profilo si potrebbe dubitare della appartenenza di
quelle norme al capitolo della Vigilanza bancaria, anche se non si deve dimenticare che la
trasparenza e la correttezza dei rapporti con la clientela sono un elemento importante
della Vigilanza, potendo contenere il rischio reputazionale che, a sua volta, può avere
notevoli ricadute patrimoniali.
13. Un cenno di conclusione . Ho cercato di
individuare le modificazioni e le integrazioni che il Testo Unico ha subito in questi
venti anni.
Il Testo Unico Bancario, così rivisitato, merita di essere conservato
o si deve fare, in proposito, un discorso, analogo a quello che si sviluppò negli anni
Ottanta e Novanta del secolo scorso? Allora si segnalava la progressiva affermazione di un
nuovo ordinamento del mercato bancario che, a) da un lato, rendeva obsoleta la legge
bancaria del 1936 e, b) dall'altro, richiedeva una sistemazione organica delle norme che
si andavano introducendo; sistemazione organica che fu realizzata dal T.U. del 1993.
A me pare che non stiamo vivendo una stagione analoga: non vedo in
formazione un nuovo ordinamento che imponga l'abrogazione del Testo Unico del 1993 per
preparare la redazione di un nuovo futuro e diverso Testo Unico. Certamente l'ordinamento
comunitario è destinato ad avere un ruolo sempre più importante, ma a me pare che le
relative norme, pur incidendo profondamente sui poteri delle Autorità Creditizie, non
attribuiscano alle Autorità del settore fini diversi da quelli oggi fissati dal Testo
Unico e, soprattutto, non vedo all'orizzonte l'avvento di una concezione dell'impresa
bancaria diversa da quella fatta propria dal Testo Unico. RENZO COSTI |
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°°

Ignazio Visco, Governatore
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Le "CONSIDERAZIONI FINALI del Governatore"
in merito al "le Banche e al Credito"
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COMMENTO: a) La via che
tradizionalmente ha sbloccato l'economia; b) Cosa sono le
"riforme" che tutti chiedono, ma senza dire nome e cognome; c) La
via fiscale "non convenzionale" per risolvere. |
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L'Italia,
in recessione, si trova in un punto B (a destra del punto Max). Dunque, per aumentare il
gettito fiscale,
serve ridurre la pressione fiscale. Vista la curva di Laffer, si smetta di dire
sciocchezze, con la sola ragioneria |
Considerazioni
finali Assemblea Ordinaria dei Partecipanti.
Anno 2014 - centodiciannovesimo esercizio. Stralcio del punto 4
(NOTA. Le evidenziazioni in grassetto sono della Redazione).Le banche e il credito
Le prospettive della domanda interna dipendono anche, in
ampia misura, dalle condizioni di accesso al credito. I prestiti alle imprese hanno
rallentato nettamente nella seconda parte del 2011 e si sono contratti di circa 60
miliardi dall'inizio di dicembre dello stesso anno. La flessione, inizialmente
particolarmente brusca per effetto delle gravi difficoltà di raccolta delle banche sui
mercati internazionali conseguenti all'inasprimento del rischio sovrano, è proseguita a
ritmi più contenuti nel corso del 2014; nei primi quattro mesi di quest'anno il calo si
è di nuovo accentuato, avvicinandosi al 4 per cento su base annua.
Sono diminuiti, in misura minore, anche i prestiti alle famiglie.
Il costo del credito alle imprese, salito nel corso del 2011, è sceso per
larga parte dello scorso anno; la flessione si è interrotta dall'autunno. I tassi bancari
attivi rimangono superiori a quelli medi dell'area: di circa un punto percentuale per i
prestiti alle imprese e di mezzo punto per i mutui alle famiglie. Il canale
bancario costituisce la fonte principale di finanziamento della nostra economia.
Alla fine del 2014 i prestiti erogati dalle banche a imprese e famiglie
ammontavano a poco meno di 1.500 miliardi, il 94 per cento del PIL; gli investimenti in
titoli di Stato erano pari a circa 350 miliardi. La congiuntura assai sfavorevole comprime
oggi la domanda di credito.
La contrazione dei prestiti riflette la flessione degli investimenti delle
imprese, la caduta degli acquisti di beni durevoli e la debolezza del mercato immobiliare.
Ma alla diminuzione degli impieghi contribuisce, in misura significativa, l'irrigidimento
dell'offerta, legato al deterioramento del merito di credito della clientela e ai suoi
riflessi sulla qualità degli attivi bancari.
Le condizioni di offerta del credito incidono a loro volta negativamente
sull'attività economica, in una spirale negativa che bisogna spezzare.
Le restrizioni all'offerta, acute alla fine del 2011 come riflesso delle
diffi- coltà di raccolta, venivano attenuate dall'Eurosistema mediante l'offerta
illimitata di liquidità a tre anni e l'ampliamento delle attività stanziabili nelle
operazioni di rifinanziamento.
La Banca d'Italia ha consentito alle controparti italiane di utilizzare
garanzie illiquide e con merito di credito meno elevato, assumendo in questo caso
integralmente nel proprio bilancio i relativi rischi.
Attualmente il collaterale stanziato presso la Banca d'Italia
basato su prestiti bancari ammonta a circa 180 miliardi di euro, poco meno di un terzo del
complesso delle attività stanziabili per il rifinanziamento presso la banca centrale,
metà di quelle depositate a garanzia. Grazie a queste misure i rischi immediati di
liquidità sono oggi rientrati.
I fondi ottenuti con le operazioni di rifinanziamento triennali non sono
però una risorsa permanente. Le tensioni sui mercati dei titoli di Stato non sono del
tutto sopite; rimangono incertezze sulla capacità delle banche di riconquistare
pienamente l'accesso ai mercati internazionali, soprattutto nei segmenti a lunga scadenza.
Stiamo lavorando, confrontandoci con gli intermediari e in collaborazione con
la BCE, per ampliare il novero di attività potenzialmente utilizzabili a garanzia.
L'aumento del rischio di insolvenza delle imprese spinge al rialzo i
tassi sui prestiti. Dalla metà del 2014 esso ha compensato gli effetti della
riduzione dei tassi ufficiali e, più recentemente, della diminuzione dei rendimenti dei
titoli pubblici. Le tensioni nell'offerta di credito sembrano riguardare, seppure con
minore intensità, anche imprese con condizioni finanziarie equilibrate. Le difficoltà
sono accentuate per le aziende medie e piccole, meno in grado di ricorrere a fonti di
finanziamento alternative al credito bancario.
Le emissioni lorde di obbligazioni delle imprese, pari lo scorso anno a circa
35 miliardi, sono quasi interamente riconducibili a grandi gruppi.
Nel 2014 il differenziale di tasso tra i prestiti bancari fino a un milione
di euro e quelli di importo superiore è stato pari in media a 160 punti base, circa il
doppio del valore osservato nel triennio precedente la crisi.
Alla fine del 2014 la consistenza dei prestiti in sofferenza è salita al 7,2
per cento degli impieghi complessivi, dal 3,4 del 2007; quella degli altri crediti
deteriorati al 6,3 per cento, dall'1,9. Per le imprese, il flusso delle nuove
sofferenze in rapporto agli impieghi ha recentemente superato, su base annua e al netto di
fattori stagionali, il 4 per cento, un livello non toccato da venti anni. In base
agli indicatori prospettici, il flusso di sofferenze rimarrebbe elevato nella restante
parte del 2013.
Per mitigare le difficoltà di accesso al credito da parte delle
imprese e soddisfarne le esigenze di liquidità, negli ultimi anni sono state adottate
numerose iniziative da parte sia del Governo, sia delle associazioni di categoria, con il
potenziamento di misure già sperimentate e nuovi interventi. Tra
il 2009 e il 2014 sono stati pari a poco meno di 60 miliardi i benefici finanziari per le
piccole e medie imprese derivanti dalle moratorie e dagli interventi della Cassa depositi
e prestiti e del Fondo centrale di garanzia. Le risorse del Fondo possono essere
aumentate, avendo cura che alle garanzie da prestare corrispondano prestiti addizionali e
condizioni più favorevoli, con piena informazione alle imprese beneficiarie.
A fronte del deterioramento dei prestiti, la Banca d'Italia ha intensificato il
vaglio sull'adeguatezza delle rettifiche di valore effettuate dagli intermediari.
Sono state condotte verifiche a distanza e in loco, chiedendo alle banche di
vagliare nel continuo l'adeguatezza del tasso di copertura dei prestiti deteriorati e,
quando necessario, sollecitando interventi correttivi. Questa azione continuerà, anche in
collegamento con gli analoghi esercizi concordati in sede internazionale, in vista della
vigilanza unica europea.
Per i 20 gruppi bancari grandi e medi sin qui sottoposti ad accertamenti i
tassi di copertura hanno smesso di ridursi, registrando nel secondo semestre del 2014 un
miglioramento di due punti percentuali, al 44 per cento.
Incrementi si sono registrati anche per le altre banche.
Se la Vigilanza fosse stata meno incisiva, i
rischi per le banche e per l'economia sarebbero stati ingenti. La tempestività e la
credibilità dell'azione di supervisione hanno rassicurato gli investitori internazionali
sulla qualità dei bilanci delle banche italiane, evitando l'ondata destabilizzante che ha
colpito altri sistemi europei, consentendo agli intermediari di continuare a fornire
credito a famiglie e imprese. È necessario mantenere, in alcuni casi accrescere, i
livelli di copertura raggiunti. Al fine di minimizzare gli effetti pro-ciclici
degli interventi abbiamo chiesto alle banche di aumentare le risorse generate
internamente, contenendo ulteriormente costi operativi, dividendi, remunerazioni di
amministratori e dirigenti, in coerenza con la situazione reddituale e patrimoniale.
Per gli intermediari che dovranno intraprendere azioni correttive più ampie,
un contributo dovrà venire dalla cessione di attività non strategiche. È opportuno
correggere l'attuale penalizzazione fiscale delle svalutazioni sui crediti. La
diluizione nel tempo della loro deducibilità, assente nei maggiori paesi dell'Unione
europea, disincentiva gli impieghi alle imprese in fasi di congiuntura negativa.
Muovendo da condizioni di partenza solide, il sistema
bancario italiano ha comunque resistito, nell'ultimo quinquennio, alla crisi finanziaria
globale, all'instabilità del mercato del debito sovrano, a due profonde recessioni.
Dall'avvio della crisi il capitale di migliore qualità è salito dal 7,1 al
10,7 per cento delle attività ponderate per il rischio per il complesso del sistema, dal
5,7 al 10,9 per cento per i cinque maggiori gruppi. La solidità del sistema, la sua
resistenza sono state di recente confermate dal Fondo monetario
internazionale, al termine del periodico programma di valutazione del sistema finanziario
italiano. In base alle prove di stress sin qui condotte dal Fondo, nel loro insieme le
nostre banche appaiono in grado di fronteggiare shock avversi grazie alla loro
patrimonializzazione e alla liquidità fornita dall'Eurosistema.
Il Fondo ha sottolineato il contributo fondamentale alla stabilità del
sistema fornito dall'azione di vigilanza. Il divario negativo di capitalizzazione dei
nostri intermediari rispetto alla media europea, sceso a circa due punti percentuali,
riflette in ampia misura le massicce ricapitalizzazioni bancarie effettuate con fondi
pubblici in altri paesi.
Lo scorso dicembre il sostegno dello Stato alle banche
ammontava all'1,8 per cento del PIL in Germania, al 4,3 in Belgio, al 5,1 nei Paesi Bassi,
al 5,5 in Spagna, al 40 in Irlanda. In Italia l'analoga quota è pari allo 0,3 per cento
includendo gli interventi per il Monte dei Paschi di Siena. Questi ultimi, ora al vaglio
della Commissione europea, sono stati resi necessari dalla raccomandazione dell'Autorità
bancaria europea alle banche dell'Unione di dotarsi di mezzi patrimoniali addizionali,
straordinari e temporanei, per fronteggiare le oscillazioni di valore dei titoli di Stato
posseduti; varranno anche a facilitare l'attuazione del piano di ristrutturazione varato
dalla nuova dirigenza.
Lo Stato italiano ha concesso un finanziamento a condizioni onerose per la
banca; il piano di ristrutturazione ha obiettivi ambiziosi; il suo successo dipenderà
anche dall'evoluzione del contesto economico e finanziario del Paese.
La leva finanziaria delle banche, misurata dal rapporto tra attività di
bilancio e capitale, è pari a 14 da noi e a 20 in media nel resto dell'Unione europea.
Nell'ultimo biennio le banche italiane che partecipano al monitoraggio
periodico coordinato dal Comitato di Basilea hanno fortemente ridotto, da 35 a 9 miliardi,
il fabbisogno di capitale che si registrerebbe se i nuovi requisiti di "Basilea
3" (incluso il capital conservation buffer) fossero già oggi pienamente in vigore.
Il rafforzamento patrimoniale, la trasparenza contabile, il rigore nei criteri di
valutazione dei rischi sostengono la fiducia degli investitori e contribuiscono a
contenere il costo dei finanziamenti esterni per le banche in una congiuntura
particolarmente avversa. |
NINO LUCIANI, Le considerazioni sono un pò contraddittorie e reticenti, per
quanto riguarda le banche. Sarebbe stata utile una ferma indicazione della via per
sconfiggere il credit cranch. Anche autoreferenziale (troppo) l'esaltazione della bravura
della "Vigilanza della Banca d'Italia" sulle banche, come se l'entità delle
sofferenze bancarie non ne sia la smentita, oggettivamente.
Si consideri la curva di Laffer, passando dalla ragioneria all'economia.
1.- Le contraddizioni. Esse emergono nel fatto che le
banche traggono, per definizione i loro utili dalle differenze tra tassi attivi e tassi
passivi. E siccome il Governatore rileva una "caduta della redditività delle
banche", evidentemente il motivo è che il deposito e il giro ( compito tipico delle
banche) funzionano poco.
Ma il punto veramente notevole, che manca nelle considerazioni (una caratteristica
comune a tutte le autorità monetarie, anche internazionali: BCE, FMI), è il non avere
mai fatto una diagnosi "veritiera" delle ragioni delle grande crisi finanziaria
(ed economica) mondiale.
Nessuno dice ... di certe assonanze tra la crisi del 1929 e quella del 2008, e che
la dicono lunga, pur se queste cose (che evochiamo) le sentiremo solo tra 20, 30 anni.
Trattasi del fatto che la crisi del 1929 veniva dopo la prima guerra mondiale
e le varie mini guerre susseguite in quegli anni, sono state finanziate, da sempre, dai
banchieri impiegando a rischio fuori limite i depositi dei risparmiatori. A loro volta gli
Stati si indebitavano verso i banchieri, e alla fine (causa il mancato ritorno
del denaro) la domanda aggregata si trovava a secco di potere acquisto.
Anche la crisi del 2008 è venuta dopo la guerra "mondiale" contro
l'IRAK, e dopo quella "minore" contro l'AFGHANISTAN... .
Questi fenomeni hanno creato un capovolgimento totale dei tradizionali
circuiti del denaro, infine andato ad accumularsi nelle casse dei controllori dei giri di
affari collegati con le guerre (i fallimenti bancari connessi con i mutui sub prime sono
stati solo le prime avvisaglie del cambiamenti dei circuiti monetari). Alla fine è
risultato: in date mani, troppo denaro, e in altre mani poco denaro.
Via via verso la fine della guerra, tutto è diventato critico: la domanda
effettiva (vale dire accompagnata da potere d'acquisto va a secco) cessa, il sistema
produttivo non vende più, subentrano aspettative pessimiste estese all'intero sistema. A
sua volta, chi ha accumulato denaro a iosa non lo investe in attesa di nuovo chiarore. Gli Stati si trovano pieni di debiti verso le
banche; le banche si trovano piene di debiti verso i risparmiatori
depositanti, ma il denaro prestato non ritorna ed entrano in sofferenza.
2.- La via che tradizionalmente ha sbloccato. La cancellazione del grande
debito è stato, da sempre la via maestra, pagando i creditori con fabbricazione di nuova
carta moneta, ma al tempo stesso introducendo severe regole bancarie, a tutela del
risparmio. Così fu con la legge bancaria del 1936, ma che abbiamo demolito nel 1993
(anche gli USA) fino a ridefinire le banche come comuni imprese.
Gli Stati Uniti hanno fatto la stessa cosa, in qualche modo, sia pure
fabbricando dollari aggiuntivi in modo contenuto. E invece, noi, NO: noi non abbiamo più
il potere sovrano sulla moneta (LIRA).
Quanti premono in queste settimane sullo sforamento autonomo (vale dire, solo
dell'Italia) del rapporto deficit/PIL hanno idee di questo tipo, ma senza rendersi conto
che, nella nuova situazione, faremmo un disastro. Infatti, nella situazione odierna noi
non possiamo sanare il debito pubblico con fabbricazione di moneta aggiuntiva. Anzi,
sforare nuovamente il 3% del rapporto deficit/PIL implica aumento del debito pubblico,
vale dire deviare verso ulteriori impieghi pubblici (la cosa peggiore, in questa
fase) il risparmio privato, anzichè in impieghi privati (ciò di cui c'è molto
urgenza).
Dunque, se via monetaria ci deve essere, la sola possibilità seria è
marcare visita in UE ? Ad es., la BCE potrebbe comprare il 50% del debito pubblico
italiano, fabbricando Euro; e poi potrebbe farlo convertire in debito trentennale a tasso
simbolico. Cosa sono le "misure non convenzionali" a cui accenna DRAGHI ?
3.- Torniamo a VISCO e alle vie nuove per sbloccare. Per risolvere i
problemi della moneta e dell'economia, Visco si allinea con quanti chiedono
"riforme", quelle di cui tutti si riempiono la bocca, in Europa, ma senza
chiamarle con nome e cognome.
[Non si tratta della riforma della legge bancaria (del 1993) che definì
(art. 10) le banche come imprese orientate al profitto, in un quadro concorrenziale, che
non esiste; vale dire di quella legge, troppo permissiva, che ha reso oggettivamente
debole la Vigilanza, inibendola,
pro quota. Men che meno si tratta del ritorno alla legge precedente, sorta sulle ceneri
della crisi del 1929, che vedeva l'attività bancaria come servizio orientato
all'interesse pubblico, e alla tutela del risparmiatore depositante].
Si tratta della destatalizzazione dell'economia, ma che è
una cosa strutturale ..., non anticongiunturale. Vediamo meglio.
- La destatalizzazione, come via
per riprendere la via della crescita, è apparsa in Europa una necessità inconfutabile
dopo la caduta del muro di Berlino e della intera URSS. Il "socialismo reale"
era risultato burocratico ed autodistruttivo: perchè non aveva salvato il PIL, il
presupposto per la distribuzione della "torta" sociale. Nel caso nostro, nel
1988 fu subito chiaro che quella diagnosi valeva anche per noi, in proporzione al grado di
statizzazione del sistema economico (55%-60%).
Ma, a tuttora, avendo fatto poco per tornare verso il mercato, non c'è
spazio per usare lo Stato in senso congiunturale, seguendo Keynes (alimentare la domanda
col deficit spending, finanziato da moneta aggiuntiva). Anzi lo Stato è diventato un
elefante talmente pesante, che non riesce neanche a spendere quanto di suo già
"autorizzato" e finanziato con nuove entrate (questo è il motivo del fallimento
del governo Monti). Lo vediamo nel fatto che lo Stato paga con ritardi biblici i propri
fornitori.
Sia chiaro che è stato così da sempre, ma con la differenza che in passato
il compito dell'anticipazione monetaria era svolto dalla banche, cosa che oggi non avviene
perchè le banche sono in tilt. Questo ci riporta a VISCO.
Se non capiamo cosa sono i reali poteri bancari, non capiremo mai il
"credit cranch" (la B.d'I. ci ha informato ultimamente, che i prestiti alle
imprese sono ulteriormente diminuiti, aprile: -3,7%, rispetto a un anno fa).
Una banca vive su aspettative di reddito, e dunque accetta il
deposito (in questo caso, della BCE) se vede rosa nel giro di quella moneta. Ma
in questa fase, il sistema produttivo è in crisi ... e, poichè la banca non è "un
benefattore dell'umanità", non può fare credito. Dunque, per sbloccare le banche,
non basta pensare di riempirle con gli Euro di Draghi.
4.- La sola via d'uscita. Se è vera la diagnosi della crisi monetaria
(troppa moneta presso alcuni, poco moneta presso altri), la sola via d'uscita (preso atto
che la spesa pubblica è paralizzata di suo) è fare il travaso forzato tra le due
categorie.
Il mezzo è quello fiscale, non nel
senso tradizionale (prelievo e spesa pubblica), ma nel senso di incrementare le
aliquote dell'IRPEF sui redditi medio-alti (includendo i "paradisi fiscali), e il
corrispondente sgravio dei redditi medio-bassi. E uno strumento ,
immediatamente operativo ed equo, in Italia, ed è coerente con la ricetta Keynesiana, sia
pur sviluppata dai suoi continuatori (Lerner, E. dAlbergo, per lItalia).:
Va benissimo anche il "DECRETO del fare", di questi
giorni, ma siamo ancora al livello delle carezze ...
5.- Torniamo alle riforme, chieste dallEuropa.
Siamo consapevoli che leccesso di Statalismo è la causa primaria (causa eccesso di
pressione fiscale, improduttività della spesa pubblica, a partire da una determinata
soglia della spesa medesima) della crisi economica italiana (in primis, la non
concorrenzialità delle nostre imprese, verso lestero). Dunque l'aumento della
pressione fiscale genera la caduta del gettito (vedi sopra, la curva di Laffer)
se l'economia si trova in un punto B (a destra del punto Max), e si direbbe che questa sia
la situazione attuale.
Siamo anche consapevoli che la transizione dallo Stato al Mercato richiederà
tempo (10 anni, per essere ottimisti). Dunque l'UE smetta di dire sciocchezze,
all'insegna della pura ragioneria.
Al tempo stesso, almeno fosse chiaro subito che, pur se alla fine dovremo forse
tagliare parte dei servizi sociali (scuola, sanità, pensioni), il costo dei
nostri servizi sociali è elevato perché la politica ci mangia sopra. E dunque la prima
cosa da fare è semplificare è lorganizzazione dello Stato (Stato
centrale, Regioni, Province, Comuni, varie imprese pubbliche ombelicali). Potremmo
cominciare da qui ?
Le Regioni costano il 16% di pressione fiscale: servono davvero, tolta la
parte sanitaria, da loro gestita per delega statale, e che sarebbe opportuno tornasse allo
Stato, sicuramente più economico come gestione.
Tutti i quattro livelli di enti territoriali sono enti a fini
generali, vale dire potenzialmente fanno le stesse cose, pur se varie leggi
tentano di delimitare ma anche a vuoto (è il caso di un ente che non provvede per
mancanza di soldi, per cui, alla fine, deve provvedere laltro).
Il caso delle Province è piuttosto strano. Invocata labolizione da
anni
, ma poi Monti (che ci ha provato) non cè riuscito: per farlo davvero,
serve una legge costituzionale e, poi, le strade provinciali rimangono, gli edifici
scolastici di II grado rimangono
Non sarebbe il caso di rivedere, con legge costituzionale, la
struttura organizzativa dello Stato. Perché non trasformare le regioni in enti
amministrativi, con i compiti delle Province (abolite) ? Perchè le
Regioni dovrebbero continuare a legiferare, se il Parlamento della Repubblca basta e
avanza ? |
(Continua:
VISCO)
Ma la garanzia ultima della stabilità delle banche è la loro
capacità di generare reddito. In prospettiva, la caduta della redditività rischia di
indebolirne il patrimonio e di comprometterne la capacità di finanziare il rilancio
dell'economia reale. Dal 2007 al 2014 il rendimento del capitale e delle riserve
è peggiorato; nel 2014, al netto delle poste straordinarie connesse con la svalutazione
degli avviamenti, è stato pari allo 0,4 per cento. Il rischio di un'evoluzione
sfavorevole nei prossimi anni deve essere contrastato, in primo luogo mediante incisivi
interventi sui costi. In un'industria ad alta intensità di lavoro, come quella
bancaria, vanno considerate misure, anche di natura temporanea, per ridurre le spese per
il personale in rapporto ai ricavi.
Gli accordi a livello aziendale volti a coniugare flessibilità e solidarietà,
contenuti nel contratto nazionale firmato nel 2011, muovono nella giusta direzione. Per
far fronte alle difficoltà contingenti degli intermediari, per salvaguardare la stessa
occupazione, è necessario proseguire con determinazione lungo queste linee. Il
cambiamento nell'impiego dei fattori produttivi e dei canali distributivi va favorito,
sfruttando appieno le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Negli ultimi quindici
anni è cresciuta l'importanza del canale telematico nei rapporti con la clientela.
Modeste sono state, tuttavia, le implicazioni sulla rete tradizionale.
La differenziazione nell'utilizzo di questi canali, rispettivamente per la
distribuzione di servizi standardizzati e per l'offerta di prodotti e servizi più
complessi e personalizzati, potrebbe contribuire a invertire la tendenza alla crescita del
rapporto tra costi e ricavi registrata nell'industria bancaria italiana negli ultimi dieci
anni.
Resta comunque centrale il rapporto di fiducia con la clientela.
Su questo fronte sono stati compiuti progressi, ma si deve ancora migliorare, per
accrescere la qualità e la completezza delle informazioni, per garantire la piena
rispondenza tra le condizioni contrattuali pubblicizzate e quelle effettivamente
applicate, per evitare l'imposizione di oneri indebiti alla clientela.
La Banca d'Italia ha stabilito regole incisive; ne verifica il rispetto anche
attraverso apposite ispezioni, comminando sanzioni quando rileva irregolarità. Da alcuni
anni per le controversie individuali opera l'Arbitro bancario finanziario, organizzato in
tre collegi territoriali e indipendente dalla Banca d'Italia. Si è rivelato uno strumento
efficace e apprezzato. Intendiamo rafforzarne le strutture, prendendo in considerazione un
incremento del numero dei collegi. La prontezza nell'adeguarsi alle sue decisioni è un
elemento di valutazione delle banche da parte della Vigilanza.Le
difficoltà nel finanziamento delle imprese devono stimolare una riflessione sull'assetto
complessivo del sistema finanziario italiano, sullo scarso sviluppo dei mercati
obbligazionari e azionari e sulla conseguente eccessiva dipendenza delle imprese dai
prestiti bancari. Come abbiamo sottolineato in altre occasioni, tale assetto
riflette in parte la riluttanza ad aprirsi delle aziende italiane. Ma le banche non hanno
spinto a sufficienza le imprese ad avvicinarsi ai mercati.
La situazione odierna richiede a entrambe le parti di
superare queste esitazioni. Per le aziende solide, con buone prospettive di crescita, le
difficili condizioni sul mercato del credito bancario costituiscono uno stimolo potente ad
accedere al mercato dei capitali. Per le banche, un sistema finanziario sviluppato
permette di diversificare le fonti di ricavo, di mantenere un rapporto equilibrato tra
impieghi e depositi, di condividere con i mercati i rischi insiti nel finanziamento alla
clientela. Anche se occorre fare attenzione ai potenziali conflitti di interesse, le
banche possono favorire il ricorso delle imprese al mercato avvalendosi dei vantaggi nella
valutazione del merito di credito derivanti dalle relazioni di lungo periodo che con esse
intrattengono.
Il rafforzamento patrimoniale delle imprese e la loro
apertura al mercato dei capitali richiedono anche profondi cambiamenti nell'intero sistema
finanziario: è indispensabile che si ampli il ruolo dei fondi pensione e degli
investitori con orizzonte di lungo periodo; l'accumulo del capitale di rischio deve essere
opportunamente incentivato.
In questa difficile fase congiunturale e
nella prospettiva di una profonda revisione del modello di attività delle banche, gli
azionisti svolgeranno un ruolo cruciale; dovranno essere in grado di sostenere
finanziariamente le banche, rinunciando ai dividendi quando necessario, di vagliare la
gestione senza interferire con essa, di accettare la diluizione del controllo favorendo
all'occorrenza l'aggregazione con altri istituti. Saranno ricompensati dalla redditività
nel più lungo periodo.
Negli anni della crisi, le fondazioni di origine bancaria
hanno assecondato e sostenuto il processo di rafforzamento patrimoniale di alcuni tra i
maggiori intermediari italiani. Esse devono esercitare nei confronti delle banche
partecipate un ruolo rispettoso della forma e dello spirito della legge, senza
condizionarne le scelte gestionali e l'organizzazione; al pari di ogni altro azionista,
devono promuovere la selezione degli amministratori sulla base della competenza e della
professionalità, con criteri trasparenti.
La disciplina sulle banche popolari fu concepita per intermediari con
attività circoscritta in ambiti geografici ristretti, con il tratto distintivo, come nel
caso delle banche di credito cooperativo, di un elevato tasso di mutualità.
Essa può risultare oggi inadeguata per intermediari di grande dimensione,
operanti a livello nazionale o anche internazionale, quotati in borsa, partecipati da
investitori istituzionali rappresentativi di una moltitudine di piccoli risparmiatori che
hanno finalità e interessi diversi da quelli cooperativi. Per intermediari di questa
natura, l'applicazione rigida di alcuni istituti tipici del modello cooperativo può anche
incidere negativamente sulla capacità di rafforzare la base patrimoniale.
Abbiamo in più occasioni indicato possibili interventi, tendenti a
facilitare la partecipazione dei soci, a rendere più incisivo il ruolo degli investitori
istituzionali. Andrebbe resa più agevole, per le popolari quotate, la trasformazione in
società per azioni, quando necessaria, in funzione delle dimensioni delle banche e della
natura delle loro operazioni. Nei limiti delle nostre attribuzioni, ai fini del
conseguimento della sana e prudente gestione, promuoviamo modifiche nell'applicazione
delle prassi di governance; le richiediamo laddove le manchevolezze sono più rilevanti.
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PUBLIC CHOICE: Una GUIDA, per la ricerca della "retta
via" per l'Italia |

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Dalla
RELAZIONE DEI 5 SAGGI DI NAPOLITANO :
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La riforma del Parlamento e del Governo ( stralcio del
Capitolo III)
. |
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Luciani: Abbiamo di fatto una Repubblica semi-Presidenziale (anomala) e, finchè
c'è Napolitano,
possiamo anche stare tranquilli. Ma, se verrà un tipo "decisionista",
non sappiamo come andrà
a finire per la democrazia. Per questo è urgente porre un termine alla attuale
"sospensione
della Costituzione", adeguandola ai nuovi tempi, con i necessari pesi e
contrappesi.
.
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|
.Sul concetto di "sospensione della Costituzione":
C. Mortati, costituzionalista, anche padre costituente, degli anni '40-'50.
. |
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Gruppo di Lavoro sulle
riforme istituzionali.
Istituito dal Presidente della Repubblica, 30.3.2013.
|
Membri: Mario Mauro, Valerio Onida,
Gaetano Quagliariello, Luciano Violante
Relazione finale, 12 aprile 2013. |
Stralcio del Capitolo III,
"Parlamento e Governo"
.....
13. Forma di Governo. Il Gruppo di lavoro ha discusso dell'alternativa
tra:
- forma di governo parlamentare razionalizzata;
- ed elezione diretta del Presidente della Repubblica secondo il modello
semipresidenziale.
Si tratta certamente di due forme di governo democratiche, ciascuna delle
quali, con i necessari contrappesi istituzionali, può assicurare equilibrio tra i poteri
e garanzia per i diritti dei cittadini.
In modo prevalente (3 componenti a 1), il Gruppo di lavoro ha ritenuto
preferibile il regime parlamentare ritenendolo più coerente con il complessivo sistema
costituzionale, capace di contrastare l'eccesso di personalizzazione della
politica, più elastico rispetto alla forma di governo semipresidenziale.
Quest'ultimo, infatti, non prevede una istituzione responsabile della risoluzione della
crisi perché il Presidente della Repubblica è anche Capo dell'Esecutivo. ka
L'esperienza italiana, specie quella più recente, ha invece dimostrato
l'utilità di un Presidente della Repubblica che, essendo fuori dal conflitto politico,
possa esercitare a pieno titolo le preziose funzioni di garante dell'equilibrio
costituzionale.
"Un" componente del Gruppo ha sostenuto l'opzione
semipresidenziale, e ha invece sottolineato come l'attuale grave crisi del nostro sistema
istituzionale richieda una riforma più profonda che, proprio grazie all'elezione diretta
del Presidente, garantisca una forte legittimazione democratica e, al contempo,
un'adeguata capacità di decisione.
In questa prospettiva ha fatto rilevare che, in questa fase della vita
politica, l'elezione diretta del Presidente della Repubblica sia più efficace nel
fronteggiare la crisi di legittimazione della politica, rafforzando la democrazia,
coniugando rappresentatività ed |
Costantino Mortati, Corso di diritto costituzionale italiano
e comparato, edizioni Ricerche, Roma, 1956 (stralcio par. 21, cap. XI,
Modifiche della costituzione ad opera di fatti normativi). Par. 1.
L'unica valida tesi a favore della ammissibilità delle "sospensioni della
costituzione" sembra essere quella che si richiama alla
"necessità istituzionale" come fonte autonoma del diritto.
Si tratta in tal caso di quella "necessità",
considerata nella categoria dei "fatti normativi", e da
intendersi in maniera qualitativamente diversa da quell'altra "necessità", cui
ad esempio fà riferimento il già considerato art. 77 Cost. , che opera soltanto nello
ambito della legge e solo in quanto da questa richiamata.
Nell'ipotesi qui considerata, invece, la necessità è ciò che
direttamente consente di violare la legge costituzionale per assicurare la conservazione
del sistema e dei principi istituzionali dell'ordinamento, che esige quindi la sospensione
dell'efficacia della garanzie costituzionali per garantire il mantenimento della
costituzione.
Anche la tesi ora accolta incontra obiezioni, ma queste possono
essere facilmente superate. Si afferma che in un sistema a costituzione rigida è
impossibile ammettere la "necessità come fonte autonoma" del diritto.
Si risponde rilevando che, a parte il fatto che il nostro Costituente
sembra le abbia implicitamente ammesse appunto perchè ha volutamente lasciato irrisolto
il problema dello ''stato d'assedio" e comunque non l' ha esplicitamente esclusa,
simile "necessità" è per sua natura tale da valere al di fuori ed
indipendentemente da qualsiasi previsione legislativa ed è connaturata ad ogni sistema
costituzionale, senza che abbia alcuna rilevanza se esso sia "rigido" od invece
"flessibile"; d'altronde essa è implicita nello stesso necessario riferimento a
quella "costituzione materiale''che rappresenta il presupposto e il fondamento di
validità della "costituzione scritta".
22. Una volta accertato che solo alla ''necessita'
istituzionale" si può' fare riferimento per ammettere quelle sospensioni
della costituzione che si rivelino indispensabili in urgenti e straordinarie situazioni,
occorre però chiedersi se sia possibile indicare a quali organi spetti
nel nostro sistema decidere tali "sospensioni" e se sia possibile accennare ad
un qualche procedimento cui tale decisione dovrebbe essere sottoposta".
Nota. A questo punto Mortati sostiene che
il potere di sospensione dovrebbe spettare al "governo", che però deve riferire
al parlamento appena superato lo stato di necessità istituzionale. |
LUCIANI: Urgenze di aggiornamenti
della Costituzione, perchè cessi la attuale, pericolossima "sospensione" della
Costituzione. Il sistema di governo (esecutivo e parlamento) riguarda il
concreto potere di decisione politica dello Stato e dunque è il nodo di tutto.
In questo fase, abbiamo una Repubblica semi-presidenziale, anomala, in quanto il
Presidente della Repubblica (carica senza responsabilità politica) riesce ad imporsi al
Presidente del Consiglio dandogli ordini, mentre il Parlamento ha perso per strada
il primato su tutti i poteri.
Anche il Presidente del Consiglio (che avrebbe la responsabilità
politica) è senza poteri reali (perfino sui problemi più impellenti: il lavoro, la
estrema miseria, le imprese in stato di fallimento per "stupida" mancanza di
liquidità ..., la IMU che ti deruba, ... perchè tecnicamente errata ...).
Invece, chiunque, anche con un piccolo potere di veto, può impedire tutto.
Motivo ? Andiamo per gradi.
Abbiamo una Costituzione fatta apposta per impedire il ritorno del Fascismo,
e per questo ha fondato la Repubblica sul Parlamento, ma:
- ha scisso il parlamento in due camere (per imporre lunghe riflessioni, prima di
innovare);
- e ha scisso l'Esecutivo in due Presidenti (uno del Consiglio, che assume la
responsabilità politica; l'altro della Repubblica per controllare quello che fa,
Costituzionalmente);
- e ha messo una Corte Costituzionale per vigilare sul tutto, compreso sul Parlamento.
E' una macchina di ingegneria costituzionale, fondata sul Parlamento, e che si
attende dal Parlamento le necessarie reazioni, in caso di "deviazioni".
Questa macchina ha potuto funzionare:
- finchè in Parlamento ci sono stati grandi partiti storici, con un alto senso delle
istituzioni (come erano la DC e il PCI), condizione che oggi non c'è;
- e se la società civile è stata relativamente tranquilla (tale fu l'Italia fino al
1968). Ma adesso vi è subentrata una società confusa e anche planetaria (come
constatiamo dagli sbarchi di immigrati, tutti i giorni, sulle coste italiane).
E siccome in natura il vuoto non può esistere, qualcuno lo riempie.
Lo vediamo (tra l'altro) dal fatto che:
- il Parlamemto è costretto a ratificare una normale attività legislativa
dell'Esecutivo (cosa che non si potrebbe - vedi artt. 77 e 78), senza più una distinzione
reale tra i due Presidenti, anzi con la subalternità del Presidente del Consiglio,
rispetto al Presidente della Repubblica;
- la legiferazione è pessima: tutto deciso disordinamente, in un orizzonti brevi,
sotto i problemi strutturali che scoppiano, perchè non affrontati in tempo. |
(Continua: LETTA)
efficienza istituzionale.
14. Rapporti Parlamento Governo. Il Gruppo di lavoro ha, in ogni caso, convenuto
all'unanimità che qualora dovesse essere confermata la forma di governo parlamentare
razionalizzata occorrerà introdurre nel nostro sistema alcune innovazioni:
a) dopo le elezioni, il candidato alla Presidenza del Consiglio, nominato dal
Presidente della Repubblica sulla base dei risultati elettorali, si presenta alla sola
Camera dei Deputati (nel presupposto della riforma dell'attuale bicameralismo 12
paritario) per ottenerne la fiducia;
b) il giuramento e il successivo insediamento avvengono dopo aver ottenuta la
fiducia della Camera;
c) al Presidente del Consiglio che abbia avuto e conservi la fiducia
della Camera, spetta il potere di proporre al Capo dello Stato la nomina e la
revoca dei ministri;
d) il Presidente del Consiglio può essere sfiduciato solo con
l'approvazione a maggioranza assoluta, da parte della Camera, di una mozione di sfiducia
costruttiva, comprendente l'indicazione del nuovo Presidente del Consiglio;
e) il Presidente del Consiglio in carica è titolare del potere di chiedere
al Presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato della Camera dei deputati, ma
solo se non è già stata presentata una mozione di sfiducia costruttiva.
Al Gruppo di lavoro sembra utile che - in relazione alle modifiche dei
regolamenti parlamentari dirette ad accelerare il procedimento legislativo ordinario -
vengano costituzionalizzati i limiti alla decretazione d'urgenza contenuti nella legge
400/1988. 15. Legge elettorale. Il tema della legge elettorale
è connesso a quello della forma di governo.
- Se il Parlamento dovesse optare per un regime semipresidenziale sarebbe
preferibile propendere per una legge elettorale incentrata sul doppio turno di
collegio, secondo il modello francese, al fine di rafforzare il Parlamento
rispetto a un Presidente che ha la stessa fonte di legittimazione.
- Se invece, come il Gruppo di lavoro propone a maggioranza, si dovesse optare per
una forma di governo parlamentare razionalizzata, le soluzioni possono
essere più d'una, purché garantiscano la scelta degli eletti da parte dei
cittadini e favoriscano la costituzione di una maggioranza di governo attraverso il voto.
Il Gruppo di lavoro intende precisare che con l'attuale bicameralismo
paritario nessun sistema elettorale garantisce automaticamente la formazione di una
maggioranza nelle urne in entrambi i rami del Parlamento.
Diverse sarebbero le prospettive della stabilità, se si attribuisse
l'indirizzo politico ad una sola Camera (par. 16). I modelli elettorali
possibili sono diversi:
- il proporzionale su base nazionale proprio del sistema tedesco;
- il proporzionale di collegio con perdita dei resti, proprio del sistema spagnolo;
- il sistema misto, in parte preponderante maggioritario e in parte minore
proporzionale, come la cosiddetta Legge Mattarella, per la quale si suggerisce comunque,
in caso di accettazione del modello, l'abolizione dello scorporo.
Il Gruppo di lavoro segnala che, in ogni caso, va superata la legge
elettorale vigente.
La nuova legge potrebbe prevedere un sistema misto (in parte proporzionale e in |
(Continua: LUCIANI)
Conclusione: ci troviamo in uno stato di "sospensione della
Costituzione", imposto dalla "necessità istituzionale". Finchè il
Presidente della Repubblica è Napolitano (anche Presidente del Consiglio Superiore di
Difesa, anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura) non ci sono pericoli
gravi per la democrazia. Ma sarà così anche se sarà eletto un qualche
"decisionista", salvatore della patria ?
Ragioniamoci sopra ripescando Costantino Mortati, padre costituente. Già
negli anni '50, discusse se la "necessità istituzionale" possa divenire
"fonte del diritto costituzionale". Riprendiamo queste cose.
Poi, ... per le riforme costituzionali servono i 2/3 dei voti, se si vuole
che vadano in azione subito, senza referendum confermativo. Dunque si capisca anche
l'importanza numerica della coalizione PD+PDL, visto che i GRILLINI non sono ancora
all'altezza giusta per le decisioni (ad es., non capire che quello che conta sono
le decisioni, non con chi ti trovi a prendere le decisioni, ed
essere affidabili che non si cambia posizione di punto in bianco, all'ultimo momento).2.-
Quali soluzioni istituzionali ? Forse non sarebbe il caso di perdere tempo per
scoprire l'acqua calda. L'Italia è figlia dello Stato Francese ed ha una società molto
simile a quella della Francia.
In questo senso, potremmo copiare la Costituzione Francese e la legge elettorale
francese.
Beninteso, nulla mai è perfetto, e allora potremmo correggere alcuni difettini
delle norme francesi, purchè non si perda troppo tempo.
Torniamo al Gruppo dei Saggi. Essi vacillano tra una repubblica parlamentare
"razionalizzata" e una republica "semiprensidenziale", e tra una o due
camere, purchè diversificate nei poteri.
Con quali motivazioni ? Su queste il Gruppo ragiona su opinioni personali,
senza capo nè coda.
Torniamo a Mortati. Le ragioni dei Padri Costituenti erano fondate su
questioni efficienza della Governance, ma anche di salvaguardia della democrazia. La
repubblica presidenziale potrebbe andare meglio o peggio della Repubblica
semi-presidenziale, o di quella parlamentare: dipende dalla società civile, in cui è
collocata..
Può andare bene (anzi benissimo) anche la repubblica parlamentare purchè il
Premier sia eletto dal Parlamento per i 5 anni della Legislatura e il Parlamento
sia capace di prendere decisioni (vale dire non sia polverizzato).
Concludo: la soluzione appropriata va motivata con il riferimento alla nuova
struttura della società civile italiana e internazionale, e con il disegno di quegli
eventuali pesi e contrappesi, che l'ingegneria costituzionale prevede per mandare
efficienza, tempestività e democrazia. NLUCIANI |
(Continua: LETTA)
parte maggioritario), un alto sbarramento, implicito o
esplicito, ed eventualmente un ragionevole premio di governabilità.
Si propone, inoltre, di eliminare le circoscrizioni estero,
prevedendo il voto per corrispondenza, assicurandone la personalità e la segretezza.
16.Superamento del bicameralismo paritario. Il Gruppo di
lavoro ritiene che l'attuale modello di bicameralismo paritario e simmetrico
rappresenti una delle cause delle difficoltà di funzionamento del nostro sistema
istituzionale.
A tal fine, propone che ci sia una sola Camera politica ed una
seconda Camera rappresentativa delle autonomie regionali (Senato delle Regioni).
La Camera dei Deputati, eletta a suffragio universale e diretto,
è titolare dell'indirizzo politico, ha competenza esclusiva sul rapporto fiduciario,
esprime il voto definitivo sui disegni di legge.
Il Senato delle Regioni è costituito da tutti i Presidenti di
Regione e da rappresentanti delle Regioni, eletti da ciascun Consiglio Regionale in misura
proporzionale al numero degli abitanti della Regione.
Si potrà prevedere che il Consiglio Regionale debba eleggere, nella propria
quota, uno o più sindaci.
Questo Senato assorbe le funzioni della Conferenza Stato Regioni e partecipa
al procedimento legislativo.
Salve le eccezioni più avanti indicate, le leggi saranno discusse e
approvate dalla Camera.
Il Senato potrà, entro un termine predeterminato e breve, decidere di
esaminare le leggi approvate dalla Camera e proporre a questa emendamenti.
Spetterà alla Camera, entro un termine altrettanto breve, decidere sulle
modifiche proposte dal Senato, potendosi prevedere per alcune categorie di leggi che il
voto finale della Camera sia espresso a maggioranza assoluta.
Il bicameralismo resterebbe paritario per:
- le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali;
- le leggi elettorali (tranne la legge elettorale per la Camera);
- le leggi in materia di organi di governo e funzioni fondamentali dei
Comuni, delle Province e delle città metropolitane;
- la legge su Roma capitale;
- le leggi sul regionalismo differenziato (art. 116.3 Cost.);
- le norme di procedura per partecipazione delle Regioni e delle
Province di Trento e Bolzano alla formazione di normative comunitarie (art. 117.5 Cost.);
- le leggi sui principi per le leggi elettorali regionali (art.
122.1 Cost.);
- l'ordinamento della finanza regionale e locale. 14 17.
Numero dei Parlamentari. Per effetto del superamento del bicameralismo paritario,
occorre calcolare il numero di parlamentari con modalità diverse tra Camera e Senato.
Oggi i deputati sono 630, all'incirca uno ogni 95.000 abitanti.
Il Gruppo di Lavoro ritiene che sia ragionevole seguire un criterio per il
quale la Camera sia composta da un deputato ogni 125.000 abitanti. I deputati verrebbero
così ad essere complessivamente 480.
Per i Senatori, si propone un numero complessivo di 120, ripartiti, come si
è detto, in proporzione al numero di abitanti in ciascuna Regione.
18. Funzionamento delle Camere. Il Gruppo di lavoro propone alcune
modifiche dei Regolamenti delle Camere per migliorarne il funzionamento.
In attesa della riforma del Senato, le proposte riguardano entrambe le
Camere, anche se nel testo si tiene conto del superamento del bicameralismo paritario.
In ogni caso sarebbe urgente che il Senato approvasse alcune riforme del
proprio Regolamento per superare le differenze irragionevoli rispetto all'altro ramo del
Parlamento.
Le proposte per la Riforma dei Regolamenti delle Camere sono le seguenti:
a) Procedura d'urgenza per i provvedimenti prioritari, di iniziativa
governativa. Il Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere per i disegni
di legge del Governo il voto a data fissa; la data è determinata dal Presidente della
Camera, sentita la Conferenza dei Capigruppo, in tempi compatibili con la complessità del
provvedimento stesso.
Questa urgenza presenterebbe caratteristiche peculiari rispetto alla
urgenza ordinaria: dovrebbe essere escluso un voto dell'Aula sulla richiesta del Governo,
che per ogni calendario parlamentare avrebbe limitate possibilità di ricorrervi;
all'esame in sede referente sarebbero assicurati almeno quindici giorni, sette dei quali
comunque decorrenti dalla data della deliberazione dell'urgenza; alle opposizioni
sarebbero assicurati nel contingentamento tempi maggiori rispetto alla maggioranza.
b) Divieto dei maxi emendamenti. Per porre rimedio alla
situazione patologica derivante dall'abuso del cosiddetto maxiemendamento (emendamento che
riassume la disciplina di una o più materie attraverso un solo articolo composto di una
serie di commi con contenuto eterogeneo) e dall'abbinamento di maxi-emendamento e
questione di fiducia, sarebbe opportuno prevedere che il Governo, per i disegni di legge
prioritari, fermo restando il voto articolo per articolo, possa, durante l'esame in
Assemblea, chiedere che venga posto per primo in votazione il proprio testo, approvato il
quale si intendono automaticamente respinti tutti gli altri emendamenti (v. art.102 co 4
Reg. Senato e art. 85 co 8 Reg. Camera).
Questa modifica, abbinata al divieto dei maxi-emendamenti, garantirebbe un
significativo miglioramento del grado di trasparenza del procedimento legislativo
parlamentare.
c) Omogeneità dei disegni di legge, dei singoli articoli e degli
emendamenti. I disegni di legge devono avere un contenuto omogeneo; ogni articolo
deve avere un oggetto unico e definito; ogni emendamento deve contenere una unica proposta
normativa.
Il Presidente della Camera e quello del Senato, in caso 15 di disegni di
legge o di articoli a contenuto eterogeneo, sentito il Comitato per la Legislazione,
decidono lo stralcio delle disposizioni estranee e la loro destinazione ad un apposto
distinto disegno di legge.
Il Presidente di Commissione e il Presidente di Assemblea decidono altresì
l'inammissibilità di emendamenti eterogenei o estranei alla materia del disegno di legge.
d)sede redigente. Per privilegiare il confronto
sul merito dei provvedimenti e per consentire all'Aula di concentrarsi sul significato
politico delle proposte, si propone una riforma che consideri la sede redigente come
quella ordinaria, escludendola però per i progetti di legge su cui non è ammissibile la
sede legislativa, per la legge comunitaria, i disegni di legge di conversione dei decreti
legge e i progetti di legge rinviati dal Capo dello Stato. La prevista pubblicità dei
lavori di Commissione con i mezzi propri dell'Aula (più avanti lett. i) favorirebbe la
trasparenza di questa procedura;
e) Proposte di legge di iniziativa popolare e d'iniziativa dei
Consigli Regionali. Al fine di valorizzare l'iniziativa legislativa popolare e
quella dei consigli regionali il Regolamento della Camera deve prevedere l'obbligo di
fissare l'esame effettivo in Aula entro tre mesi dal deposito della proposta.
f) Diritti dei Gruppi di opposizione. Prevedere garanzie per
le opposizioni finalizzate ad assicurare un effettivo esame delle loro proposte iscritte
in calendario nell'ambito delle quote apposite: ciò sia nell'esame in Commissione
(disciplinando specificamente i limiti all'abbinamento dei progetti di legge in quota
opposizione e alla possibilità di approvare emendamenti senza il consenso del Gruppo di
opposizione interessato), sia in Assemblea (intervenendo sulla possibilità di presentare
questioni pregiudiziali di merito e sospensive riferite ai progetti di legge in quota
opposizione, nonché disciplinando le questioni incidentali);
g) Riduzione del numero delle Commissioni. Si potrebbe
ridurre il loro numero dalle attuali 14 a 9, con accorpamenti per materia suggeriti dalla
prassi e funzionali sia al superamento del fenomeno, oggi molto frequente, delle
Commissioni riunite, sia al fine di garantire una migliore e più efficace azione di
controllo sulle politiche pubbliche. (vedi scheda in appendice).
h) Comitato per la legislazione. E' opportuno che venga
istituito anche al Senato il Comitato per la Legislazione, istituito presso la Camera
dalla riforma del 1997; i) Pubblicità dei lavori delle Commissioni Parlamentari.
Previsione della piena pubblicità, avvalendosi delle nuove tecnologie, della
comunicazione dei lavori delle Commissioni, a fini di maggiore conoscibilità delle loro
attività. L'Ufficio di Presidenza della Commissione, su richiesta motivata di un Gruppo
Parlamentare, in relazione a un determinato 16 argomento all'ordine del giorno, può
limitare la pubblicità dei lavori alla sola redazione del resoconto sommario;
l) Audizioni in Commissione. Ampliare le categorie di
soggetti audibili e direttamente convocabili dalle Commissioni, in modo formale (quindi
con le garanzie di pubblicità integrale delle sedute);
m) intervenire sulla procedura del parere sulle proposte di nomina
del Governo, prevedendo sempre l'audizione dei candidati;
n) Gruppi Parlamentari. Prevedere che un Gruppo al Senato, in attesa
della riforma,non possa avere meno di 15 senatori e alla Camera meno di 30 deputati.
Escludere la possibilità di autorizzare i Gruppi in deroga al requisito numerico.
Prevedere la corrispondenza tra lista di elezione dei parlamentari e gruppo di
appartenenza. Divieto di costituire componenti del gruppo misto (ad eccezione delle
minoranze linguistiche) che non corrispondano a liste nelle quali i parlamentari siano
stati eletti.
o) Sindacato ispettivo. A fini di maggiore efficacia e
razionalità, fermo restando il question time d'Aula e di Commissione, si propone una
radicale semplificazione degli atti, con il mantenimento delle sole interrogazioni, di
regola a risposta scritta. Prevedere lo svolgimento in Aula delle sole interrogazioni
urgenti (che prenderebbero il posto delle interpellanze urgenti) e lo svolgimento in
Commissione, a richiesta dell'interrogante, di quelle per le quali non sia pervenuta la
risposta scritta entro un determinato termine;
p) Riduzione della stampa degli atti parlamentari. Massiccia
dematerializzazione degli atti parlamentari, prevedendosi che di regola la pubblicazione
degli atti avvenga sul sito internet; si dovrebbe prevedere inoltre una disciplina più
aggiornata delle forme di pubblicità dei lavori parlamentari;
q) adeguamento dei Regolamenti parlamentari alla revisione
dell'art. 81 Cost.
19. In base all'art. 66 della Costituzione, in conformità ad una
tradizione storica risalente, ma ormai priva di giustificazione, il giudizio finale sui
titoli di ammissione dei membri del Parlamento (legittimità dell'elezione,
ineleggibilità e incompatibilità) spetta a ciascuna Camera con riguardo ai propri
membri; pertanto le relative controversie non hanno un vero giudice e le Camere sono
chiamate a decidere in causa propria, con evidenti rischi del prevalere di logiche
politiche . Si propone di modificare l'art. 66 attribuendo tale competenza ad un giudice
indipendente e imparziale |
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PUBLIC CHOICE: dopo le elezioni politiche
Una GUIDA, per la ricerca di un futuro politico per
l'Italia |
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.
PER UNA BARCA IN
TEMPESTA, LE PRIME COSE DA FARE SONO : |
-
- |
cercare un "timone" (un sistema costituzionale di
governance. Il nostro sistema non è adeguato ai tempi );
cercare un "timoniere (un capo del governo. La nostra legge elettorale non lo dà
come risultato diretto delle elezioni) . |
.
Nel nuovo sistema costituzionale, ci dovrà essere una
struttura del parlamento, atta a
ripristinare i DIRITTI DEL PARLAMENTO. Questo è anche il significato storico del
"grillismo"
Per anni, il parlamento ha subìto il dispotismo delle
burocrazie ministeriali, perchè debole in se stesso
(prima, polverizzzato; poi,
persone nominate, non elette) e perchè i ministri erano spesso
"incompetenti" e paghi degli interessi loro personali e di partito. |
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|
.
Va fatta una chiarezza a livello europeo perchè la salvaguardia dell' EURO non
opprima più l'economia italiana |
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a)
Fin da principio l'Euro, raddoppiando i prezzi in Italia, è stata una casacca di ferro
per il commercio estero italiano (evidentemente è stato sbagliato il rapporto di cambio
LIRA / EURO) ;
b) Appare inspiegabile l'impedimento alla spesa pubblica (per pagare i
fornitori dello Stato e per i lavori pubblici), pur dopo che il governo MONTI ha
realizzato (quasi) il pareggio del bilancio di competenza;
c) è stata una mossa pericolosa e non professionale la tassazione dei depositi
bancari, a Cipro (clicca su: Visco) ;
d) i patti europei per le aree depresse dell'Unione (vedi mezzogiorno)
appaiono troppo in ritardo. |
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. |
PER
QUESTE RIFORME SERVONO COSE VERE, Nome e Cognome PD+PDL, per 6-10 MESI.
Poi, se (dopo le riforme), la prova sarà positiva, si potrà proseguire fino a
termine legislatura.
NO al trucco del "governo di minoranza" per poi cercare "intese in
parlamento", ma con il sospetto fine di eleggere un
proprio Presidente della Repubblica e, subito dopo, fare le elezioni anticipate con
alla guida il "governo di minoranza".
.
Consiglio a Berlusconi:
si ritiri temporaneamente dalla scena politica, in modo da chiarirsi con la
Magistratura e lasciar passare un governo PD+PDL
per le riforme istituzionali e per le urgenze economiche. Poi, tra 6-10 mesi,
potrà chiedere nuove elezioni, in una situazione tutta "nuova".
E' sbagliato sopravvalutare l'attuale strapotere "incostituzionale" del
Quirinale, in quanto solo dovuto al "vuoto" lasciato dal Parlamento. |
|

Guardate le cose nel quinquennio 2008-2013, non vediamo
rimonte di nessuno, ma solo crollo dei grandi partiti tradizionali.
|
Nel dopo elezioni, si è invocato una nuova legge
elettorale, visto che quella attuale non ci ha dato un "timoniere" , come
risultato delle elezioni.
Ma evidentemente, il "timoniere" non basta perchè manca il
"timone" e da molti anni. BERLUSCONI ha battuto SANTORO (10 a ZERO)
nella famosa intervista a CANALE TV7, perchè ha dimostrato che neppure un
"timoniere" come Lui ha potuto guidare una barca "senza timone" (infatti,
nella nostra Costituzione il Presidente del Consiglio conta meno del Ministro del Tesoro,
non può dimettere i Ministri risultati inefficienti, è ricattato dai mille
"partitini" della Coalizione, ecc.).
Tutto questo non toglie che Egli, in tanti anni, abbia dato prova di incapacità di
fare le necessarie riforme costituzionali (ovvero, ne ha fatte, ma in modo improvvido,
ossia senza le necessarie maggioranze qualificate). Ma questa è un'altra storia, che quel
giornalista "piazzarolo" ("solo scuole serali ..." ), non ha saputo
opporre, perchè Berlusconi, come "piazzarolo", ne vale 10.
Nei Paesi democratici maturi (USA, Francia, Inghilterra...) le elezioni
pongono un termine anche alle discussioni sui programmi, scegliendo un leader con il suo
programma. Per noi |
|
non è così, e anzi si dedica molta
discussione alle possibili alleanze per trovare un governo.
Tutte le alleanze possono essere buone o cattive: dipende dagli obiettivi. E
siccome il rebus è di natura costituzionale, non va bene cominciare dalla legge
elettorale, e lo vediamo nel fatto che, pur potendo indicare un candidato Premier sulla
scheda, poi servirà la fiducia del Parlamento, su qualcuno proposto dal Presidente della
Repubblica.
Per questo mi parrebbe evidente che:
- la prima cosa da dare sia una modifica della Costituzione, in modo
che il Premier sia il risultato delle elezioni.
E per fare questo, senza necessità di fare un referendum
confermativo, serve la "grande coalizione" PD+PDL (Camera: 470 seggi; Senato:
240; = più di 2/3 dei voti necessari) .
Ma attenzione ai personalismi. Nessuno può porre veti personali a
Berlusconi; e Berlusconi non può avanzare diritti di presenza nel Governo. Il Premier
incaricato deve potere avere una sua libertà organizzativa, a parte che (se sono state
fatte queste riforme) tra 6-10 mesi sarebbe teoricamente possibile tornare a votare in una
situazione tutta "nuova".
Per il programma generale, si può prendere il
programma dei Grillini (quasi tutto).
RIFORME COSTITUZIONALI, COME ? Avanzerei la seguente proposta minima:
1) Elezione diretta popolare del Premier, seguendo (grosso modo) il modello
della legge comunale, in vigore. Sia alla Camera, sia al Senato va, al partito (o alla
coalizione) collegato al candidato Premier, una percentuale di seggi uguale alla
percentuale di voti, conseguiti dal Premier eletto (con maggioranza assoluta al primo, o
al secondo turno). I restanti seggi vanno ripartiti tra gli "altri" partiti in
proporzione ai voti ottenuti al primo turno.
2) Dovrebbe rimanere fermo l'attuale ruolo di garanzia costituzionale del
Presidente della Repubblica.
PROGRAMMA ECONOMICO, COME ? La parola d'ordine dovrebbe essere di creare
"domanda effettiva", vale dire domanda accompagnata da potere acquisto, data
l'urgenza di rimettere in moto le imprese e il lavoro.
La via è che lo Stato:
- spenda in tempo reale quanto preleva fiscalmente e restituisca le
imposte non dovute. Questo è il senso ultimo della teoria Keynesiana (a parte il deficit
spending, oggi impraticabile, a livello UE);
- in via eccezionale, sgravi i redditi bassi (ad alta propensione al consumo)
e recuperi il mancato gettito con "aggravi" sui redditi alti (ad alta
propensione al risparmio).
Urge anche la riforma della legge bancaria, ripristinando la separazione tra
banche di credito ordinario e istituti finanziari, e conseguentemente tra banca e
industria. |
|
EDIZIONI PRECEDENTI |
PUBLIC CHOICE: Italia verso le elezioni politiche:
Una GUIDA, per votare dal punto di vista economico.
Sotto: cosa dice, di Monti, il Financial Times, e cosa dice Monti di se stesso. |
. |
 |
PierLuigi Bersani, Sinistra |
|
.
La scelta di chi votare, senza inganno, è avere in mente che
i politici agiscono anche nell'interesse personale. Per tutelarsi, il cittadino
deve privilegiare L'ALTERNANZA TRA I "GRANDI
PARTITI", per limitare gli abusi.
Monti non ha agito nell'interesse personale, ma è risultato
insufficiente, rispetto al lavoro, alla crescita del PIL e alle banche. |
In generale, la politica economica giusta è tassare i poveri oppure i ricchi,
a seconda che, al momento, sia più
utile all'Italia l'una o l'altra cosa.
MONTI HA TARTASSATO I POVERI, MENTRE SERVIVA GRAVARE
SUI RICCHI.
|
|

Mario Monti, Destra
|
|
L'ALTERNATIVA, PER IL BENE DELL'ITALIA E' TRA BERSANI (sinistra)
e MONTI (destra).
PER TUTTI GLI ALTRI, E' UNA NECESSITA' FARE PIAZZA
PULITA,
pur se ci sono tante individualità interessanti, ma utili solo alla confusione.
I partiti sono strumenti, al bisogno ed è' sbagliato amare i partiti,
a parte che il partito "meglio" è sempre
solo il "meno peggio". |
|
* I motivi in breve. La messa in sicurezza del
Paese (pareggio del bilancio e scudo europeo anti-spread, interventi illimitati della BCE
sul mercato secondario) fatta da Monti con bravura, doveva essere accompagnata dalla
pronta spesa pubblica del gettito fiscale, in modo da incremenate i consumi (solo modo di
risollevare le imprese, dare lavoro e rilanciare il PIL). Questo secondo obiettivo è
mancato, fino a far constatare difficoltà di cassa, ripianate con ulteriore aumento
pro-tempore del debito pubblico.
La carenza della spesa pubblica è dimostrata dalla tabella (sotto riportata), della Ragioneria dello Stato, che
mostra la spesa effettiva dello Stato, rispetto a quanto potrebbe spendere, in base al
bilancio approvato. Ma poi, abbiamo i fatti, che lo Stato non paga i fornirori, per cifre
immense.
Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non è grandine che
distrugge i raccolti, perchè è seguita dalla spesa pubblica: in questo senso, in
teoria il potere di spesa totale non cambia, perchè quanto è tolto ad alcuni va
ad altri. Doveva anche operare un moltiplicatore positivo del reddito, teorizzato da
Haavelmo, ma anch'esso mancato e che anzi è stato negativo, a causa del fatto che la
propensione marginale alla spesa dello Stato è stata minore di quella delle famiglie.
Si deve chiarire che la lentezza statale nella spesa non è solo
di adesso. Ma in passato, a questa lentezza, provvedeva la anticipazione monetaria (alle
imprese destinatarie della spesa pubblica) da parte delle banche, cosa che oggi è
impedita dalla situazione di sofferenza delle banche (soprattutto per colpa loro: troppi
impieghi speculativi). (A proposito della situazione delle banche italiane, MONTI andò
alle riunione annuale dell'ABI, e (senza battere un ciglio) lasciò dire a MUSSARI,
Presidente ABI e dirigente del MPS-Monti dei Paschi di Siena, tutto quello che voleva
...).
Per questo, la riforma delle banche e dello Stato sono gli
obiettivi primari per il medio-lungo periodo, ma traditi dal precedente Governo.
Per l'immediato serve trasferire potere di spesa dai redditi
medio-alti (perchè non investono e non spendono)
ai redditi medio-bassi perchè spenderebbero. |
|
FATTO: L'opinione
del Financial Times, su Monti, a un mese dal voto. Fonte: Financial Times,
17 gennaio 2013 :
Stralcio della tesi di fondo del FT:
1) «Ora al suo settimo trimestre, la più lunga recessione dell'Italia
del dopoguerra si fa sentire e Mr Monti si sta in larga parte prendendo la colpa».
2) Secondo il giornale britannico, "i dati economici vanno contro la tesi del
Professore, secondo cui l'Italia starebbe superando la crisi (ma Monti ha parlato di
quella finanziaria, non economico-sociale)". ....
«La disoccupazione giovanile ha raggiunto il 37,1% a novembre 2014, sette
punti in più da quando Mr Monti è diventato premier, un anno fa e nonostante le riforme
nel mercato del lavoro.
"La spesa per consumi ha registrato il calo più forte dal dopoguerra,
mentre la produzione industriale è al di sotto del 25% rispetto ai massimi prima del
2008».NUOVO FATTO: Intervista di Ferruccio de Bortoli al Premier Monti
Fonte: Corriere della Sera, 20 gennaio 2013
Stralcio delle tesi di focali di Monti, sul Corriere:
1) "Il governo tecnico non sarebbe stato chiamato, se la gestione della cosa pubblica
fosse stata nelle mani di politici capaci e credibili».
2) Quanto ai risultati dell'azione del governo tecnico, «noi stiamo vedendo, ....,
qualche risultato positivo grazie al sacrificio degli italiani: sui tassi d'interesse,
sulle esportazioni, sull'andamento dei titoli pubblici. E dobbiamo sempre chiederci che
cosa sarebbe accaduto se quelle decisioni non fossero state prese e se ci fossimo trovati
nei panni dei greci".
3) Quanto alle ragioni del suo «salire in politica", il motivo è che "a un
certo punto, con l'avvicinarsi delle elezioni, le riforme incontravano ostacoli crescenti,
erano sempre più figlie di nessuno. La strana maggioranza cambiava pelle sotto i miei
occhi. Il Pdl ritornava ad accarezzare l'ipotesi di un nuovo patto con la Lega, non con il
Centro, ed emergeva un fronte populista e antieuropeo; il Pd alleandosi esclusivamente con
Sel riscopriva posizioni radicali e massimaliste in un rapporto più stretto con la sola
Cgil».
A quel punto «Ho intravisto due rischi:
- uno a breve, che il governo cadesse prima che i partiti si accordassero
finalmente su una riforma elettorale;
- uno più a lungo termine, e assai più grave, ovvero che sei mesi dopo le
elezioni si dissipassero tutti i sacrifici che gli italiani avevano fatto, con grande
senso di responsabilità, per sottrarre il Paese a un sicuro fallimento.
Tutto inutile, pensavo. Sarebbero tornati al governo i vecchi partiti,
i vecchi apparati di potere, veri responsabili del declino dell'Italia. In quello stesso
periodo si erano poi moltiplicati gli incoraggiamenti di molti leader europei e
internazionali, da Barack Obama a François Hollande", pur se "non
determinanti».
4) Conclusione: "La vecchia politica non deve tornare". Ferruccio de Bortoli 20
gennaio 2013.
____________________
Fonte: Annuario
Statistico della Ragioneria Generale dello Stato, 2014, cap. II * . Nota.
I dati più recenti, disponibili, sono del 2011. Ma ho controllato quelli del 2010 e 2009,
e le percentuali sono analoghe.
Titolo e categoria economica |
Anno
2011 |
Anno
2011 |
Italia, Capacità di spesa
dello Stato |
Pagamenti, rispetto alla massa
spendibile
di competenza
in % |
Pagamenti, rispetto alla massa
spendibile
dei residui
in % |
Titolo I -
Totale Spese correnti |
82,8 |
47,3 |
Redditi da lavoro
dipendente |
92,4 |
69,5 |
Consumi intermedi |
65,8 |
58,5 |
Imposte pagate sulla
produzione |
95,5 |
84,9 |
Trasferimenti corr.ad
Amm.ni pubbliche |
77,8 |
44,1 |
Amministrazioni centrali |
87,5 |
93,6 |
Amministrazioni locali |
75,6 |
43,5 |
- Regioni |
73,1 |
41,0 |
- Comuni e Province |
82,3 |
66,5 |
- Enti produttori di
servizi sanitari |
42,2 |
41,8 |
- Enti locali produttori
di servizi assistenziali |
85,1 |
80,5 |
Enti di previdenza |
79,7 |
41,1 |
Trasferimenti a famiglie
e ist.ni sociali private |
70,0 |
47,9 |
Trasferimenti correnti a
imprese |
57,7 |
65,1 |
Trasferimenti correnti a
estero |
76,6 |
46,4 |
Risorse proprie Unione
Europea |
94,9 |
0,0 |
Interessi passivi e
redditi da capitale |
91,8 |
96,6 |
Poste correttive e
compensative |
89,8 |
49,7 |
Ammortamenti |
20,4 |
0,0 |
Altre uscite correnti |
16,1 |
16,5 |
|
|
|
Titolo II -
Spese in conto capitale |
48,4 |
40,9 |
Investimenti fissi lordi
e acquisti di terreni |
39,1 |
46,5 |
Contributi agli
investimenti |
53,9 |
44,8 |
Amministrazioni centrali |
74,3 |
59,8 |
Amministrazioni locali |
43,4 |
40,3 |
- Regioni |
40,5 |
44,2 |
- Comuni e Province |
48,9 |
30,9 |
- Enti produttori di
servizi sanitari |
11,3 |
0,8 |
- Enti locali produttori
di servizi economici e di regolazione dell'attività economica |
52,5 |
41,7 |
- Enti locali produttori
di servizi assistenziali, ricreativi e culturali |
31,5 |
33,7 |
Enti di previdenza e
assistenza sociale |
36,7 |
40,8 |
Contributi agli
investimenti ad imprese |
48,9 |
45,2 |
Contributi agli
investimenti a famiglie e istituzioni sociali private |
49,2 |
45,1 |
Contributi agli
investimenti a estero |
53,8 |
32,1 |
Altri trasferimenti in
conto capitale |
35,6 |
23,8 |
Acquisizioni di
attività finanziarie |
67,4 |
41,2 |
|
|
NINO LUCIANI, La
spiegazione delle tesi, più sopra. 1.- La
regola della alternanza tra i grandi partiti. Per le scelte pubbliche, i
cittadini maturo non agiscono come "isole", ma intercettando le logiche dei
candidati.
Secondo i fondatori della scuola scientifica di "public choice" i
politici sono mossi anche da interessi personali. Esistono anche quelli
mossi solo dall'interesse pubblico, ma sono pochi.
Anche la esaltazione dei loro programmi si assomiglia molto a quella del
commerciante che esalta la qualità della propria merce, anche se fasulla. La legge non
punisce questa cosa, perchè la presume fatta in buona fede, e la definisce "dolus
bonus".
Tuttavia, a tutte le cose ci dev'essere un limite che, nel caso del commerciante,
la legge crea favorendo la concorrenza (a parte la legge penale), in modo che quello
disonesto o incapace sia sostituito dal concorrente.
Nel caso delle scelte pubbliche, questo meccanismo non può funzionare, perchè
scelte sono fatte dai gruppi, e quindi quelle fatte in modo isolato non funzionano.
Per questo, il cittadino (che vuole contare) deve, in primo luogo, identificarsi in
un gruppo, vale dire nel partito che esprime idee vicine alle sue.
Ma quando i partiti sono tanti, la scelta è praticamente inutile. Il motivo è
che, in parlamento, le decisioni saranno prese a maggioranza, e (se i partiti sono tanti)
la maggioranza potrà formarsi in molti modi, variabili ogni giorno.
In un solo caso, anche un solo cittadino può contare:
quando i partiti sono solo due, e poco distanti numericamente. Ad es., se un partito ha il
50%+1 dei voti, e l'altro il 50%-1 dei voti, lo spostamento di un solo cittadino, da un
partito all'altro, rovescia la maggioranza. E' la regola della alternanza, già applicata
nei Paesi con alta democrazia (vedi gli Stati Uniti, dove tutti hanno "pari
opportunità" di arrivare alla "Casa Bianca".
Più in generale, per dare peso ai cittadino, il criterio è fare in modo che
ci siano solo due grandi partiti: in questo senso la scelta migliore"possibile"
è quella "meno peggio".
La legge elettorale attuale dell'Italia è mossa dal criterio di aiutare il
cittadino che segue il criterio dell'alternanza, pur se essa ha ancora molti difetti (il
premio di maggioranza è su base nazionale, alla Camera; ed è, invece, su base ragionale
al Senato, per cui in teoria, la maggioranza alla Camera potrebbe riuscire diversa in
Senato). Come il cittadino potrebbe rimediarvi, rinvio a più avanti.
In particolari casi, l'applicazione della regola dell'alternanza tra i grandi
partiti potrebbe comportare, per un cittadino, di votare per il partito avverso. Ma,
anche questa è la scelta meno peggio. Infatti se, al termine del mandato elettorale, uno
valuta negativamente il comportamento del proprio partito, è bene che esso vada in
minoranza e vada a meditare sui propri errori.
Al contrario, senza alternanza, subentrerebbero fatti ben più negativi. Un caso
significativo in Italia è quello della Democrazia che, pur benemerita per la
ricostruzione post-bellica dell'Italia e per il progresso economico e il lavoro, alla fine
era incorsa in gravi casi di corruzione, perchè non alternata da un altro grande partito
(che a quei tempi, era il PCI). Sulle relative cause storiche, che lo impedirono, qui
soprassediamo.
2.- Quali sono i due "grandi partiti" per l'alternanza, oggi ?
Numericamente parlando, fino ad un anno fa (2011) i due maggiori partiti
erano il PDL e il PD. Stando alla "retta via", andrebbe votaro uno dei due: la
conferma del primo, per i cittadini soddisfatti; la scelta del secondo,
per i cittadini insoddistatti.
Mi riservo di motivare più avanti, quale sarebbe, secondo me, la scelta
appropriata in base agli attuali problemi del Paese.
Ma, da un anno in qua, abbiamo un governo tecnico, e da
qualche settimana, il suo Premier si propone come leader di un partito
"terzo".
Se la legge elettorale fosse proporzionalista, un partito terzo avrebbe la
"vocazione" di fare maggioranza con uno dei due "grandi partiti", a
secondo che ami l'uno o l'altro. Questo avvenne con la DC, questo fu causa di molti guai
per l'Italia e per la DC.
Ma la legge elettorale è maggioritaria. Dunque, il proposto
"partito terzo" dovrà essere classificato di destra o di sinistra, e prendere
il posto del PD o del PDL, in una logica dell'alternanza.
Mi sembra fuori di dubbio che MONTI sia di destra, e che essendo la "migliore
destra" si ponga come sostituto del PDL.
Lo vediamo da alcuni fatti:
- Monti si è dichiarato "antagonista della sinistra" (Bergamo, 20
gen);
- Monti ha fatto una politica negativa per il lavoro (vedi i disoccupati, e
legge Fornero);
- Monti non ha voluto accordi con la CGIL, ma piuttosto con CISL e UIL.
Al tempo stesso, il PDL ha fallito la "rivoluzione liberale"
(promessa fin dal 1994), ed il suo Leader è in demolizione (non è infatti più proposto
come Premier, ed è in età avanzata. Diciamo, poi, che il PDL senza Berlusconi è un
corpo senza testa, a parte che uno che occupa posisizioni top di governo per 10 anni ha
già dato tutto quello che aveva.
Un ultimo dubbio: è possibile scegliere il PD, oppure MONTI, dando
vita alla stessa maggioranza, sia alla Camera, sia al Senato ?
Come detto più sopra, il cittadino che volesse dare il proprio
contributo positivo alla governabilità, ha possibilità di scelta, in qualche modo
ostacolata dal fatto che l'attuale legge assegna il 55% dei seggi, per la Camera, su base
nazionale; e invece, per il Senato, su base regionale.
In queste condizioni, l'unica via di uscita, per il bene del Paese (vale dire che
al Senato riesca maggioritaria la stessa coalizione maggioritaria della Camera) è che il
cittadini voti (nella Regione) la coalizione che prevede maggioritaria alla Camera
(piaccia o non piaccia). E' una scelta rispettosa della democrazia, e la meno
peggio, dal punto di vista personale.
3.- Quale programma serve per il bene dell'Italia e, di
conseguenza, a quale "grande partito" abbinarlo ?
Traccio le grandi linee del programma necessario (secondo me), in modo da motivarne
l'abbinamento al "grande partito" di sinistra o a quello di destra.
Programma per subito. Qui si tratta di rianimare il cavallo
malato. Poi in seguito si vedrà come riportarlo in pista (vedi programma per il futuro).
La diagnosi è che manca domanda effettiva (
vale dire accompagnata da potere di acquisto in moneta) perchè c'è nel Paese molta
capacità produttiva inutilizzata (un tesoro che manca nei Paesi sottosviluppati ...), che
va rimessa in campo.
Come ai tempi della grande crisi del 1929, non c'è domanda effettiva
perchè la moneta è finita nelle mani di chi non ha propensione al consumo. Chi era ricco
è diventato più ricco (grazie alle operazioni delle banche, inserite nel gioco
finanziario delle grandi guerre recenti: IRAQ, AFHANISTAN, e nelle varie altre piccole
guerre); e chi era povero è diventato più povero.
Chi è ricco ha relativa bassa propensione al consumo già
di suo, e quando nel mondo le aspettative di crescita sono negative, questi individui si
chiudono di più in casa (comprensibilmente, del resto).
Chi è povero, vorrebbe spendere, ma non ha potere di acquisto.
In queste condizioni gli investimenti privati non hanno luogo. E il solo modo di
ripartire è che si muova lo Stato, perchè non orientato al profitto, ed ha un orizzonte
temporale lungo.
Per fare questo ci sono più modi:
a) lo Stato spende in disavanzo, finanziato da fabbricazione di moneta
aggiuntiva, da parte della Banca Centrale (oggi la BCE);
b) lo Stato spende prontamente il gettito fiscale, nelle industrie bloccate;
c) lo Stato grava fiscalmente i redditi medio-alti (al netto degli
utili reinvestiti, e (per pari importo) sgrava i redditi medio-bassi.
La via sub a) non è oggi percorribile, per la politica europea.
La via sub b) è poco percorribile subito, perchè (a causa di burocrazia
lumaca, lo Stato non spende prontamente, e risulta perfino che ci sono esattori fiscali
che non versano i fondi ai Comuni);
La via sub c), mediante IRPEF, è applicabile con effetti immediati.
Quale partito potrebbe oggi applicare la via sub c) ? Non un partito che
prende i voti dai cittadini con redditi medio-alti.
Dunque, serve votare il PD (a meno che MONTI non faccia miracoli: vale dire,
sia votato da chi dovrà tassare).
Aggiungo che il PD sarebbe aiutato dai Sindacati; e MONTI, invece,
no.
Programma per il medio-lungo termine: la transizione
dell'Italia dallo Stato al Mercato. Memore delle esperienze
negative dei Paesi a pianificazione centralizzata, lItalia deve, finalmente, avviare
con fermezza la transizione della propria economia dallo Stato al Mercato.
Lattuale grado di statizzazione delleconomia (55-60%)
dovra essere ridotto al 40-45% a favore della impresa privata, e tuttavia nel
rispetto della persona umana, durante il difficile passaggio. In questo senso:
- dovranno essere privatizzate le imprese pubbliche (tra laltro,
una delle prime cause del debito pubblico), salvo quelle marcatamente strategiche (come
per le grandi infrastrutture), e sociali (trasporti locali dei lavoratori, acqua);
- lo Stato dovra garantire il lavoro (art. 4,
Costituzione), se necessario anche come datore di lavoro di ultima istanza;
- lo Stato dovrà punire severamente le violazioni delle buone regole
del mercato, da parte delle imprese.
Quale partito potrebbe oggi
attuare la transizione dell'Italia dallo Stato al Mercato ? Non un partito che crede molto
nello Stato e poco nel mercato. Dunque, serve votare MONTI.
In conclusione, per l'immediato serve BERSANI; per il futuro
serve Monti. NINO LUCIANI |
*
http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Servizio-s/Studi-e-do/Annuario_statitisco_RGS/Annuario_statistico_della_RGS_2014.pdf, |
|
.
In tema di "public choice": la "democrazia
cristiana" tornata "giuridicamente"
Resoconto sul XIX Congresso Nazionale, Roma, 10-11 nov.
2014 |

Gianni Fontana
|
ELETTO UN NUOVO
SEGRETARIO NAZIONALE
On. le Avv. Giovanni Fontana
( con il 95,8% dei voti ) |
ANCHE ELETTO IL CONSIGLIO NAZIONALE
Presidente: On.le prof.ssa Ombretta Fumagalli
( eletta con 49 voti su 80 del CN ) |

Ombretta Fumagalli
|
|
|
NOTA DI SINTESI. Al momento, la DC è ricomparsa "giuridicamente". A
riguardo degli uomini, essa e' quella del 1992, tale e quale in ogni senso (salvo
pochi), ma con l'obiettivo dichiarato di far subentrare presto le nuove generazioni.
E' anche emerso necessario fondare la rappresentanza popolare non più
sulle tessere, ma su indicatori oggettivi di impegno e di merito.
Nel Congresso è prevalso il
"partito delle tessere", secondo il Manuale Cencelli, imposto da alcuni
"notabili", per la composizione del Con- siglio Nazionale, così da determinarne
un impianto zoppo. Infatti, sono risultate rappresentate solo 12 Regioni, su 20 in Italia.
In particolare, poi, tra le 12, a Marche ed Emilia Romagna è stato dato 1 rappresentante
rispettivo, pur se a Campania 20, a Calabria 11, a Sicilia 9.
Sui motivi di tanto "rigore" dei
detti notabili, è ipotizzabile la preoccupazione di controllare future mosse per la
ricerca del Tesoro della DC, scomparso, e di cui qualche "pierino" ha detto ...
dal podio, ma ignorato dal tesoriere ( pur ricomparso dal podio degli intervenuti),
successore diretto di Chitarristi, a suo tempo. |
|
|
FONTANA : "Speranza
per l'Italia e Volontà di ritrovare il cammino dei Padri, che ci hanno guidato per quasi
50 anni
senza inganno, prima di cedere ad un declino che nessuno di noi immaginava, ma che
è avvenuto per i nostri errori,
per i quali io qui, a nome di tutto questo partito, di tutti voi, chiedo
umilmente e solennemente scusa a tutti gli Italiani". |
Dal XIX Congresso della
Democrazia CristianaRelazione del Segretario Politico On.le Avv. Giovanni Fontana§Roma
11-12 novembre 2014 INSIEME ABBIAMO RICOSTRUITO LITALIA.
. INSIEME RIPRENDIAMO IL CAMMINO.
Gentili amiche e cari amici,
siamo qui, con umiltà ma anche con convinzione, per destinare qualche soldo di cultura,
molta passione e tutto il piccolo o grande patrimonio della nostra non più verde età, a
quanti vorranno vivere insieme con noi questa "impresa possibile":
tornare ad attivare, nel cuore della società italiana, valori di tempi lontani ma non
transeunti, e a testimoniare una più responsabile e lungimirante azione politica per il
Paese.
I IL TEMPO CHE VIVIAMO: DALLA CRISI ALLA RIPRESA
La crisi che, ormai da oltre quattro anni imperversa con i suoi tremendi
effettifinanziari, economici, sociali, morali ma che già covava da molto tempo, ha
spazzato via, ideologie, valori, tradizioni e culture; compresa quella componente storica
di liberalismo illuminato che, attualizzata con saggezza, avrebbe potuto costituire la
rivincita sulle ideologie che hanno bollato il 900 come un secolo anti-umano. Oggi,
anche in casa nostra, domina invece, un liberalismo molto diverso: è un liberalismo
cieco, un semplice "liberismo" economicistico distorsivo di ogni civile
aspirazione a giustizia e solidarietà.
Penso in concreto allavidità di quel liberismo finanziario deragliato
nellavidità delle banche americane, trasmessasi poi come un contagio a livello
planetario, compreso il nostro Paese. Oggi, negli Usa, esso è rintracciabile bene in
posizioni come quella espressa da Mitt Romney, il quale, nel corso della campagna
elettorale, aveva definito il 47% degli elettori di Obama fatto di parassiti che
pretendono lavoro, casa e sanità.
Per un partito di ispirazione cristiana e di radici popolari, come è la Democrazia
Cristiana, questo parlare dei poveri e dei deboli come parassiti è penoso. In Italia
questi "parassiti", cioè i poveri delle vecchie e nuove povertà, ingrossano le
loro file inglobandovi anche persone dei ceti borghesi che frequentano le mense della
Caritas e condividono con i barboni un dramma che non trova la solidarietà cui avrebbe
diritto anche da parte dello Stato che tale "liberismo" ha ritenuto di sposare.
Questi poveri, in genere, non frequentano gli indignados ma, a noi che li vediamo
con i nostri occhi, imprimono aghi profondi nella coscienza: interpellano il nostro
aver tradito, talvolta, in passato, il popolarismo cristiano e lidea
democratico-cristiana. Ma, soprattutto, ci sollecitano, essi poveri, a non restare
più oltre incerti nel riprendere una iniziativa di forte solidarietà e giustizia, anche
in politica.
Il fatto è che mentre lorizzonte delle possibilità umane si è venuto immensamente
allargando, in questi venti di assenza della Democrazia Cristiana dallo scenario politico,
il pensiero, la cultura, la tradizione, si sono invece venuti ritraendo: uno spazio di
grigiore è oggi sopra di noi, davanti a noi e in mezzo a noi. E noi sembriamo quasi
costretti a rifugiarci nella memoria delle cose positive e dei maestri che abbiamo
conosciuto e frequentato in passato, come a cercare qualcosa e qualcuno, che ci aliti una
rinnovata speranza e ci suggerisca un itinerario su cui riprendere a camminare con lena.
Su questo oggi siamo chiamati a riflettere e a decidere.
Sappiamo che la società ci guarda, mentre riprendiamo nelle mani questo barlume di
speranza e scrutiamo dentro di noi il cosa possiamo fare, il come operare di nuovo con
specificità, competenza, visibile affidabilità. Per noi, questo rinascere, questo,
quasi, re-indossare i pantaloni corti in età non più giovane, è come un secondo
battesimo al quale volontariamente e umilmente ci accostiamo per non essere
ulteriormente in balia della rassegnazione e della disillusione, per non smarrire il filo
di un vecchio cammino che abbiamo già percorso e che ebbe risultati anche grandi per il
nostro Paese: fin dal dramma della guerra e dal regime rovinoso che lha preceduta,
le cui macerie di distruzione e di morte hanno permesso il generarsi del risorgimento
dei nostri Costituenti.
Un risorgimento costruito insieme al popolo, per un credito di libertà e di
giustizia nella democrazia e nella solidarietà sociale, cui abbiamo saputo consegnare
conquiste che avrebbero meritato una più duratura e fertile vita.
Ma, oggi, non vogliamo celebrare gli eroi morti né le conquiste finite: agli eroi che ci
sono stati padri siamo debitori di quanto abbiamo imparato, e lonesto debitore paga
continuando i loro atti testimoniali. Così è stato fatto, sostanzialmente, da De
Gasperi Moro: ci accorti, tuttavia, a questo punto della nostra storia, di quanto
fosse impegnativa quella eredità, e difficile da gestire. Oggi ci sentiamo ancora fragili
nel riprendere in mano tale patrimonio che, in una parola, è il talento di governare
fondata su radici di forte penetrazione popolare, sociale, cristiana, non solo difficili
da estirpare ma anche molto esigenti in termini di coerenza personale: insomma una della
politica aderente alla vita e non della vita aderente alla politica.
Ci sentiamo, nello stesso tempo, decisi. Il concetto di inserire le classi popolari nello
Stato, la moralità dei comportamenti di gestione della cosa pubblica, la fermezza
di una laicità che per noi non significa confusione, né separazione, né equilibrismo,
ma cosciente responsabilità dentro la città delluomo, sono valori che desideriamo
nuovamente testimoniare con forza. Sapendo bene, come sapevano i padri, che la politica è
servizio che usa con competenza il potere per conto di chi ci ha delegato al potere e
della comunità cui il potere appartiene.
Sia ben chiaro, a noi e ai giovani cui parliamo, che non si può essere posseduti dal
potere: niente di umano può possedere luomo, né potere, né denaro, né
cultura, senza che sia rovinoso. Luomo è per laltro uomo, perché chi
possiede la nostra vita è soltanto Dio. Anche il politico deve ricordarlo ogni giorno.
In questa concezione della politica, la mediazione degasperiana e anche quella morotea,
è sempre stata allinsegna di cercare punti di contatto con chi camminava su strade
diverse. E oggi il dialogo, la ricerca di accostarsi allaltro in nome di una sempre
rinnovabile unità costruttiva del Paese, è ancora indispensabile non solo per evitare
guerre ideologiche tra le parti, lostinata condanna dellaltro, ma anche per
affermare un dialogo che non sia galateo di comportamento bensì rispetto profondo della
persona umana che occupa il suo posto nella società.
Bisogna liberarci dalla distruttiva posizione espressa dallaforisma di Sartre
"linferno sono gli altri". Per noi gli altri sono la nostra famiglia e la
nostra comunità solidale, anche quando ne percepiamo limiti ed errori, dai quali del
resto neanche noi siamo immuni. Per noi conta avere davvero nellanima il bene
comune.
Spesso ci si libera dalla propria difficoltà accusando laltro: siamo tutti
innocenti e laltro è il corrotto; non risolviamo i problemi: la colpa è
delleredità lasciataci da chi cera prima di noi. Senonché la dialettica
politica che dà frutti positivi è fatta di dialogo ininterrotto la cui esemplarità non
poggia su un "io" prepotente e sicuro, privo di prossimità con laltro.
In maniera forse un po ingenerosa, e me ne scuso, provo limpressione che
questa situazione di debolezza-incapacità suggerisca, nella situazione politica italiana,
i nomi rappresentativi di Alfano, Bersani e Casini, i quali non trovano la via
duscita per concordare una buona legge elettorale. LABC citato dovrebbe invece
suggerirci un alfabeto della democrazia del dialogo permanente; un dialogo formale e
informale, capace di valorizzare ogni spunto positivo da chiunque dei tre venga
proposto, anzi semplicemente da chiunque venga proposto.
Noi dobbiamo avere soprattutto la prossimità con chi non ha tutori ed è alla
periferia della rappresentanza politica e sociale, come chi abbandonato dalle istituzioni
è soccorso dalla carità ma aspetta di essere soccorso per atto di giustizia creduta e
praticata. La giustizia infatti è un concetto anche pre-cristiano; fu già celebrata
nellantica Grecia e poi esaltata fino allutopia marxista, oltre che espressa e
documentabile nella impostazione sociale della fede cristiana. Per questo noi, critici
verso la teologia della liberazione per i suoi eccessi privi di utilità, siamo
sinceramente impegnati in una autentica politica della liberazione, che può
trovare energie concordanti in mondi di buona volontà che vanno anche oltre
luniverso dei credenti. Una politica della liberazione, soprattutto, nei
confronti dei gruppi sociali meno abbienti e in varia misura emarginati.
In Italia, dopo la cosiddetta "prima repubblica", cè stata una
enfatizzazione di entusiasmo per il sorgere di una "nuova politica" annunciata
come liquidazione del passato e progettazione di un nuovo modello. Un nuovo modello
capace, si diceva appunto, di "liberarci" da pesantezze e inadeguatezze del
passato. In questo tentativo furono coinvolte anche personalità di buona cultura e di
buoni intendimenti penso ad esempio a Melograni, Urbani, e molti altri che
concepirono un cammino di lineare onestà in ottica di rivoluzione liberale, cioè
di liberazione: lo Stato di diritto e lo Stato dei diritti, la legalità, le scelte
selezionate dei candidati alla guida del Paese.
Ma a lungo andare - non molto lungo, a dire il vero il progetto manifestò qualche
prima crepa e poi, con frequenza crescente, crepe e crepacci fino ala caduta
delledificio. Il fenomeno Berlusconi non poteva resistere al peccato di origine del
suo populismo: in realtà una deviazione del concetto di popolo sovrano e partecipante.
E stato un populismo bisognoso di carisma da ubbidire più
che da condividere, di fedeltà di militanti più che di lealtà di compartecipi, di
una capacità di comunicazione politica che accetta di recitare promesse impossibili più
che impegni reali. Ne ricordiamo una fra le molte: Meno tasse per tutti; una
promessa che, così scriteriatamente espressa, tradurrei nellespressione
"evasione per tutti", che ne è leffetto pratico |
Silvio Lega:
"No a una
DC, partito".
.
"Sì a DC,
movimento" |

Silvio Lega |
Membri
|
del Consiglio Nazionale
|
Calabria |
Barbuto Nicola |
Calabria |
Colavolpe
Salvatore |
Calabria |
Cupi Vincenzo |
Calabria |
Donato Angelo |
Calabria |
Nisticò
Giuseppe |
Calabria |
Oliverio
Caterina |
Calabria |
Ripepi Massimo |
Calabria |
Squillace
Francesco |
Calabria |
Straface
Antonio |
Calabria |
Vazzana Carmelo |
Calabria |
Deseptis
Fiorella |
Campania |
Boffa Aldo |
Campania |
Brancaccio
Valeria |
Campania |
Cirino Pomicino
P. |
Campania |
Cuofano
Pasquale |
Campania |
Della Corte
Giovanni |
Campania |
Ferraiuolo
Luigi |
Campania |
Ferraro Roberto |
Campania |
Fiorenza
Nazzareno |
Campania |
Grippo Ugo |
Campania |
Nunziante
Maurizio |
Campania |
Pelosi Daniele |
Campania |
Picano Angelo |
Campania |
Polizio
Stanislao |
Campania |
Ravaglioli
Marco |
Campania |
Rodondini
Vincenzo |
Campania |
Scala Raffaele |
Campania |
Troisi Nicola |
Campania |
Bocchio
Isabella |
Campania |
Lombardo Maria
R. |
Campania |
Mazzitelli
Giovanni |
Emilia |
Duce Alessandro |
Lazio |
Alfano Giulio |
Lazio |
Darida Clelio |
Lazio |
Di Sangiuliano
Giuseppe |
Lazio |
Marinangeli
Alessandro |
Liguria |
Adolfo Vittorio |
Liguria |
Faraguti
Luciano |
Liguria |
Gaggero Gergio |
Liguria |
Tanzi Carla |
Liguria |
Gallina
Gabriella |
Ligurìa |
De Gaetani Gian
Renato |
Lombardia |
Abbiati Achille |
Lombardia |
Baruffi Luigi |
Lombardia |
Cazzaniga
Sergio |
Lombardia |
Cugliari Emilio |
Lombardia |
Donato
Salvatore |
Lombardia |
Fumagalli
Ombretta |
Lombardia |
Generoso
Serafino |
Lombardia |
Ravelli Roberto |
Lombardia |
Galli Anna
Maria |
Lombardia |
Soncina Greta |
Marche |
Morgoni Vinicio |
Piemonte |
Aceto Piero |
Piemonte |
Brustia Adelmo |
Piemonte |
Deorsola Sergio |
Piemonte |
Lega Silvio |
Piemonte |
Mazzucco
Francesco |
Piemonte |
Mussa Fabrizio |
Piemonte |
Sartoris
Riccardo |
Piemonte |
Pavesi Negri
Gabriella |
Puglia |
Cattolico
Antonio |
Puglia |
De Leonardis
Giovanni |
Puglia |
Di Giuseppe
Cosimo |
Puglia |
Donatelli
Francesco |
Puglia |
Fago Antonio |
Puglia |
Lisi Raffaele |
Puglia |
Palermo
Francesco |
Puglia |
Roberto Erminia |
Sicilia |
Alessi Alberto |
Sicilia |
Brancato
Antonino |
Sicilia |
Caponetto
Francesco |
Sicilia |
Cappadonna
Michele |
Sicilia |
De Vito Bruno |
Sicilia |
Grassi Renato |
Sicilia |
Pulvirenti
Antonio |
Sicilia |
Torre Carmelo |
Sicilia |
Di Quattro
Maria G. |
Toscana |
Bindi Marco |
Toscana |
Camaiti Maria
Pia |
Toscana |
Pizzi Piero |
Toscana |
Puja Carmelo |
Veneto |
Bonalberti
Ettore |
Veneto |
Bontorin
Fulgenzio |
Veneto |
Bottin Aldo |
Veneto |
D'Agrò Luigi |
Veneto |
Fregonese
Silvio |
Veneto |
Malvestio Pier
Giovanni |
Veneto |
Milani Luciano |
Veneto |
Zanforlin
Antonio |
Veneto |
Panin Maria
Grazia |
Veneto |
Zanferrari
Gabriella |
Cons.Reg. |
Nucera Giovanni |
Deputato |
Gargani
Giuseppe |
_________
TOTALE |
______________________
94 |
|
NINO LUCIANI, Il Commento. 1.- Premessa. Il XIX Congresso
della DC (il XVIII fu nel 1992), celebrato a Roma il 11-12 novembre 2014, ha mostrato due
facce:
a) un Congresso ufficiale, in cui vedevi:
- un Segretario Nazionale (On.le Avv. Giovanni Fontana), 68 anni,
uomo buono, colto, di grande sensibilità, largo di vedute, acuto nel vedere il granello
"significativo", un discorso durato due ore. Mi sono ricordato il livello e gli
svolazzi di Aldo Moro;
- una sala stracolma ( la sala della Confindustria, a Roma, non
meno di 1000 persone, inclusi gli invitati), gente semplice carica di valori, che ha
seguito attentamente il Segretario, lo ha applaudirlo ripetutamente a scena aperta, e
anche interrotto con "parole" di enfatizzazione di singoli concetti.
b) un congresso nelle segrete stanze, dove
veniva contrattata e redatta la lista dei candidati (80) al Consiglio Nazionale. Qui
vedevi un andirivieni continuo di notabili e di chiamati e mettere la firma di
accettazione della candidatura.
Chi erano questi "notabili" ? Erano i notabili dell'ancien
règime, quelli del partito delle tessere. Non ho motivo
togliere un solo capello di stima alle singole persone elette. Ma avendo, alcuni
"notabili", imposto il Manuale Cencelli per le candidature regionali, ne è
uscito un impianto complessivo di Consiglio Nazionale, zoppo per la DC. Su 20 Regioni,
solo 12 hanno ottenuto la rappresentanza. E delle 12, Marche e Emilia Romagna è stato
dato 1 solo rappresentante, rispettivo (anzi quello dell'Emilia non è stato indicato dal
gruppo della E.R., ma dai "notabili").
E' offensivo definire i "notabili" come "partito delle
tessere" ? L'On. Paolo Cirino Pomicino, che ha fortemente condizionato il
Congresso, mi ha chiarito che, pur con qualche ombra, il fondare (sulle tessere) la
rappresentanza del popolo democristiano è il modo più democratico.
Ma chiunque io incontrassi per strada (fuori dal Congresso, e dappertutto in
Italia), e gli raccontavo che è stato applicato il Manuale Cencelli, lo vedevo andare in
escandescenze. Tutti hanno, infatti, ben presenti i fatti che originarono un "declino
inimmaginabile della DC" (parole della Relazione del Segretario), e che si
impose perchè la DC non trovo' la forza di auto-pulirsi.
Al contrario, in Germania, vicende simili (a carico del Cancelliere
Helmut KOHL) furono risolte velocemente: mandato a casa senza complimenti, pur avendo
grandi meriti politici verso la Germania (unificazione) e verso la Unione Europea (Euro).
E infatti la DC tedesca è ancora in parlamento, e oggi al Governo.
Credo che, per l'Italia, l'esempio tedesco vada applicato
rapidamente, senza scusanti.
Approfondiamo questa ricomparsa dei "notabili", dacchè la allora
umiliazione della DC (a prescindere che si tratti di un partito o di altro partito) pare,
ancora nel 2014, uno scotto insufficiente.
Ma, da altra parte, mi è sembrato molto potente e condiviso dal
popolo dei congressisti il comune sentire dei valori, e l'entusiasmo, intorno al
Segretario Fontana.
Questo è un buon viatico per l'ottimismo nel futuro. Il mezzo, per essere
vincente, potrebbe essere di fondare la rappresentanza su cosa diversa dalla
"tessera": su questo torno più avanti.
2.- Distinzione tra una DC di interessi
legati al potere politico e una DC di valori cristiani e laici liberali.
a) Premessa. Il fatto che la DC, come
un qualsiasi partito si possa proporre nel 2014, è fuori discussione, come diritto
costituzionalmente garantito a chiunque.
Ma il punto da affrontare in premessa è altro: chiarire se, mancando
nel parlamento italiano (ed europeo), un partito dei cristiani (cattolici, ortodossi,
protestanti, giudei) e dei laici liberali (cosa diversa da un partito cattolico,
subalterno alla Chiesa Cattolica), venga a mancare in Italia un pezzo di storia, una pietra
miliare.
La stessa domanda mi sono fatto per il PCI (diciamo per i due grandi partiti
del Socialismo italiano), scomparsi nel 1992.
Non ho risposte certe. Ritengo, però, che, dopo il venire meno della DC e
del PCI (e del PSI) nel 1992, in Italia è venuto meno lo Stato, e ci siamo trovati nelle
mani di partiti senza il senso dello Stato, con grave danno per la coesione
sociale intorno alle grandi idee alternative, su cui fondare il governo del Paese.
La via verso l'alternativa tra due grandi partiti nazionali è un
percorso che non inizia da zero e lo vediamo nel fatto che il PD si pone alternativo al
PDL (a parte se l'inserimento dei nostri giovani nella dialettica politica varra'
a riabilitarli o a disintegrarli, rispettivamente. Mi riferisco a Beppe
Grillo, a Matteo Renzi e a tanti altri giovani comparsi di
recente sui mass media).
b - No a una DC, che produce germi corruttivi, tipici
delle dittature. In generale parlando, una dittatura non è forte
primariamente per il potere di polizia o dell'esercito. Ne sappiamo qualcosa, in Italia,
senza bisogno di guardare alla Tunisia, alla Libia, alla Siria. Il potere dittatoriale,
dopo il primo colpo di mano (magari militare), cerca di catturare il consenso sociale con
vari privilegi a "parte della popolazione".
Poi, quando nel seguito, la dittatura fosse contestata, saranno costoro a
sostenerla, per non perdere privilegi.
In questo senso la tessera, legata ai poteri, è il germe corruttivo
della dittatura dentro la società civile.
3.- Una ipotesi che può spiegare il ritorno del partito
delle tessere. La DC non è oggi un partito di potere, per cui è
difficile spiegare questo ritorno del partito delle tessere.
Nelle nuove condizioni, la via, più naturale per creare la nuova
rappresentanza, pur se collegata giuridicamente agli iscritti del 1992, doveva essere di
ripartire la rappresentanza proporzionalmente al lavoro da fare nelle Regioni: ad es., in
proporzione alla popolazione regionale.
Poi, dopo le prime elezioni (con scudo crociato), si potrà anche premiare il
merito dei dirigenti locali, ad es. ripartendo, in parte, i posti sulla base dei voti
riportati nei Consigli Comunali della Regione.
Ma non è andata così. E
allora perchè tanta "diligenza" di "alcuni" notabili nella
ricerca di "tessere del 1992" ?
Una ipotesi plausibile è collegarla ad una "ombra" vagante nella sala
del Congresso, quasi la "ombra" un morto (ma che "morto" non era,
aveva detto la Cassazione).
L'ombra era un pensiero fisso al "Tesoro della DC", scomparso a suo
tempo, su cui qualche "pierino" ha anche fatto domande dal podio.
Forse qualcuno ha la mappa del luogo del tesoro, come i briganti della "Isola
del Tesoro" , il romanzo di R. L. Stevenson.
Ipoteticamente, potrebbe trattarsi di qualcuno che vuole rintracciare il
Tesoro per mettervi le mani sopra, o di qualcuno (cosa più probabile) che punta a
sciogliere il partito della DC, e crearvi un successore , come si fa per le moderne
società di capitali (far sparire i debiti, e ricominciare da capo).
Perchè il Tesoriere, che è successore diretto
di Chitarristi, non ha fatto chiarezza su questo "Tesoro" ?
La domanda è ineludibile, prima o poi. |
tendenziale; mentre
responsabilità davvero sociale e liberante avrebbe dovuto dire: Tasse eque per tutti
nella trasparenza assoluta, pubblica, permanente, del loro utilizzo. Così, se
dopo "tangentopoli" abbiamo conosciuto la fine della "prima
repubblica", non molto tempo dopo abbiamo dovuto constatare anche il rapido crollo
della seconda. Sono, a questo proposito, sollecitato a insistere sulla importanza di una
memoria storica positiva e fertile, e penso che in tal senso la relazione
Costituzione-democrazia-partecipazione-rappresentanza-solidarietà sia l"impresa
impossibile" che siamo chiamati a far diventare possibile. Dimenticata la
Costituzione, inquinata la democrazia, tra populismo e nuove forme di ribellione politica
e di protesta antipolitica, traballante limpalcatura delle istituzioni dove la
corruzione e la malversazione sembra assurta a prassi quotidiana accettata, la
rappresentanza pare impigliata in una rete che non pesca qualità adeguate ad affrontare
il dramma della crisi che stiamo vivendo.
Il mondo ci guarda, lEuropa ci osserva ed anche lanti-europeismo cresce,
mentre strisciano venature di neo-nazionalismo: in un paese dellAbruzzo sono stati
multati coloro che cantavano "Bella ciao"; in altri paesi di diverse regioni
sono state aperte strade intitolate a vecchi gerarchi fascisti; ci sono monumenti della
rimembranza e sacrari di "eroi" della guerra in Etiopia; e altro e peggio. Segnali
che ci pare non possano essere tollerati ma, prima ancora di essere combattuti, vanno
profondamente analizzati.
E stato detto per paradosso che oggi, se qualcuno si sognasse di fare unOpa
sullItalia, lasta andrebbe forse deserta: eppure lItalia è
tuttaltro che da rottamare; la ricchezza privata assomma almeno a ottomila
miliardi, il made in Italy è vivo e richiesto ampiamente, il turismo richiama
ancora un flusso ininterrotto di visitatori, le riserve auree sono solide, il reticolo
delle piccole imprese è tuttora quasi unico al mondo, molte nuove microimprese sorgono
anzi per iniziativa di giovani, e testimoni di vita esemplare circolano fra noi, li
vediamo nel nostro quotidiano muoverci tra le strade e i luoghi di lavoro.
Questa è la riserva sana del Paese reale: e allora le due Italie, quella dei poveri, dei
disoccupati, dei precari, dellAlcoa e dellIlva, e quella che, dallaltro
lato, rappresenta la parte non toccata dalla crisi ma pensosa del futuro e desiderosa di
assumersene la responsabilità, chiedono insieme una politica di nuova adeguatezza
testimonial, per una speranza di più lunga gittata.
La Democrazia Cristiana sceglie di farsi carico di questa speranza non già seminando al
vento promesse che non si possono fare, ma affidandosi con onestà e fattività a nuove
generazioni e ad antichi valori, come chi passa un simbolico testimone degli anni
gloriosi della ricostruzione e dei partiti politici che seppero camminare con passo
sicuro e adeguato alla gravità dei problemi da affrontare.
Se questo è il quadro che ci è dato vivere, quale è la nostra specifica
responsabilità? Il nostro compito è quello di riaprire lo spazio della speranza e
della concretezza operosa per una testimonianza di impegno politico che riprenda i
valori della nostra storia popolare e democratico-cristiana e sappia liberarli a una nuova
luce e a una nuova capacità realizzativa. II - PERCHE DC
Una volta finita, anche malinconicamente, lesperienza della Democrazia Cristiana
storica, avevamo sperato che la memoria collettiva del Paese avrebbe conservato i grandi meriti
del partito di De Gasperi e Moro e compreso gli errori di percorso della sua ultima
fase. Avevamo sperato che da quella grandiosa e umiliante esperienza, il Paese, i suoi
cittadini di buona volontà, avrebbero imparato molto. E avrebbero imparato anche dalle
esperienze degli altri partiti che si andavano consumando come il nostro, dopo quasi mezzo
secolo di vita repubblicana grande ma anche, spiritualmente, ormai prosciugata nelle anime
delle classi dirigenti.
In modo più specifico, avevamo sperato che sulle ceneri del nostro lavoro avrebbero
potuto sorgere due grandi partiti moderni, uno di centrosinistra ed uno di centrodestra, uno
di spinta progressista e uno di moderazione liberale, capaci di ereditare il lato
migliore di quella storia e di darci la fase adulta e compiuta dellItalia: un Paese
solido e serenamente capace di governare la propria crescita nella partecipazione e nella
solidarietà.
Avevamo sbagliato questa previsione. In effetti, senza far torto alla presumibile buona
volontà di tanti singoli, ci sentiamo di dire che le nostre attese sono state
totalmente deluse.
Non è nato un partito democratico di centrosinistra capace di
amalgamare il grande messaggio popolare e solidale della DC con laltrettanto
importante anelito di giustizia distributiva dello storico Partito Comunista: due anime
che mai si sono fuse nella armonica capacità di generare un partito di alta cultura
sociale riformatrice. Lassismo nellimpegno di rinnovamento del pensiero,
sottovalutazione dei fattori di complessità emergenti sulla fine del secolo appena
trascorso, preoccupazioni contingenti di equilibri fra gruppi, fretta di successi
elettorali contro avversari aggressivi e sicuri di sé
Forse qualcosa di tutto
questo ha giocato un ruolo nefasto: e ha generato la prima delusione per le speranze di
una responsabile democrazia dellalternanza.
Sul versante del centrodestra le cose sono andate anche peggio: insieme alla
mancata maturazione di una classe dirigente degna di questo nome, si è realizzato lo
sfacelo educativo e morale di una politica ridotta a messaggio di marketing
delleffimero in ogni sua manifestazione. Le poche persone di sincero pensiero
elaborante le abbiamo viste progressivamente lasciate ai margini dei luoghi decisori; la
leadership carismatica labbiamo vista ridotta a una inquinante commistione di
aziendalismo privatistico con libertinismo diseducativo; la linea programmatica sottomessa
a una dominanza economica che si è rivelata esasperatamente finanziaria e speculativa. Ed
è stata la seconda delusione.
Infine il centro. Nella zona che sul piano ideale avrebbe avuto le condizioni più
adatte a preservare anche una quota decisiva del messaggio storico della Democrazia
Cristiana, si è palesato il protagonismo di un partito che di fatto non è mai riuscito
ad aggregare né tradurre in politica organica alcun pensiero. Un improduttivo
oligarchismo che non ha mai respirato lossigeno impegnativo ma anche corroborante di
una partecipazione davvero popolare. Ed è stata la fine di una ulteriore speranza.
Tacciamo, da ultimo, di quanti, piccolissimi gruppi che non è appropriato chiamare
formazioni politiche, hanno cercato di insinuarsi, anche con buona volontà almeno
iniziale, in questo gioco ormai senza radici e senza prospettive, e del tutto più grande
delle loro possibilità. La idea di una "Italia dei valori" è diventata un dipietrismo
che oggi palesa anche nelle aule giudiziarie la confusione deleteria fra partito di
cittadini e gruppo personale; un grillismo che anela lodevolmente a far emergere
con forza la voce di chi dallestrema periferia dellelettorato reclama il suo
diritto a essere ascoltato, ma finisce in una protesta amebica incapace di tradursi in
risposta collettiva e nazionale ai problemi collettivi e nazionali; una sparpagliata ex sinistra
estrema, che a merito della sua annosa agitazione può vantare soltanto il risultato
di aver fatto cadere un governo Prodi che pure testimoniava uno sforzo sincero di
ricollegare la politica con il sentimento della gente; i resti di una gruppuscolare
destra riottosa che avendo trovato spazio risibile nella effettiva determinazione
degli orientamenti politici del Paese si è trovata a dialogare - contraddizione finale e
quasi irridente - con il leghismo separatista; il quale a sua volta non ha tardato a
testimoniare la miseria morale che ne attanagliava le intenzioni e i comportamenti, anche
negli uomini che avevano fatto consistere lunica loro bravura nel rimproverare agli
avversari i medesimi comportamenti.
Le sorprese più recenti sono Montezemolo, Riccardi, Bonanni e tante personalità della
società civile che hanno elaborato il loro manifesto: non un partito, non un movimento:
un mondo di proposte politiche, una realtà dopo tante delusioni, una specie di gruppo di
pressione fattosi coscienza critica del potere: un patto per una nuova politica. Più che
notabili, uomini di rango: non pensiamo che abbiano qualche piccola venatura di
popolarismo.
Il risultato è che non cè classe dirigente, oggi, nel nostro Paese, non cè
un pensiero espresso dalla politica sul suo futuro, non cè una cultura di gestione
e non cè una consapevolezza valoriale. Fino al punto che si è dovuto ricorrere
allespediente, legittimo e onesto ma tremendamente allarmante, di un governo
tecnico incaricato del puro e semplice ritorno a una normalità minima che di fatto è
solo la normalità della gestione formale del bilancio dello Stato. Questo è infatti in
sostanza il governo Monti, nonostante la buona volontà di diversi suoi esponenti e
nonostante la indiscussa competenza e correttezza dello stesso Presidente del Consiglio,
il quale, in un quadro così difficile, è riuscito comunque a restituire al mondo una
immagine più credibile e affidabile del nostro Paese.
Ed è per un atto di consapevolezza piena, e di buona volontà responsabilizzatrice di
fronte a tanto scempio e a tanta ombra sul futuro, che noi oggi siamo qui, a pensare in
termini di ripresa dellazione della Democrazia Cristiana per lItalia.
Oggi, siamo convinti che lItalia abbia più che mai necessità di "democrazia
cristiana": con la lettera minuscola e, insieme, con la lettera maiuscola.
Con la lettera minuscola, come sostantivo e aggettivo, nel senso che questo nostro Paese
ha bisogno di riconquistare democrazia vera e partecipata: solo così la politica può
giustificare il suo potere, le sue contese.
Attorno al ludibrio della vigente legge elettorale si è ridotta infatti quasi a zero la
pratica della democrazia e della relativa motivazione degli animi nella scelta della
classe dirigente; e ha bisogno di cristianesimo ispiratore, vissuto con coerenza per il
bene della "città delluomo" che ci è affidata: di cristianesimo come
lievito di valori che torni a fermentare una società in cui la centralità non sia
più quella della finanza che domina leconomia e delleconomia che domina
limpresa costringendola a non essere una comunità di lavoro per inseguire un
concetto di business eretto a mostro totemico contro la dignità della persona sancita
dalla Costituzione ma anche dal semplice diritto naturale.
Neanche il diritto naturale può infatti concepire il licenziamento collettivo di migliaia
di persone attraverso una e-mail spedita da migliaia di chilometri per effetto di una
notizia battuta in un nanosecondo sulla diminuzione di valore della quotazione di
unimpresa, in un mercato finanziario distante a sua volta migliaia di chilometri.
Questa "efficienza capitalistica" reputiamo, senza mezzi termini, sia figlia del
Male, Uno strumento di peccato, come recita la "Populorum progressio",
radicalmente incompatibile con la nostra visione di umanesimo e di personalismo, che
allabbrivio del ventunesimo secolo, riproclamiamo, entrambi, come permanentemente
nostri; e che sono la semplice, grande ed impegnativa eredità lasciataci dalla Dottrina
Sociale della Chiesa e dallidea democratico-cristiana.
Entrambe ci hanno lasciato ben diverso insegnamento: dalla Rerum Novarum alle
successive encicliche sociali, da monsignor Ketteler ad Antonio Rosmini, dalla Scuola di
Friburgo al Codice di Camaldoli, dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa alla Caritas
in Veritate, questo insegnamento ci parla costantemente e puntualmente della liceità
del mercato ma anche del suo necessario ancoraggio a finalità morali, di diritto
indiscutibile a condividere i frutti dellimpresa fra tutti, di salario di dignità
per ogni famiglia, di illiceità della pura rendita e della pura speculazione
Ebbene, cè necessità che più democrazia cristiana, con questa lettera minuscola,
trovi al suo servizio, con forza, lucidità, sincerità morale, capacità tecnica,
accortezza politica, una rinnovata Democrazia Cristiana con la lettera maiuscola:
cè necessità che una grande associazione di cittadini "liberi e forti"
torni a generare una politica alta secondo la "nostra" Costituzione;
"nostra" perché ispirata proprio dal pensiero democratico cristiano, da De
Gasperi e Dossetti, da Gonella e La Pira, da Fanfani, Moro e Lazzati, e di nuovo indietro,
nei principi di riferimento, fino a Sturzo e Grandi e Miglioli e altri. E la faccia
diventare politica di rinnovamento potente e di rinfrancata solidarietà, di centralità
del lavoro e della impresa come comunità di lavoro, di processi formativi capaci di
rinforzare valori di libertà e di solidarietà fattiva: insomma, di comunità solerte e
rasserenante per tutti.
LItalia è infatti una comunità, innanzitutto; non una società per
azioni ad azionisti dispari, bensì una comunità di cittadini e persone che
hanno uguale dignità, servite da istituzioni fatte da tutti e da tutti partecipate, con
una economia al servizio di tutti e da tutti realizzata. E con le giovani generazioni come
primo tesoro da far crescere secondo responsabilità e autorealizzazione.
III - UN PROGETTO DI VALORI
Non temiamo la sfida perché, più tipicamente di ogni altro partito, la Democrazia
Cristiana possiede nella sua ispirazione valoriale una visione adatta a questo obiettivo
totale: totale nella sua pregnanza interna ed anche nella sua potenzialità diffusiva
oltre il nostro Paese, nella più vasta comunità costituita dallEuropa, dal
Mediterraneo, da un mondo che si è fatto sempre più villaggio comune; ricordo, fra
laltro, che di "internazionale dei democratici cristiani", con questo
spirito diffusivo e pregnante, si parlava già fin dai primi del 900 fra i cattolici
che, prima ancora che germogliassero il Partito Popolare Italiano e la Confederazione
Bianca del Lavoro costituivano i primi nuclei democratico-cristiani.
Ponte mediterraneo e crocevia planetaria, lItalia può tornare a essere, non solo
nei traffici economici, un Paese al quale il mondo può guardare come a una sua casa
simbolica di riepilogo collaborativo e di sintesi valoriale. Se la sede romana della
Chiesa cattolica rappresenta questo valore dal punto di vista religioso, la Roma
precristiana e lItalia universalistica di Dante e del Rinascimento possono
rappresentarlo dal punto di vista della unità tendenziale degli aneliti di realizzazione
umana complessiva; e il grande messaggio che da Rosmini passa a Sturzo, a De Gasperi, a La
Pira, a Moro, può rappresentarlo per il cammino di una città terrena che sappia
condividere il benessere, frutto della fatica comune, fra tutti gli uomini in questo
ventunesimo secolo ultraveloce e ultracomplesso.
Essere custodi attivi di questo patrimonio esige daltro lato che la forma e la
concreta gestione quotidiana del Paese, e la stessa modalità di essere e di operare come
partito, abbiano connotati di qualità alta.
I capisaldi di una tale politica ci sembrano almeno cinque:
La nostra Costituzione repubblicana, carta di principi e di valori da salvaguardare
con fedeltà, non chiusi aprioristicamente a ogni eventuale possibilità di affinamento,
ma lontani da quella frenesia inconsulta che ha portato a rivedere negli anni recenti il
suo Titolo V, con una superficialità che testimonia, accanto a intenzioni illusorie, la
inadeguatezza di una classe politica incapace di cogliere la grandezza dei padri
costituenti e di custodirla migliorandola: anche attraverso una nuova fase costituente
che, riteniamo necessaria per adeguare la sua seconda parte ai profondi cambiamenti
intervenuti sul piani istituzionale europeo e nazionale.
Uno Stato snello e partecipato, efficiente sul piano nazionale, arricchito da
autonomie territoriali in chiave di sussidiarietà e non di dissociazione
pseudofederalista; garantito da un intercontrollo democratico senza retoriche di
autonomismo fine a se stesso, spesso corrotto non meno di quanto esso stesso abbia
rimproverato allo Stato centrale; e, quasi sempre, colpevolmente incapace di utilizzare
persino le cospicue risorse economiche messe a sua disposizione dallEuropa.
La valorizzazione permanente e dinamica dellimmenso patrimonio culturale e
ambientale affidatole dai padri e dalla Provvidenza: almeno la metà dei beni
culturali di cui lumanità dispone è incredibilmente concentrata nel nostro Paese,
e questo solo fatto costituisce per noi "una missione nella missione" e quasi
una vocazione profetica.
Una cura gelosa della culla in cui nascono e si formano le nuove generazioni, cioè la
famiglia, attraverso la dedizione di uno Stato solerte nel favorirne solidità e
serenità, soprattutto con gli strumenti propri della sua missione formativa,
dellattivo supporto alle generazioni che declinano, affinché tale fisiologico
crepuscolo non diventi mai emarginazione né accantoni il tesoro della esperienza che si
trasmette; uno Stato che sappia garantire la sicurezza di un lavoro dignitoso per tutte le
persone che raggiungono letà adulta e si apprestano ad assumere, della famiglia, la
responsabilità più diretta.
Il governo sagace di una economia che ha oggettivamente potenzialità enormi, e che
anche nella presente crisi conferma di possedere nella creatività dei singoli e nel
tessuto della piccola e media impresa la sua linfa più vitale.
Con quali linee di orientamento pensiamo sia articolabile un simile
progetto?
Non parlo volentieri di riforme, e non perché la cultura democristiana sia aliena
dallidea di farne o perché non ne abbia realizzate le più coraggiose nella
storia del nostro paese portano la firma della Democrazia Cristiana, a partire dalla
grande riforma agraria di Antonio Segni poco dopo la nascita della repubblica ma
perché, a un certo punto della dialettica politica, il riformismo ha cominciato a vivere
quasi fosse un fine in se stesso: ma né il riformismo né le riforme sono un fine; essi
sono un mezzo, attraverso il quale la nostra quotidiana analisi della coerenza fra
"progetto paese" e realizzazioni concrete viene verificata e coerentemente
attuata; facciamo le riforme se servono e in quanto servono, ma non le adoriamo come
idoli, e le sottoponiamo costantemente a verifica perché restino effettivamente al
servizio dei valori che le ispirano.
Preferiamo parlare piuttosto di "gestione evolutiva" trasparente e
condivisa, capace cioè di governare dinamicamente le esigenze di miglioramento
permanente delle cose, senza rinviare ai tempi spesso deresponsabilizzanti di maturazione
delle "riforme": queste, quando davvero occorrono, devono essere consapevoli,
ponderate, impegnative di coerente attuazione, e non mito autoreferenziale.
Questo è il compito della politica disegnato dalla Costituzione italiana. E tale è, come
la Costituzione lo regola, anche lo strumento dei partiti politici, mezzo
privilegiato attraverso cui i cittadini partecipano al farsi del dibattito, alla
determinazione delle scelte, alla formazione della classe dirigente, e insomma alla
gestione del paese. Non temiamo, anzi decisamente vogliamo, un partito giuridicamente
riconosciuto, persona giuridica e perciò sottoposto a controllo pubblico nella sua
trasparenza di gestione.
In realtà i partiti politici operanti oggi hanno, via via, ignorato questo spirito
costituzionale per accentuare invece elementi crescenti di chiusura oligarchica, ben poco
democratica e partecipativa. Le ombre della corruzione e del clientelismo, quasi i partiti
stessi e i loro uomini fossero appunto fini e non mezzi, hanno realizzato, da ultimo, quel
nefasto distacco dei cittadini dalla politica che oggi enfatizza la sua gravità
attraverso una legge elettorale che chiude del tutto i partiti dentro se stessi quali
forme autoreferenziali di gestione del potere.
Con quale metodo pensiamo dunque di lavorare?
Innanzitutto con quello della partecipazione vera e diffusa. Pare espressione
scontata e banale, questa della partecipazione, ma essa viene in realtà ogni giorno
pronunciata e ogni giorno di nuovo tradita. Così come la partecipazione di tutti i
cittadini consente di costruire una logica di armonizzazioni progressive nel cammino di
crescita della società complessiva, analogamente la partecipazione di tutti i soci consente
al partito di essere punto di traduzione affidabile della domanda e delle attese del
paese.
I punti di partenza per noi sono certi: la Costituzione, la cittadinanza, la persona.
Essi meritano di essere confermati ma anche approfonditi in tutta la loro portata
potenziale: tanto più che nellItalia del ventunesimo secolo ci sono i cittadini e
cè, con loro, anche un numero crescente di persone in attesa di cittadinanza.
Persone provenienti dalle più diverse nazioni del mondo, o loro figli, che non
costituiscono più casi isolati ma un fatto sociale ormai strutturale: anchessi
diventano parte della nostra comunità, lo diventano in senso oggettivo: chiedono spazio
che non può essere loro negato se crediamo in una società di ispirazione cristiana. Il
problema è di fare in modo che lo spazio sia equo e i diritti, come i doveri, reciproci.
A questa condizione non si può negare lordinata e trasparente osmosi demografica,
non solo perché essa caratterizza da sempre i processi di sviluppo di ogni società
storica, ma perché la stessa grandezza della nostra civiltà italiana è germogliata e si
è sviluppata dal multiforme, secolare apporto di tali risorse.
IV IL FONDAMENTO DEL LAVORO, LA DIGNITA DELLIMPRESA, LA
SOLIDARIETA DELLECONOMIA
Subito dopo la cittadinanza, è il lavoro a costituire prioritario fondamento della
repubblica. Tale lo definisce la carta costituzionale, e si riferisce al lavoro in
tutte le sue forme, dipendente o autonomo o imprenditoriale che sia, manuale o
intellettuale.
Non sono invece fondamento della repubblica la rendita, né lattività
speculativa. Siamo qui in un campo che, fin dal medioevo, la Chiesa ha
chiarissimamente presente. La pura rendita e la pura speculazione sono un male, sono
illecite moralmente, e per noi questo principio comporta conseguenze coerenti sul piano
delle politiche attive, anche di redistribuzione reddituale e, ad esempio, di carico
fiscale.
La ricchezza nazionale resta essenzialmente frutto del lavoro e il lavoro, diritto e
dovere delluomo, è, per la Democrazia Cristiana, oggetto privilegiato di ogni
politica economica. Per tale motivo un punto caratterizzante il nostro "progetto per
lItalia" non può non essere costituito dalla revisione dellistituto
del collocamento, che ci pare da trasformare in istituto
dellaccompagnamento attivo nel lavoro.
Né vuol dire, questo, che il mercato del lavoro debba essere governato dal solo
collocamento pubblico; tuttaltro: esso si accompagna liberamente al movimento
spontaneo della domanda e della offerta che sul mercato si confrontano: il collocamento
pubblico opera invece, attivamente, su richiesta dei singoli lavoratori che vogliano
ricorrervi. Il fatto è che non cè dignità della persona se non viene attuato
per essa il diritto a un lavoro riconosciuto, remunerato e produttivo. Questo è il
concetto, ed è lobiettivo, da tenere sempre presente.
Vi è un ulteriore profilo di giustizia distributiva, e alla fine anche di efficienza
economica, che non ci sembra più possibile trascurare. Una visione distorta del libero
mercato, storicamente prevalente in tutto il mondo, riguarda la totale inesistenza di limiti
alle più atroci disparità reddituali generate allinterno delle stesse imprese.
Prevalgono anche in Italia, sia pure in dimensioni complessivamente meno abnormi,
parametri esasperati fino alliniquità, e assolutamente ingiustificabili da tutti i
punti di vista, compresa una reale efficienza economica di lungo andare delle imprese
medesime e del sistema.
Noi non assumeremo come nostro programma lidea, che pure ci viene da uno dei massimi
maestri di economia dellimpresa efficiente e a un tempo equa, e cioè Adriano
Olivetti, laddove affermava che tra lui, massimo vertice della sua azienda, e
lultimo dei suoi operai, il divario di reddito equo reputava essere da uno
a cinque. Lo corresse quel gran liberale, non certo democristiano, che era Valletta,
allora amministratore delegato della Fiat e grandissimo innovatore della vita aziendale,
affermando a sua volta che troppo stretta gli sembrava tale forbice e proponeva per essa
un raddoppio, cioè che fosse portata da uno a dieci.
Noi non assumeremo neanche questo parametro: ma se nel mondo assistiamo a rapporti
inconcepibili, persino di uno a quattrocento e oltre, e in Italia non mancano forbici di
uno a cinquanta e oltre, ci sentiamo in mezzo a una situazione alla lunga insostenibile,
per la quale assumiamo un duplice chiaro riferimento: da un lato il principio che i
parametri retributivi siano parte di una politica trasparente e perciò siano noti
pubblicamente; dallaltro che venga, con gradualità ma con inizio immediato,
stabilito un primo limite: ad esempio, che non possa essere superata la forbice di uno
a venticinque.
Siamo certi che passo dopo passo, anno dopo anno, ci sarà tempo e soprattutto ci saranno
condizioni di serenità per calibrare con il consenso sociale più ampio la misura equa,
senza mai far pensare che puntiamo a logiche di egualitarismo puro e semplice. Sottolineo
che anche questa è la Dottrina Sociale della Chiesa, prima di essere la linea
programmatica della Democrazia Cristiana. Sottolineo che anche questo è il cammino che
costruisce quella economia sociale e civile di mercato che, della suddetta
dottrina, è parte centrale.
Sottolineo che stiamo parlando di reddito personale, non di reddito
dimpresa, sul quale andranno invece considerate con intelligente accortezza le
dimensioni legate alle esigenze di espansione e innovazione più proprie della impresa
stessa, che del resto sono benedette per tutti: lavoratori ed azionisti, persone e
comunità. In particolare attraverso una riduzione dellattuale pressione tributaria
per abbattere il cuneo fiscale e stimolare ricerca e investimenti.
La Democrazia Cristiana è comunque contraria, nello stesso tempo e per lo stesso spirito,
anche a forme di garanzia del reddito che siano scisse da una corrispondente
responsabilità di lavoro produttivo. Non cassa integrazione, dunque, e neanche gli
istituti innovativi definiti in tal senso dalla recente "riforma Fornero", ma
piuttosto lavori utili in logica sostanzialmente e modernamente keynesiana,
intendendo per lavori utili gli investimenti in tutto ciò che possa essere bene comune
effettivo.
Nulla dunque ha da vedere, tutto questo approccio, con forme di assistenzialismo,
verso le quali nutriamo sostanziali dubbi tutte le volte che esse vogliano supplire a una
politica di giusta reciprocità fra cittadino e comunità. La dignità del lavoro,
espressione di una sostanziale parità nella cittadinanza responsabile, potrà in tal modo
accompagnarsi anche con una sostanziale parità di condizione fiscale e previdenziale
senza distinzioni fra categorie: come senza distinzioni ci pare debba essere, in linea di
tendenza, il diritto ad accedere a tutto il campo del lavoro, compreso quello delle libere
professioni, attraverso meccanismi semplificati e trasparenti rispetto a prassi ancora
piuttosto chiuse e per alcuni aspetti vetuste.
Certo è comunque limpresa che, per la consistenza oggettiva della sua dimensione
produttrice di ricchezza complessiva, resta il soggetto centrale per la elaborazione di
una attiva politica del lavoro. Inestimabile valore di una economia dinamica e
progrediente, limpresa deve essere, in questo senso, non solo protetta ma
sostenuta e incentivata nel suo naturale impulso di sviluppo. Punto cardine di una tale
politica ci sembra lo snellimento della burocrazia relativa alle autorizzazioni e ai
controlli.
Se questo è il lato normativo-burocratico della vita dimpresa, sul versante
economico ve nè uno non meno pregnante: limpresa si sostiene e cresce con il
duplice strumento dellautoinvestimento e del credito bancario, come è noto. Anche
sulla politica creditizia finalizzata allo sviluppo dimpresa vi è un particolare
elemento centrale nella cultura democratico-cristiana, che mentre non può, secondo noi,
essere trascurato: è quello costituito dalla idea del risparmio collettivo (dei
lavoratori ma anche degli utenti).
Come è evidente dalle riflessioni che stiamo dipanando, non possiamo nascondere il nostro
interesse privilegiato per la diffusione di politiche favorevoli ai modelli di partecipazione
dei lavoratori nellimpresa, conformemente alla costante tradizione, ancora una
volta, della Dottrina Sociale della Chiesa, ma anche a tantissime esperienze consolidate
nei paesi più avanzati dEuropa, e al dettato dellarticolo 46 della nostra
Costituzione.
A tale riconoscimento del fattore lavoro fa riscontro il dovere ugualmente stringente
del lavoratore, di adempiere con senso di responsabilità il proprio ruolo produttivo. Ed
è evidente, in questo quadro, come anche lesperienza sindacale costituisca un
valore imprescindibile delle politiche del lavoro, quando naturalmente si tratti di sindacalismo
libero e pluralistico, come quello realizzatosi tipicamente nella esperienza della
Cisl italiana e ormai caratteristico di tutto il nostro sindacalismo confederale.
E questa dinamica che consente alla legge stessa di farsi carico con maggiore
competenza di quella garanzia di reddito vitale di dignità per ogni cittadino e per
ogni famiglia, che è da sempre nelle nostre aspirazioni. Non si tratta di una
richiesta avulsa dalle condizioni concrete della ricchezza prodotta dal Paese: nessun
paese può infatti distribuire più ricchezza di quella che produce. Si tratta invece di
unazione costantemente attenta a calibrare il triplice contestuale strumento
della politica occupazionale, della forbice massima fra redditi di lavoro, della
partecipazione dei lavoratori nellimpresa.
Vissuta con tale orizzonte, leconomia complessiva è veramente "amministrazione
della casa comune" finalizzata al "bene comune": che del resto può
assumere diversificate gerarchie in funzione della natura di ogni singolo bene e di ogni
singola persona. Vi sono ad esempio dei beni la cui natura appare anche al buon senso
come collettiva o pubblica e perciò dotata di una legittima aspettativa di fruizione
sostanzialmente paritaria da parte dei cittadini: tali sono ad esempio lacqua,
lambiente, la sicurezza. Tali beni sono essenziali e primari per la qualità della
vita e per essi la presenza della mano pubblica, sia essa quella dello Stato o quella
degli enti intermedi, non può non essere diversa da quella riservata a tutti gli altri
beni, lasciati allautoregolazione semplice del mercato.
Questa parola, chiara e ferma, ci è doverosa per il ristabilimento di una visione che è
stata resa ambigua e infine controproducente da una tendenza superficiale di questi lunghi
venti anni e oltre, favorevole a una semplicistica linea di privatizzazioni, condotta
con indiscriminatezza pari a quella che a suo tempo aveva presieduto agli eccessi opposti
delle statalizzazioni, o regionalizzazioni, o municipalizzazioni.
Il concetto che dobbiamo piuttosto avere sempre presente è quello della distinzione
chiara fra privatizzazione e liberalizzazione: quando si tratta di beni primari
liberalizzare è tendenzialmente un bene, privatizzare è tendenzialmente un male. La
liberalizzazione salvaguarda e stimola anche lintervento privato, la semplice
privatizzazione può tendere a generare monopoli a fini di lucro, tanto più negativi
quanto più riguardino beni appunto essenziali e primari per la dignità della persona.
V - ISTITUZIONI: LO STATO SNELLO PER LA PARTECIPAZIONE SOCIALE
Nelle polemiche interminabili che hanno accompagnato questo tipo di dibattiti
sullassetto delleconomia nazionale negli anni a noi vicini, si è tornati
anche a chiamare in causa, più latamente, una "pesantezza dello Stato"
che non sarebbe in grado di gestire con efficacia altro ruolo che non sia quello di
asettico controllore delle regole che pone, e in nulla o quasi nulla dovrebbe riguardarlo
il merito della regolazione sociale.
Storicamente cè stata, in effetti, in alcuni comparti del sistema economico
italiano, una parte di pesantezza che non era ulteriormente tollerabile perché fonte di
aggravio di costi e contemporaneamente di danno allefficienza.
Oggi è però essenzialmente sul piano burocratico che il concetto di "Stato
snello" compia passi coraggiosi. E infatti valutazione condivisa senza
incertezze che il nostro apparato-Stato abbia raggiunto una dimensione elefantiaca fonte a
un tempo di sprechi e di inefficienze in alcuni casi intollerabili.
La ragione profonda che presiede a queste considerazioni è semplicemente, ancora una
volta, quella che concepisce lo Stato come la organizzazione con la missione di servire
la persona e la comunità ai fini della loro crescente autorealizzazione (art. 2 della
Costituzione). Ed è questa chiave interpretativa che illumina anche le politiche
relative alle articolazioni intermedie non territoriali attraverso le quali si svolge la
vita sociale. Per questo che la Dc tutela la costituzione e la partecipazione dei
cittadini a forme associative e imprenditive nel campo del lavoro come nei campi della
cultura, dei servizi, delle iniziative di cittadinanza, delle tutele dei diritti, e così
via: con lobiettivo di realizzare quel vivace reticolo di vita sociale che possa
andare a coprire la più vasta area possibile della domanda di servizi avanzata dai
cittadini in questi settori. È nella cultura personalistica e comunitaria, connaturata
con la storia del nostro partito, lincoraggiamento attivo di quel "terzo
settore", che può costituire la grande "infrastruttura sociale" nella
quale possono trovare risposta meno burocratica e più densa di motivazioni e calore umano
le domande e i bisogni meno considerati e protetti dalle istituzioni.
Un approccio solidaristico che si esplicita anche in senso geopolitico, con lEuropa
che resta un riferimento che ci aiuta a tenere largo ed aperto lorizzonte, ed anche
un forte laboratorio di buone pratiche. UnEuropa che oggi pone la necessità di un
ritorno allo spirito dei suoi padri fondatori, affinché sia di nuovo, innanzitutto, un
ideale di fraternità con leconomia che segue: questo pensavano infatti De
Gasperi, Adenauer, Schumann, Monnet, Spaak e gli altri fondatori.
Un approccio globale e solidaristico lEuropa deve rivolgere anche verso il Mediterraneo.
Il mare delle tre religioni monoteiste, civiltà antiche che, intersecandosi, e non
ignorandosi, hanno dato al mondo gran parte della civiltà che oggi lo unisce. È presente
in me la suggestione indimenticabile dei "Dialoghi dei Mediterraneo" nella
Firenze, "nuova Gerusalemme", del Sindaco Santo, che chiamava il nostro mare
Lago di Tiberiade.
Questo approccio globale e solidaristico va perseguito e testimoniato, infine, per la
ricerca della pace e dellunità di tutto il pianeta. Messaggio che da Isaia
fino alla Pacem in Terris e alla Caritas in Veritate, il Popolo di Dio
vive come il traguardo finale della settimana storica delluomo che segue la
settimana biblica della Creazione.
VI PASSATO, PRESENTE, FUTURO: IL POPOLARISMO CHE VIVE.
Le considerazioni svolte sollecitano la politica i partiti ad una tensione morale e
culturale superiore a quella attuale, e che possa alimentare anche le loro modalità
interne di organizzazione e di democrazia partecipativa.
Anche il problema del finanziamento dei partiti si pone ormai con evidente urgenza morale.
Nacque nel cuore degli anni 1970 con lobiettivo dichiarato di consentire ai partiti
di "non essere costretti a farsi corrompere", come si disse allora.
Lintenzione era buona ma lesito non fu felice ed è venuto peggiorando nel
tempo.
Non è forse saggio tornare al puro e semplice sistema di "nessun
finanziamento"; lo dico chiaramente "non vogliamo i soldi dello Stato". Noi
preferiamo un sistema che, escludendo qualsiasi esborso di denaro pubblico, assicuri una
normativa semplice, trasparente e facilitata, attraverso la quale ogni cittadino possa
liberamente partecipare al finanziamento del partito nel cui programma si riconosce. A tal
riguardo mi sembra del tutto condivisibile la proposta di legge di iniziativa popolare
promossa dal professor Pellegrino Capaldo.
A fronte dei molti profeti che frettolosamente diagnosticano la fine del partito politico,
a me sembra che esso rimanga lo strumento meno imperfetto, lìunico ancora in grado
di consentire lesercizio della moderna democrazia rappresentativa.
Non va confuso il partito ideologico che guidava le masse della società industriale, con
le nuove forme partito capaci di interpretare e dare rappresentanza alla società
post-moderna nel mondo delle tecnologie informatiche fattosi uno.
Nessuno di noi pensa di rifare quella Democrazia Cristiana, quelle sezioni, quei comitati,
quelle commissioni, quella pletora organizzativa.
La prima delle nostre scommesse è costruire un partito nuovo adeguato alla
società del ventunesimo secolo.
Mi sembra che la evoluzione da mettere in campo abbia, tra le altre, le seguenti
caratteristiche:
.
- a. Un forte snellimento statutario, che infonda trasparenza ed efficacia
allesperienza associativa democratica dei soci, accorciando vertiginosamente la
distanza tradizionale fra vertice e base.
- b. Una quota maggiore di "democrazia diretta", nel senso di un
incremento di peso decisionale degli iscritti, anche attraverso lutilizzo delle
tecnologie telematiche nel determinare la scelta dei singoli dirigenti del partito a tutti
i livelli.
- c. Una mediazione ricca fra il valore fondante della sovranità associativa e la
necessità di un coinvolgimento più pregnante dei mondi esterni che si riconoscono nella
visione e negli ideali democratico-cristiani. Più peso agli iscritti e più peso ai
simpatizzanti, insomma.
d. Una grande rigorosità nellapplicazione della certezza giuridica interna,
con una magistratura di garanzia a sua volta semplificata e velocizzata.
- e. Unattività di formazione permanente per tutti i livelli del partito:
siamo anzi, su questo tema, a buon punto nella formulazione preparatoria di ipotesi che
tengono conto delle esperienze migliori maturate in questi venti anni nel mondo della
formazione politica e sociale.
- f. Infine, una diffusione capillare, sul territorio, di una rete di Circoli Culturali
di Iniziativa Politica: non come luoghi di tessere da contare, ma come luoghi di
aperta elaborazione, di formazione, di competenze e proposte e impegno sui problemi del
territorio.
- g. Riteniamo utile affiancare al partito una fondazione col compito di approfondita e
elaborata ricerca sui temi programmatici e sulle strategie della missione del partito
CONCLUSIONI
Cari amici, questo è, oggi, il mio contributo che, attraverso il dibattito di questi due
giorni e dei giorni che seguiranno, è aperto ad ogni positiva integrazione, correzione,
arricchimento.
Noi siamo qui con il proposito di realizzare insieme il passaggio da una storia antica
ricca di successi ma anche dolorosamente responsabile di errori, verso un futuro che deve
essere altrettanto ricco di successi e meno esposto agli errori. Mi permetto di
aggiungere che rappresento una generazione il cui compito precipuo è, oggi, quello
di fornire buon esempio e buoni consigli, trasmettere esperienza sana e forte, per far
avanzare sul proscenio delle responsabilità sociali, compresa la guida del partito, le
generazioni nuove.
Non è questione di anagrafe: vecchi e giovani hanno dato in tempi e modi diversi esempi
eroici ed esempi deleteri. E invece questione di anima e di effettiva pratica della
democrazia interna. E questa che provvede allimmancabile ricambio fisiologico
della classe dirigente. Una sola condizione occorre, che non sempre abbiamo onorato in
passato: una democrazia interna che vorrei definire, fanciullescamente, semplice e
rocciosa per la sua credibilità. Insieme allimpegno quotidiano della nostra
formazione permanente.
Nessuno deve mai violare la santità delle urne nelle quali i nostri iscritti sono
chiamati a scegliere in coscienza le persone cui affidare la guida del cammino. Con
semplicità e sapienza. Non abbiamo bisogno di altro. Forse, in questo momento, il Paese
non ha bisogno di altro." |
|
Dalla
Commissione europea - UE , Bruxelles 22 ottobre 2014
Verso l'UNIONE BANCARIA |

|
.
La Commissione vuole la VIGILANZA DIRETTA sulle Banche dell'UE,
fin qui compito delle Banche Centrali "nazionali.."
Dubbi sulla adeguatezza dell'oggetto da vigilare.
Anche data al Fondo ESM, la facoltà del
"salvataggio" delle Banche, tramite gli Stati..
Dubbi anche su questo. Nodo del problema : salvare o
nazionalizzare ? |
|
Dalla
Commissione Europea
COMUNICAZIONE AL
PARLAMENTO EUROPEO
E AL CONSIGLIO
Stralcio (Per il testo completo, clicca su: UE-Vigilanza)
" Negli ultimi quattro anni l'Unione europea ha risposto in
modo determinato alla crisi economica e finanziaria: significativi progressi sono stati
compiuti nella realizzazione dell'Unione economica e monetaria (UEM) e un programma di
sostanziali riforme finanziarie è in corso di attuazione, nel rispetto degli impegni
assunti in risposta alla crisi finanziaria nel quadro del G20, miranti a rendere gli
istituti e i mercati finanziari più stabili, più competitivi e più resilienti.
Il completamento della riforma del quadro normativo dell'UE, pur essenziale,
non sarà sufficiente per affrontare efficacemente alcune gravi minacce che pesano sulla
stabilità finanziaria nell'Unione economica e monetaria. Sono necessari ulteriori misure
per far fronte ai rischi specifici della zona euro, in cui l'accentramento delle
competenze in materia di politica monetaria ha stimolato una forte integrazione economica
e finanziaria e accresciuto la possibilità di effetti di ricaduta transfrontaliera in
caso di crisi bancarie, e per spezzare il legame tra debito sovrano e debito bancario e il
circolo vizioso che ha portato ad una situazione tale per cui è stato necessario
utilizzare 4,5 mila miliardi di euro dei contribuenti per salvare le banche dell'UE.
La crisi ha tuttavia dimostrato che, sebbene essenziale, il semplice coordinamento
tra le autorità di vigilanza non è sufficiente, in particolare nel contesto
della moneta unica. È pertanto necessario un meccanismo decisionale comune.
È altresì essenziale contenere il crescente rischio di frammentazione
dei mercati bancari dell'UE, che compromette gravemente il mercato unico dei servizi
finanziari e ostacola l'effettiva trasmissione della politica monetaria all'economia reale
in tutta la zona euro.
La Commissione ha pertanto invitato alla creazione di una Unione bancaria,
che consenta di rinsaldare le basi del settore bancario e ripristinare la fiducia
nell'euro, in una prospettiva a più lungo termine di integrazione economica e di
bilancio.
Elemento fondamentale di tale processo è il trasferimento della vigilanza
bancaria a livello europeo, un passo che dovrà essere poi seguito da altre
misure, quale la creazione di un sistema comune di garanzia dei depositi e di una gestione
integrata delle crisi bancarie.
:::::::::::::::
La presente comunicazione accompagna due proposte legislative che
prevedono rispettivamente la creazione di un meccanismo di vigilanza unico con
l'attribuzione alla BCE di specifici compiti in merito alle politiche in materia di
vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la modifica del regolamento istitutivo
dell'Autorità bancaria europea (EBA).
|
European financial stability support
European financial assistance
mechanisms are capable of supporting EU Member States in difficulty and thereby preserving
the financial stability of the EU.
The financial crisis that hit the global economy at the end of 2008 has had several
harmful consequences for Member States economies:
- the destabilisation of financial
markets;
- the downturn in economic growth;
- the deterioration in the budget
deficits and debt positions of the Member States.
The financial difficulties
experienced by a Member State may present a serious threat to the financial stability of
the European Union as a whole. It was therefore necessary to establish a package
of European stabilisation actions providing financial assistance which is capable of
supporting Member States in difficulty and thereby preserving the financial stability of
the EU.
A safety-net for financial
stability.mbiam
In May 2010, the European Union and
euro-area Member States set up a stabilisation mechanism that consists of
- the European Financial Stabilisation Mechanism (EFSM); and
- the European Financial Stability Facility (EFSF)
to safeguard EU financial stability amid severe tensions in euro-area sovereign
debt markets,
- In October 2014 the European Stability Mechanism (ESM) entered into force. Its
main features build on the EFSF. The ESM will be the primary support mechanism to
euro-area Member States and complements the new framework for reinforced economic
surveillance in the EU. This new framework, which includes in particular a stronger focus
on debt sustainability and more effective enforcement measures, focuses on prevention and
will substantially reduce the probability of a crisis emerging in the future.
Alongside the EFSM, EFSF and ESM,
- unding from the International Monetary Fund (IMF); and
- possible ECB (European Central Bank) purchases of sovereign debt on secondary
markets.
are available forming a viable safety-net, providing financial stability support.
Fiscal and economic
measures reinforced economic governance
The financial support is
accompanied by fiscal and economic measures.For this purpose, the EU and its Member States
have taken a series of important decisions that will strengthen economic and budgetary
coordination in the EU as a whole and in the euro area in particular. As a result, the
EUs interdependent economies will be better placed to chart a path to growth and job
creation.
Fonte:http://ec.europa.eu/economy_finance/european_stabilisation_actions/index_en.htm |
|
NINO LUCIANI, Serve
ripensare l'oggetto della vigilanza, se si vogliono evitare nuove
"irresponsabilità" bancarie. Inaccettabile che il Fondo ESM possa essere usato
anche per salvataggi bancari. Nei casi di gravi irresponsabilità, si dovrebbe
nazionalizzarle a prezzo di fallimento. Premessa. Per "Unione Bancaria" non si intende
"Associazione Bancaria" (pur se ci sarà anche una ABE). Si intende la
sottoposizione delle Banche (insistenti nella UE) alla regolamentazione e vigilanza a
livello europeo, da parte della BCE-Banca Centrale Europea.
Pertanto, questo compito, oggi delle ex-Banche Centrali Nazionali, viene tolto a
loro e passato alla BCE, che però se ne varrà.
L'importanza di questo passo, lo si può desumere efficacemente da un recente
Seminario, a cui ha partecipato (come ospite principale) il Governatore della Banca
d'Italia (cliccare su: INDIGNADOS ):
L''aspetto saliente è l'imbarazzo del Governatore alle domande circa il ruolo svolto
(negli scorsi anni) dalla B.d'I. nei confronti delle crisi bancaria: precisamente
l'impossibilità di agire per sproporzione tra dimensione (nazionale) di competenza della
B.d'I. e dimensione (mondiale) di azione delle banche e istituti finanziari.
2.- Al momento è una vigilanza su "poco". Il fatto che
venga ampliato il quadro territoriale della vigilanza sulle banche (anzi, che è ancora
poco, rispetto alla esigenza di un quadro mondiale) diviene importante, purchè
sia rilevante l'oggetto della vigilanza.
Al momento l'oggetto della vigilanza sarebbe:
- sui requisiti patrimoniali bancari;
- sul sistema delle garanzie ai clienti depositanti (trattasi di meccanismi
assicurativi, fino a 100), in caso di insolvenze bancarie.
- Ci dovrebbe essere uniformazione delle prassi di vigilanza a livello
europeo.
Circa la adeguatezza di questi punti, rinvio a INDIGNADOS.
Circa la sostanza della vigilanza, ritengo che essa sarebbe significativa se
collegata a leggi che impongono al sistema bancario i seguenti requisiti::
1) la separazione tra banche di credito ordinario e istituti di credito
finanziario, abbandonando la "banca universale" attuale, secondo cui,
regolandosi su criteri di profitto, la banca è libera di valutare i rischi degli impieghi
bancari. La legge bancaria italiana ha fatto questo, come rimedio alla crisi degli
anni 1930, molto simile a quella attuale;
2) una riserva bancaria obbligatoria significativa, rispetto ai depositi in conto
corrente, e che dovrebbe essere una cifra che sia nettamente superiore alla attuale, che
sta mediamente in range tra il 2% e il 7%, salvo eccezioni anche molto alte. In
Italia, questo parametro fu fatto valere da L. Einaudi, come Governatore di Bd'I, e allora
stava sopra il 25%).
Ma questo non è. In Europa la vera funzione della "riserva" è, invece,
voluta in termini di "patrimonio", che è cosa impalbabile, perchè una cosa il
capitale liquido (una quota dei depositi, custodita presso la banca centrale), una cosa è
il patrimonio liquidabile (che è cosa soggetta a rischio).
L'Inghilterra pare volere una legge come quella italiana del 1936
(separazione tra banche di credito bancario e istituti finanziari).
Nei mesi scorsi, la Regina d'Inghilterra ha dato notizia di conforme
decisione del suo governo al Parlamento britannico. Clicca su: Regina.
C'è dell'altro. Il Partito laburista, di recente, ha fatto sapere di
condividere l'idea, e anzi di volerne accelare i tempi di applicazione,una volta al
potere.
3.- Per un limite alla creazione di "moneta
bancaria". Chiarisco subito, per gli eventuali lettori "non di economia
bancaria" che il meccanismo della riserva obbligatoria determina la fabbricazione di
moneta bancaria, in aggiunta alla fabbricazione di moneta legale da parte della BCE. In
parole brevi, se la riserva bancaria obbligatoria è il 10% dei depositi correnti, il
sistema bancario riesce a creare moneta bancaria pari a 10 volte la moneta legale; e se la
riserva è il 5%, la fabbricazione di moneta bancaria è 20 volte quella legale.
Attualmente la moneta legale in è di 920 miliardi circa. Pertanto, la
moneta bancaria dovrebbe stare nell'intorno 13.150 miliardi.
Questo fatto è molto pericoloso per la società civile, per due motivi: per
l'impatto sul livello generale dei prezzi, e sul potere monetario delle banche sulla
società civile. Vediamo meglio.
a) effetti sul livelli dei prezzi. Luigi Amoroso, uno dei
grandi economisti neo-cclassici italiani, integrò la nota equazione dello scambio di
Fisher (si vegga: L. Amoroso, Le leggi naturali dell'economia; UTET, cap. IX), nel
seguente modo : P = (M V + N W) / T , vale dire
aggiungendo alla moneta legale (moltiplicata per la rispettiva velocità media di
circolazione) la moneta bancaria (moltiplicata per la rispettiva velocità media di
circolazione).
Sicuramente, Draghi si sarà accorto che, fermo T
(volume delle transazioni di merci e servizi), e fermo V e W
, non c'è stata relazione univoca tra variazione della circolazione di banconote in
e livello generale dei prezzi. Il motivo è che, nel calcolo, non è stato tenuto
conto di N (moneta bancaria).
b) appropriazioni bancarie indebite della ricchezza altrui. E'
noto che, da molti anni ormai, lo Stato non ha più il potere di fabbricazione della
moneta legate (salvo per la moneta metallica, a titolo poco più che simbolico, oggi); e
che questo potere è oggi delle banche centrali, indipendenti dal potere politico.
Il cambiamento risale al fatto che, un tempo, prìncipi e monarchi assoluti,
fabbricando moneta in proprio, potevano arricchirsi comprando gratis qualsiasi cosa, in
pratica spogliandone i cittadini.
Quanto sta succedendo con le banche (universali) è praticamente lo stesso scempio.
La fabbricazione di moneta bancaria porta allo stesso risultato, pur se il meccanismo non
è più spudorato come ai tempi delle monarchie assolute.
Lo abbiamo visto dalle retribuzioni e dalle liquidazioni (per cessato servizio) dei
manager bancari di maggior successo. Noi abbiamo, anzi, un ministro in carica che risulta
essere stato liquidato con 4 milioni.
Nel caso delle banche, il meccanismo consiste nella possibilità eccessiva di
moltiplicazione delle transazioni bancarie, e conseguentemente nel lucrare una provvigione
sulla transazione, ed un profitto sulla differenza sui tassi di interesse attivi e
passivi.
4. No al salvataggio delle banche speculatrici, fuori limite. E'
di queste settimane l'annuncio della Commissione, che il Fondo Salva Stati (ESM) potrà
ricapitalizzare le banche tramite gli Stati. Credo si tratti che gli Stati potranno
emettere titoli per la raccolta di denaro con cui comprare, a loro volta, emissioni di
obbligazioni bancarie.
La normativa sull'ESM (vedi a fianco) non prevede operazioni salva-banche, e dunque
si tratterebbe di una prossima interpretazione estensiva del testo.
Credo che il salvataggio possa ammettersi solo per le banche
sfortunate, ma serie. In tutti gli altri casi, credo che gli Stati debbano
valersi dei soldi ESM, ma per nazionalizzare, a prezzo di fallimento, le banche che hanno
ecceduto in sprovvedutezza. Nessun salvataggio. NL |
|
Dal
"CONSIGLIO della BCE": "La GRANDE DECISIONE
del 6 settembre 2014, per lo SCUDO ANTI-SPREAD |
.
 |
.
La scheda tecnica "OMTs" (Outright Monetary Transactions) della BCE
e le condizioni agli Stati, perchè la BCE possa acquistare Bond senza limiti
|
LUCIANI: Gravi danni all'Italia dai
ritardi dell'UE. E, ora, troppe condizioni agli Stati
dalla BCE..., un vero ostacolo all'operatività del programma anti-Spread
Manca anche una chiarezza su "chi" dovrebbe
nazionalizzare
una banca, in caso di fallimento, se uno Stato non ha i mezzi.
NO A SALVATAGGI BANCHE, SI' A NAZIONALIZZAZIONI, SE IN STATO DI FALLIMENTO |
|
Dal
CONSIGLIO della BCE, Le decisioni anti-spread del 6 set 2014
Stralcio della Conferenza introduttiva del
Presidente Draghi
e successiva scheda tecnica completa delle "OMTs"
( Fonte: http://www.ecb.int/press/pressconf/2014/html/index.en.html
http://www.ecb.int/press/pr/date/2014/html/pr120906_1.en.html
)
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Nota. Nel comunicato non si
dice del motivo del NO della Deutsche Bundesbank, ma lo rileviamo da una sentenza della Corte Costituzionale tedesca: Per la Bundesbank (ricorrente):
"L'acquisto illimitato e indipendente di titoli di Stato sul mercato secondario, da
parte della BCE (volta a finanziare il Bilanci di Stati membri), è vietato perchè
sarebbe aggirare il divieto di finanziamento monetario."
M. Draghi: "Il Consiglio
direttivo ha deciso oggi le modalità per intraprendere transazioni monetarie dirette (OMTs,
Outright Monetary Transactions) in mercati secondari delle obbligazioni sovrane
della zona euro.
Come abbiamo detto un mese fa, abbiamo bisogno di essere in grado di salvaguardare
il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in tutti i paesi dell'area
dell'euro. Il nostro obiettivo è di preservare l'unicità della nostra politica monetaria
e per garantire la corretta trasmissione della nostra posizione politica per l'economia
reale in tutta l'area.
Le OMTs ci permetteranno di affrontare gravi distorsioni nei mercati dei
titoli di Stato che hanno avuto origine, in particolare, le paure infondate da parte degli
investitori della reversibilità dell'euro. Quindi, in condizioni adeguate, avremo un
fermo pienamente efficace per evitare gli scenari distruttivi con sfide potenzialmente
gravi per la stabilità dei prezzi nell'area dell'euro.
Ripeto quello che ho detto il mese scorso: agiamo rigorosamente all'interno del
nostro mandato di mantenere la stabilità dei prezzi nel medio termine,
noi agiamo in modo indipendente nel determinare la politica monetaria e l'euro è
irreversibile.
Al fine di ripristinare la fiducia, i responsabili politici della
zona euro devono portare avanti con grande determinazione il risanamento di
bilancio, le riforme strutturali per rafforzare la competitività europea e delle
istituzioni.
Allo stesso tempo, i governi devono stare pronti ad attivare l'EFSF / ESM
sul mercato obbligazionario (primario, NdR), quando circostanze eccezionali sui
mercati finanziari e dei rischi per la stabilità finanziaria esistono - con una condizionalità
rigorosa ed efficace in linea con le linee guida stabilite.
L'adesione dei governi ai loro impegni e il rispetto da parte del EFSF / ESM
del loro ruolo sono condizioni necessarie per le nostre operazioni definitive da
effettuare e per essere efficace.
Dettagli delle operazioni definitive monetarie sono descritti in un comunicato
stampa separato (che qui segue, N.d.R).
______________________________________________________________
ALLEGATO
Scheda tecnica delle OMTs (Transazioni Monetarie Dirette)
dell'Eurosistema.
" Come annunciato il 2 agosto 2014, il Consiglio direttivo della
Banca centrale europea (BCE) ha adottato oggi le decisioni su una serie di caratteristiche
tecniche riguardanti le transazioni dell'Eurosistema nei mercati secondari delle
obbligazioni sovrane, che mirano alla salvaguardia di una appropriata trasmissione e
singolarità della politica monetaria. Esse saranno conosciute come OMTs
(Transazioni Monetarie Dirette) e sarà condotta nel quadro seguente:
Condizioni. Una condizione necessaria per
definitive le transazioni monetarie è una condizione (rigorosa ed effettiva ) collegata a
programmi adeguati circa il Fondo Finanziario Europeo di Stabilità Facility o il
Meccanismo europeo di stabilità (EFSF / ESM).
Tali programmi possono assumere la forma di uno vero programma di aggiustamento
macroeconomico o un programma di precauzione, a condizione che comporti la possibilità di
acquisti sul mercato primario da parte dei detti EFSF / ESM.
Il coinvolgimento del FMI (Fondo Monetario Internazionale) è
inoltre richiesto per le specifiche condizioni al paese interessato e il monitoraggio del
relativo programma.
Il Consiglio direttivo prenderà in considerazione le OMTs nella misura in
cui esse sono garantite dal punto di vista della politica monetaria, fino a quando le
condizioni sono rispettate pienamente rispettata, e termineranno una volta che i loro
obiettivi sono raggiunti o quando non vi è conformità con la regolazione macroeconomico
o con il programma precauzionale.
A seguito di una valutazione approfondita, il Consiglio direttivo
deciderà in merito alla continuazione o alla sospensione delle OMTs, in piena
discrezionalità e agendo in conformità con il suo mandato di politica monetaria.
Copertura. Le OMTs saranno prese in
considerazione per i futuri casi di programmi di aggiustamento o precauzionali (di cui ai
EFSF / ESM ), come sopra specificato. Esse possono anche essere prese in considerazione
per gli Stati membri, correntemente, per un programma di aggiustamento macroeconomico, in
caso di quando riacquistare dei bond sul mercato.
Le transazioni si concentreranno sulla parte più breve della curva dei
rendimenti, e in particolare sulle obbligazioni sovrane con scadenza compresa tra uno e
tre anni.
Nessun limite ex-ante quantitativi è fissato alle OMTs .
Trattamento del creditore. L' Eurosistema
intende chiarire nell'atto giuridico relativo alle OMTs che esso accetta lo stesso
trattamento (pari passu) dai creditori siano essi privati o altri tipo per quanto riguarda
le obbligazioni emesse da paesi della zona euro e acquistate dal dell'Euro-sistema tramite
le OMTs, in conformità con i termini di tali obbligazioni.
Sterilizzazione. La liquidità creata attraverso le
OMTs sarà completamente sterilizzato.
Trasparenza. Le partecipazioni aggregate alle OMTs e i loro valori
di mercato saranno pubblicati su base settimanale. La pubblicazione della durata media
delle partecipazioni alle OMTs e la ripartizione per paese avrà luogo su base mensile.
Programma dei mercati dei titoli di Stato. A seguito della
decisione odierna sulle OMTs, il precedente (parola aggiunta dal Redattore) Programma dei
Mercati dei titoli di Stato (SMP) termina. La liquidità iniettata attraverso lo SMP
continuerà ad essere assorbito come in passato, ed i titoli esistenti in portafoglio SMP
si terranno fino a scadenza. |
LUCIANI:
Troppe condizioni..., un boomerang per l'efficacia della scheda, e che rivelano
anche il procedere impacciato della BCE Premessa. Solo per chiarezza, l'acquisto di titoli di Stato,
fino a tre anni, non è l'ombrello classico delle Banche Centrali, per comprare i titoli
degli Stati risultati non collocati presso il pubblico, ma titoli degli Stati già
collocati presso i Fondi Salva-Stati, nei limiti delle loro disponibilità.
Sia anche chiaro che, invece, la BCE ha disponibilità illimitate, essendo il fabbricatore
di moneta cartacea Euro.
Ma Draghi chiarisce che il nuovo strumento (OMTs,) sarà efficace
solo in coordinamento con questi Fondi, per cui di fatto le disponibilità potrebbero
dover sottostare ad un TOP. Ma Draghi dice di "nessun limite" ...
Non solo questo. Draghi dice anche che l'intervento illimitato della BCE sul
mercato secondario ci sarà solo in presenza della osservanza di determinati comportamenti
virtuosi degli Stati, in materia di bilancio (le cosiddette "riforme", di cui
molti si riempiono la bocca, ma sprovvedutamente, forse anche Draghi, almeno un pochino).
In particolare, la presunzione che gli Stati adempiranno a tali comportamenti
dovrebbe venire da determinati accordi BCE-Stati, e che saranno la base per il
monitoraggio della BCE circa gli adempimenti.
Vediamo perchè queste condizionamenti sono un debordo dai compiti della
Banca, e soprattutto sono dannosi per l'efficacia del programma.
C'è. poi, una questione legata al fatto che, sulla testa di uno Stato,
potrebbe cadere qualche tegola che lo rende improvvisamente impotente (cosa potrebbe fare,
in caso di fallimento di una grossa banca in dato Stato, avente legami forti con banche di
altro Stato ?)
E c'è, poi, una questione circa possibili effetti fuori controllo, di
inflazione, molto enfatizzati dalla stampa tedesca, e su cui rinvio ad altro servizio.
2.- Responsabilità della UE. Urgenza dell'operatività
dello Scudo anti-SPREAD. Chiariamo subito che il ritardo della politica UE
anti-Spread ha molto danneggiato l'Italia: nel senso che lo SPREAD ha aumentato la spesa
pubblica per far fronte ai maggiori interessi sul debito e questo ha improvvisamente resa
inutile una parte dei sacrifici degli Italiani, già abbastanza provati.
Diciamo anche che le nuove "condizioni" agli Stati, poste dalla
BCE, sono un debordo dalla retta via, da parte della BCE. Vediamo meglio:
a) Come ricorda Draghi, la BCE è un istituto
indipendente dagli Stati, con il compito di tutelare la stabilità dei prezzi
(associatamente ad un elevato livello di occupazione e una crescita
sostenibile - NdR).
Anzi, storicamente le banche centrali sono state disancorate dal
potere politico, per sottrarle alla strumentalizzazione (da parte di questo) che,
fabbricando moneta a oltranza, finiva per avere un potere dispotico illimitato sulla
società civile (comprare tutto, fare guerre finanziate facilmente...). Noi in Italia, la
Banca d'Italia "indipendente" la facemmo durante il fascismo (1926) ma di fatto
ci fu una lunga tradizione che la rese "serva" del potere politico, ... finchè
Einuadi fece un qualcosa nel senso giusto (ad es., ottenne che il governatore fosse
nominato a vita ..., cosa poi eliminata in seguito alle "sciocchezze" fatte da
Fazio), ma che pure non bastò ...dopo di lui.
Oggi, però e cose si sono invertite. E' Draghi che vuole
imporsi agli Stati e riesce a farlo (mettendosi in mezzo) grazie al fatto che gli Stati
litigano tra di loro, bilanciandosi reciprocamente.
D'altra parte, gli Stati non possono accettare riforme
"fuori campo". A questo proposito, la politica fiscale è rimasta sotto
la sovranità degli Stati, in quanto tra essi vi possono essere differenti scelte
circa il grado di statizzazione del sistema economico. Parrebbe che in UE si voglia una
riduzione della statizzazione. Personalmente penso che in, Italia, l'elevato grado di
statizzaione (vicino al 60%) sia all'origine del decadimento dell'economia italiana, da
almeno 20 anni. Ma una cosa sono le mie idee, una cosa sono le idee dell'elettorato.
Per l'UE deve essere sufficiente la fedeltà degli Stati agli accordi
di Maastricht: precisamente essere in regola con il bilancio.
C'è, poi, la circostanza che, in tempi di congiuntura "depressa",
le misure restrittive peggiorano le cose. Anche in questo senso, è possibile che nessuno
Stato faccia le "riforme liberali" raccomandate dalla UE e, (per ritorsione
della UE) la debolezza dell'Euro si trascini a lungo ahimè, molto pericolosamente.
Mi pare che, in partcolare, nel caso della Grecia, il debordo
della UE sia eccessivo. Non si è ancora capito che la Grecia non ha la
possibilità di pagare tutti i debiti ? E quindi o le fai un regalo, o la butti
fuori.
b) Condizioni veramente necessarie alla BCE.
Le suddette "condizioni", quali presupposto per le
OMTs,) non sono davvero necessarie alla BCE, per fare il suo lavoro
efficacemente.
In generale, un banchiere (a cui una impresa chieda un prestito) va a
verificare il rapporto tra attivo corrente e passivo corrente del bilancio di quella
impresa. E se il rapporto è ritenuto congruo, il banchiere fa il prestito.
Lo stesso dovrebbe fare Draghi, nei confronti degli Stati. La valutazione
circa le condizioni rientra nella discrezionalità di Draghi.
Se è vero che la BCE si deve occupare della stabilità dei
"prezzi", perchè mai non potrebbe occuparsi anche della stabilità dei tassi di
d'interesse, che sono anch'essi dei "prezzi" ? Lo può fare senza fare accordi
"monetari" bilaterali con singoli Stati, e agire autonomamente, di suo, se sa il
fatto suo.
Sapere il fatto suo vuol dire che la BCE deve farsi un'idea di
quello che è il "prezzo" congruo del denaro, di volta in volta, nei singoli
casi, per i singoli Stati.
Vediamo meglio. Nel caso dello Stato iItaliano, è un fatto
conclamato l'aver fatto quanto necessario per evitare la bancarotta (vedi: il pareggio del
bilancio in Costituzione e avviarsi e realizzarlo nel 2013; i riconoscimenti delle
autorità europee ...). Se, dunque, queste sono cose vere (o invece, i riconoscimenti
della UE sono bugie ?), perchè la BCE dovrebbe pretendere una "domanda formale"
di intervento, dallo Sato italiano, alla BCE e quant'altro ?
c) Sul ruolo dei Fondi Salva Stati. Draghi vuole anche che
gli interventi della BCE siano preceduti da interventi dei Fondi Salva Stati. Ma il
funzionamento di quei Fondi è problema di competenza degli Stati, e Draghi deve agire in
modo "indipendente" dagli Stati.
Direi anche qualcos'altro a conclusione: la ricerca di
"accordi BCE-singoli Stati" finiranno per legare le mani alla BCE. Già ...,
perchè il sopravvenire di inadempienze degli Stati non sarà sempre oggettivamente palese
e ne deriveranno dei contenziosi, che finiranno nella aule di tribunale..., con le
relative conseguenze boomerang. Anche la ricerca di questi accordi è un debordo, anzi un
boomerang per l'indipendenza della BCE.
3.- Quid se subentrasse un buco nero bancario ?
Quanto prefigurato dalla BCE (vale dire l'ipotesi che lo Stato assistito con le OMTs,
sia avviato verso il pareggio del bilancio), potrebbe trovarsi inceppato all'improvviso,
per un fatto nuovo (ipotizzato più sopra): una grande banca italiana sta fallendo,
perchè è fallita una grande banca spagnola, a cui la prima aveva fatto crediti
importanti.
In casi di fallimenti bancari, lo Stato italiano, nel 1929-36 nazionalizzò
varie banche e subentrò ad esse nei rapporti con i risparmiatori. Ma allora il debito
pubblico era il 30% del PIL e la Banca Centrale non aveva limiti come ombrello al Tesoro.
Oggi (preso atto che lo Stato italiano non è in condzioni di farlo) chi
provvederebbe ? Non mi risulta che i due Fondi Salva-Stati possano
nazionalizzare Banche, nè mi risulta che l'UE possa farlo direttamente, in base ai
Trattati. Al tempo stesso l'idea di rifinanziarle (da BCE), anche se hanno agito
speculando, è economicamente e moralmemte inaccettabile.
Forse l'UE potrebbe fornire i quattrini alla Stato italiano, per
nazionalizzare quella banca, e impegnarsi a subentargli, poi, nella proprietà della banca
fallita.
Non risulta "chi" dovrebbe farlo in caso di fallimento di banche, e
se uno Stato non ha i mezzi. NL |
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Dalla
Unione Europea, a 27 Stati Membri, riunione di Bruxelles, fine giugno 2014 |
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In
margine allo
SCUDO ANTI-SPREAD
Non solo un problema tecnico, ma anche un problema di
credibilità dell'UE,
dopo la cessione del potere monetario alla BCE-Banca Centrale Europea |
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Come
configurare lo scudo, tecnicamente |
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Nino Luciani, Come potrebbe funzionare un
ombrello anti-spread ? E' noto che gli Stati dell'area Euro hanno ceduto il
potere monetario al livello europeo, diciamo alla UE in senso generico, e alla BCE in
senso tecnico. Sotto questo aspetto non sono ammissibili vuoti normativi, in materia di
intervento monetari.
Va preso atto, al tempo stesso, che i casi di default degli Stati, per
inadeguato uso del potere fiscale (rimasto agli Stati) rientrano in una specie di limbo,
nel quale lo spazio fiscale non è separato dallo spazio monetario, ma dentro il quale
sono tuttavia possibili delle distinzioni di grado.
Precisamente è la stessa distinzion che c'è tra debito fluttuante (quello
per disavanzi correnti di cassa, ma compensati a breve termine mediante la cassa corrente
medesima) e debito a medio-termine.
Nei casi di Paesi, come l'Italia, che non solo ha messo in Costituzione il
pareggio del bilancio e che ha già approvato leggi di rientro del deficit di bilancio
entro il 2013, di direbbe che la la variazione del debito totale è praticamenyte
trascurabile e quindi la tipologia delle emissioni dei Buoni del Tesoro, anche se non
"ordinari" in senso stretto, è qualcosa che promette seriamente di avvicinarsi
a quelli ordinari. E se così non fosse, le varie dichiarazioni pubbliche dei Dirigenti
europei sarebbero state solo bugie.
Ne deriva che la probabilità dell'uso dell'ombrello sono praticamente
nulle. Ciò non toglie che l'istituzione dell'ombrello non sia urgentissimo e il motivo è
la deterrenza che esso eserciterebbe nei confronti di chiunqueci provasse ad aggredire le
emissioni italiane.
Rimane da chiarire la tecniciyà dell'ombrello, perchè quanto
raccontato dai giornali non mi pare dica bene le cose.
Per chiarire la possibile tecnicalità o, per meglio dire, affincè
l'ombrello abbia un senso, la cosa migliore è prendere in considerazione il vecchio
"ombrello" della Banca d'Italia nei confronti del Tesoro, che emetteva Buoni in
Lire.
Allora, il Tesoro emetteva titoli ad un prefissato tasso (o nell'intorno di
un prefissato tasso). Qualora il mercato non assorbisse l'intera emissione, la Bd'I
comprava l'eccedenza, a quel tasso.
Pur se, nel caso delle emissioni dei titoli i n Euro, la BCE non può fare da
"ombrello", ma comprare da un intermediario (che ha già comprato titoli presso
il Tesoro) il risultato "dovrebbe" essere il medesimo. Precisamente,
l'Intermediario dovrebbe essere uno dei due Fondi europei salva-Stati. Il tasso di
interesse, di emissione, dovrebbe essere deciso dal Tesoro, d'intesa con la BCE.
Domanda finale: quale sarà la fine ultima dei titoli in acquisto, sotto
l'ombrello ?
Due possibili risposte:
a) rimane l'obbligo del Tesoro italiano del rimborso alla normale scadenza,
dovunque si trovino i titoli;
b) nel tempo intermedio tra quello dell'emissione e quello del rimborso, la
BCE potrebbe collocare sul mercato i titoli in portafoglio, a proprio rischio di guadagni
o perdite.
Una osservazione finale. Lo scopo dell'ombrello è permettere al Tesoro
l'esercizio del potere sovrano dello Stato di prefissare il tasso di interesse, alla
stessa stregua di quanto lo Stato "dovrebbe" poter fare per i "prezzi
pubblici" in generale, in condizioni normali, vale dire quando ha i propri conti in
regola. E siccome, nella presente situazione storica lo Stato italiano non può garantire
in assoluto il mercato, c'è il soccorso dell'U.E., come seconda firma.
P.S.- Sul fatto di avere, l'Ialia, i conti in regola,
qualche Stato dll'U.E. potrebbe ulteriormente eccepire che i conti sono davvero in regola
se coerenti col Trattato di Maastrichit, in particolare se il rapporto debiro PIL fosse
60%. Spero che questa eccezione drastica non ci abbia luogo, se deve avere un senso la
partecipazione dell'Italia all'U.E., tenuro dei passi del governo MONTI. |
UNIVERITA' di BOLOGNA - Consiglio di Amministrazione
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Prof. Gianni
Porzi, al termine del suo mandato di Consigliere
"rappresentante del Governo", pronuncia discorso di saluto
Saluto al CdA
Frattanto dagli amici "veri", gli sono
pervenuti indirizzi di stima e ringraziamento |
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Poiché l'odierna seduta potrebbe essere l'ultima di questo
Consiglio ed il Magnifico Rettore deve abbandonare l'aula per impegni, chiedo qualche
minuto per formulare un saluto al CdA. In genere, in tali occasioni, è quasi
d'obbligo dichiararsi dispiaciuti, dire che è stata una bella esperienza e così via.
Invece, devo confessare che non provo nulla di tutto ciò, anzi sono contento
che questo impegno sia finito. Infatti, nei sei anni trascorsi in S.A., data la mia
formazione, ho vissuto momenti di disagio (testimoniato peraltro dalle dimissioni nel 2008
dalla Commissione del Personale), che non sono mancati anche nei successivi tre anni in
CdA, tanto che a volte ho anche pensato di dimettermi.
Un disagio che è diventato amarezza in questo ultimo anno, in occasione cioè dei
profondi cambiamenti dovuti alla Legge 240 che ho sempre ritenuto più frutto di una
volontà di legiferare a tutti i costi che non del desiderio di garantire un futuro
migliore ad una realtà così complessa qual'è il mondo universitario.
Non ho mai nascosto il mio atteggiamento critico su alcuni aspetti della
Legge come pure su alcune scelte importanti fatte dall'Alma Mater, e mi riferisco in
particolare alla governance.
Ho sentito critiche aspre alla Legge, a mio avviso a volte anche esagerate,
ma non sempre ho poi riscontrato un atteggiamento coerente nel momento cruciale, cioè
nella fase di elaborazione e approvazione dello Statuto. Forse perché è più facile, ed
anche più comodo, criticare l'operato di chi non è presente grazie al fatto che non si
rischia nulla, "non si paga dazio", come suol dirsi.
Ciò premesso, vorrei rivolgere un doveroso e rispettoso saluto a tutti i
Consiglieri a cominciare dal Magnifico Rettore con il quale ci sono stati momenti di
convergenza, ma anche momenti in cui le nostre opinioni non sono state affatto in
sintonia.
Ho sempre cercato, e spero di esserci riuscito, di tenere comportamenti coerenti,
sicuramente disinteressati, improntati alla correttezza, all'onestà intellettuale e mai
dettati da posizioni ideologiche o preconcette.
Mi preme sottolineare con forza che quando mi sono trovato in disaccordo con le Tue
posizioni, Magnifico Rettore, non è stato mai per motivi personali, ma perché ritenevo
non solo un diritto, ma anche un dovere esprimere le mie opinioni.
Comunque, le mie posizioni hanno sempre rispecchiato esclusivamente il mio
pensiero, la mia formazione e non sono mai state contro qualcuno "a
prescindere".
Saluto con viva cordialità il pro Rettore Vicario che ricorderò con simpatia e
stima anche perché ho apprezzato la sua correttezza, compostezza, senso di
responsabilità, nonché la chiarezza e la meticolosa precisione nell'illustrare le
numerose pratiche a lui affidate.
Saluto il Direttore Generale al quale mi permetto di rivolgere un rispettoso
appello. Sono consapevole che non è facile amministrare una grande Istituzione qual'è
l'Alma Mater, grande non tanto e non solo per le sue dimensioni, ma in particolare per il
suo prestigioso passato che mi auguro si possa presto rinnovare. Ed è proprio per
raggiungere tale obiettivo che sono certo Lei si impegnerà al massimo perché tutto il
Personale sia messo in condizione di potersi esprimere al meglio per il bene di questa
Istituzione.
Auspico che venga instaurato un rapporto costruttivo, di piena collaborazione
con il Personale tutto al fine non solo di rendere il più possibile efficiente il
sistema, ma anche di creare un clima sereno, indispensabile per raggiungere i migliori
risultati possibili.
Un cordiale saluto al Dr. Danzo che, grazie anche alle sue valide
collaboratrici, svolge con professionalità, competenza e senso di responsabilità un
compito molto delicato quale la verbalizzazione delle sedute.
Ritengo meriti un plauso e un riconoscimento per l'impegno profuso e la capacità
ampiamente dimostrata.
Un saluto particolare a quei Consiglieri con i quali in alcune occasioni mi
sono trovato in sintonia, seppure con sfumature e forse anche motivazioni differenti, come
del resto è giusto e normale che sia, perché ognuno ha la propria personalità, la
propria formazione, avendo maturato esperienze diverse e non essendo inquadrati come
"soldatini".
Infine, un saluto caloroso al Collega Bigi che ricorderò con stima perché persona
coerente, coraggiosa ed intellettualmente onesta, pronta ad anteporre agli interessi
personali quelli di questa Istituzione. Sono doti non comuni in quella variegata umanità
che Sciascia nel romanzo "Il giorno della civetta", classifica in :
"uomini, mezz'uomini, ominicchi, (la quarta categoria non è ripetibile in questa
sede) e quaquaraquà". Il capomafia locale don Mariano Arena aggiunge poi :
"pochissimi gli uomini, i mezz'uomini pochi, ché mi contenterei l'umanità si
fermasse ai mezz'uomini e invece no, scende più giù, agli ominicchi e ancor più giù
fino ai quaquaraquà che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere".
Don Mariano rivolgendosi poi al Capitano dei carabinieri Bellodi dice : "Anche se mi
inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo".
Concludo con la locuzione latina "qui gladio ferit, gladio perit"
che ritengo alquanto appropriata in questo momento storico per l'Università. Infatti, con
la Legge 240, la ex Ministra on. Gelmini ha introdotto nei CdA degli Atenei i
"tecnici" (cioè persone con professionalità di livello molto elevato, dei
"quasi-Marchionne") e, ironia della sorte, a distanza di qualche mese, se li è
trovati al Governo. |
BOLOGNA - ELEZIONE DEL SENATO ACCADEMICO
APPROVATO IL REGOLAMENTO ELETTORALE ( 7 feb. 2014)
Per trovare il testo, clicca su: elezioni
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Gianni Porzi*, MALA TEMPORA CURRUNT
* Università di Bologna, Membro del CdA |

Gianni Porzi
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MALA TEMPORA CURRUNT
Con
lapprovazione del Regolamento per lelezione delle componenti dei
Direttori di Dipartimento e del Personale Docente, Ricercatore e Tecnico Amministrativo
nel Senato Accademico (avvenuta il 7 febbraio u.s.) si chiude la fase preparatoria
per il nuovo assetto della governance dellAteneo. Non ritengo che in tale
occasione sia stata scritta una bella pagina della storia dellAlma Mater, anche se
certamente non la peggiore - primato che a mio avviso spetta allapprovazione dello
Statuto del luglio scorso - ma una continuazione di quella linea di politica universitaria
della quale non credo sia un vanto per lAteneo.
In occasione dellapprovazione di tale Regolamento in CdA, il sottoscritto
e il collega Giorgini hanno presentato due emendamenti, entrambi
finalizzati a che del nuovo Senato Accademico potessero far parte tutte le componenti del
corpo docente, nel rispetto del principio democratico della massima rappresentatività.
Infatti, lemendamento di Giorgini poneva la incompatibilità dei Direttori di
Dipartimento a candidarsi quali Rappresentanti darea, essendo già a loro riservati
10 posti nel Senato, e il mio prevedeva che per ciascuna delle 5 aree elettorali fosse
eletto un Prof. di I fascia, un Prof. di II fascia e un Ricercatore.
Se entrambi gli emendamenti fossero stati approvati, avrebbero fatto parte
del nuovo S.A. 10 Direttori, 5 Prof. di I fascia, 5 Prof. di II fascia e 5 Ricercatori; il
Senato sarebbe stato così lorgano accademico in cui, non solo le aree (peraltro
prevalentemente di tipo elettorale), ma anche tutte le componenti della docenza sarebbero
state rappresentate in accordo al principio di rappresentanza democratica della comunità
universitaria peraltro previsto dallart. 6, comma 1 dello Statuto.
Inoltre, garantire una rappresentanza più ampia possibile sarebbe
stato opportuno anche per evitare la formazione di cartelli elettorali (possibilità
affatto remota) che darebbe una brutta immagine dellAlma Mater e potrebbe anche
creare dannosi attriti allinterno della stessa comunità accademica.
Essendo stati respinti entrambi gli emendamenti (15 contrari e 8 favorevoli),
il CdA ha sostanzialmente fatto una scelta ben precisa, e cioè ignorare quei principi
fondamentali della rappresentatività democratica nella governance
dellAteneo, perfino nel caso di un organo collegiale quale il nuovo S.A. che avrà
il solo compito di formulare proposte e pareri, essendo tutto il potere decisionale in
capo al nuovo CdA.
Ho la fondata sensazione che lAteneo si trovi a dover affrontare un
lungo periodo di oscurantismo durante il quale il potere sarà gestito da una ristretta
oligarchia.
Viene così annullato quel tasso di democrazia, garantito dal precedente
Statuto (risalente a circa 20 anni fa), per lasciare il posto al ben noto
dirigismo.
Invece della democrazia reale andrà così in scena, purtroppo, la sua
parodia.
Presto molti, e in particolare i meno giovani, rimpiangeranno il DPR 382 (del
lontano 1980) al quale mise mano il Senatore Prof. Spadolini, profondo conoscitore del
mondo universitario, uomo di grande cultura, politico di alto
profilo e persona che aveva un profondo senso delle Istituzioni e della democrazia.
Non era certamente
uomo che avesse bisogno, per farsi ricordare dalla storia, di legare il proprio nome ad
una Legge, in quanto, grazie alla sua levatura, sarebbe rimasto comunque negli annali
della storia politica e culturale italiana.
Quella fu una Riforma veramente epocale in
quanto era innovativa e proiettata nel futuro, rappresentando una netta discontinuità con
il passato.
Invece di
tenere il DPR 382 come punto di riferimento fondamentale per una modernizzazione
dellUniversità, con la Legge 240 sono stati erosi spazi allautonomia
universitaria, in particolare per quanto riguarda la governance;
e nello specifico lAlma Mater ha poi contribuito sia con uno Statuto che concentra
tutto il potere nei vertici dellAteneo, sia con il recente Regolamento che non
garantisce il principio della più ampia rappresentanza possibile del corpo docente nel
nuovo S.A.
La Legge 240 lasciava spazi, seppur
limitati, per una governance meno verticistica,
ma lAlma Mater ha deciso di non utilizzarli, scelta che invece è stata fatta dagli
Atenei di Genova, Parma e dal Politecnico di Torino, questultimo essendosi opposto
anche al ricorso amministrativo intentato dal Ministero.
Personalmente ho
potuto constatare come il concetto di democrazia venga sbandierato, a parole, ma al
momento di metterlo in pratica emergono in modo evidente forti quanto estese resistenze. Spesso
infatti il termine democrazia viene usato come grimaldello per
accedere al potere e, una volta raggiunto, il grimaldello viene prontamente seppellito e
addirittura parole quali democraticità e
trasparenza vengono rimosse, quasi procurassero
un certo fastidio. Forse, perché sono termini ritenuti un po sovversivi, per chi è
al potere. Gianni Porzi |
Dopo
i bandi miur per i Fondi "PRIN" e "Futuro in Ricerca",
commenti da più parti
dell'Università italiana |

Gianni Porzi
|
Gianni Porzi*, Critiche al Ministro Profumo
già dopo pochi giorni dal suo insediamento**
(su "il Sole - 24 ORE", 3, 4, 5, 7, 10 gennaio
2014)
* Università di Bologna |
Nota. Il 3 gennaio 2014, la
pubblicazione dei Bandi ministeriali per i Fondi "PRIN" e "Futuro in
Ricerca" aveva suscitato, il 3 gennaio 2014 (su Il Sole - 24 ORE) i commenti di due
illustri professori di Pisa, ai quali (avendo essi, presumibilmente, toccato nervi
scoperti) il nuovo Ministro rispondeva a tamburo battente, il 4 gennaio, sullo stesso
giornale. La cosa non finiva qui. Seguivano ulteriori 5 commentatori, sullo stesso
giornale (si vegga l'elenco, qui sotto). Pubblichiamo qui il commento
del prof. Gianni Porzi dell'Università di Bologna. NL |
Gianni Porzi, Sintesi degli
interventi
I professori Fabio Beltram, Direttore della Scuola Normale
di Pisa, e Chiara Carrozza, Direttrice della Scuola Superiore S. Anna di
Pisa, hanno decisamente criticato, in un articolo su "Il Sole 24 ore", i bandi
relativi sia ai PRIN che ai fondi "Futuro in Ricerca". La critica
sostanzialmente consiste nel fatto che la procedura di selezione non è basata
esclusivamente sulla validità dei progetti in quanto sono stati introdotti dei limiti sia
al numero di progetti che possono essere proposti da un Ateneo, sia a quanti giovani
possono proporre la propria ricerca in una specifica Università. Tutto essendo
parametrato su una frazione dell'entità numerica del personale di ruolo nel singolo
Ateneo. Nei bandi in questione viene richiesta agli Atenei una preselezione dei progetti
sulla base del numero delle proposte presentate nei singoli s.s.d. Con tale scelta tutti
verrebbero messi sullo stesso piano quando invece la distribuzione delle buone idee,
affermano Beltram e Carrozza, non è un fatto statistico, ma è strettamente connessa con
la qualità delle strutture e delle persone. I due Docenti sostengono che un tale
approccio quantitativo porterà alla formazione di cordate e di turnazioni
nell'assegnazione dei fondi di ricerca e quindi con una scarsa incidenza del merito. Molto critico è stato anche il prof. Guido
Tabellini, Rettore della Bocconi, che in un articolo, sempre su "Il Sole 24
ore", dal titolo "La concorrenza tra le Università non deve sparire"
ritiene che si tratti sostanzialmente di una distribuzione a pioggia per l'incapacità di
selezionare in base al merito e che le eccellenze italiane essendo disperse in sedi
diverse non sono in grado di raggiungere una massa critica. Non condivide anche il fatto
che siano ammessi al finanziamento solo progetti che prevedono la collaborazione di almeno
5 unità di ricerca (cioè gruppi di ricercatori appartenenti a Dipartimenti diversi) e
siano invece esclusi i progetti individuali o con un numero inferiore di ricercatori. Il
Rettore Tabellini giudica incomprensibili le procedure previste per l'assegnazione di
fondi, procedure che non trovano riscontro nelle migliori prassi internazionali e pertanto
aggraveranno la situazione. Ritiene inoltre che se si vogliono rendere più efficaci le
procedure di finanziamento della ricerca occorre istituire un'agenzia indipendente che si
occupi di tali procedure lasciando al Ministero solo il compito di stabilire gli importi
aggregati e la suddivisione per aree disciplinari. Il prof. Tabellini chiude il suo
intervento dicendo che la priorità di questo Governo è affrontare l'emergenza economica
e non riformare scuola e università; c'è bisogno di una migliore allocazione delle
risorse non solo nell'economia privata, ma anche nelle scuole e nell'università.
Alle critiche il Ministro
ha risposto, a mio avviso non in modo puntuale, con un'intervista rilasciata a "Il
Sole 24 ore", affermando che il suo intento è di corresponsabilizzare le Università
attraverso la preselezione dei progetti che dovranno poi essere sottoposti alla
valutazione a livello nazionale. Secondo il Ministro occorre incentivare l'aggregazione di
ricercatori su gruppi di progetto, cioè la formazione di team in grado di interagire al
meglio.
Sul tema sono poi intervenuti, sempre su
"Il Sole 24 ore", anche i professori Frati, Rettore della
Sapienza di Roma, e Braga, pro-Rettore alla ricerca dell'Università di
Bologna, il primo a difesa dell'operato del Ministro e il secondo a salvaguardia delle
ricerche di punta nell'area delle scienze umani e sociali.
Altro commento è venuto dal prof. Pier
Luigi Celli.
Una sostanziale difesa dei bandi è venuta
anche da parte del prof. Gianluigi Condorelli (Direttore del Dipartimento
di Medicina del CNR) su "Il Sole 24 ore" del 10 gennaio. Concludo questa sintesi
sul dibattito, pacato e costruttivo, che si è sviluppato sui bandi per i PRIN e per i
fondi "Futuro in Ricerca" con una personale opinione. Innanzi tutto, la
diversità di opinioni ritengo sia una ricchezza indispensabile nella ricerca delle
soluzioni migliori; la dialettica, se intellettualmente onesta e non ideologica, come
nella fattispecie, è fondamentale per realizzare obiettivi condivisi e ambiziosi. |
|
(seguito di Gianni Porzi)
Critiche al Ministro Profumo, già dopo pochi giorni dal suo insediamento.
A mio avviso, le critiche fatte ai bandi non sono del tutto
infondate e in particolare condivido pienamente quanto rilevato dal Rettore della Bocconi
e cioè che non è giusto, né a mio avviso corretto, che in nome di non so cosa, vengano
esclusi a priori i progetti individuali o con un numero di ricercatori inferiore a quanto
richiesto dal bando.
In particolare in settori di tipo umanistico, giuridico,
socio-economico, vi sono eccellenti individualità che sarebbe un grave errore non
sostenere o addirittura emarginare.
Incentivare l'aggregazione di ricercatori su progetti
rilevanti per poter essere competitivi anche a livello internazionale è indubbiamente
importante, ma non ritengo giusto immolare le singole eccellenze sull'altare
dell'internazionalizzazione o della interdisciplinarità "a tutti i costi".
Per quanto concerne poi la preselezione dei progetti da parte dei
singoli Atenei, ritengo che questa andrebbe eventualmente relegata al mero controllo della
correttezza formale della richiesta di finanziamento. Non credo infatti che, per rendere
più veloce il momento decisionale, si possa, anche solo in parte, trascurare la
meritocrazia in base a parametri peraltro discutibili.
Infine, è del tutto condivisibile la proposta del Rettore della
Bocconi di istituire un'agenzia veramente indipendente alla quale affidare le procedure di
finanziamento della ricerca lasciando al Ministero solo il compito di stabilire l'entità
degli stanziamenti e la suddivisione per aree disciplinari. La proposta è sicuramente
buona, ma va tenuto presente che la sua riuscita sarebbe sempre legata al senso di
responsabilità, all'etica di coloro che dovrebbero valutare e quindi stilare una
graduatoria delle richieste di finanziamento in base alla qualità sia del progetto che
dei proponenti.
Sono convinto che la condicio sine qua non per la buona riuscita
di qualsiasi valutazione, che è sempre un processo molto delicato, è la moralità di chi
è chiamato a giudicare; non è sufficiente essere culturalmente all'altezza del compito,
ma è necessario esserlo anche eticamente.
In qualunque tipo di valutazione sono indispensabili due requisiti
inscindibili, cioè competenza ed eticità. Nel nostro Paese non sempre il secondo
requisito è all'altezza del primo e troppo spesso i concorsi universitari, e non solo, ne
sono una dimostrazione.
Gianni Porzi
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Da "Il Sole 24 ORE" :
- Fabio Beltram, Chiara Carrozza, Lettera a Profumo: Caro ministro, così la ricerca parte
con il piede sbagliato, 3 Gennaio 2011
- Francesco Profumo, Intervista al Ministro, di Francesco Antonioli, 4 gennaio 2011
- Guido Tabellini, La concorrenza tra le Università non deve sparire, 5 gennaio 2011
- Luigi Frati, Soltanto come sistema si può svettare all'estero, 7 gennaio 2011
- Dario Braga, Meritocrazia anche per gli studi culturali, 7 gennaio 2011
- Pier Luigi Celli, Meno ripiegamenti miopi e più aperture per il futuro dei giovani
laureati, 7 gennaio 2011
- Gianluigi Condorelli, Trasparenza e merito nei bandi promossi dal ministro Profumo, 10
gennaio 2011 |
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** P.S. - SI informano i lettori che, dopo il Commento del prof. Porzi, il
MIUR ha emanato due decreti ( D.M.
2/2014 per il FIRB, e D.D. 12.1.2014 per Futuro in Ricerca), che in parte
modificano i precedenti. |
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