La BCE vuole il sostegno degli investimenti privati e delle esportazioni, ma Renzi oppone autonomia in contrasto con le motivazioni storiche dell'entrata dell'Italia nella UE monetaria, mentre la Governance qui non è cambiata

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.Edizione  di febbraio 2014 - For translation in english, click on: http://translate.google.it/
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UNIVERSITAS  News
Foglio on line sull'università, con  Forum di politica generale aperto a tutti.
Sede in Bologna, via Titta Ruffo 7- Tel  347 9470152 - nino.luciani@libero.it
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NINO LUCIANI * - Direttore responsabile

   * Prof. Ordinario di Scienza delle Finanze, Università.

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Nino Luciani
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Comité de Patronage: F. Bonsignori, A. De Paz, Elena Ferracini, Dario Fertilio, Enrico Lorenzini, Nino Luciani, Bruno Lunelli, Marco Merafina, Gianni Porzi, Franco Sandrolini

PAESI VISITATORI:  Italy, United States, United Kingdom, Germany, France, Netherlands, Ukraine, Poland, Russian Federation, Belgium, Canada, Switzerland, Greece, China, Finland, Denmark, Morocco, Spain, Israel, Sweden, Luxembourg, Romania, Australia, Costa Rica, Latvia, Turkey, Brazil, Malta, Austria, Moldova, Republic of Korea, Republic of South Africa, Malaysia, Bulgaria, Slovenia, Tunisia, United Arab Emirates, San Marino, Czech Republic, Egypt, India, Netherlands Antilles, Indonesia, Slovakia, Hong Kong, Croatia, Georgia, Senegal, Vietnam, Brunei Darussalam, Japan, Colombia, Macedonia, Mexico, Peru, Ireland, Aruba, Uruguay, Albania, Belarus, Philippines, Algeria, Portugal, Lithuania, Cote D'Ivoire, Hungary, Europe, Kuwait, Norway, Bolivia, Pakistan, Chile, Togo, Venezuela, Kenya, Panama, Iran.

EDIZIONE DI DICEMBRE 2014

BCE - BANCA CENTRALE EUROPEA

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Draghi è tornato a dirci che la via per la ripresa del PIL è il sostegno degli investimenti privati e delle esportazioni.

Per parte sua, con la svalutazione del cambio euro/dollaro, qualcosa ha fatto.

Ma in Italia chi dovrebbe dare il sostegno? Una UE memore dell'esperienza terribile imposta alla Italia, tramite Monti, dovrebbe: a) dire a Renzi: "abbatti l'IVA dal 22% al 16%; b) e dire a Draghi: "bilancia il minore gettito con acquisto di titoli di Stato in scadenza, che presenterai allo incasso, dopo 10 anni dalla scadenza". Sarebbe una Qe ben motivata.

UNIVERSITA' DI BOLOGNA: Codice Etico

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I peccati ipotizzati (non
inventati) dei professori:
  molestie sessuali e morali,
   nepotismo,  favoritismo,
   abuso della propria posizione,
  conflitto di interessi, regalie.

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Il peccato del rettore Dionigi:     oscuramento della informazione  sugli Organi di Ateneo.

SCELTE PUBBLICHE

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RENZI: "E' finito il tempo dei furbi. Contro l'evasione, onore-disciplina".

PADOAN: "Lotta all'evasione per ridurre la pressione fiscale".

LUCIANI:  FONDAMENTO ECONOMICO ED ETICO DELLA EVASIONE FISCALE: Alta fiscalità in rapporto a basse prestazioni dello Stato nell'economia e nel sociale.

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Università del Salento


Dal "CORSERA: Gian Antonio Stella, Insegnavi a Yale? Mettiti pure in coda.
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All’Università del Salento più punti a chi ha avuto cattedre negli atenei italiani

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Luciani: No comment, ma due domande

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Legge elettorale

Testo Camera. La Corte Costituzionale sul Porcellum.
Nuove proposte:1) Premio
di maggioranza al partito
con il 40% dei voti;
2) Ballottaggio, se nessun partito ha il 40% dei voti; 3) Soglia di sbarramento ai singoli partiti in coalizione;
4) Preferenze

 

SCELTE PUBBLICHE :

renzi-terza via.jpg (4660 byte) Renzi, La terza via della sinistra
e la mia ricerca di un nuovo cammino.
caponnetto  f.jpg (197565 byte) Francesco CAPONNETTO,
Democristiani non utopisti visionari,
ma pieni di ardimento
cantelli gabriele.JPG (42713 byte) Gabriele Cantelli, Prove di Renzi-Berlusconi oltre la terza via, tra
riconoscimenti e coperture ?

FORUM4

FORUM1 - 2014

FORUM2

Tribunale di Perugia, Sentenza n. 109/11, in data 27/1/2011, riammette il prof. Nino Luciani nel Cipur, Clicca su Tribunale di Perugia - Financial Times

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Economia

Tag: BCE, Draghi, investimenti privati, esportazioni, Renzi ribelle a UE, autonomia, Italia, motivazioni storiche entrata Italia in UE monetaria, bce acquisto debito pubblico italia, iva 16 per cento, evasione fiscale, Renzi gatto, Padoan volpe, giustificazione differenze fiscali paesi nel mondo, giustificazione economica e morale evasione fiscale, pagare tutti per pagare meno, bugie, come erano trattati i debiti a Roma antica, retta via per abolire evasione, d'Albergo, sicilia, convegno, scienza delle finanze italiana, ARS assemblea regionale siciliana, palermo, palazzo dei Normanni 2014-31-10, legge elettorale Italia, nuove proposte, premio di maggioranza, ballottaggio, soglia sbarramento partiti, voto di preferenza, tag: terza via di Renzi, Caponnetto, democristiani pieni di ardimento, Gabriele Cantelli, prove di Renzi e Berlusconi otre la terza via, Gian Antonio Stella, parodia su universita' del Salento, insegnavi a Yale, due domande

 

ARTICOLI  2014

tag : evasione fiscale, Renzi gatto, Padoan volpe, giustificazione differenze fiscali paesi nel mondo, giustificazione economica e morale evasione fiscale, pagare tutti per pagare meno, bugie, come erano trattati i debiti a Roma antica, retta via per abolire evasione

 

LOTTA alla EVASIONE FISCALE: tra il GATTO e la VOLPE

Nel corso della inaugurazione anno accademico della GUARDIA DI FINANZA

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Premier Matteo Renzi

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RENZI: "E' finito il tempo dei furbi. Contro l'evasione, onore-disciplina"
PADOAN: "Lotta all'evasione per ridurre la pressione fiscale"

LUCIANI:   LA GIUSTIFICAZIONE DELLE DIFFERENZE FISCALI DEI VARI PAESI NEL MONDO sono:
Alta fiscalità in rapporto ad alto intervento dello Stato nella economia e nel sociale.
Bassa fiscalità in rapporto a basso intervento dello Stato nella economia e nel sociale

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IL FONDAMENTO ECONOMICO ED ETICO DELLA EVASIONE FISCALE:
Alta fiscalità in rapporto a basse prestazioni dello Stato nell'economia e nel sociale

PARLIAMO DELLA  EVASIONE FISCALE, CON SINCERITA' e VERITA'

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Ministro Carlo Padoan

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ALCUNE STATISTICHE, DALL'ALTRA PARTE

(Valori in milioni di euro, a prezzi correnti)

2009

2013

2014

ENTRATE FISCALI (imposte dirette e indirette, contributi sociali)

653.699

43,2% PIL

687.377

44,1% PIL

707.760

45,3% PIL

SPESE CORRENTI

731.502

48,2% PIL

755.935

48,4% PIL

766.663

49,1% PIL

   Fonti: Relazione Gen. B.d'I. 2014, p. 102, per il 2009; MEF, Nota tecnico-illustrativa alla legge di stabilita', 2014, tab. 3.2-1

Fonte: http://www.mef.gov.it/ministero/ministro.html

Nel corso dell'Anno Accademico della Guardia di Finanza
- 28 novembre 2014 -

MINISTRO DELL'ECONOMIA Carlo PADOAN
(Stralcio del primo capoverso)

1.- In Italia l'evasione fiscale sottrae all'erario risorse ingenti. Queste risorse potrebbero essere utilizzare dallo Stato per migliorare il bilancio pubblico, ridurre la pressione fiscale e perseguire obiettivi di equità sociale. L'evasione distorce il funzionamento del mercato, pone i contribuenti onesti in una condizione sfavorevole rispetto agli evasori, impedisce l'allocazione ottimale delle risorse. L'evasione, infine, è collegata alla corruzione e alle attività economiche svolte dalla criminalità organizzata.

[ In questa stessa circostanza, il Premier RENZI, parlando a braccio, a proposito della evasione, avrebbe detto: "E' finito il tempo dei furbi. Contro l'evasione, onore-disciplina".) (Nella stessa circostanza, il Premier RENZI, parlando a braccio, a proposito della evasione, avrebbe detto: "E' finito il tempo dei furbi. Contro l'evasione, onore-disciplina" ].

  Nel disegno di legge di Stabilità 2015, attualmente in discussione in Parlamento, sono contemplati interventi di contrasto all'evasione che consentiranno di recuperare risorse per circa 3,5 miliardi aggiuntivi rispetto al 2014. Ma accanto alla repressione dell'evasione e dei comportamenti elusivi è importante migliorare la cooperazione tra contribuenti e amministrazione fiscale per incentivare l'adempimento spontaneo agli obblighi tributari [la cosiddetta Tax Compliance].
     E' un risultato al quale si può giungere attraverso incentivi che facciano emergere reddito imponibile, e prassi innovative dell'Amministrazione finanziaria: la quale incrocerà nuove informazioni disponibili nelle banche dati dell'Anagrafe tributaria e, a partire dai primi mesi del 2015, segnalerà ai contribuenti eventuali incongruenze. In questo modo i contribuenti potranno fare le proprie verifiche ancora prima di presentare la dichiarazione dei redditi.
   Anche così intendiamo incentivare il ravvedimento operoso, di cui prevediamo anche di ampliare i termini, e ridurre le procedure di accertamento.
   Ancora nella legge di stabilità, abbiamo esteso ad altri settori il meccanismo dell'inversione contabile (cosiddetto reverse charge) per ridurre le frodi IVA.
  

   Per contrastare il fenomeno dell'evasione cosiddetta "da versamento" abbiamo inoltre previsto che all'atto dei pagamenti dalle pubbliche amministrazioni per le forniture di beni e servizi effettuati, l'IVA venga versata direttamente al bilancio dello Stato. Una innovazione, infine, che contribuirà a semplificare il sistema tributario e degli adempimenti richiesti ai contribuenti è costituito della fatturazione elettronica.
    Già operativa nei confronti delle pubbliche amministrazioni dallo scorso giugno, sarà estesa alla totalità delle pubbliche amministrazioni a decorrere da marzo 2015.
   Con la riforma fiscale  interverremo per rivedere le misure di contrasto all'elusione e all'abuso del diritto, commisurare meglio le sanzioni, penali e amministrative, alla gravità dei comportamenti, instaurare coi grandi contribuenti forme di adempimento cooperativo raccomandate dall'OCSE.

2.- Ma conosciamo bene la rilevanza assunta dall'evasione fiscale nella dimensione internazionale.
   Per contrastare efficacemente l'evasione fiscale su scala internazionale le misure unilaterali non sono sufficienti: dobbiamo mettere in campo risposte coordinate a livello globale. L'Italia ha svolto un ruolo di primo piano per promuovere nella comunità internazionale prassi e norme efficaci in questo senso. Al consiglio ECOFIN dello scorso 14 ottobre la Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione Europea ha conseguito l'accordo politico per la revisione della Direttiva sulla cooperazione amministrativa che incorpora nella legislazione europea uno standard per lo scambio automatico di informazioni, con effetti dal primo gennaio 2016 e scambi operativi nel 2017 per tutti gli Stati Membri.      La nuova Direttiva verrà adottata dal Consiglio ECOFIN il prossimo 9 dicembre. Lo standard adottato nell'Unione europea per lo scambio automatico di informazioni è stato sviluppato dall'OCSE in collaborazione con un Gruppo di 5 paesi di cui l'Italia è stata protagonista. Grazie all'iniziativa dell'OCSE e del Gruppo dei 5, a partire dal 2017 questo standard verrà adottato da più di 90 paesi nel mondo.

3. -  Inoltre si è resa sempre più evidente la necessità di un'azione congiunta per la modifica dei criteri tradizionali su cui si basa la fiscalità internazionale. Nel luglio 2013, su impulso del G20, l'OCSE ha pubblicato un Piano d'azione sull'erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti (cosiddetto BEPS) che individuava 15 azioni prioritarie in diversi campi d'intervento da attuare entro la fine del 2015.
   Il 16 settembre di quest'anno sono stati presentati i primi risultati parziali di questo progetto, che già prevedono raccomandazioni concrete. L'Italia ha giocato un ruolo chiave sui tavoli tecnici dove tali raccomandazioni sono state adottate e sta promuovendo il completamento delle restanti azioni del progetto entro il 2015. La riunione dei Capi di Stato e di Governo del G20 a Brisbane di metà novembre ha ribadito l'impegno a finalizzare le raccomandazioni entro questo termine.
  Luigi Einaudi affermava, con riferimento alla lotta all'evasione fiscale, che "qualunque legge, anche ottima, a nulla gioverà se ad applicarla non sia chiamato un corpo di funzionari colto [...]".
   "Professionalità" e "cultura" rimangono preziosi strumenti, tra loro complementari, cui la Scuola di Polizia tributaria deve fare ampio ricorso per formare ufficiali e "finanzieri" reattivi ai cambiamenti, sempre più aperti al dialogo e al confronto con la società civile, nella consapevolezza che il rigore morale, la preparazione e il senso dello Stato siano presupposti ineludibili per il corretto esercizio delle proprie funzioni.
   In conclusione voglio esprimere un sentimento di profonda gratitudine per la silenziosa abnegazione, la professionalità e l'elevatissima qualificazione con cui, ogni giorno, le donne e gli uomini della Guardia di finanza riempiono di contenuti e di valori la propria missione.

Nino Luciani, Sulla evasione fiscale. Definizione, limiti e buon senso dello Stato, che voglia contenere il fenomeno.

1.- Premessa. Ripartiamo dalle memorabili  "Considerazioni finali" di Draghi (2010) sulla situazione dell'Italia nel 2009 alla Assemblea Ordinaria dei Partecipanti della Banca d'Italia, mentre Berlusconi era al governo.
 
Draghi giustificò, a modo suo, la "macelleria sociale" del governo BERLUSCONI- TREMONTI (vale dire il taglio della spesa statale per i servizi pubblici) in quanto necessario per salvare la credibilità dell'Italia sui mercati, ma dandone le responsabilità agli evasori fiscali. Draghi denunciò una mancata IVA per 30 miliardi all'anno e una mancata ICI, a causa di un numero imprecisato di case non iscritte in catasto.
  
Draghi disse che: "L’evasione fiscale è un freno alla crescita perché richiede tasse più elevate per chi le paga". Dunque Draghi rilanciò una vecchia tesi dei sindacati (dato che il lavoro fisso non evade):"Pagare tutti per pagare meno".
 
2.- Presupposto per la Tax compliance. Prima di brevi considerazioni su queste "s-considerazioni" (perchè fondate su uno slogan), osservo che il conto tornerebbe se lo Stato iscrivesse le entrate recuperate dall'evasione, in un apposito capitolo di bilancio, in modo da provvedere alla simultanea riduzione delle aliquote fiscali, via via che il recupero ha luogo.
  
Ma questo non è avvenuto mai, e lo diviene oggi necessario due volte se Padoan e Renzi vogliono fondare il recupero della evasione sulla Tax Compliance, vale dire sul buon sangue tra Stato e contribuente (si vegga a fianco).
  Invece, guardando la tabella sopra,
vediamo che da quel 2009 al 2013, le imposte sono aumentate di 54 miliardi di euro ( in gran parte per recupero di evasione). Ma anzichè fare restituzione fiscale, si è stata aumentata la spesa corrente (e anche il debito pubblico).
 
(Nota. Osservo, per inciso, a quanti vogliono aumentare ancor più la spesa per affrontare la crisi economica, che la spesa pubblica ivi riportata è già al 49,1% del PIL, e che anzi quella "totale" è al 55% del PIL, e si arriva al 65% se si includono le spese delle imprese pubbliche, inserite nel settore privato, dalla contabilità nazionale ISTAT. Ma, poi, lo Stato non riesce a spendere in tempo reale, per cui prevale l'effetto restrittivo sul cittadino.  Direi che, dopo aver visto ...,  la strada sia, invece, la riduzione delle imposte, puntando sugli investimenti privati.
 
3. La "retta via" per abolire l'evasione fiscale. L'evasione non ha motivo di essere se lo Stato chiede l'imposta motivando con le proprie prestazioni di servizi ai cittadini. Essa, invece, ha motivo di essere se manca una giusta motivazione. Questa impostazione discende dalla scienza delle finanze: "le imposte sono pagamenti obbligatori, in base a capacità contributiva, per fronteggiare il costo delle prestazioni fondamentali dello Stato (difesa, ordine pubblico, giustizia, ...), dei servizi pubblici (scuola, sanità, pensione sociale, ...), delle infrastrutture, e per una parziale redistribuzione del reddito a favore delle grandi povertà, delle disabilità umane,... (che sono senza colpa).
  Ma, poi, constatiamo una spesa alta e ingiustificata dello Stato per motivi ben diversi da quella per i servizi pubblici, di cui dice Draghi, come:
  - per eccesso di finanziamento dei partiti e di retribuzioni dell'alta burocrazia, sia pure in modo legale (non sempre);
- per mala amministrazione: ci sono molti uffici doppioni dello Stato (vedi 20 Regioni, con 20 parlamenti, mentre quello nazionale basta e avanza) ;
  - per costo eccessivo dei grandi lavori pubblici (causa tangenti sugli appalti,ai partiti,  ecc. ..)...
  Domando a un prete (il Cardinale Bagnasco, che grida contro l'immoralità della evasione) se, in base alla legge naturale o al vangelo ("date a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare") sono morali i furti dello Stato (si vegga sopra), anche se fondati su leggi. Vediamo meglio:
   a) Il "ladrismo" (evasione fiscale, inclusa) ha da sempre accompagnato l'uomo (a volte, per il piacere della perversione, a volte per fame e per sopravvivere, a volte per rivendicare una qualche ragione "santissima").
  Pertanto, per  conservare il fenomeno in limiti fisiologici, lo Stato dovrebbe fare la lotta anti-evasione come fatto di routine, senza inutili schiamazzi, ma anche evitando abusi fiscali, posizionando la pressione su parametri di saggio compromesso tra le parti sociali (rinvio a più sotto).
   Ci sono i casi evidenti in cui l'imposta non è dovuta. Per Costituzione (art. 53) l'imposta va pagata in base a capacità contributiva, ma in questi anni la legge ordinaria ha fatto pagare le imposte sui ruderi e case sfitte causa la crisi. Anche per la IVA ci sono i casi di imposta dovuta legalmente, pur se l'imprenditore finale non ha incassato nulla.
  b) Gli evasori clamorosi vanno picchiati senza misericordia ? Si direbbe di sì, ... eppure uno Stato meritevole di rispetto dovrebbe fare delle distinzioni tra casi di fallimento e casi di non fallimento
  I suicidi di imprenditori non dovrebbero dire qualcosa ?
  Ai tempi di Roma, il debitore veniva portato davanti al giudice e, se riconosciuto "colpevole", gli venivano dati 30 giorni per pagare. Se, poi, passavano invano i 30 giorni, il giudice lo dichiarava alla mercè del creditore, che poteva farlo schiavo o ucciderlo.
  Domando: in questo periodo di grave crisi, lo Stato dovrebbe chiedere il "suo" a costo di distruggere economicamente il debitore, o dovrebbe valutare se dargli una proroga, il tempo per riprendersi e tornare a fare impresa produttiva ?
   c) Conclusione. In Italia la pressione fiscale effettiva (ossia, in termini di rapporto tra spesa pubblica e PIL) è nell'ordine 55%. Questo dimostra, già di suo, che nel complesso non c'è una apprezzabile evasione in Italia. Il 55% è, poi, un valore medio di punte che spaziano dal 20% all'80%
  - A mio modo di vedere, una pressione fiscale ragionevole dovrebbe stare nei limiti del 35-40% del PIL. Superare questa cifra, e al tempo stesso dare prove inconfutabili di sprechi gravi del danaro pubblico, suscita opposizioni crescenti.
   L'idea di pagare tutti per pagare meno andrebbe applicata davvero, ma la cosa comincia dal tagliare la pressione fiscale (in termini di rapporto tra spesa pubblica/PIL, negli USA essa è il 38%, nonostante le ingenti spese militari).
   d) Altro. Voglio, poi, ricordare che (anche per suggerimento della scienza delle finanze) nella tradizione (pessima) del Ministero delle Finanze, le aliquote nascono alte, dando per scontato che ci sarà sempre una determinata evasione. Lo vediamo nel fatto che, se le imposte fossero pagate al 100%, tutte le piccole imprese dovrebbero scomparire. In questo senso, essa va in qualche modo tollerata, al di là dello stretto legalismo, se si è scelto deliberatamente di farle alte.
  - Sempre per suggerimento della scienza delle finanze, per limitare le reazioni del contribuente alla fiscalità, si applicano più le imposte indirette che quelle dirette (perchè queste sono più in evidenza contabile); e si ripartisce il prelievo tra molte imposte, in modo che se uno evade l'una imposta, ci sia recupero di gettito sull'altra .
   In questo senso, non esiste un "evasore totale". Se riesco a salvarmi dall'IVA del dentista perchè mi fa uno sconto senza fattura, non mi salvo dall'IRPEF, dal bollo dell'automobile, dall'IVA sulla frutta del supermercato ...   In altri termini, tra quanto detto da Draghi e i fatti, ci passa un oceano. Il Punto vero è decidere un livello di intervento dello Stato nell'economia, compatibile con le possibilità di sopportarlo..
   d) Altro ancora. I grandi imprenditori di Confindustria gridano contro l'evasione fiscale per schiacciare le piccole imprese. Sono cose "notorie".
  I piccoli imponibili andrebbero esentati, perchè il costo amministrativo dell'imposta supera il gettito.

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EDIZIONI PRECEDENTI

Dalla BCE ancora sostegni all'economia, ma che non bastano

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Mario Draghi

1) Taglio del tasso d'interesse dallo 0,5% allo 0,25%, il 7 nov, confermato il 5 dic.

"Un diktat della nuova Banca d'Italia con sede a Francoforte",
secondo il Wirtschafts. Si vegga il Sole-24 ORE,  23 novembre .
2) E nuove procedure  per  l'erogazione  di liquidita' di emergenza"
per le istituzioni finanziarie", già decise dalla BCE, il 17 ottobre.

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LUCIANI: Sulla possibilità di fare convergere (o differenziare) l'uso della leva fiscale
per gli stessi obettivi della leva moneraria. Un tema posto a suo tempo da R. Mundell


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    NOTA. La decisione della BCE, del 17 ottobre (si vegga il testo integrale, sotto) è abbastanza eccezionale,   perchè consente alle Banche Centrali Nazionali di erogare liquidità di emergenza a istituzioni finanziarie in crisi temporanea di liquidità.. Poi, forse nel dubbio della sua sufficienza, è intervenuto  il 7 nov. 2013 l'abbassamento del tasso di interesse di riferimento allo 0,25% (dallo 0,5% deciso il 2 maggio 2013).    E' evidente, al tempo stesso, che quelle misure vanno bene per l'Italia, ma non per la Germania, come pure è evidente la solitudine di Draghi, forse più sorretto dalla sua personale riflessione, che dal consenso collegiale, dentro la BCE.     Parrebbe anche evidenre che,  senza l'apporto differenziato della UE nei vari Stati, gli interventi generalizzati della BCE servono solo ad impedire il peggio, ma non a uscire dalla crisi economica.    Discutiamo la possibilità di un raccordo tra leva monetaria generalizzata e leva fiscale specifica di singoli Stati, fermi i saldi di bilancio degli Stati: nel senso che solo un contatto tra le due potrebbe dare la scintilla che ri-genera la vita dell'economia.
TESTO  DIFFUSO DALLA  BCE il 17 ottobre 2013.
Clicca su: http://www.ecb.europa.eu/mopo/html/index.en.htm

PROCEDURE PER L’EROGAZIONE DI LIQUIDITÀ DI EMERGENZA

  Gli enti creditizi dell’area dell’euro possono ricevere finanziamento dalla banca centrale non soltanto nel quadro delle operazioni di politica monetaria, ma in via eccezionale anche a titolo di liquidità di emergenza (cosiddetta ELA- Emergency Liquidity Assistance).
  L’ELA consiste nell’erogazione da parte delle banche centrali nazionali (BCN) dell’Eurosistema di:
  a) moneta di banca centrale;
  b) qualsiasi altra tipologia di assistenza che possa comportare un incremento della moneta di banca centrale a favore di un’istituzione finanziaria solvibile o di un gruppo di istituzioni finanziarie solvibili che si trovino ad affrontare temporanei problemi di liquidità, senza che tale operazione rientri nel quadro della politica monetaria unica
  La responsabilità dell’erogazione di ELA compete alle rispettive BCN. Ciò significa che qualsiasi costo e rischio derivante dalla concessione di ELA è sopportato dalle rispettive BCN.
   Tuttavia, l’articolo 14.4 dello Statuto del Sistema europeo di banche centrali e della Banca centrale europea (di seguito “Statuto del SEBC”) attribuisce al Consiglio direttivo della BCE la competenza di limitare le operazioni di ELA qualora valuti che interferiscono con gli obiettivi e i compiti dell’Eurosistema. Le decisioni al riguardo sono adottate dal Consiglio direttivo a maggioranza dei due terzi dei votanti.
   Per essere in grado di effettuare una valutazione adeguata circa il sussistere di una simile interferenza, il Consiglio direttivo deve essere informato tempestivamente in merito a tali operazioni.
  Una procedura intesa a questo fine esiste sin dal 1999 e nel tempo è stata sottoposta a regolare riesame.
.............
.............
( Per i particolari si rinvia al testo integrale: vedi sopra. NdR).


  Sono di seguito enunciati gli aspetti fondamentali della procedura corrente. Di regola le BCN comunicano alla BCE i dettagli di qualsiasi operazione di ELA al più tardi entro due giornate lavorative dopo lo svolgimento dell’operazione.
  Le informazioni trasmesse devono includere quanto meno i seguenti elementi:
  1. la controparte che ha beneficiato/beneficerà dell’ELA
  2. la data di valuta e la data di scadenza dell’ELA che è stata/sarà erogata.
  4. la valuta nella quale l’ELA è stata/sarà denominata
  5. le garanzie reali/personali a fronte delle quali l’ELA è stata/sarà conferita, inclusa la valutazione delle attività stanziate in garanzia e l’applicazione di eventuali scarti e, se del caso, informazioni dettagliate sulle garanzie personali
  6. il tasso di interesse che la controparte è tenuta a corrispondere sull’ELA che è stata/sarà erogata
  7. la motivazione/le motivazioni alla base della concessione dell’ELA (ossia richieste di margini, deflussi di depositi ecc.).
  8. la valutazione dell’autorità di vigilanza prudenziale, nel breve e medio termine, circa la posizione di liquidità e la solvibilità dell’istituzione destinataria dell’ELA, inclusi i criteri in base ai quali si è pervenuti a una conclusione positiva in merito alla solvibilità
  9. ove pertinente, una valutazione circa la dimensione transfrontaliera e/o le potenziali implicazioni sistemiche della situazione che ha reso/rende necessaria l’erogazione dell’ELA.
    Il Consiglio direttivo può inoltre decidere di richiedere informazioni aggiuntive alla BCN competente, oppure di ampliare i requisiti di informazione/segnalazione e/o di renderli più stringenti, in casi specifici, qualora lo si ritenga necessario.
   Nel caso in cui il volume complessivo delle operazioni di ELA previste per una data istituzione finanziaria o un determinato gruppo di istituzioni finanziarie (su base consolidata e incluse le succursali estere) superi un livello di 500 milioni di euro, le rispettive BCN devono informare la BCE il più presto possibile, anteriormente all’erogazione dell’assistenza che si intende concedere.
   Se invece ci si attende che il volume complessivo delle operazioni di ELA superi un livello di 2 miliardi di euro, il Consiglio direttivo valuta la possibilità di un rischio di interferenza con gli obiettivi e i compiti dell’Eurosistema.
  Su richiesta delle rispettive BCN, il Consiglio direttivo può quindi decidere di fissare un importo e non sollevare obiezioni riguardo alle operazioni di ELA che esse intendono effettuare al di sotto di questo in un arco di tempo prestabilito di breve durata.
   Le BCN possono altresì richiedere al Consiglio direttivo di non sollevare obiezioni fino a un determinato importo per operazioni di ELA che intendono effettuare simultaneamente a favore di diverse banche. In tal caso le BCN forniranno le seguenti informazioni con almeno due giornate lavorative di anticipo rispetto alla riunione del Consiglio direttivo nel corso della quale la richiesta sarà considerata:
  - tutte le informazioni previamente disponibili sulle singole banche e sugli elementi di cui ai precedenti punti da 1 a 9;
  - una previsione, che copra in linea di principio il periodo fino alla successiva riunione ordinaria del Consiglio direttivo, riguardo al fabbisogno di finanziamento di ogni singola banca destinata a ricevere ELA sulla base di due scenari: lo scenario atteso e uno scenario di stress. Informazioni a posteriori su tutti gli aspetti menzionati ai precedenti punti da 1 a 9 devono essere fornite su base giornaliera, nella misura in cui queste non siano state previamente rese note.
  Le procedure in oggetto sono intese ad assicurare, nel modo adeguato, l'assolvimento del ruolo del Consiglio direttivo ai sensi dell'articolo 14.4 dello Statuto del SEBC in relazione all'erogazione di ELA a favore di singoli enti creditizi. Hanno carattere vincolante per tutte le BCN e la loro idoneità è soggetta a regolare riesame."

Nino Luciani, Sulla possibilità di far convergere la leva fiscale sugli stessi obiettivi della leva monetaria

1.- Ripartendo dalla diagnosi. Sotto il profilo economico, i dati sono che esiste (meglio esisteva) un sistema industriale abbastanza robusto in Italia, ma che è in via di distruzione, per mancanza di "domanda effettiva" (vale dire, esiste una domanda, ma che non può esprimersi per mancanza di potere di acquisto in moneta).
   La parola domanda (voglio essere chiaro) vuol dire richiesta di beni di consumo, da parte delle famiglie; e domanda di beni strumentali e di lavoro, da parte degli operatori economici.
   Per quanto riguarda le famiglie, è un dato che in questi anni (a causa delle grandi guerre in Iraq e in Afghantistan, e delle grandi speculazioni del settore bancario), si è determinato una consistente modificazione della distribuzione dei redditi tra le famiglie dei vari Paesi: quelle povere hanno una relativa alta propensione al consumo, ma non hanno potere d'acquisto; quelle ricche (una parte è in Italia, ma la gran parte è presso i Paesi Arabi) hanno relativa alta propensione al risparmio, e che si innalza oltre la norma in tempi di crisi (vale dire di accresciuta incertezza sul futuro.
   Per quanto riguarda gli operatori, essi si regolano in un   orizzonte breve, dunque al momento non sono disposti a investire.
  La BCE ce le mette tutta ad invogliare gli investimenti, abbassando il costo del danaro, ma se le aspettative sono negative, essa è come uno che parla da solo.
  Nel sistema economico c'è, però, un grande operatore (lo Stato), che ha un orizzonte di lungo periodo, e quindi è il solo che avrebbe vocazione a spendere e quindi a creare domanda effettiva.
  Per quanto riguarda l'Italia, il bilancio pubblico è già saturo, e quindi non ha elasticità di spesa.
   Rimangono tre vie:
  a) che l'U.E. nel complesso generasse un ammontare sufficiente di spesa pubblica per opere pubbliche (nel Mezzogiorno ci sarebbe bisogno, e anzi il Trattato di Roma del 1956 prevede in esplicito interventi di riequilibrio nelle aree depresse)
  b) che lo Stato generi modifiche nella distribuzione dei redditi: vale dire sgravi fiscalmente i redditi medio-bassi e recuperi la perdita di gettito, gravandi i redditi medio-alti. Il governo Letta ci prova, ma a gran fatica (anche perchè la maggioranza è fatta di forze politiche di destra, notoriamenre un elettorato con reddito medio-alto)
  c) La modifica della struttura del sistema fiscale, giacchè ci sono delle possibilità di usarlo a supporto della politica monetaria, ferma la spesa pubblica (che è il tabu del momento).

2- Come usare la leva fiscale, in tandem con la leva monetaria.
Il rapporto tra leva fiscale e leva monetaria fu esaminato dl canadese  R. Mundell (premio Nobel) negli anni '60 (rinvio ai mie Scritti Scelti, Rivista Bancaria, 1974, n. 3-4, dove faccio un lungo commento). Egli si chiese se esiste un "modo appropriato" per riservare la leva fiscale alla stabilità dei prezzi (all'interno di un Paese), e la leva monetaria al pareggio della bilancia dei pagamenti internazionali), e questo anche in adesione all'olande J. Tinbergen che aveva suggerito (per la politica economica) che per ogni obiettivo ci fosse un rispettivo strumento.
Nel mio studio io obiettai che la leva fiscale non solo effetti sull'economia interna, ma anche su quella internazionale. Riprendo solo ques'ultimo aspetto, e lo riporto al filo principale (domanda).
   Dentro la domanda, esiste una domanda interna e una domanda estera.
   Preso atto che sullo stimolo della domanda interna, abbiamo tutto contro (va dire la UE si oppone all'aumento della spesa pubblica dello Stato italiano), approndiamo i motivi per cui (dall'entrata in vigore dell'Euro, 2002) anche il commercio internazionale dell'Italia è bloccato.
   Qui il punto riguarda il livello dei prezzi, in Euro, che (a causa di un cambio calcolato male da Prodi e da Fazio) è divenuto troppo alto rispetto ai prezzi esteri.
   Preso di nuovo atto che non abbiamo un potere neppure sul cambio, l'unica via fiscale, con valenza monetaria, è agire sui prezzi interni.
   Come ? La via è classificare le imposte in base all'effetto sui prezzi. E qui troviamo che, di norma (pur non assolutamente)  le imposte indirette (IVA, ecc. ) fanno alzare i prezzi, e invece le imposte dirette non fanno alzare i prezzi.
  Conclusione. Se vogliamo sbloccare almeno la domanda estera dovremmo abbassare immediatamente l'IVA e recuperare il calo di gettito con le imposte sui redditi (medio-alti).
  
Questo è il contrario di quanto è stato fatto dai nostri governi, e con la benedizione dell'U.E. .
   A quanti, frettolosi, mi osservassero che la legge esclude, dall'IVA, le esportazioni, osservo che non ne sono escluse le importazioni, che sono il prius per esportare.
   C'è , poi, il fatto che l'IVA va a interessare tutti i prezzi interni, e in definitiva anche il costo del lavoro, per cui la restituzione dell'IVA (alla esportazione) è limitata solo a quella formale. NINO LUCIANI
  

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EDIZIONI PRECEDENTI

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Dalla AIGE - Associazione Italiana Gestione dell’Energia
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Documento del Congresso di Arcavacata, 2013


CONTRIBUTO PER UN PIANO ENERGETICO NAZIONALE

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Enrico Lorenzini

  Nota. Il documento, che viene presentato, rappresenta un riassunto di un ampio studio elaborato da molte decine di Accademici, studiosi e scienziati del settore energetico. Tale riassunto è stato redatto da apposita Commissione e approvato unanimemente dalla Assemblea di AIGE (Associazione Nazionale Gestione della Energia ) durante il VII Congresso Nazionale ad Arcavacata di Rende del giugno 2013.
   Il documento è, in sintesi la offerta ­ in momenti tanto difficili per la situazione economica italiana - di esperti, veri e liberi, per dare un contributo al mondo politico affinchè si superino le pressioni delle lobbies varie, e l'ITALIA POSSA PROCEDERE a scelte ragionate e lungimiranti per il raggiungimento di un reale bene comune. Prof. Ing. Enrico Lorenzini


IL DOCUMENTO DELL'AIGE

Ai convegni sull’energia i grandi assenti (o presenti solo al loro stesso saluto) sono i Politici, perché - dicono- sfortunatamente pressati in quel giorno da improrogabili "impegni istituzionali"…

E' esperienza comune che, tra Tecnici e Politici, ci sia un certo scollamento: quante volte gli studi preparatori, approntati dai Tecnici, a supporto di azioni legislative, escono irriconoscibili dai tavoli politici.

E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: testi di legge inefficaci perché risultato di malcelati compromessi, disposizioni attuative emesse con gravi ritardi o del tutto assenti, regolamenti lacunosi e confusi che si avvicendano a parziale correzione l'uno dell’altro, quando non addirittura procedimenti di infrazione, da parte della Unione Europea per inosservanza o elusione dei dettati comunitari.

In materia di energia poi le conseguenze sono particolarmente gravi. Si pensi, per esempio, all’incentivazione delle rinnovabili elettriche avvenuta senza il necessario adeguamento delle reti, all'assenza di incentivi a filiere di produzione nazionale di celle foto-voltaiche o pale coliche che lascia così libero il campo alle importazioni dall'estero, o la richiesta di innovazione tecnologica, predicata sì alle nostre industrie energetiche, ma senza si necessario sostegno alla formazione e alta ricerca scientifica.

Le stesse campagne di informazione/sensibilizzazione del vasto pubblico, per stimolarne atteggiamenti più responsabili nei confronti del risparmio energetico e del problema ambientale, rimangono mere dichiarazioni di intenti nei nostri testi di legge, costretti a rilanciare precetti di provenienza UE.

Molto si potrebbe commentare sul modesto documento SEN (Strategia Energetica Nazionale), che ripercorre e ratifica puntualmente le azioni in atto, piuttosto che tracciare la strada del futuro energetico nazionale con indicazione precisa e fondata del modo con cui affrontare i nodi irrisolti della politica energetica italiana: diversificazione delle fonti, dipendenza dall’estero, mobilità sostenibile, sovracosti dell’energia rispetto alle altri nazioni UE, incentivi per ricerca e sviluppo, etc...

Molto ancora si potrebbe dire sui privilegio assicurato legalmente a certe tecnologie, senza che vi sia mai stato un confronto serio o uno studio di tipo finalizzato, per non parlare dell'inutilità della certificazione energetica degli edifici nelle forme previste dall’attuale legislazione. Questa, tra l'altro viene vista ancora come un ulteriore fardello burocratico, piuttosto che come opportunità di valorizzare l'immobile attraverso la sua qualità energetica.

Altro problema da affrontare - segnalato tra gli altri dalla AGCM (Autorità Antistrust ) - è la sospetta ''discriminazione delle reti private per la trasmissione e distribuzione delle reti elettriche a favore del modello dominante di organizzazione del sistema elettrico, basato sulla produzione di elettricità dai grandi impianti e sulla trasmissione e distribuzione dì questa attraverso reti pubbliche".

E comunque resta iI tema della decarbonizzazione delia stessa produzione elettrica su vasta scala. C'è ancora controversia (in verità non solo in Italia} sulle migliori tecnologie da adottare. Ma è sicuro che, trattandosi di tecnologie costose e con investimenti di lungo termine, c'è da puntare sin da subito su quella giusta, se non vogliamo addirittura rimpiangere l'abbandono del nucleare.

Da ultimo, ma non per importanza, c'è poi l'eterno problema del costo dell'energia: un recente studio della Federmanager ( Federazione Dirigenti Aziende industriali ) e dell'AIEE ( Associazione italiana degli Economisti dell’Energia ) postula profonde trasformazioni per il settore energetico italiano, perché troppo oneroso per il sistema economico nazionale. L'incidenza della fattura energetica dal 2000 al 2012 è è infatti salita dal 2,4% al 4,5% del PIL, con ovvie gravi ripercussioni per la competitività del sistema-paese,

L'energia è un portante delta società industrializzata e un supporto imprescindibile del benessere. Ad essa lo Stato destina oggi ben 65 Miliardi di euro per importazione di combustibili ed elettricità: ogni punto percentuale di risparmio, per più oculata gestione e più mirate strategie energetiche dì breve e medio termine, libererebbe notevoli risorse, più che mal destinabili ad altri impieghi.

A questa sentita esigenza dì ri-orientamento della politica energetica nazionale può contribuire l'AIGE, Associazione italiana per la Gestione dell'Energia, che raccoglie competenze dj alto profilo tecnico, scientifico, giuridico, industriale e manageriale.

La sua missione è la promozione delle conoscenze nel campo energetico-gestionale, anche attraverso l’organizzazione di Congressi e seminari di settore e la produzione di documenti e studi di politica energetica.

L'Associazione è aperta ad ogni forma di collaborazione con gli Organi di governo nazionali e regionali, per una più efficace politica dell'energia, ma anche in vista - auspicabilmente - della redazione di un1 Piano Energetico Nazionale, che di fatto in Italia non esiste.

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EDIZIONI PRECEDENTI

Dalla ACCADEMIA dei LINCEI, 8 marzo 2013

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Di nuovo il Govermatore Visco sulla crisi finanziaria e, in particolare:


"Sulla necessità di separare la tradizionale attività creditizia da quella svolta in
campo finanziario, che ha recentemente tratto nuovo vigore a livello europeo".
Anche sue parole dure sulla caduta della "integrità morale delle banche".

 


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COMMENTO. Forse sarebbe stato opportuno non limitarsi a lezioni erudite, ma invocare a chiare lettere anche riforme per parte bancaria:
1) Invocare il ripristino (anche in Italia, come sta avvenendo in Inghiltterra) della legge bancaria del 1936;
2) Dire alla BCE che sarebbe normale fare anticipazioni di cassa allo Stato Italiano per pagare i fornitori dello Stato, considerato che lo Stato Italiano
    ha solo problemi di cassa, se è vero che il Governo MONTI ha pareggiato il bilancio in conto competenza, grazie alla tassazione fuori limite.
3) Dire alla UE che, se non cambia testa (in ordine ai tempi di restituire liquidità al sistema), l'Italia potrebbe essere costretta a uscire dall' EURO, a parte che chiedere a Cipro di tassare i depositi bancari è stato non professionale, perchè questo genera panico nel pubblico e fa fallire le banche.

Stralcio dal
TESTO ORIGINALE DELL'INTERVENTO
(per il testo completo: clicca su Lincei )

ECONOMIA E FINANZA DOPO LA CRISI

  Proponiamo qui lo stralcio di un nuovo intervento del Governatore, sulle cause e i rimedi alla crisi finanziaria, dello 8 marzo 2013.

1.- Introduzione.  La crisi finanziaria ...  ha fatto emergere una serie di problemi nel funzionamento, nella regolamentazione e nella supervisione dei mercati finanziari. La stabilità finanziaria si è riproposta come obiettivo fondamentale della politica economica; le banche centrali sono chiamate a svolgere un ruolo cruciale. Le conseguenze per la regolamentazione e la conduzione dell’attività di vigilanza su un sistema finanziario, che sarà probabilmente molto diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni, sono considerevoli. È inoltre cresciuto lo scetticismo nei confronti del ruolo della finanza nel sistema economico, in particolare in relazione alla sua “distanza” dall’economia reale, quasi fosse in conflitto con essa.

   Nei dieci anni che hanno preceduto la crisi le dimensioni del sistema finanziario, il suo ruolo e il suo grado di penetrazione nell’economia sono notevolmente cresciuti.
   La crisi ha solo rallentato questo processo. Nell’area dell’euro le risorse finanziarie raccolte dal settore privato (misurate dalla somma del credito bancario, dei titoli emessi sul mercato interno e dalla capitalizzazione di mercato) sono salite dal 160 per cento del PIL nel 1996 al 240 nel 2007, attestandosi al 230 per cento nel 2011.
   Negli Stati Uniti il rapporto è salito dal 230 per cento del 1996 al 330 del 2007, per poi ridursi al 260 per cento nel 2011.
   Nel Regno Unito è passato dal 240 al 330 per cento nel 2007, fermandosi al 320 per cento nel 2011. Il valore nozionale totale degli strumenti derivati negoziati a livello mondiale in forma standardizzata (exchange-traded) in mercati regolamentati e di quelli strutturati per particolari esigenze e negoziati al di fuori dei mercati regolamentati (over the counter, OTC) è salito da circa 94.000 miliardi di dollari alla fine del 1998 a 486.000 alla fine del 2006, per raggiungere i 700.000 miliardi nel giugno del 2012.

    ...
   Lo sviluppo della finanza, consentendo una maggiore diversificazione del rischio e rendendo i servizi finanziari accessibili a un maggior numero di paesi e di imprese, può essere un importante strumento di sviluppo economico.
   Ma c’è il rischio che la finanza diventi fine a se stessa, provocando danni tanto maggiori quanto più stretta è l’interconnessione del sistema e quanto più rilevanti sono le potenziali esternalità negative.

    La corretta conduzione dell’attività creditizia e finanziaria certamente richiede competenza e buona fede da parte degli intermediari, ma richiede altresì adeguati regimi di regolamentazione e di supervisione.

2.-  La (buona) finanza è una forza positiva. La finanza è stata a lungo considerata come un’attività moralmente dubbia.
....
    Sullo sfondo di questa sfiducia “strutturale”, l’atteggiamento del pubblico riguardo alla finanza oscilla a seconda delle condizioni dei sistemi finanziari e dei mutamenti nell’umore politico riguardo all’intervento dello Stato nell’economia.
    Fino agli anni Settanta si dava per scontato che i fallimenti del mercato richiedessero la presenza e l’azione di un regolatore che permettesse di evitare risultati sub-ottimali.
    Con la grande inflazione e il forte aumento della disoccupazione degli anni Settanta l’enfasi si spostò, tuttavia, sui fallimenti dello Stato. I governi, le banche centrali e gli altri regolatori vennero accusati di non essere riusciti a evitare tali sviluppi. Ciò finì per provocare un mutamento ideologico, un impulso a ridurre l’entità dell’intervento dello Stato nell’economia.
     I fallimenti dell’“economia regolamentata”, il ritmo del progresso tecnologico e la rapida espansione del commercio internazionale dopo la fine della guerra fredda alimentarono un lungo processo di deregolamentazione finanziaria, interrotto soltanto dalla crisi scoppiata nel 2007.
    Questa ha a sua volta innescato una tendenza alla ri-regolamentazione, o a una migliore regolamentazione, tuttora in atto. Il pendolo ancora oscilla, e certo continuerà a farlo in futuro.
    La crisi finanziaria internazionale, e i costi enormi che ha comportato per l’intera società, hanno eroso ulteriormente e profondamente la fiducia nelle istituzioni finanziarie.
.....
     L’integrità della condotta degli intermediari finanziari è stata messa in discussione sotto vari aspetti: l’onestà, la capacità di gestire i rischi finanziari e l’impegno a curare gli interessi della propria clientela.
    A catturare l’attenzione del pubblico sono stati anzitutto i casi di frode in cui, mediante schemi cosiddetti “di Ponzi” o altri simili, molte persone hanno perso i propri risparmi. Gli animi sono stati esacerbati dalla generosità delle liquidazioni corrisposte ai dirigenti di istituzioni finanziarie in difficoltà salvate con il denaro dei contribuenti. Gli episodi di dubbia correttezza non hanno risparmiato alcuni elementi chiave del sistema finanziario, come i rating creditizi e i tassi di riferimento interbancari, senza contare i casi di presunto coinvolgimento di istituzioni finanziarie in attività collegate al riciclaggio di denaro sporco o in altri illeciti comportamenti. Ciò che più conta, la crisi ha mostrato che gli operatori di mercato non erano in grado di gestire l’intrinseca complessità del sistema che loro stessi avevano contribuito a elaborare negli ultimi due decenni.
    Favorita dai progressi nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la cartolarizzazione delle attività delle banche è notevolmente cresciuta, e con essa l’offerta di strumenti finanziari cosiddetti “strutturati” (ABS, CDO, ecc.).
   Dal tradizionale modello di intermediazione creditizia si è quindi passati – in particolare negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi – a un sistema in cui i prestiti concessi venivano rapidamente trasformati in altri prodotti finanziari garantiti da quegli stessi prestiti, e quindi ceduti sul mercato: il cosiddetto modello originate-to-distribute (OTD). Con questi sviluppi, all’intrinseca difficoltà di valutare la qualità dei prestiti si è aggiunta quella di comprendere appieno l’effettivo ruolo dei prodotti finanziari strutturati.
   I prodotti della finanza strutturata e il modello di intermediazione OTD possono facilitare la gestione dei rischi. L’offerta di mutui alle famiglie è favorita dalla possibilità per le banche di coprirsi contro i rischi di tasso associati all’erogazione di tali prestiti; nelle loro strategie di internazionalizzazione le imprese ricevono un evidente beneficio dalla possibilità di assicurarsi contro i rischi di cambio; l’offerta di prodotti previdenziali su orizzonti molto lunghi può essere effettuata a costi tanto più contenuti quanto più si riesce a limitare l’impatto di oscillazioni dei valori mobiliari.
   Nel modello OTD il rischio di credito non è concentrato nei bilanci delle banche, ma è ridistribuito su una moltitudine di investitori.

Rendendo negoziabili i prestiti bancari, tale modello comprime i relativi premi per l’illiquidità e ne riduce pertanto il costo.
    È ormai chiaro, tuttavia, che la finanza strutturata e il modello di intermediazione OTD, unitamente alla mancanza di trasparenza, hanno favorito una eccessiva assunzione di rischio e comportamenti di tipo opportunistico. Le operazioni sono spesso avvenute mediante una rete di intermediari finanziari scarsamente regolamentati e caratterizzati da livelli di indebitamento e un’esposizione al rischio particolarmente elevati.
    L’assenza di trasparenza è stata particolarmente grave nella valutazione degli strumenti di finanza strutturata (nella quale un ruolo cruciale era occupato dalle agenzie di rating, senza particolari controlli da parte di regolatori pubblici o organi di informazione), effettuata mediante modelli statistici e spesso condotta sulla base di dati incompleti e insufficienti. In molti casi la complessità ha aperto la strada a comportamenti opportunistici, alimentati da un sistema di incentivi distorto, soprattutto con riferimento agli schemi di remunerazione dei manager.
    L’elevata leva finanziaria e la complessità tipiche di questi strumenti li ha resi utilizzabili per assumere posizioni speculative ad alto rischio. Il ricorso ad attività inutilmente complesse e opache ha impedito in molti casi la corretta valutazione del merito di credito; è servito, in altre occasioni, per mascherare l’impatto negativo di operazioni pregresse.
    L’utilizzo improprio di tali strumenti da parte delle banche può anche essere collegato al venir meno delle fonti di reddito legate alla tradizionale attività creditizia, con la conseguente assunzione di comportamenti volti a nascondere al mercato e alle autorità di vigilanza il reale obiettivo delle operazioni in strumenti derivati.     .... 

Nino Luciani, Per una nuova legge per la difesa del risparmio e degli investimenti, che ripristini la funzione bancaria come orientata alla  "utilità pubblica", o (al più) come impresa orientata ad un "profitto normale".

1.- Premessa. In questo intervento, il Governatore ripete sue posizioni, già note, sulla importanza di riportare la finanza sulla retta via, e specificamente su un nuovo modo di impostare la regolamentazione, vale dire farlo in un quadro europeo e, anzi, meglio se più ampio, e inoltre:
-  essere esigente sui vincoli alle banche sulla adeguatezza e composizione dei loro patrimoni, a tutela dei depositanti;
-  e limitare e controllare sistematicamente la loro discrezionalità nel classificare gli impieghi dei depositi, circa la loro natura di offerta a breve termine o di medio o lungo termine.
   Spiccano anche, nella sua analisi, considerazioni sulla natura morale delle banche, la cui immoralità massima egli vede nella creazione dei prodotti derivati, perchè usati per nascondere "perdite" di bilancio.


2.- Sugli aspetti "immorali" dell'azione bancaria. Per una moralizzazione delle banche, direi che occorre, per parte italiana, mettere mano al meccanismo bancario che la permette (non basta, ricordare, eruditamente la regola di Volcker” (2008). Noi, in Italia, eravamo su questa strada, fin dal 1936, cosa che pare non constare al giovane Governatore.
  2.1- La legge bancaria del 1993 (
D. Leg.vo 385/1993, e che soppresse la legge del 1936, su proposta dalla Banca d'Italia), ha istituito in Italia la "banca universale".
  Analoga legge (il Glass-Steagall Act del 1933) aveva retto negli Stati Uniti fino al 1999, quando fu sostituita dal  Gramm-Leach-Bliley Act. Esso aveva gli stessi caratteri di base della legge italiana. La Germania aveva, già, la banca universale.

  La riforma stabilì che "l'attività bancaria" ha "carattere di impresa" ed "è riservata alle banche" (art.10), e inoltre che la banca universale:
  a) può fare operazioni sulla moneta, senza alcuna distinzione tra mercato a breve termine e mercato a medio-lungo termine;
  b) può emettere obbligazioni; e può partecipare al capitale delle imprese, e viceversa, sia pur entro determinati limiti (fino al 5% di norma, fino al 15% o più servono speciali autorizzazioni della banca centrale).
  Osservazione. Il fatto che la legge del 1993 configuri l'attività bancaria "con carattere di impresa" ( e dunque finalizzata al profitto, ipotizzando che la concorrenza tra banche sia il meccanismo a cui affidare la limitazione degli extra-profitti) è stata una scelta irresponsabile, che ha permesso alle banche di investire a rischio i depositi dei clienti. Lo vediamo nelle conclamate sofferenze bancarie, denunciate dal Governatore, e che attualmente ha messo fuori usato la tradizionale funzione bancaria (deposito e giro), e strozzato le imprese produttive.
    Invece l'art. 1 della legge bancaria del 1936, disponeva: "
La raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico regolate dalle norme del presente decreto". Torniamo al Decreto del 1993.
  
   Approfondiamo la irresponsabilità della scelta.
   Dal lato offerta
, per definizione il mercato di concorrenza si fonda:
  - sulla libertà di entrata e uscita di imprese nel mercato;
  - sulla omogeneità del prodotto;
  - su un numero relativamente grande di imprese, così che nessuna abbia un potere di dominanza sul mercato.
   Nel campo bancario, non esiste nessuna di queste condizioni. Il "prodotto monetario" non, infatti, è l'unità di moneta, ma la "operazione in moneta", ed ogni operazione ha un diverso grado "fondatezza" in termini di rischio, probabilità, grado di certezza.
   Esiste un cartello bancario, che si regge sull'ABI - Associazione Bancaria Italiana.
  
Dal lato domanda, poi, la "domanda di moneta" è rigidissima, perchè essenziale per le operazioni economiche. E' come il sangue per una persona.
   Di conseguenza, non è verosimile che possa esistere un mercato concorrenziale.

  2.2. Dentro i depositi a breve, poi, c'erano ulteriori limiti al "giro" mediante la imposizione di una "riserva obbligatoria bancaria"
(da conservare presso la banca centrale, a un tasso di interesse). Questo istituto, già presene del 1926, fu potenziato (1947) da Einaudi (governatore della Banca d'It

 

 EDIZIONI PRECEDENTI

 Audizione della Banca d'Italia in Parlamento, per la IMU

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Enrico Letta

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RIFORMA del SISTEMA DI ESAZIONE FISCALE
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Secondo la B.d'I., in audizione il 13 giugno 2013, un prossimo passo per l'equità fiscale dovrebbe essere
la revisione del sistema catastale motivando che, sottostimando le rendite, "favorisce i contribuenti ricchi".

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Tuttavia, è un curiosità che la B.d'I., pur rilevando che la revisione del catasto arriverà tra 5 anni, non chieda la sospensione dell'IMU.
C'è, poi, che l'IMU è sempre maggiore del reddito delle seconde case, e dunque è anche incostituzionale.

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Intanto (Decreto del fare, 15.6. 2013) il governo aveva soppresso il compenso di Equitalia sotto forma di "aggio" (percentuale), sostituito con cifre fisse, sia pure scaglionate in base ai costi, dopo che la Commissione Finanze del Senato aveva rilevato uno straordinario attivismo di EQUITALIA
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Nino Luciani, L'IMU o, in generale, una imposta ordinaria sul patrimonio, possono stare, purchè non incostituzionali e tecnicamente corrette. Invece, per le seconde case, l'imposta è maggiore della rendita.

Premessa.
L'IMU è, di norma. maggiore del reddito dell'immobile, in tutti i casi in cui non ci sono detrazioni di imposta (vedi prima casa).
  Nella precedente edizione (si vegga il servizio, subito seguente) ho mostrato l'erroneità tecnica del metodo di calcolo del valore dell'immobile: nel senso che la presunta rendita catastale (che la B.d'I. ritiene sotto i valori di mercato) è ampiamente recuperata dal fisco maggiorando artificialmente i moltiplicatori: meglio dire, rilevando tassi di interesse (da usare la attualizzazione della rendita) manifestamente scorretti, perchè inesistenti.

Ma dopo questa audizione sono portato a riprendere l'argomento e a mostrare evidenti errori della Banca d'Italia, durante l'audizione: vale la presunta certezza che l'IMU attuale favorisca i contribuenti ricchi, ma anche l'incoerenza di non raccomandare al legislatore di sospenderla, tanto quanto necessario (5 anni) per correggere il sistema catastale..

Da un semplice calcolo, risulta che (tolti i casi in cui siano ammesse detrazioni, come per la prima casa) l'imposta è sempre maggiore dell'imponibile: e sotto questo aspetto essa è anche incostituzionale. Ma andiamo per gradi.

Secondo l'art. 53 della Costituzione la tassazione deve avvenire in base a capacità contributiva, di norma espressa dal reddito (in Italia, il "reddito prodotto").

Nel caso del catasto, si è preso il reddito di lungo periodo (meglio dire: la media di tre redditi annuali, consecutivi). Questo comporta che, all'atto pratico, in un determinato anno, il reddito effettivo possa essere maggiore del reddito ipotizzato dal catasto. Per un rimedio, è nella tradizione della scienza delle finanze raccomandare al legislatore di tenere basse le aliquote, in modo che non accada mai che l'imposta possa essere maggiore del reddito. In ogni, non fare mai discriminazioni in sede reale, e questo accade a maggior ragione se vi sono più enti tassatori (questo è rilevato, dalla B.d'I., giustamente).

Ma con il governo MONTI (che non è un professore di scienza delle finanze, ma era comunque assistito dal Minstero delle Finanze) la regola è stata infranta all'ennesima potenza, ed è diventato normale cle l'imposta IMU superi l'imponibile.

Vediamo subito. Si abbia una rendita di € 5.000 all'anno, di un comune fabbricato di categoria A.
Per passare al calcolo dell'imposta si dovrà fare:

C = 5.000 * 1,05 * 160 = 840.000 (valore del fabbricato)

T = 840.000 * 0,76% = € 6.384 (imposta).
In altri termini, con formula generale, si ha:

T = R * 1.05 * 160 * 0,76% = R* 1,2768.

Come si vede l'imposta è sempre il 27,68%, maggiore della rendita.
In altri termini il contribuente viene richiesto di pagare l'imposta con un reddito che (in termini fiscali) il fabbricato non produce.

Personalmente conosco anche una situazione in cui il fisco  attribuisce una rendita di € 813,42, che sono impossibili da percepire, perchè il fabbricato è in una posizione molto disturbata dai rumori del traffico, ed è quasi sempre sfitto, per cui l'IMU (di € 1038,57) è sopra le righe, non poco). NL

GIOVEDÌ 13 GIUGNO 2013 16ª Seduta (pomeridiana)
Presidenza del Presidente Mauro Maria MARINO.

Legislatura 17ª - 6ª Commissione permanente - Resoconto sommario n. 16 del 13/06/2013 PROCEDURE INFORMATIVE,
SISTEMA CATASTALE

Intervenuti per la Banca d'Italia: Dr. Alessandro Buoncompagni, Dr. Sandro Momigliano, Dr.ssa Paola Ansuini.

Il dr. MOMIGLIANO sottolinea che la scelta effettuata dal legislatore italiano di affidare ai comuni una forma di imposizione sulla ricchezza immobiliare e quella di includere nella base imponibile anche le abitazioni principali trovano un particolare sostegno nella letteratura sul federalismo fiscale. L'attribuzione al Governo locale della tassazione della proprietà immobiliare limita il grado di progressività realizzabile con tale imposizione, ma per quanto riguarda la natura del tributo, il legislatore sembra aver privilegiato il punto di vista che considera gli immobili come una delle diverse forme in cui le famiglie possono detenere la propria ricchezza.
  Passando ad illustrare le osservazioni in materia di IMU, l'oratore fa presente che nel 2012, il gettito complessivo dell'IMU è stato pari a 23,7 miliardi, di cui 15,6 di competenza dei comuni e 8,1 affluiti al bilancio dello Stato. Nel 2011 il gettito dell'ICI, per intero di competenza dei comuni, era stato pari a 9,8 miliardi.
  L'introduzione dell'IMU, come è noto, ha comportato il venir meno dell'imposizione in ambito IRPEF (comprese le relative addizionali regionali e comunali) dei redditi fondiari per gli immobili non locati, il cui gettito era stimato, nelle valutazioni ufficiali in 1,6 miliardi.
   Secondo le valutazioni del Ministero dell'Economia e delle finanze il gettito dell'IMU sull'abitazione principale, di competenza per intero dei Comuni, è stato pari a 4 miliardi, a fronte dei 3,3 del corrispondente regime ICI nel 2007. Una valutazione approssimativa sembrerebbe segnalare che l'incremento di gettito rispetto al 2007 sarebbe connesso con la crescita del numero degli immobili sottoposti al prelievo.
   Il dr. MOMIGLIANO osserva inoltre che nel confronto con l'ICI prelevata sull'abitazione principale nel 2007, l'IMU presenta alcuni aspetti di maggiore progressività. Il prelievo IMU sull'abitazione principale è stato nullo fino a un valore della rendita catastale pari a circa 260 euro (nel caso fino a una rendita di circa 220 euro); ed è stato inferiore a quello ICI fino alla rendita catastale di 330 euro.
   L'IMU sui cespiti diversi dall'abitazione principale ha fornito un gettito per i comuni pari a 11,6 miliardi; l'aliquota ordinaria media è stata pari a circa il 9,5 per mille (tre millesimi in più rispetto alla corrispondente aliquota nel 2011 e quasi due millesimi oltre la misura base).
   L'oratore passa poi a un confronto internazionale, osservando che l'analisi del gettito delle imposte sugli immobili mostra come l'introduzione dell'IMU nel 2012 abbia portato il prelievo italiano complessivo sulla proprietà e sugli occupanti su un livello in linea con quelli registrati nei principali paesi dell'Unione europea.
   Nei paesi della UE la tassazione degli immobili riveste un ruolo di rilievo per i governi locali, in particolare attraverso imposte ricorrenti; queste ultime sono pre-senti in 26 dei 27 Stati membri e sono prelevate anche sull'abitazione principale. La reintroduzione dell'imposta su tale cespite ha quindi allineato il sistema fiscale italiano a quello degli altri Paesi europei.
   Passando ad esaminare alcuni aspetti critici dell'attuale sistema di tassazione immobiliare, l'oratore si sofferma sulle prospettive di revisione del catasto, osservando che le differenze nel divario fra la base imponibile basata sulle rendite catastali e gli effettivi valori di mercato degli immobili possono generare fenomeni di iniquità sia orizzontale sia verticale.
   Va inoltre sottolineato che lo scostamento fra valori di mercato e valori catastali tende a favorire i contribuenti più ricchi.
   L'oratore dà quindi analitico conto di tali osservazioni, e specifica che da esse discende che una spedita revisione del catasto, che riguardi non solo le tariffe d'estimo ma anche i principi di classamento, avrebbe quindi effetti positivi anche sul piano distributivo.
   Poiché tuttavia il completamento delle diverse fasi del processo di revisione potrebbe richiedere tempi abbastanza lunghi, recentemente stimati nell'ordine di un quinquennio, in attesa che le nuove rendite si rendano disponibili, suggerisce di individuare meccanismi che attenuino le disparità di trattamento ingiustificate.
   L'oratore si sofferma quindi analiticamente sul sistema delle detrazioni, sottolineando la circostanza che l'IMU continua a differenziare nettamente l'abitazione principale dalle altre abitazioni, esentando del tutto, per il tramite della detrazione, le abitazioni fino a un valore di circa 110-170 mila euro e prevedendo sul valore eccedente un'aliquota pressoché dimezzata rispetto a quella ordinaria.
  Va considerato che alcune famiglie, pur essendo proprietarie di una o più abitazioni hanno un reddito molto basso. Si può pensare, per tener conto di tale fattore, di differenziare le franchigie in relazione a indicatori di capacità contributiva della famiglia; ovvero, in alternativa, a tale differenziazione, si potrebbe consentire ai contribuenti che si trovano in situazioni documentabili di bisogno di posporre il pagamento dell'imposta, indebitandosi con il Comune per la parte del tributo che supera una determinata percentuale del loro reddito, eventualmente dando a garanzia l'immobile.
  Per quanto riguarda invece la tassazione immobiliare del mercato delle locazioni, dopo aver svolto una serie di osservazioni di carattere generale, si sofferma sulla misura di incentivazione all'affitto della "cedolare secca" sui redditi da locazione. L'applicazione di tale imposta sostitutiva, ha ridotto il cuneo fiscale sugli affitti, in tal modo attenuando la convenienza del ricorso al mercato irregolare e ha allineato la fiscalità del reddito immobiliare a quella dei rendimenti delle attività finanziarie, garantendo una maggiore neutralità dell'imposizione.
   L'oratore fa presente, tuttavia, che l'opzione per la "cedolare secca" è stata meno diffusa di quanto atteso: il gettito del 2011 e quello di preconsuntivo del 2012 ammontano a circa un quarto di quanto previsto inizialmente. A suo parere, in prospettiva, l'intensificarsi del contrasto ai fenomeni di evasione potrebbe rafforzare la convenienza della "cedolare secca".
   Si sofferma poi analiticamente sulle questioni relative alla tassazione dei trasferimenti di abitazione dei fabbricati strumentali nonché sulla questione dell'IMU sugli immobili delle imprese, dando conto dell'aggravio imposto a tale comparto, suggerendone, in caso di risorse disponibili, un'attenuazione.
   Conclude la propria esposizione osservando, in termini di ripartizione dei poteri di prelievo, che il sovrapporsi di più livelli di governo sulla stessa base imponibile rappresenta un aspetto problematico per l'efficienza del sistema tributario italiano e che le interferenze fra la politica tributaria nazionale e la fiscalità locale rendono il prelievo opaco per il contribuente.
   Con riferimento all'IMU, la significativa commistione di responsabilità nell'assetto in vigore per il 2012 è stata in parte attenuata con la legge di stabilità 2013. Osserva quindi che la riforma della tassazione immobiliare può essere l'occasione per una ulteriore razionalizzazione dei poteri di prelievo, condotta nello spirito della separazione delle fonti.

 

                     EDIZIONI PRECEDENTI

                     Governo italiano e IMU

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Enrico Letta

IMU - Imposta Municipale sugli Immobili:
debolezze tecniche inammissibili

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Il Comunicato del Consiglio dei Ministri

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Luciani:
Si può fare, in alternativa, una imposta patrimoniale ordinaria, ma solo se il Ministero delle Finanze cambia pelle.
In particolare: sulla posizione degli immobili aziendali.

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Silvio Berlusconi


    COMUNICATO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO
(Roma, 17 maggio):  http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=71102)

Imu

" Il governo procederà a una riforma complessiva della disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare che innoverà anche la tassazione sul reddito d’impresa, prevedendo forme di deducibilità dell’Imu su capannoni o fabbricati industriali. Nella nuova disciplina sarà ricompreso anche il tributo comunale sui rifiuti e sui servizi.

Il governo ha stabilito la sospensione del pagamento della prima rata Imu sulla prima casa, sulle unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dei soci assegnatari, nonché alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (Iacp) o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli Iacp, i terreni e i fabbricati rurali.
Sono escluse dalla sospensione del versamento le abitazioni di tipo signorile, le ville, i castelli o i palazzi di pregio storico o artistico. "
.

Nino Luciani, Per una imposta ordinaria sul patrimonio con speciali modulazioni sociali, e con una speciale ottica per le imprese.
In ogni caso, una netta correzione tecnica dell'IMU, atta ad evitare abissi tra capacità contributiva effettiva e realtà.

1. Premessa. Non voglio fare la storia dell'IMU, ma denunciare le gravi responsabilità ministeriali in questa imposta, che hanno finito per renderla odiosa, più di quanto possa meritare (di suo) ogni imposta aggiuntiva del nostro sistema tributario.
  Nella scienza delle finanze l'imposta patrimoniale immobiliare si giustifica per il pagamento delle opere comunali di urbanizzazione per la costruzione degli edifici abitativi e produttivi. Per questo, il gettito di questa imposta è stato ritenuto doversi attribuire ai Comuni, in ragione del fatto che il valore delle aree è collegata alla loro attività.
   In un secondo tempo (e da anni) gli oneri di urbanizzazione sono stati messi a carico dei costruttori, e quindi è venuta meno la ratio di una imposta specifica.
   Nel caso dell'IMU, come allargata dal Governo Monti (e approvata dai tre partiti sostenitori PD+PDL+UDC), è una imposta generale, e quindi la sua ratio va sottoposta alla ratio delle imposte generali, cosa che non è per l'IMU.
   Ma prima di evidenziare i difetti tecnici dell'IMU, va chiarito un aspetto di metodo, che viene prima del problema della sua modifica tecnica: trattasi del fatto che attualmente l'IMU va a coprire un buco di bilancio e, dunque, chi propone di abolirla acquisendo popolarità, deve assumersi la responsabilità di proporre con quale altra imposta sostituirla o quale servizio pubblico abolire facendo cadere il buco di bilancio (con riduzione di spesa pubblica).

Questa indicazione non c'è stata, e questo giustifica, più sopra nel titolo, la foto furbesca del "santo" proponente.

2.- Il retto criterio della tassazione. Il retto criterio di qualunque imposta è che essa, sia diretta sul reddito, sia essa su altro oggetto, possa essere pagata con il reddito tassato o con il reddito dell'oggetto tassato (vedi IRAP, vedi imposta sul patrimonio). Infatti in base a Costituzione (art. 53) l'imposta va commisurata a capacità contributiva, e il reddito è la migliore espressione della capacità contributiva.
  Ma questo non sempre avviene con l'IMU: vedi case sfitte, vedi ruderi, per cui viene richiesto di pagare con un reddito che non c'è.
   In questi casi l'imposta è odiosa e incostituzionale, e i casi più inaccettabili sono che il contribuente si trovi a dover "svendere" l'immobile, per pagare l'imposta.

  Sulla opportunità di abolire l'imposta, gli aspetti da considerare sono molteplici, e ne ricorderò alcuni.
  a) L'imponibile è calcolato dal fisco  in modo errato.
La base imponibile di ogni immobile si ottiene moltiplicando la rendita catastale o reddito dominicale, rivalutato del 5% se fabbricato e del 25% se terreno, con il moltiplicatore dato dalla categoria catastale. I moltiplicatori sono:
160 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale A e nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, con esclusione della categoria catastale A/10;
140 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale B e nelle categorie catastali C/3, C/4 e C/5;
80 per i fabbricati classificati nella categoria catastale A/10 e D/5;
60 per i fabbricati classificati nel gruppo catastale D (con esclusione della categoria D/5), tale moltiplicatore sarà elevato a 65 a decorrere dal 1º gennaio 2013;
55 per i fabbricati classificati nella categoria catastale C/1;
135 per i terreni agricoli (per i coltivatori diretti iscritti alla previdenza agricola il moltiplicatore è ridotto a 110)

    Nota. Presumendo che la rendita sia calcolata al netto dell'ammortamento, e dunque che essa sia una rendita perpetua (il fisco vi si avvicina, come metodo, perchè prende la media dei redditi di tre anni consecutivi), la formula per il calcolo del valore patrimoniale è:
                      moltiplicatore imu.bmp (38994 byte)
vale dire: il valore " C" di un capitale è dato dalla rendita "R" moltiplicata per un "moltiplicatore", pari all'inverso del tasso di interesse "i" (ossia del tasso di rendimento di un determinato capitale sul mercato), in pratica pari a 100 diviso per il tasso di interesse (terza espressione matematica).
   Si vede che C è direttamente proporzionale a "R"; e inversamente proporzionale a "i": vale dire C aumenta, aumentando "R" ; e diminuisce aumentando "i".
   Le due grandezze, R ed i , sono entrambe determinate dal fisco, mentre questo dovrebbe accertare solo la rendita, dato il tasso di interesse rilevato sul mercato. C'è l'aggravante che il fisco comunica ufficialmente il moltiplicatore, ma  non il tasso di interesse usato per calcolarlo, e questo è indegno di uno Stato che merita rispetto e fiducia
   A riguardo della rendita, c'è un generale consenso secondo cui essa "sarebbe" sottostimata dal fisco, in quanto (determinata a suo tempo secondo rilevazioni del valore del mq di superficie) essa non è stata più aggiornata in base al correre della svalutazione monetaria (a parte quel 5% arbitrario, o altro,... di anno in anno ...). Di conseguenza, ci sarebbe una sottovalutazione per C.
   Osservo che il grande pubblico trascura totalmente che il fisco sottostima tantissimo il tasso di interesse, per cui ribalta il risultato, dovuto alla sottostima di R.  Infatti, usando la formula, troviamo:  
- se il moltiplicatore è 160, il fisco ha usato implicitamente il tasso di interesse 0,63%.
- se il moltiplicatore è 140, il fisco ha usato implicitamente il tasso di interesse 0,71%.
- se il moltiplicatore è 80, il fisco ha usato implicitamente il tasso di interesse 1,25%.
- se il moltiplicatore è 60, il fisco ha usato implicitamente il tasso di interesse 1,67%.
- se il moltiplicatore è 55, il fisco usato implicitamente il tasso di interesse 1,82%.
- se il moltiplicatore è 135, il fisco ha usato implicitamente il tasso di interesse 0,74%.
   Chiunque può constatare che questi tassi sono inesistenti nel mercato. Ad es., per le normali abitazioni (che sono in categoria catastale A), il tasso di tasso di rendimento è molto maggiore (il tasso di interesse di lungo periodo è nell'intorno del 4%-5%, e non è casuale l'indicazione del 5% dell'art. 1284 del cc.). Dunque è evidente l'abuso del fisco nel sovrastimare il valore, in contrasto con il codice civile (infatti, esso usa il tasso di interesse dello 0,63%). In più, può giocare sull'aliquota.
   Vediamo un caso pratico che conosco: un appartamentino affittato a Bologna: rendita catastale € 279, al tasso di interesse dello 0,63% (ossia al moltiplicatore 160) è calcolato di valore € 46.872, dal fisco.
   Rifacciamo i conti, partendo dal vero. L'appartamento ha, in realtà, una rendita di € 3.925 (al netto di spese condominiali e nettezza urbana, e di ammortamento ), e al tasso di interesse del 4% vale € 98.125; al tasso del 5% vale € 78.500.
   Ma il fisco non si spaventa di questo: prima fissa il gettito, e poi (per fare tornare il suo conto) applica una aliquota doppia di quella spettante (questo sana il fatto che la rendita catastale sia bassa), e se questo non basta, abbassa il tasso di interesse (vale dire aumenta il moltiplicatore arbitrariamente).

3.- Abolire l'IMU e sostituirla con una imposta patrimoniale ordinaria, con opportune modulazioni su abitazioni e fabbricati produttivi ?

    a) In generale. Un teorema di Rodolfo Benini, statistico ed economista italiano, dice: "A reddito doppio, patrimonio triplo", vale dire al crescere del reddito, il patrimonio aumenta più che in proporzione.
   Il patrimonio immobiliare è ben visibile e non evade facilmente. In questo senso, una imposta ordinaria sul patrimonio con aliquota proporzionale è progressiva rispetto al reddito (dunque è anche socialmente equa) e non è facile da evadere, perchè facile da identificare.
   In questa congiuntura c'è anche la necessità di creare domanda effettiva sul mercato, togliendo danaro a chi ha alta propensione al risparmio (i ricchi) e spenderlo prontamente per mano pubblica, per sbloccare il sistema produttivo.
   C'è però anche chi vede nella cancellazione dell'IMU una via per sbloccare gli investimenti nell'edilizia. Secondo me, non vede giusto, perchè di fabbricati ce ne sono già troppi. Eventualmente si potrebbero adeguare gli sgravi fiscali (da IVA) sugli ammodernamenti del patrimonio.
   Direi che l'IMU vada corretta tecnicamente: i patrimoni che non danno reddito, non vanno tassati, e per fare questo va abolito il sistema catastale attuale.
   Possiamo anche sgravare la prima casa, ma in modo collegato con il reddito complessivo (la discriminazione qualitativa non è razionale, e quindi non andrebbero ammesse anche le varie compartecipazioni e addizionali, differenziate per Comuni). Applicherei l'aliquota normale per tutte le abitazioni e lo sgravio sulla prima casa, ma non per i cittadini con reddito complessivo superiore ad una determinata cifra (€ 100.000 ?).
   Essa andrebbe attribuita totalmente ai Comuni.
  
  Un discorso a parte va fatto per i fabbricati, ad uso strumentale produttivo. Va ricordato che, ai fini IVA, i beni strumentali sono esenti (ed anche ai fini IRAP). A questo punto, poichè lo Stato li tassa ai fini IMU, viene ad emergere che lo Stato spende soldi per amministrare sgravi sui fabbricati e poi spende soldi per recuperare soldi a carico degli stessi fabbricati. Si decida se sgravare o gravare. Questo modo mi pare abbastanza censurabile dal lato delle economie dei costi amministrativi.
   Personalmente ritengo che, in tempi di disoccupazione, lo Stato non dovrebbe sgravare da IVA i beni strumentali, per non creare una discriminazione tra prezzo del capitale (sgravato) e prezzo del lavoro (gravato). Infatti, il costo del lavoro entra nel valore aggiunto. Ciò stimola l'automazione.
  Naturalmente, se l'ammortamento entra nel valore aggiunto fiscale, si dovrebbe abbassare l'aliquota media, in quanto la base imponibile verrebbe ad aumentare.
  Riterrei anche che l'imposta patrimoniale sui detti fabbricati, dovrebbe avere di mira il reddito d'impresa (costituito dai profitti e dagli interessi sul capitale).   Il motivo è che le imprese sono reticenti nel dichiarare il reddio d'impresa: in questo senso, andrebbe tassato il fabbricato per arrivare al reddito d'impresa. Grosso modo il reddito di impresa è il 30-35% del PIL (si vegga ISTAT, Contabilità nazionale, Tomo I, Anni 1970-97, p. 293).
   Riterrei, però, anche che (in sede di tassazione dei redditi) vada sgravato il reddito d'impresa reinvestito. Questo sgravio fa bene a tutti perchè incentiva gli investimenti e incentiva l'impresa a non nascondere il reddito d'impresa. In questo modo l'aliquota dell'imposta patrimoniale può essere calcolata in modo più mirato.
   Io, poi, ho studiato gli effetti dell'imposta sul patrimonio sulla assunzione del rischio, trovando soluzioni diversificate tra investimenti a relativo alto rischio o a relativo  basso rischio, e in confronto all'imposta sul reddito con o senza detrazione delle perdite. Si vegga: http://amsacta.unibo.it/3417/1/scritti_scelti_luciani.pdf, p. 181e ss. .

 

                    EDIZIONI  PRECEDENTI

                     Dalla ACCADEMIA dei LINCEI, 8 marzo 2013

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Di nuovo il Govermatore Visco sulla crisi finanziaria e, in particolare:


"Sulla necessità di separare la tradizionale attività creditizia da quella svolta in
campo finanziario, che ha recentemente tratto nuovo vigore a livello europeo".
Anche sue parole dure sulla caduta della "integrità morale delle banche".

 


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COMMENTO. Forse sarebbe stato opportuno non limitarsi a lezioni erudite, ma invocare a chiare lettere anche riforme per parte bancaria:
1) Invocare il ripristino (anche in Italia, come sta avvenendo in Inghiltterra) della legge bancaria del 1936;
2) Dire alla BCE che sarebbe normale fare anticipazioni di cassa allo Stato Italiano per pagare i fornitori dello Stato, considerato che lo Stato Italiano
    ha solo problemi di cassa, se è vero che il Governo MONTI ha pareggiato il bilancio in conto competenza, grazie alla tassazione fuori limite.
3) Dire alla UE che, se non cambia testa (in ordine ai tempi di restituire liquidità al sistema), l'Italia potrebbe essere costretta a uscire dall' EURO, a parte che chiedere a Cipro di tassare i depositi bancari è stato non professionale, perchè questo genera panico nel pubblico e fa fallire le banche.

Stralcio dal
TESTO ORIGINALE DELL'INTERVENTO
(per il testo completo: clicca su Lincei )

ECONOMIA E FINANZA DOPO LA CRISI

  Proponiamo qui lo stralcio di un nuovo intervento del Governatore, sulle cause e i rimedi alla crisi finanziaria, dello 8 marzo 2013.

1.- Introduzione.  La crisi finanziaria ...  ha fatto emergere una serie di problemi nel funzionamento, nella regolamentazione e nella supervisione dei mercati finanziari. La stabilità finanziaria si è riproposta come obiettivo fondamentale della politica economica; le banche centrali sono chiamate a svolgere un ruolo cruciale. Le conseguenze per la regolamentazione e la conduzione dell’attività di vigilanza su un sistema finanziario, che sarà probabilmente molto diverso da quello che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni, sono considerevoli. È inoltre cresciuto lo scetticismo nei confronti del ruolo della finanza nel sistema economico, in particolare in relazione alla sua “distanza” dall’economia reale, quasi fosse in conflitto con essa.

   Nei dieci anni che hanno preceduto la crisi le dimensioni del sistema finanziario, il suo ruolo e il suo grado di penetrazione nell’economia sono notevolmente cresciuti.
   La crisi ha solo rallentato questo processo. Nell’area dell’euro le risorse finanziarie raccolte dal settore privato (misurate dalla somma del credito bancario, dei titoli emessi sul mercato interno e dalla capitalizzazione di mercato) sono salite dal 160 per cento del PIL nel 1996 al 240 nel 2007, attestandosi al 230 per cento nel 2011.
   Negli Stati Uniti il rapporto è salito dal 230 per cento del 1996 al 330 del 2007, per poi ridursi al 260 per cento nel 2011.
   Nel Regno Unito è passato dal 240 al 330 per cento nel 2007, fermandosi al 320 per cento nel 2011. Il valore nozionale totale degli strumenti derivati negoziati a livello mondiale in forma standardizzata (exchange-traded) in mercati regolamentati e di quelli strutturati per particolari esigenze e negoziati al di fuori dei mercati regolamentati (over the counter, OTC) è salito da circa 94.000 miliardi di dollari alla fine del 1998 a 486.000 alla fine del 2006, per raggiungere i 700.000 miliardi nel giugno del 2012.

    ...
   Lo sviluppo della finanza, consentendo una maggiore diversificazione del rischio e rendendo i servizi finanziari accessibili a un maggior numero di paesi e di imprese, può essere un importante strumento di sviluppo economico.
   Ma c’è il rischio che la finanza diventi fine a se stessa, provocando danni tanto maggiori quanto più stretta è l’interconnessione del sistema e quanto più rilevanti sono le potenziali esternalità negative.

    La corretta conduzione dell’attività creditizia e finanziaria certamente richiede competenza e buona fede da parte degli intermediari, ma richiede altresì adeguati regimi di regolamentazione e di supervisione.

2.-  La (buona) finanza è una forza positiva. La finanza è stata a lungo considerata come un’attività moralmente dubbia.
....
    Sullo sfondo di questa sfiducia “strutturale”, l’atteggiamento del pubblico riguardo alla finanza oscilla a seconda delle condizioni dei sistemi finanziari e dei mutamenti nell’umore politico riguardo all’intervento dello Stato nell’economia.
    Fino agli anni Settanta si dava per scontato che i fallimenti del mercato richiedessero la presenza e l’azione di un regolatore che permettesse di evitare risultati sub-ottimali.
    Con la grande inflazione e il forte aumento della disoccupazione degli anni Settanta l’enfasi si spostò, tuttavia, sui fallimenti dello Stato. I governi, le banche centrali e gli altri regolatori vennero accusati di non essere riusciti a evitare tali sviluppi. Ciò finì per provocare un mutamento ideologico, un impulso a ridurre l’entità dell’intervento dello Stato nell’economia.
     I fallimenti dell’“economia regolamentata”, il ritmo del progresso tecnologico e la rapida espansione del commercio internazionale dopo la fine della guerra fredda alimentarono un lungo processo di deregolamentazione finanziaria, interrotto soltanto dalla crisi scoppiata nel 2007.
    Questa ha a sua volta innescato una tendenza alla ri-regolamentazione, o a una migliore regolamentazione, tuttora in atto. Il pendolo ancora oscilla, e certo continuerà a farlo in futuro.
    La crisi finanziaria internazionale, e i costi enormi che ha comportato per l’intera società, hanno eroso ulteriormente e profondamente la fiducia nelle istituzioni finanziarie.
.....
     L’integrità della condotta degli intermediari finanziari è stata messa in discussione sotto vari aspetti: l’onestà, la capacità di gestire i rischi finanziari e l’impegno a curare gli interessi della propria clientela.
    A catturare l’attenzione del pubblico sono stati anzitutto i casi di frode in cui, mediante schemi cosiddetti “di Ponzi” o altri simili, molte persone hanno perso i propri risparmi. Gli animi sono stati esacerbati dalla generosità delle liquidazioni corrisposte ai dirigenti di istituzioni finanziarie in difficoltà salvate con il denaro dei contribuenti. Gli episodi di dubbia correttezza non hanno risparmiato alcuni elementi chiave del sistema finanziario, come i rating creditizi e i tassi di riferimento interbancari, senza contare i casi di presunto coinvolgimento di istituzioni finanziarie in attività collegate al riciclaggio di denaro sporco o in altri illeciti comportamenti. Ciò che più conta, la crisi ha mostrato che gli operatori di mercato non erano in grado di gestire l’intrinseca complessità del sistema che loro stessi avevano contribuito a elaborare negli ultimi due decenni.
    Favorita dai progressi nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, la cartolarizzazione delle attività delle banche è notevolmente cresciuta, e con essa l’offerta di strumenti finanziari cosiddetti “strutturati” (ABS, CDO, ecc.).
   Dal tradizionale modello di intermediazione creditizia si è quindi passati – in particolare negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi – a un sistema in cui i prestiti concessi venivano rapidamente trasformati in altri prodotti finanziari garantiti da quegli stessi prestiti, e quindi ceduti sul mercato: il cosiddetto modello originate-to-distribute (OTD). Con questi sviluppi, all’intrinseca difficoltà di valutare la qualità dei prestiti si è aggiunta quella di comprendere appieno l’effettivo ruolo dei prodotti finanziari strutturati.
   I prodotti della finanza strutturata e il modello di intermediazione OTD possono facilitare la gestione dei rischi. L’offerta di mutui alle famiglie è favorita dalla possibilità per le banche di coprirsi contro i rischi di tasso associati all’erogazione di tali prestiti; nelle loro strategie di internazionalizzazione le imprese ricevono un evidente beneficio dalla possibilità di assicurarsi contro i rischi di cambio; l’offerta di prodotti previdenziali su orizzonti molto lunghi può essere effettuata a costi tanto più contenuti quanto più si riesce a limitare l’impatto di oscillazioni dei valori mobiliari.
   Nel modello OTD il rischio di credito non è concentrato nei bilanci delle banche, ma è ridistribuito su una moltitudine di investitori.

Rendendo negoziabili i prestiti bancari, tale modello comprime i relativi premi per l’illiquidità e ne riduce pertanto il costo.
    È ormai chiaro, tuttavia, che la finanza strutturata e il modello di intermediazione OTD, unitamente alla mancanza di trasparenza, hanno favorito una eccessiva assunzione di rischio e comportamenti di tipo opportunistico. Le operazioni sono spesso avvenute mediante una rete di intermediari finanziari scarsamente regolamentati e caratterizzati da livelli di indebitamento e un’esposizione al rischio particolarmente elevati.
    L’assenza di trasparenza è stata particolarmente grave nella valutazione degli strumenti di finanza strutturata (nella quale un ruolo cruciale era occupato dalle agenzie di rating, senza particolari controlli da parte di regolatori pubblici o organi di informazione), effettuata mediante modelli statistici e spesso condotta sulla base di dati incompleti e insufficienti. In molti casi la complessità ha aperto la strada a comportamenti opportunistici, alimentati da un sistema di incentivi distorto, soprattutto con riferimento agli schemi di remunerazione dei manager.
    L’elevata leva finanziaria e la complessità tipiche di questi strumenti li ha resi utilizzabili per assumere posizioni speculative ad alto rischio. Il ricorso ad attività inutilmente complesse e opache ha impedito in molti casi la corretta valutazione del merito di credito; è servito, in altre occasioni, per mascherare l’impatto negativo di operazioni pregresse.
    L’utilizzo improprio di tali strumenti da parte delle banche può anche essere collegato al venir meno delle fonti di reddito legate alla tradizionale attività creditizia, con la conseguente assunzione di comportamenti volti a nascondere al mercato e alle autorità di vigilanza il reale obiettivo delle operazioni in strumenti derivati.     .... 

Nino Luciani, Per una nuova legge per la difesa del risparmio e degli investimenti, che ripristini la funzione bancaria come orientata alla  "utilità pubblica", o (al più) come impresa orientata ad un "profitto normale".

1.- Premessa. In questo intervento, il Governatore ripete sue posizioni, già note, sulla importanza di riportare la finanza sulla retta via, e specificamente su un nuovo modo di impostare la regolamentazione, vale dire farlo in un quadro europeo e, anzi, meglio se più ampio, e inoltre:
-  essere esigente sui vincoli alle banche sulla adeguatezza e composizione dei loro patrimoni, a tutela dei depositanti;
-  e limitare e controllare sistematicamente la loro discrezionalità nel classificare gli impieghi dei depositi, circa la loro natura di offerta a breve termine o di medio o lungo termine.
   Spiccano anche, nella sua analisi, considerazioni sulla natura morale delle banche, la cui immoralità massima egli vede nella creazione dei prodotti derivati, perchè usati per nascondere "perdite" di bilancio.


2.- Sugli aspetti "immorali" dell'azione bancaria. Per una moralizzazione delle banche, direi che occorre, per parte italiana, mettere mano al meccanismo bancario che la permette (non basta, ricordare, eruditamente la regola di Volcker” (2008). Noi, in Italia, eravamo su questa strada, fin dal 1936, cosa che pare non constare al giovane Governatore.
  2.1- La legge bancaria del 1993 (
D. Leg.vo 385/1993, e che soppresse la legge del 1936, su proposta dalla Banca d'Italia), ha istituito in Italia la "banca universale".
  Analoga legge (il Glass-Steagall Act del 1933) aveva retto negli Stati Uniti fino al 1999, quando fu sostituita dal  Gramm-Leach-Bliley Act. Esso aveva gli stessi caratteri di base della legge italiana. La Germania aveva, già, la banca universale.

  La riforma stabilì che "l'attività bancaria" ha "carattere di impresa" ed "è riservata alle banche" (art.10), e inoltre che la banca universale:
  a) può fare operazioni sulla moneta, senza alcuna distinzione tra mercato a breve termine e mercato a medio-lungo termine;
  b) può emettere obbligazioni; e può partecipare al capitale delle imprese, e viceversa, sia pur entro determinati limiti (fino al 5% di norma, fino al 15% o più servono speciali autorizzazioni della banca centrale).
  Osservazione. Il fatto che la legge del 1993 configuri l'attività bancaria "con carattere di impresa" ( e dunque finalizzata al profitto, ipotizzando che la concorrenza tra banche sia il meccanismo a cui affidare la limitazione degli extra-profitti) è stata una scelta irresponsabile, che ha permesso alle banche di investire a rischio i depositi dei clienti. Lo vediamo nelle conclamate sofferenze bancarie, denunciate dal Governatore, e che attualmente ha messo fuori usato la tradizionale funzione bancaria (deposito e giro), e strozzato le imprese produttive.
    Invece l'art. 1 della legge bancaria del 1936, disponeva: "
La raccolta del risparmio fra il pubblico sotto ogni forma e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico regolate dalle norme del presente decreto". Torniamo al Decreto del 1993.
  
   Approfondiamo la irresponsabilità della scelta.
   Dal lato offerta
, per definizione il mercato di concorrenza si fonda:
  - sulla libertà di entrata e uscita di imprese nel mercato;
  - sulla omogeneità del prodotto;
  - su un numero relativamente grande di imprese, così che nessuna abbia un potere di dominanza sul mercato.
   Nel campo bancario, non esiste nessuna di queste condizioni. Il "prodotto monetario" non, infatti, è l'unità di moneta, ma la "operazione in moneta", ed ogni operazione ha un diverso grado "fondatezza" in termini di rischio, probabilità, grado di certezza.
   Esiste un cartello bancario, che si regge sull'ABI - Associazione Bancaria Italiana.
  
Dal lato domanda, poi, la "domanda di moneta" è rigidissima, perchè essenziale per le operazioni economiche. E' come il sangue per una persona.
   Di conseguenza, non è verosimile che possa esistere un mercato concorrenziale.

  2.2. Dentro i depositi a breve, poi, c'erano ulteriori limiti al "giro" mediante la imposizione di una "riserva obbligatoria bancaria"
(da conservare presso la banca centrale, a un tasso di interesse). Questo istituto, già presene del 1926, fu potenziato (1947) da Einaudi (governatore della Banca d'Italia).
   I motivi erano due:
   -  il primo era che le banche dovevano sempre essere in condizioni di restituire assolutamente ai depositanti i loro soldi, in qualunque momento;
   - il secondo è che attraverso il "giro", le banche creano moneta bancaria" che va ad aggiungersi alla moneta legale (banconote). Grosso modo la moneta bancaria è un multiplo della moneta legale, pari all'inverso della percentuale di riserva, rispetto ai depositi. Ad es., se la percentuale è il 10%, la moneta bancaria aggiuntiva è 10 volte il deposito in banconote.
  
  2.3. Con la sopravvenienza della BCE ( e la sostituzione della lira con l'euro) la riserva obbligatoria è molto diminuita, e di conseguenza è molto aumentata la discrezionalità delle banche nel creare "moneta bancaria" e quant'altro ("derivati").
  
Fino ad una trentina di anni fa, la riserva obbligatoria era intorno al 25% (e dunque quel "multiplo" era 4), poi via via sempre meno, e questo anche grazie dall'accettazione crescente degli assegni bancari, da parte del pubblico.

   Stando alle attuali regole della BCE, la percentuale obbligatoria BCE è divenuta il 2%, ma nei fatti il 3-4%, (ma anche il 60% nei casi di gravi anomalie del debitore). Non ho trovato la percentuale "media", nè le riserve totali conservate dalle banche presso la B.d'I.
  Ho provato a calcolata per rapporto tra il totale degli impieghi bancari e il totale delle banconote in circolazione . Posto che tutta la moneta legale transiti per le banche, risulterebbe che la moneta bancaria sia oggi, grosso modo, 14 volte le banconote, e dunque la riserva obbligatoria "totale" sia nell'intorno del 7,1% dei depositi.
   Approfondendo questo punto che si pesa la "integrità morale" delle banche, presa di mira dal Governatore VISCO, e il discorso comincia riflettendo sul concetto di convertibilità della moneta cartacea e dei suoi surrogati.

3.- Sulla convertibilità della moneta legale e dei suoi surrogati.
   Storicamente, la soppressione della convertibilità della moneta legale (cartacea), in oro (ad un prefissata parità, garantita dalla banca centrale), è avvenuta perché (con l'esperienza), ci si era resi conto che (per accettare) il biglietto non era importante che, dietro, ci fosse l'oro, ma che "si credesse" che ci fosse l'oro.
   Più tardi, poi, ci si rese conto anche che l'oro non era necessario davvero, perchè noi non mangiamo l'oro (come Creso, che ne morì), ma  beni di consumo comprabili con l'oro o con un suo sostituto (la moneta legale).
  Alla fine, si è concluso che, per fare accettare, con potere liberatorio delle obbligazioni, la moneta legale bastava una "convenzione" (la legge), e stabilire un limite alla sua fabbricazione.
   Ulteriormente più tardi la moneta legale sarà, a sua volta, sostituita dalla moneta bancaria (assegni), e anche qui (sia pur in misura minore) non era importante che in deposito ci fosse davvero la moneta legale, ma che si credesse che ci fosse.
   Ultimamente siamo arrivati, senza regole, ai "derivati", che sono l'equivalente dei "surrogati" della moneta legale in terzo, quarto, quinto grado e oltre, sia pur transitando per l'associazione (al derivato) di valori reali (azioni, obbligazioni, beni immobili, in qualche modo liquidabili, ma solo sulla carta). In questo senso, le probabilità di convertire "derivati" in moneta legale sono divenute via via più remote, mano mano che un determinato derivato è il derivato di un altro derivato, creato precedentemente e così di seguito.
   Questa creazione di "moneta finta" ad infinitum è la chiave per capire lo strapotere delle banche sul mondo di oggi, e fonte del loro arricchimento, giacchè su ogni operazione grava una "commissione" (diciamo, una tangente), e da cui traggano alimento le retribuzioni smisurate dei dirigenti bancari e l'accaparramento della ricchezza altrui (si pensi alle numerose sedi di loro proprietà, nel territorio).
  In passato, il potere di appropriarsi di immensi patrimoni era proprio dei monarchi assoluti, mediante la fabbricazione di carta moneta (o, in precedenza, riducendo la pezzatura delle monete metalliche). Ma poi questo potere fu tolto, trasferendolo alle banche centrali, organi tecnici, indipendenti dal potere politico.
   Adesso, con la moltiplicazione dei surrogati della moneta legale, è cambiato il meccanismo, anzi la ruberia "legalizzata" Cè molto aumentata.

  
4. Basta con le incertezze della UE e della Banca Centrale Europea. La crisi finanziaria europea dura ormai da anni, mentre gli Stati Uniti (messi peggio di noi, all'inizio) ne stanno uscendo bene.
   La incapacità della UE e della BCE è sotto gli occhi di tutti. Un tempo, quando c'era l'oro (come moneta) si doveva sottostare al ciclo, perchè l'oro non si poteva inventare. Ma per la moneta cartacea le cose sono molto diverse.
   Di giorno in giorno ci rendiamo conto che l'UE è diventata una casacca che ci opprime e lo strumento usato è l'EURO.
   Vediamo cose inammissibili. Pur dopo che il Governo italiano ha tassato fin troppo gli italiani (lo vediamo dai suicidi di imprenditori) per pareggiare (giustamente) il bilancio, dobbiamo constatare la persistenza dei veti UE alla spesa di quanto prelevato. Questo è inammissibile, se davvero è stata rispettato il vincolo del pareggio del bilancio.
   Non capiamo perchè la BCE non faccia anticipazioni di cassa allo Stato italiano, se è vero che il bilancio di competena è in pareggio (quasi).
   E' stata per noi una meraviglia anche la tentata tassazione dei depositi bancari a Cipro. Evidentemente la la UE non sa che, di norma, i depositi bancari sono largamente maggiori della moneta legale presso le banche (ne sono un multiplo, si vegga sopra) e dunque il solo annuncio genera la corsa dei risparmiatori alle banche, per riavere il contante, che non c'è a sufficienza, così da determinare il crollo del sistema bancario, e di quanto ne consegue a domino, negli altri Paesi. NLUCIANI

   (Continua VISCO) Riassumendo, l’innovazione finanziaria può consentire un’allocazione più efficiente del rischio di credito, ma comporta svariati pericoli, alcuni dei quali sono a essa connaturati, mentre altri sono collegati più in generale alla crescente interdipendenza tra le componenti del sistema finanziario.
    Il processo di consolidamento finanziario in atto e il modello di intermediazione bancaria OTD hanno dato luogo a una forte interconnessione fra intermediari e mercati dei capitali, con importanti conseguenze per la stabilità finanziaria: una maggiore interconnessione migliora infatti la diversificazione dei rischi e può rendere i mercati più resistenti a shock, ma in caso di problemi favorisce la diffusione del contagio.
    Ma la percezione negativa delle banche e della finanza non deve portare a una reazione eccessiva e priva di discernimento.
   ...
    È fondamentale per la condivisione e l’allocazione dei rischi, specie per le società e gli individui meno abbienti, poiché l’avversione al rischio diminuisce all’aumentare della ricchezza. È fondamentale per trasferire le risorse nel tempo e rimuovere i vincoli di liquidità che ostacolano lo svolgimento dell’attività economica e la messa a frutto delle idee, per promuovere lo sviluppo, specie favorendo l’innovazione.
   In effetti, la storia offre innumerevoli esempi di “buone” innovazioni finanziarie. Si pensi alle “lettere di cambio” introdotte dai mercanti italiani nel Medioevo: furono probabilmente la prima fattispecie di moneta fiduciaria e diedero ampio impulso al commercio. Più di recente, si consideri lo sviluppo del “microcredito” dagli anni Settanta del secolo scorso, un’innovazione che ha aumentato l’inclusione finanziaria, consentendo ai più poveri di ottenere credito per far fronte a malattie o altri shock temporanei.
    Si ricordi, infine, il ruolo svolto, negli ultimi vent’anni, dal “venture capital” nella promozione di imprese innovative di successo come Apple, Intel e Google.
    Alcuni paesi stanno investendo sempre più nell’“educazione finanziaria” del pubblico. Anche questa è importante; contribuisce alla formazione di un mercato finanziario più inclusivo e consente ai cittadini di comprendere meglio gli sforzi compiuti dalle autorità per migliorare la vigilanza e la regolamentazione: li rende meno inclini a sottoscrivere la tesi semplicistica secondo cui la finanza è inevitabilmente “cattiva”.
    Ma non illudiamoci: come mostrano chiaramente il caso di Bernard Madoff e altre vicende, non solo statunitensi, l’alfabetizzazione finanziaria non è una panacea (i clienti di Madoff avevano senz’altro conoscenze finanziarie superiori alla media). Ai fini della tutela dei consumatori di prodotti e servizi finanziari, la regolamentazione e un’efficace vigilanza sono un presidio complementare e non meno importante di quelli offerti dall’educazione e dall’inclusione finanziarie.

   La complessità è stata usata, a volte in modo perverso, come argomento a favore di una sorta di “benevolo distacco” – benign neglect – da parte dei regolatori.
    Le grandi istituzioni finanziarie hanno sostenuto con successo che l’innovazione finanziaria era troppo complessa e opaca perché i regolatori potessero venirne a capo. Per salvaguardare il sistema finanziario internazionale dal rischio sistemico, così argomentavano, la soluzione migliore era l’impegno diretto da parte dell’industria finanziaria a migliorare i sistemi interni di gestione e controllo dei rischi. Questa era in estrema sintesi l’opinione esposta nel rapporto del Gruppo dei Trenta pubblicato dopo lo scoppio della crisi in Asia.
   Questa tesi veniva spesso accompagnata da un ragionamento del tipo: “voi, regolatori e autorità di vigilanza, sarete sempre indietro rispetto all’innovazione finanziaria; è meglio che lasciate a noi, istituzioni globali, il compito di autoregolarci; siamo grandi, sappiamo badare a noi stessi”. In fin dei conti “se qualcuno di noi sbaglia, alcuni guadagneranno ciò che altri hanno perso; perché non dovreste lasciarci liberi di giocare un gioco a somma zero?”
   I regolatori non avevano di fatto né la possibilità né i giusti incentivi per acquisire le informazioni necessarie. In primo luogo, le grandi istituzioni finanziarie operano a livello mondiale e i regolatori nazionali dispongono di poteri troppo limitati per poterle controllare. Le difficoltà nel coordinare l’azione regolamentare, per la naturale tendenza di ciascuno a preservare la propria particolare sfera di influenza, non hanno consentito di essere all’altezza delle sfide poste da una finanza diventata ormai globale. In secondo luogo, si sono a volte determinati casi di “cattura del regolatore”, riflesso di condizionamenti politici ed economici non sufficientemente contrastati.
     Accettare l’idea che un “benevolo distacco” fosse l’atteggiamento giusto da tenere è stato tuttavia un errore fatale. La crisi finanziaria globale ha mostrato i limiti dell’idea che l’autoregolamentazione e la disciplina di mercato siano sufficienti ad assicurare la stabilità dei sistemi finanziari.
    ...

3.- Alla ricerca di un sistema migliore di regolamentazione e di vigilanza.
    
Negli ultimi anni la crisi ha accresciuto la consapevolezza dei vantaggi di un sistema di regolamentazione più stringente. A livello internazionale, sotto l’impulso politico impartito dal G20, il Financial Stability Board (FSB) e il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria hanno introdotto importanti modifiche regolamentari volte a ridurre la frequenza delle crisi finanziarie e ad aumentare la resistenza dei sistemi economici.
    Molto è già stato fatto. Sono state significativamente accresciute la quantità e la qualità della dotazione patrimoniale delle banche, per assicurare che queste ultime operino su basi sicure e solide.
    Sono stati innalzati i requisiti patrimoniali minimi. Con il miglioramento della qualità del capitale si persegue il fine di mettere le banche maggiormente in grado di assorbire perdite sia in condizioni di continuità d’impresa, sia in caso di crisi.
    La copertura dei rischi è stata ampliata, in particolare per le attività di negoziazione, per le cartolarizzazioni e per le esposizioni collegate a veicoli speciali fuori bilancio o strumenti derivati. A integrazione dei requisiti patrimoniali commisurati al rischio, verrà introdotto un indice massimo di leva finanziaria armonizzato sul piano internazionale al fine di evitare un eccessivo ricorso all’indebitamento nel sistema.
     Il Comitato di Basilea ha inoltre promosso l’adozione di standard internazionali per la liquidità e la provvista delle banche, volti a promuovere la loro resistenza a shock di liquidità.
   I Governatori delle banche centrali e i responsabili delle Autorità di vigilanza hanno raggiunto di recente un accordo fondamentale per l’adozione di un valore minimo obbligatorio per il rapporto fra le attività liquide di elevata qualità di una banca e i suoi deflussi di cassa netti attesi sull’orizzonte di un mese in condizioni di stress (Liquidity Coverage Ratio – LCR).
     Il valore minimo dell’LCR aumenterà gradualmente nei prossimi anni, così da evitare di pregiudicare la capacità del sistema bancario internazionale di finanziare la ripresa. Su richiesta del G20, l’FSB ha promosso iniziative volte a rafforzare la regolamentazione del mercato dei derivati OTC. L’obiettivo è rafforzare le infrastrutture di mercato e minimizzare gli effetti di contagio e spill-over tra operatori sempre più interdipendenti.
    Tali iniziative accrescono la trasparenza del mercato mediante la standardizzazione delle forme contrattuali, l’obbligo di negoziazione su mercati regolamentati, l’impiego di controparti centrali per il regolamento degli scambi, la segnalazione delle condizioni di negoziazione ad apposite piattaforme informative.
   Ulteriori progressi sono però necessari. La regolamentazione del patrimonio e della liquidità deve accompagnarsi con un miglioramento dei dispositivi interni di controllo dei rischi e con azioni volte a correggere gli incentivi a un’eccessiva assunzione di rischio.
    I membri dei consigli di amministrazione e gli alti dirigenti devono avere una profonda comprensione della struttura operativa d’insieme e dei rischi della banca. Le autorità di vigilanza devono poter periodicamente esaminare le politiche e le prassi di governo societario adottate dagli intermediari. Anche le politiche di remunerazione vanno riviste, al fine di allineare meglio i compensi ai risultati reddituali di lungo periodo corretti per il rischio e di evitare gestioni miopi o inutilmente rischiose. In particolare, la parte variabile dei compensi destinati alle figure aziendali che influenzano il processo di assunzione dei rischi va corrisposta sulla base di misure che valutino adeguatamente la performance corretta per il rischio, a livello sia individuale, sia di unità operativa, sia di impresa; i premi devono essere legati al conseguimento di risultati stabili, non semplicemente frutto di operazioni straordinarie; anche le “buonuscite” dei manager devono basarsi in maniera chiara ed efficace sui risultati conseguiti, nonché su una più generale valutazione del loro operato; il compenso deve essere differito per un periodo di tempo sufficiente a verificare l’effettiva buona qualità della gestione.

    Il dibattito avviato dalla cosiddetta “regola Volcker” sull’assetto organizzativo delle banche e sulla necessità di separare la tradizionale attività creditizia da quella svolta in campo finanziario ha recentemente tratto nuovo vigore a livello europeo dai rapporti della Commissione Vickers nel Regno Unito e del Gruppo Liikanen per la Commissione europea.
   Sia la regola Volcker, sia i citati rapporti sottolineano la necessità di ridiscutere i profili dimensionali e di complessità del settore finanziario; l’esperienza della crisi ci dice che non dobbiamo temere di riesaminare in maniera approfondita meriti e costi di entrambi.
   I rapporti delineano possibili linee di intervento. Tutelare
i depositi al dettaglio e il denaro dei contribuenti dai rischi impliciti nelle attività di negoziazione (“speculazione”, come si diceva una volta), motivazione alla base di queste proposte, è di cruciale importanza.
    L’esperienza della crisi mostra che, sebbene nessun modello di intermediazione si sia rivelato nettamente migliore o peggiore degli altri, l’assetto organizzativo delle banche incide sulla propensione dei manager a intraprendere attività eccessivamente rischiose.
   Dobbiamo riconoscere che sia l’attività creditizia al dettaglio sia quella di investment banking, anche se sono separate da un punto di vista organizzativo o istituzionale, vanno adeguatamente regolamentate, evitando di dare una definizione troppo ampia alle operazioni di investimento volte a sostenere la liquidità dei mercati (market making).

    A ogni modo, nel mondo globalizzato di oggi è fondamentale garantire che i paesi cooperino e raggiungano un accordo sull’appropriato grado di rigore della regolamentazione finanziaria. I paesi non dovrebbero competere allentando le regole al fine di attrarre intermediari finanziari, poiché così facendo generano esternalità negative per gli altri. Si tratta di una questione assai delicata; non sarà forse mai possibile conseguire condizioni di perfetta parità concorrenziale, ma dobbiamo essere consapevoli delle conseguenze di un approccio beggar-thy-neighbour alla regolamentazione.
    La transizione verso un sistema uniforme di regole e di supervisione sul sistema finanziario va accelerata.
   Nell’area dell’euro, e più in generale nell’Unione europea, il progetto di un’unione bancaria è ambizioso, ma va nella giusta direzione. Sono stati compiuti alcuni progressi nella convergenza verso una serie di principi contabili condivisi; tuttavia, molto resta da fare.
   L’International Accounting Standards Board e il Financial Accounting Standards Board statunitense prevedono di compiere passi avanti sulle due questioni fondamentali ancora aperte, delle riduzioni durevoli di valore dei prestiti, su cui dovrebbero pronunciarsi entro fine anno, e dei contratti di assicurazione, in merito ai quali indiranno quest’anno una consultazione pubblica. In particolare, la necessità di convergere su un nuovo sistema di accantonamento a riserva (provisioning) basato sulle perdite attese riveste rilevanza immediata per gli utenti finali e nell’ottica della stabilità finanziaria.
    Un elemento essenziale per garantire la stabilità sistemica è il metodo di misurazione delle attività ponderate per il rischio (risk-weighted assets, RWA), che costituiscono il denominatore dei coefficienti di adeguatezza patrimoniale. Di recente le misure delle RWA sono state oggetto di crescente attenzione da parte degli analisti di mercato, delle banche e delle autorità di vigilanza. È stato affermato – credo a ragione – che le metodologie di calcolo adottate dai vari istituti, soprattutto in giurisdizioni diverse, potrebbero non essere comparabili e che esse dovrebbero meglio riflettere il rischio per evitare in ultima istanza di pregiudicare la stabilità finanziaria.
     Questi problemi sottolineano l’importanza delle prassi di vigilanza ai fini della determinazione dei requisiti patrimoniali delle banche (ad esempio, la convalida dei modelli interni delle banche per il calcolo delle ponderazioni di rischio).
    Una rigorosa vigilanza microprudenziale è essenziale. Dobbiamo davvero elaborare un insieme di regole comuni, procedere con determinazione verso la condivisione delle responsabilità e usare il più possibile il sistema della peer review nella nostra attività di vigilanza. Le riforme, molto complesse, volte a rafforzare la regolamentazione del mercato dei derivati stanno prendendo più tempo di quanto originariamente previsto. Occorre accelerare il passo, superando le difficoltà d’attuazione, nonché le resistenze del settore.
    Le autorità devono impegnarsi al massimo per rimuovere le incertezze che si presentano quando un’operazione ha dimensione transfrontaliera, condizione ricorrente in un mercato globale, per prevenire arbitraggi regolamentari, nello spirito degli obiettivi del G20. Sono in corso approfondimenti su altri rilevanti aspetti a livello internazionale (requisiti patrimoniali a fronte delle esposizioni verso controparti centrali, margini obbligatori per le operazioni non compensate attraverso controparti centrali, orientamenti sulla risoluzione delle crisi delle controparti centrali e accesso delle autorità ai dati dei trade repositories, i sistemi centrali per la registrazione elettronica delle singole transazioni) e a livello regionale e nazionale.
   Alla fine della prossima settimana entrerà in vigore in Europa un insieme completo di regole per l’attuazione del “regolamento EMIR” (European Market Infrastructure Regulation) che va a completare il quadro normativo di riferimento europeo per il cosiddetto “obbligo di compensazione” previsto nella Dichiarazione del G20 del settembre 2009.
    In
un’ottica globale, comunque, l’impegno regolamentare deve essere condiviso dal più ampio insieme possibile di giurisdizioni, come ribadito nel recente incontro del G20 a Mosca.
   Ci si attende un impegno significativo anche dagli intermediari. L’ultimo rapporto dell’FSB sull’attuazione della riforma del mercato dei derivati OTC stima che “alla fine di agosto 2012 circa il 10 per cento dei credit default swaps in essere e circa il 40 per cento dei prodotti derivati sui tassi di interesse siano stati regolati mediante sistemi di compensazione gestiti da controparti centrali”.
    Queste percentuali dovrebbero crescere rapidamente, lasciando al di fuori dei mercati regolamentati i soli derivati volti a soddisfare esigenze di copertura specifiche di una controparte, che non possono essere soddisfatte da contratti standardizzati e regolati su infrastrutture di mercato.
    Occorrerà altresì evitare che, a fronte di una regolamentazione e di una vigilanza più stringenti per le banche, le attività e i rischi assimilabili a quelli bancari migrino verso istituti non regolamentati o scarsamente regolamentati (il cosiddetto “sistema bancario ombra”).
   Non va dimenticato che la crisi finanziaria ha avuto origine nel mercato statunitense delle cartolarizzazioni, in larga parte popolato da operatori non – o scarsamente – regolamentati.
    Se è necessario affrontare i rischi per la stabilità finanziaria che emergono dall’esterno del sistema bancario tradizionale, l’approccio deve essere di tipo proporzionale, concentrato sulle attività che hanno rilevanza a livello di sistema, partendo da quelle che sono state fonte di rischio durante la crisi.
    L’FSB sta attualmente perfezionando l’insieme di raccomandazioni pubblicate lo scorso novembre. Le nuove raccomandazioni si riferiscono, comunque, ai rischi specificamente emersi durante la crisi: la straordinaria capacità di innovazione del settore bancario ombra è ben nota. Benché di recente siano state approvate le nuove norme in materia di istituzioni finanziarie di rilevanza sistemica, la questione degli istituti “troppo grandi per fallire” desta ancora grande preoccupazione, e merita di essere seguita attentamente. Si stanno compiendo progressi nell’elaborazione e nella sperimentazione di una metodologia per l’individuazione delle compagnie di assicurazione di rilevanza sistemica globale (G-SII) e nella definizione di opportune linee guida per la supervisione. È inoltre in corso di elaborazione una metodologia per l’individuazione di tutte le istituzioni finanziarie non bancarie di rilevanza sistemica globale.
    Per quelle bancarie (G-SIFI), l’attuazione dello schema concordato di recente è ancora lungi dall’essere completata; bisogna muovere rapidamente in questa direzione. Occorre tenere conto delle esternalità negative associate al comportamento delle banche (specie per le grandi società finanziarie interconnesse).
    Si è formato un ampio consenso sull’idea che le politiche “macroprudenziali” volte a preservare la stabilità finanziaria debbano limitare il rischio sistemico affrontando sia la dimensione trasversale del sistema finanziario, allo scopo di rafforzare la sua resistenza agli shock, reali o finanziari, sia la sua dimensione temporale, al fine di contenere l’accumulo di rischi nell’arco del ciclo economico o finanziario. Inoltre, considerata la natura complementare della stabilità macroeconomica e di quella finanziaria, nonché degli strumenti atti al loro perseguimento, lo scambio di informazioni e il coordinamento fra le autorità macroprudenziali e monetarie sono di cruciale importanza per contrastare contemporaneamente i rischi per la stabilità dei prezzi e i rischi sistemici per la stabilità finanziaria.
    Mi sembra di poter dire, però, che la piena comprensione di come si possa perseguire tale obiettivo con efficacia non è ancora stata raggiunta6. Infine, anche una volta ultimata l’opera di profonda riforma della regolamentazione, sarebbe sciocco pensare che sia sempre possibile evitare le insolvenze. Queste possono sempre essere causate da comportamenti imprudenti o da operazioni fraudolente. Occorre prepararsi a questa evenienza, poiché i costi del sostegno pubblico possono essere molto elevati. Sulla base di recenti evidenze raccolte dalla Commissione europea, gli interventi di ricapitalizzazione pubblica in essere a giugno 2012 ammontavano allo 0,1 per cento del PIL in Francia, all’1,8 in Germania, al 2,0 in Spagna, al 4,2 nel Regno Unito, al 4,3 in Belgio, al 5,3 in Olanda e a oltre il 40 per cento in Irlanda.
    Per la Spagna e l’Irlanda si tratta delle cifre più alte dal 2008, negli altri paesi i dati sono inferiori ai picchi raggiunti nel 2009.
   Per le banche spagnole a luglio è stato autorizzato un programma di ricapitalizzazione con l’utilizzo di fondi europei per un importo pari a 100 miliardi di euro, 41 dei quali (3,9 per cento del PIL) sono già stati versati. In Italia, anche includendo il sostegno fornito il mese scorso alla Banca Monte dei Paschi di Siena, le ricapitalizzazioni pubbliche ammontano allo 0,3 per cento del PIL. Questi dati indicano che i lavori attualmente in corso sui regimi di risoluzione delle crisi bancarie sono molto importanti e un rapido progresso è ineludibile. Ciò riveste particolare rilevanza in Europa, dove presto vedrà la luce il nuovo meccanismo unico di supervisione bancaria.

 

    Edizioni precedenti

    UNIVERSITA' DI  FIRENZE: LECTIO MAGISTRALIS DEL GOVERNATORE B.d'I. VISCO

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Ignazio Visco, Ruolo, responsabilità, azioni
della Banca Centrale nella “lunga” crisi 18-01-2013 *
(Lectio girata per intero, nelle università)

* Lectio magistralis , Università di Firenze - Facoltà di Economia, Giurisprudenza e Scienze Politiche”

    NOTA. In questa importante Lectio, il Governatore ripercorre la "lunga crisi" attuale, ne illustra le cause in relazione ai cambiamenti nell'economia globale, si sofferma sulla politica monetarie durante la crisi, e conclude indicando (a suo dire) i nuovi obiettivi e strategie per la politica monetaria.
    In questo servizio, centriamo l'attenzione sulle sue idee per il futuro.
    Nel complesso, la lectio è "veritiera", ma non puntuale, e questo è un vecchio vezzo della Banca d'Italia (
"Si Voi l'ammirazione dell'amichi, Nun Faje capì Mai Quello Che Dichi", Trilussa). Ad es., perchè una banca (MPS-Monte dei Paschi di Siena), quasi collassata, va salvata con MONTI BONDS (sul Tesoro), e non con prestiti della BCE ? La Banca d'Italia darà l'OK all'ultimo miglio di detti BONDS, pur se il MPS le ha occultato dei documenti ? Posto che una banca non vada lasciata fallire, per riguardo ai risparmiatori depositanti, perchè salvarla con prestiti pubblici, anzichè nazionalizzarla a prezzo di fallimento e licenziare tutti gestori e anche mandarli in galera, in caso di frode fraudolenta (vedi certi derivati) ? NL
   Stralcio dei paragrafi 4 e 5
   (Per l'intero documento, clicca su: http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2013/18012013/Visco_18012013.pdf )
    ................
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   4. Nuovi obiettivi e strategie per la politica monetaria?
   La crisi ha avviato una riflessione sulle strategie di politica monetaria che in precedenza avevano costituito il cosiddetto "Jackson Hole consensus". L’idea di poter intervenire solo dopo lo scoppio di una bolla finanziaria, che aveva ispirato le politiche seguite in risposta alle crisi finanziarie della seconda parte degli anni novanta e del principio del nuovo secolo, ha mostrato i suoi limiti nella crisi recente. Strategie caratterizzate da lunghi periodi di condizioni monetarie accomodanti possono incoraggiare il sistema finanziario ad assumere rischi eccessivi, gettando le basi per l’emergere di nuovi squilibri. Le interconnessioni tra la stabilità macroeconomica e quella finanziaria si sono rivelate più strette di quanto si pensasse in precedenza. Anche in un contesto di stabilità macroeconomica possono svilupparsi squilibri finanziari in grado, se non individuati e arginati tempestivamente, di svilupparsi e di mettere a repentaglio la crescita economica e la stabilità dei prezzi.

   È emersa la consapevolezza che le economie possono essere caratterizzate da una molteplicità di equilibri, non necessariamente stabili. I cambiamenti di regime possono risultare più frequenti, repentini e costosi di quanto si pensasse in passato. In questo contesto, la banca centrale può utilmente intervenire al fine di contribuire a orientare le aspettative e i comportamenti degli operatori privati verso l’equilibrio più efficiente. La complementarità tra stabilità macroeconomica e stabilità finanziaria, e quella tra gli strumenti per perseguirle, suggerisce che la banca centrale può avere un ruolo nel raggiungimento di entrambi gli obiettivi..

   La politica monetaria influenza variabili – quali i prezzi delle attività finanziarie e l’offerta di credito all’economia – il cui andamento è cruciale per la stabilità sia macroeconomica, sia finanziaria. La politica "macroprudenziale", incidendo sul comportamento del sistema finanziario, può a sua volta influenzare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria. D’altronde, la creazione di liquidità da parte della banca centrale non deve dar luogo all’assunzione di rischi eccessivi da parte degli intermediari privati e a un rilassamento della disciplina di bilancio da parte del settore pubblico. Ne discende l’opportunità di circoscrivere gli obiettivi della banca centrale. L’assegnazione all’autorità monetaria del solo compito di garantire la stabilità dei prezzi ne è un esempio. Nel definire i confini dell’attività dell’autorità monetaria va comunque tenuto presente il rischio che l’instabilità finanziaria possa mettere a repentaglio la stabilità monetaria. È necessario ampliare e rendere più precise le informazioni utilizzate dalla banca centrale per valutare i rischi per la stabilità finanziaria e per reagire con misure adeguate, quali quelle etichettate oggi come "non convenzionali". Lo scambio di informazioni e il coordinamento tra autorità monetarie e autorità macroprudenziali sono cruciali per contrastare i rischi per la stabilità dei prezzi e quelli sistemici per la stabilità finanziaria.

   Le misure non convenzionali adottate o annunciate dalla BCE, quali ad esempio le LTRO (Long Term Refinancing Operation ) e le OMTs (Outright Monetary Transactions ) sono state essenziali per mantenere la stabilità dei prezzi nel medio periodo, l’obiettivo primario della politica monetaria nell’area dell’euro. Rientrano pienamente nel mandato della BCE. Il successo e la credibilità della sua politica monetaria sono confermati dal saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione nell’area. Altrettanto complesso è tenere conto delle possibili tensioni tra il mantenimento della stabilità dei prezzi e il sostegno dell’occupazione e della crescita economica. Sebbene questo trade-off non sia in linea teorica presente nell’equilibrio di lungo periodo di un sistema economico, così non è nella fase di transizione verso di esso. Inoltre, l’equilibrio di lungo periodo può non essere unico, né stabile. Possono essere interpretati alla luce di queste considerazioni gli ingenti acquisti di titoli pubblici e di MBS da parte della Riserva Federale (la cui consistenza nel bilancio, pari a circa 800 miliardi di dollari prima della crisi, è giunta, all’inizio dello scorso gennaio, a circa 2.700) volti a contrastare, mediante la riduzione dei rendimenti a lungo termine sui titoli pubblici e del costo del credito, i rischi di isteresi nel mercato del lavoro e le conseguenze che essa potrebbe avere sulla crescita di lungo periodo.
Analogamente, le recenti modifiche nella comunicazione della Riserva Federale sono volte a influenzare le aspettative degli agenti sull’orientamento futuro della politica monetaria, con l’obiettivo ultimo di favorire il calo della disoccupazione tollerando, in un contesto di ancoraggio delle attese di inflazione di lungo termine, deviazioni temporanee delle proiezioni del tasso di inflazione della banca centrale dall’obiettivo di stabilità dei prezzi. La possibilità di sfruttare l’eventuale trade-off di breve periodo tra stabilità dei prezzi e sostegno all’occupazione dipende, tuttavia, dall’informazione a disposizione dell’autorità monetaria.

NINO LUCIANI, Breve commento.

   In essenziale, Visco, prima dà risalto al lavoro della BCE, Banca Centrale Europea, per assicurare liquidità al sistema bancario e, in particolare, per salvare lo Stato italiano dalla bancarotta, preso atto del grave stato di sofferenza delle banche, e del debito pubblico, pari al 120% del PIL, e poi indica le terapie.
    In particolare egli è impietoso verso gli Stati a lungo imprudenti (vedi Italia, in particolare il governo precedente), che si sono allonantati, anzichè avvicinarsi agli obiettivi di Maastricht, per cui il debito pubblico deve essere non più del 60% del PIL (mentre è al 120% e più). Pertanto, quando è sopravvenuta la crisi monetaria montale, quel governo ha dovuto soccombere e ritirarsi, pressato dal rischio di bancarotta dell'Italia
    Ma al tempo stesso, nei confronti delle sofferenze bancarie egli è totalmente asciutto.
E questo è un vecchio vezzo della Banca d'Italia ("Si Voi l'ammirazione dell'amichi, Nun Faje capì Mai Quello Che Dichi", Trilussa). Ad es., una banca è ladrona (MPS-Monte dei Paschi di Siena) e collassa va salvata con prestiti (in qualche modo pubblici) o va nazionalizzata ? La Banca di Italia può giusrificarsi, per inadeguato controllo, solo perchè il MPS ha occultato dei documenti ?
  Quanto al futuro, VISCO non va oltre la richiesta di un ruolo accresciuto della BCE nel controllo e nell'indirizza- mento delle banche e della osservanza del rispetto di alcuni parametri di patrimonializzazione delle banche, a garanzia della clientela (vedi Basilea 3).
    Questo è abbastanza insopportabile, per alcuni motivi:
    a) Il patrimonio di una qualunque azienda (quindi anche delle banche) vale in base ai profitti che crea. Dunque, in caso di attese negative degli utili, il patrimonio sparishe, economicamente. In questo senso, il patrimonio (10% degli impieghi ?) deve essere "liquido" almeno per il 50% perchè, solo se "liquido", garantisce assolutamente.
    Su questo versante, la riflessione si sposta sulla "riserva obbligatoria" che, stando alle regole della BCE, è poco più che simbolico (lasciamo stare, poi, il fatto che lovalmente, e da caso a caso possa essere aumentata). Siamo molto lontani dalle idee di Einaudi, Governatore B.d'I. a quel dì.
    Questo aspetto è fondamentale, perchè il parametro della riserva obbligatoria è la molla per la creazione della "moneta bancaria" (assegni circolare, assegni bancari ....), che va ad aggiungersi alla "moneta legale", e che è stato il veicolo dello straordinario arricchimento (diciamo meglio, del furto sistematico legalizzato delle banche nell'appropriarsi dei  beni della società civile E' quanto facevano un tempo i principi e monarchi assoluti battendo moneta, e da cui partì la decisione dei Parlamenti di sottrarre, a loro, il potere di battere moneta, e di trasferirlo alle Banche Centrali);
   b) il controllo esterno di tipo generale (quello che Visco, anche giustamente, vuole fatto dalla BCE nei confronti delle banche - vedi unione monetaria) è impotente se non effettuato su basi ben definite: in questo caso, sulla distinzione (e separazione) tra banche commerciali (dedite al deposito e al giro dei depositi a breve), e istituti finanziari (dediti ai depositi e giro del denaro a medio lungo termine), come gli Inglesi si avviano a fare;
   c) la funzione bancaria va definita come servizio pubblico, non come orientata al profitto.
   Tutto questo, richiede di abolire la legge bancaria del 1993, e il ritorno (sia pure aggiornato) alla legge del 1936 (abrogata nel 1993). NINO LUCIANI

   Non è comunque possibile sostenere la crescita reale e l’occupazione solo o prevalentemente con interventi di natura monetaria o finanziaria. Nell’insieme, queste considerazioni spiegano perché quella del banchiere centrale non è solo (o tanto) una scienza ma anche in buona misura un’arte. Pur senza prescindere dalla necessità di fondarsi su analisi tecniche e quantitative ampie e approfondite, rilevano intuito, pragmatismo e capacità di comprendere le determinanti fondamentali delle dinamiche economiche e dei mercati e di scegliere di volta in volta gli strumenti di intervento più appropriati, con la consapevolezza che non ci sono analisi e rimedi validi in tutte le stagioni. Per questa ragione è importante che, pur prevedendo adeguati presidi a garanzia della correttezza del loro operato, alle banche centrali non vengano "legate le mani". L’assenza di regole troppo stringenti ha consentito di adottare le misure necessarie per contrastare la crisi, evitare conseguenze più gravi sull’attività economica e garantire la stabilità dei prezzi. La capacità di adeguare alle circostanze la dimensione e lo scopo degli interventi di politica monetaria è stata essenziale per evitare scenari distruttivi e ripristinare la fiducia, il bene essenziale prodotto dalle banche centrali. Tale flessibilità sarà essenziale anche in futuro per la definizione delle strategie di uscita dalle misure eccezionali di politica monetaria oggi adottate.

   5. Conclusioni.
  L’uscita dalla crisi nell’area dell’euro non potrà derivare da azioni isolate di singole autorità di politica economica. In particolare, la politica monetaria non potrà da sola garantire la stabilità finanziaria dell’area in mancanza di soluzioni, a livello nazionale ed europeo, ai problemi all’origine della crisi dei debiti sovrani. La fragilità delle finanze pubbliche di alcuni paesi europei è il risultato di politiche di bilancio a lungo imprudenti, di una colpevole sottovalutazione delle conseguenze di ampie, protratte perdite di competitività. Nel 2007, a quasi un decennio dall’avvio della moneta unica, solo pochi paesi registravano saldi di bilancio strutturali vicini al pareggio. Sulla base dei prezzi alla produzione le perdite di competitività registrate tra il 1999 e il 2008 nelle economie più colpite dalla crisi recente vanno dai 7 punti percentuali dell’Italia ai circa 14 dell’Irlanda e della Spagna, ai 18 della Grecia, fino ai 22 del Portogallo. Queste perdite sono per la maggior parte il risultato della deludente performance della produttività nel contesto dei grandi cambiamenti globali sopra richiamati. Gli accordi raggiunti nel corso dell’ultimo biennio non hanno introdotto obiettivi di bilancio più restrittivi di quelli preesistenti; hanno reso cogenti gli impegni presi in passato.

    La nuova governance europea ha accresciuto l’automatismo sia dei controlli di coerenza tra le politiche e gli obiettivi già presenti nel Patto di Stabilità e Crescita, sia delle eventuali sanzioni; ha chiesto ai paesi di fare propri tali obiettivi dandone formale riconoscimento nella legislazione nazionale. Le critiche secondo cui la cosiddetta regola del debito imporrebbe un orientamento permanentemente restrittivo alla politica di bilancio sono infondate. La regola, che prescrive una riduzione media annua del rapporto tra il debito e il prodotto pari a un ventesimo dell’eccesso rispetto alla soglia del 60 per cento, è il riferimento operativo per l’applicazione di una prescrizione già presente nel Trattato di Maastricht. Essa non impone obiettivi di bilancio più ambiziosi del pareggio strutturale (ossia al netto degli effetti del ciclo economico e di misure transitorie). Il soddisfacimento di quest’ultimo vincolo garantisce la sostanziale invarianza del debito in termini nominali; in tali condizioni, per l’Italia, una crescita annua del PIL nominale lievemente inferiore al 3 per cento sarebbe sufficiente a garantire la riduzione del rapporto tra debito e prodotto richiesta dalla "nuova" regola. Poiché tale riduzione viene valutata in media su un triennio, non in ciascun anno, nelle fasi sfavorevoli del ciclo economico sono possibili disavanzi, da compensare con surplus nelle fasi favorevoli.

   A livello europeo, occorre continuare ad accrescere il coordinamento delle politiche economiche e strutturali e gli incentivi alle riforme, passare da una gestione di tipo intergovernativo basata sulla peer review delle politiche nazionali all’elaborazione di vere e proprie politiche comuni. È necessario proseguire con decisione nel cammino che porta a una piena unione monetaria, bancaria, di bilancio e, in prospettiva, politica. La BCE ha dimostrato di essere pronta ad accompagnare questo cammino, continuando a "produrre la fiducia" necessaria. Le decisioni sin qui prese, in particolare quella relativa alle OMT, hanno contribuito a dissipare il diffuso pessimismo sull’integrità dell’unione monetaria; hanno rafforzato la capacità della banca centrale di orientare le aspettative e i comportamenti nei mercati verso un equilibrio coerente con i fondamentali dell’economia dell’area. L’economia italiana è ancora in recessione.

   Nel quadro macroeconomico presentato nel Bollettino economico della Banca d’Italia pubblicato oggi, il PIL dell’Italia sarebbe sceso di poco più del 2 per cento nel 2012. Nell’estate del 2011, prima che la crisi dei debiti sovrani si estendesse al nostro Paese, si prevedeva una crescita di circa un punto. La differenza riflette gli effetti diretti delle manovre di risanamento dei conti pubblici, quelli esercitati sul costo e sulla disponibilità del credito per il settore privato dalla crisi finanziaria (peraltro arginata dalla politica di bilancio e dalle riforme strutturali), il rallentamento del commercio internazionale, l’aumento dell’incertezza e il connesso calo della fiducia. Anche quest’anno sarà un anno difficile. Stimiamo che il prodotto possa ridursi in media dell’1,0 per cento.
    La recessione potrebbe avere fine nella seconda parte del 2013. Ma, al di là della congiuntura sfavorevole, il nostro paese deve saper trovare le motivazioni e gli incentivi per affrontare con decisione il problema della crescita. Guadagni di competitività possono essere solo il risultato di un impegnativo ma imprescindibile disegno organico di riforma. I suoi punti fondanti sono da tempo oggetto di attenzione: dalle liberalizzazioni nell’accesso ai mercati al loro migliore funzionamento e al sostegno dell’accumulazione di capitale umano e fisico, dal miglioramento della qualità dei servizi pubblici alla riduzione degli ostacoli burocratici, dal contrasto all’evasione fiscale e alla corruzione a una maggiore efficienza della giustizia civile. La crescita della produttività dipende da un progresso netto in tutte queste componenti. L’equilibrio dei conti pubblici, che non esclude ricomposizioni nelle principali poste di bilancio, è la precondizione per il successo: l’incertezza delle condizioni sui mercati finanziari legata alle tensioni sui debiti sovrani riduce la fiducia, disincentiva l’investimento e l’innovazione.

 

    PER  LA  PROMOZIONE  E  LA  VALORIZZAZIONE   DELLA  LINGUA  LATINA
ISTITUITO  DAL  PAPA  LA  "PONTIFICIA  ACCADEMIA  DI   LATINITA'

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,
E
NOMINATO PRESIDENTE della PONTIFICIA ACCADEMIA
IL RETTORE DELL'ATENEO DI BOLOGNA
Papa: "promuovere e valorizzare la lingua e la cultura latina,
in particolare presso le istituzioni formative cattoliche".

LUCIANI, Notizia ripresa dalla stampa più con curiosità, che con convinzione.
Ragioni della latinità in Italia. Domande sulla compatibilità delle due cariche.

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    NOTA. In loco, la nomina è inevitabilmente collegata al modo della nomina, alla compatibilità, alle contingenze :
  - nomina totalmente dall'alto, senza un proponente locale, che ne assuma la responsabilità pubblica: non il suo Dipartimento, per parte scientifica; non il Vescovado, per parte ecclesiastica;
  - la nomina non risulta comunicata all'Ateneo, così da permettere agli Organi di verificare la compatibilità delle due cariche di Rettore e di  Presidente, ma i dubbi potrebbero essere sanati dall'interessato facendo chiarezza sulle sue intenzioni: l'attuale mandato di rettore scade nel 2013, in quanto eletto per 4 anni, oppure si intende validamente prorogato al 2015, come è scritto nello Statuto ?
   Tuttavia, l'ipotesi di incompatibilità si sgonfierebbe se la nomina fosse puramente onorifica. Si vegga, sotto, lo Statuto dell'Accademia. 
   - contestazioni (che non si placano) per la gestione non democratica dell'Ateneo. Ultimi gli studenti del "Sindacato degli  Universitari", che lo accusano di commissionare  il "lavoro sporco" (nel senso di impopolare) a dei Colonnelli (Pro Rettori), anzichè farlo personalmente: come discriminarli (clicca su: studenti ) nelle decisioni di competenza studentesca, a favore degli studenti dello Student Office di CL, presunti amici del Cardinale ( vox populi ).

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Ivano Dionigi e Carlo Caffarra

XVII SEDUTA PUBBLICA DELLE PONTIFICIE ACCADEMIE.
PONTIFICIA ACCADEMIA DELLA LATINITA’.
Insediamento del Prof. Ivano Dionigi, come Presidente
Roma 21 novembre 2012
Fonte*: Originale

Intervento del Prof. Ivano Dionigi

Em.za Rev.ma Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone;
Em.za Rev.ma Cardinale Gianfranco Ravasi Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e del Consiglio di Coordinamento fra Accademie Pontificie;

Eminentissimi e Reverendissimi Cardinali;
Eccellentissimi Vescovi;
Signori Ministri e Onorevoli;
Eccellentissimi Signori Ambasciatori;
Signori Presidenti delle Accademie Pontificie;
presenti tutti: a voi il mio indirizzo di saluto e di benvenuto più cordiale

Summo Pontifici laeto animo maximas ago gratias quod me amplissimo honore et nomine Praesidis nuper conditae Pontificiae Academiae affecit:
(Ringrazio massimamente il Sommo Pontefice per l'altissimo onore per la nomina di Presidente della Pontificia Accademia testè istituita) :

Litterae Apostolicae motu proprio datae non solum Ecclesiam sed etiam ceteras institutiones, maxime Universitates Studiorum, sollicitant ad Latinam linguam fovendam, quae – propter ubertatem, perspicuitatem, gravitatem – fidei hereditatem, universalitatem, immutabilitatem colligit, consummat omnibusque populis tradit.
Quin Litterae Apostolicae easdem institutiones hortantur ad recipiendam copiosam ac multiformem veterum sapientiam nonnumquam Christianae novitati consonam.
Exoptamus igitur ut Latina lingua cultusque magis magisque innotescat et percrebescat, haec quidem Academia non tantum nobis et proximis, sed etiam multis, immo plurimis prodesse possit.
Denique, quo planius omnibus dicam, ad Italicum sermonem redeo.

Come interpretare al meglio la costituzione della Pontificia Accademia della Latinità?Come accordarne idealmente pensiero e finalità al magistero della Costituzione Apostolica Veterum Sapientia di Giovanni XXIII (1962) e della Fondazione Latinitas istituita da Paolo VI (1976)?
Più in generale: come contribuire a rendere utile e addirittura necessaria una lingua morta e la relativa cultura ormai da decenni rimossa, tenendo al contempo lo sguardo rivolto avanti e indietro, simul ante retroque prospicientes?
L’Europa ha ininterrottamente parlato latino, tra monopolio e primato, fino a tutto l’Ottocento e oltre, attraverso le tre sfere e istituzioni principali: Ecclesia, Imperium, Studium, la Chiesa e la religione, l’Impero e la politica, la cultura e la scienza. Senza dire che le stesse parlate volgari altro non sono che "dialetti" del latino. Per questo De Maistre poteva ben affermare: "il latino è il segno dell’Europa".
La cesura è intervenuta in tempi recenti: agli inizi degli anni Sessanta del ventesimo secolo, quando, dopo la Scienza e la Scuola, anche la Chiesa abbandonò il "monoteismo" latino.
Infatti, il Concilio Vaticano II decise di rinunciare in parte, nella sacra liturgia, alla lingua latina, e di adottare le lingue nazionali, memore dell’ammonimento di Agostino – riecheggiato dall’allora Cardinal Montini – secondo cui era meglio essere compresi dai "popoli" che rimproverati dai "professori" (melius est reprehendant nos grammatici quam non intellegant populi, enarr. in Psalm. 138, 20). Comprensibilmente quella Chiesa che si apriva al popolo di Dio e al mondo contemporaneo non poteva continuare a celebrare la comunione dei fedeli in una lingua ormai pressoché sconosciuta.
Eppure, proprio in quegli anni, esattamente il 22 febbraio del 1962, papa Giovanni XXIII firmava e diffondeva con la Veterum sapientia un accorato elogio sia della sapienza classica (della quale andava recuperato e quasi carpito quod verum et iustum et nobile denique pulchrum) sia delle due lingue: il greco e soprattutto il latino, riconosciuto come loquendi genus pressum, locuples, numerosum, maiestatis plenum et dignitatis … quod unice et perspicuitati conducit et gravitati ("uno stile conciso, ricco, armonioso, pieno di maestà e di dignità che come nessun altro giova alla chiarezza e alla solennità"). Una enciclica ricca di pensiero e di proposte, in verità non pienamente compresa e valorizzata negli anni seguenti.
Un doppio registro? Una doppia norma? Un messaggio contraddittorio tra Concilio e la Costituzione Apostolica? Nulla di tutto ciò. Semplicemente, e del tutto coerentemente, si voleva ricordare ai pastori, al clero, ai futuri sacerdoti – come fa ora il motu proprio di Sua Santità – che la conoscenza della lingua latina e della cultura di Roma costituiscono un patrimonio irrinunciabile, perché in quella lingua e in quella cultura si ritrovano e si concentrano tre proprietà costitutive della fede: l’eredità, l’universalità, l’immutabilità. L’eredità, perché quella è stata lingua dei padri; l’universalità, perché attraverso il latino la Chiesa si è rivolta "cattolicamente" a tutti i popoli; l’immutabilità, perché nella fissità di una lingua morta si custodisce l’eternità delle cose. Si aggiunga che alla misteriosità della fede contribuiva non poco la stessa estraneità di una lingua ormai desueta. Grazie a quelle proprietà, si potrebbe dire che non la Chiesa ha scelto il latino, ma il latino ha scelto la Chiesa.

Quid nunc? Non possiamo non chiederci oggi: "latino per chi? Latino perché?"
Per tre buoni motivi.
    - Per la tutela della ricchezza culturale: sì, di quelli che siamo abituati a definire Beni culturali. "Mai l’America, - ha ammonito il compianto Giuseppe Pontiggia -, se Roma fosse sorta nel Texas, si sarebbe comportata come fa la scuola italiana". Come capire e far capire il nostro unico patrimonio artistico e culturale senza conoscere la lingua e la cultura dell’antichità? Come non capire che qui è in gioco non solo il destino culturale del Paese, ma anche un’opportunità occupazionale per i giovani?
   - Per parlare bene. Ne era convinto anche un pensatore come Aléxis de Tocqueville, il quale pur schierato dalla parte del sapere scientifico e tecnologico, riconosceva agli autori greci e latini una cura formale esemplare ("nulla nelle loro opere appare scritto in fretta o a caso"). E già Platone ammoniva che parlare male, oltre a essere una cosa brutta in sé, fa male anche all’anima. Noi oggi scontiamo una vera e propria entropia linguistica: una condizione di disordine in cui le nostre parole, ridotte a vocaboli, smarriscono il loro volto e perdono la loro forza. Nel periodo del maximum della comunicazione sperimentiamo il minimum della comprensione. Necessitiamo di ecologia linguistica per comprendere la ricchezza semantica che comporta il disvelamento dell’etimologia delle parole. C’è una lingua neutra oggi, veicolare, una sorta di koiné diafana e asettica che ci fa esclamare con Sallustio: vera vocabula rerum amisimus ("abbiamo perduto il significato vero delle parole").
    - In terzo luogo, i classici ci aiutano a pensare bene. Se, come riteneva Nietzsche, alla Scuola si richiede di formare non solo "utili impiegati" ma "cittadini" interi, allora la frequentazione dei classici e delle loro lingue s’impone sia come fondamento sia come antagonismo rispetto al presente.

Fondamento. C’è una ricerca ossessiva delle radici e dell’identità che non piace e che non giova, propria dei sopravvissuti. Penso a certe Sodalitates che sfidando il ridicolo e nuocendo alla causa pretendono di recuperare anacronisticamente e sterilmente il latino come lingua viva. No; io sto con Eliot, grande ammiratore della classicità e in particolare della lingua di Virgilio, il quale amava dire che il latino è lingua morta, irrimediabilmente morta

Fonte**: Lettera Apostolica

Statuto della Pontificia Accademia
di Latinità

Articolo 1. E’ istituita la Pontificia Accademia di Latinità, con sede nello Stato della Città del Vaticano, per la promozione e la valorizzazione della lingua e della cultura latina. L’Accademia è collegata con il Pontificio Consiglio della Cultura, dal quale dipende.

Articolo 2.
§ 1. Scopi dell’Accademia sono:
a) favorire la conoscenza e lo studio della lingua e della letteratura latina, sia classica sia patristica, medievale ed umanistica, in particolare presso le Istituzioni formative cattoliche, nelle quali sia i seminaristi che i sacerdoti sono formati ed istruiti;
b) promuovere nei diversi ambiti l’uso del latino, sia come lingua scritta, sia parlata.

§ 2. Per raggiungere detti fini l’Accademia si propone di:
a) curare pubblicazioni, incontri, convegni di studio e rappresentazioni artistiche;
b) dare vita e sostenere corsi, seminari ed altre iniziative formative anche in collegamento con il Pontificio Istituto Superiore di Latinità;
c) educare le giovani generazioni alla conoscenza del latino, anche mediante i moderni mezzi di comunicazione;
d) organizzare attività espositive, mostre e concorsi;
e) sviluppare altre attività ed iniziative necessarie al raggiungimento dei fini istituzionali.

Articolo 3.
La Pontificia Accademia di Latinità si compone del Presidente, del Segretario, del Consiglio Accademico e dei Membri, detti anche Accademici.

Articolo 4
§ 1. Il Presidente dell’Accademia è nominato dal Sommo Pontefice, per un quinquennio. Il Presidente può essere rinnovato per un secondo quinquennio.
§ 2. Spetta al Presidente:
a) rappresentare legalmente l’Accademia, anche di fronte a qualsiasi autorità giudiziaria ed amministrativa, tanto canonica quanto civile;
b) convocare e presiedere il Consiglio Accademico e l’Assemblea dei Membri;
c) partecipare, in qualità di Membro, alle riunioni del Consiglio di Coordinamento delle Accademie pontificie e mantenere i rapporti con il Pontificio Consiglio della Cultura;
d) sovrintendere all’attività dell’Accademia;
e) provvedere in materia di ordinaria amministrazione, con la collaborazione del Segretario, e in materia di straordinaria amministrazione, in accordo con il Consiglio Accademico e con il Pontificio Consiglio della Cultura.

Articolo 5
§ 1. Il Segretario è nominato dal Sommo Pontefice, per un quinquennio. Può essere rinnovato per un secondo quinquennio.
§ 2. Il Presidente, in caso di assenza o impedimento, delega il Segretario a sostituirlo.

Articolo 6
§ 1. Il Consiglio Accademico è composto dal Presidente, dal Segretario e da cinque Consiglieri. I Consiglieri sono eletti dall’Assemblea degli Accademici, per un quinquennio, e possono essere rinnovati.
§ 2. Il Consiglio Accademico, che è presieduto dal Presidente dell’Accademia, delibera circa le questioni di maggiore importanza che riguardano l’Accademia. Esso approva l’ordine del giorno in vista dell’Assemblea dei Membri, da tenersi almeno una volta l’anno. Il Consiglio è convocato dal Presidente almeno una volta l’anno e, inoltre, ogni volta che lo richiedano almeno tre Consiglieri.

Articolo 7
Il Presidente, con il parere favorevole del Consiglio, può nominare un Archivista, con funzioni di bibliotecario, ed un Tesoriere.

Articolo 8
§ 1. L’Accademia consta di Membri Ordinari, in numero non superiore a cinquanta, detti Accademici, studiosi e cultori della lingua e della letteratura latina. Essi sono nominati dal Segretario di Stato. Raggiunto l’ottantesimo anno di età, i Membri Ordinari diventano Emeriti.
§ 2. Gli Accademici Ordinari partecipano all’Assemblea dell’Accademia convocata dal Presidente. Gli Accademici Emeriti possono partecipare all’Assemblea, senza diritto di voto.
§ 3. Oltre agli Accademici Ordinari, il Presidente dell’Accademia, sentito il Consiglio, può nominare altri Membri, detti corrispondenti.

Articolo 9
Il patrimonio della estinta Fondazione Latinitas e le sue attività, inclusa la redazione e pubblicazione della Rivista Latinitas, sono trasferite alla Pontificia Accademia di Latinità.

Articolo 10
Per quanto non previsto espressamente si fa riferimento alle norme del vigente Codice di Diritto Canonico ed alle leggi dello Stato della Città del Vaticano.

Nino LUCIANI, Il Commento.

1.- Premessa. L'istituzione della Pontificia Accademia di Latinita', con l'obiettivo del riposizionamento alto della lingua latina, e' una scelta molto seria e non solo per la Chiesa cattolica. Ma la notizia che ne e' stata affidata la Presidenza al prof. Dionigi rende la cosa non ben definita, come, per alcuni di noi (ma col senno di poi) è la sua elezione alla carica di Rettore della Universita' di Bologna. Per un commento dovremo, pertanto, separare i due eventi.

2.- In cerca di motivazioni per ripescare il Latino. In Italia e nel mondo, il latino e' stato declassato dalla Chiesa Cattolica, al proprio interno, quando il Concilio Vaticano II ha voluto le liturgie, a cominciare dalla S. Messa, nella lingua del Paese locale e dallo Stato Italiano quando il latino e' stato eliminato nella scuola media di I grado e reso facoltativo in altre scuole.
  E si ricorderà che, dentro la Chiesa, i soccorritori estremi del latino furono, poi, i "Lefebvriani".
  Invece, ultimamente in Italia, e' in rimonta il movimento per il recupero obbligatorio del latino, nelle scuole. Io ho studiato il latino per 8 anni, ed ho tradotto molti testi latini, cosi' come tanti altri come me. Ma, poi, non avendo occasione di parlare in latino, l'ho dimenticato e adesso fatico anche a tradurlo.
  Ritengo, pero', che il latino sia stato fondamentale nella mia formazione: da un lato, mi parrebbe fuori luogo riproporre il latino come lingua parlata (e questo anche in seno alla Chiesa), ma, da altro lato, riterrei il latino molto importante per il collegamento diretto delle nuove generazioni alle fonti scritte della civilta' romana (e di quelle ecclesiastiche per i sacerdoti). Ne troviamo una dimostrazione evidente nel fatto che, dovunque noi giriamo in Italia e nei Paesi che vennero conquistati dai Romani, ci imbattiamo in testimonianze delle origini della nostra civilta'. La romanita' voleva (e vuole tuttora) dire sostanzialmente :
  - governo centralizzato per la difesa, la sicurezza, la giustizia nel territorio dell'impero;
  - ampia autonomia amministrativa locale (e rispetto delle tradizioni locali);
  - mercato comune;
  - moneta comune;
  - tributo erariale a Roma e liberta' di tributo locale agli enti territoriali locali;
  - lingua comune ufficiale (latino).

La Chiesa di Roma ne è erede, in particolare per :
- la struttura organizzativa: un monarca universale (il papa di Roma), tanti monarchi locali in successione decrescente (il vescovo nella Diocesi, il Parroco nella Parrocchia), l'offerta monetaria volontaria;
- la lingua latina.
  Non mancano gli organi consultivi, ma con il compito prevalente della comunicazione esterna.

  E' noto il marasma e l'indefinitezza dei Governi, dopo la caduta dell'Impero Romano, per lunghi secoli, finche':
  - qualcosa di unitario europeo potrà ricostruirsi solo verso l'anno 1000 (sara' dell'800 la incoronazione di Carlo Magno);
  - poi di nuovo la frantumazione dell'unita' europea con la nascita degli Stati Nazionali, e con le micro-statalita' in Italia sopravvissute fino al 1860;
- di nuovo la ripresa delle grandi scelte verso l'unita' europea (e' del 1956, la nascita del Mercato Comune).

   Ricordato brevemente tutto questo, mi pare molto normale l'esigenza di recuperare la comprensione diretta dei testi scritti (laici e religiosi) nei quali ritrovare le origini della propria civilta'; e mi pare molto bello che la nuova prima pietra sia lanciata da un Papa tedesco, cioè proveniente da quella nazione che in Europa ci ha causato grandi sofferenze senza un costrutto finale stabile.

3.- Torniamo a Dionigi. Il secondo passaggio di queste considerazioni ci fa imbattere in IVANO DIONIGI, come traghettatore, chiamato dal Papa.
  Non vorremmo guastare nulla..., soprattutto se Dionigi vede in questa Presidenza la realizzazione del suo grande sogno: riportare il latino sul poggio degli Stati Europei, e con cio' rispondere alle aspettative del Papa. In questo non possiamo che esserne contenti, per Lui, per il Papa, e per tutti noi Europei.
  Ma alcune considerazioni sono ineludibili:
  a) Sono compatibili le due cariche di Rettore e di Presidente ? Con la nuova nomina, Dionigi viene a sommare due cariche. Se la nuova nomina e’ puramente onorifica, per il nostro Ateneo il problema della loro compatibilita’ cade subito.
Un primo chiarimento non puo' che cercarsi in casa ecclesiastica. Lo Statuto della Accademia (qui riportato a fianco), gia' prevede (per la Presidenza della Accademia) molte funzioni impegnative e da svolgere di prima persona.
  Stando alle dichiarazioni del Card. Ravasi, ci sono grandi aspettative, visto che il Pontefice vuole riconquistare al latino spazi perduti e che - anche per la sua eta' - non ha certo molto tempo. Di conseguenza, e' verosimile che il Pontefice si attenda un grandissimo impegno personale del prof. Dionigi che si potrebbe trovare costretto a ricorrere ai "colonnelli" anche per l'Accademia, come peraltro previsto dallo Statuto.
  Un secondo chiarimento dovrebbe venire da Unibo. La nomina non risulta essere stata comunicata all'Ateneo, cosi’ da permettere agli Organi Accademici di verificare la compatibilita’ delle due cariche.
 
I dubbi potrebbero essere sanati se il Rettore facesse chiarezza sulle sue intenzioni. Infatti,
n
el 2013 scade il mandato rettorale (4 anni), ma, in applicazione di una facolta' della legge Gelmini, il nuovo Statuto (voluto dal Rettore) ha prorogato di 2 anni il mandato, cioè fino al 2015.
  Per memoria, il predecessore F. Roversi Monaco, avvalendosi di altra legge del momento, prorogo' il mandato in scadenza, suscitando un vespaio generale nell'Ateneo di Bologna e il prof. Dionigi (allora membro del CdA) censuro' severamente quel presunto abuso (non io, per motivi che non e' il caso inserirli qui).
  Poiche' non è obbligatoria la proroga di due anni, parrebbe logico e conseguente attendersi una pubblica dichiarazione del Rettore Dionigi sulle sue intenzioni, e questo servirebbe a far chiarezza anche sulla nomina papale di Presidente della Pontificia Accademia di Latinita’.

b) Lumi dalla comunita’ accademica ? Per una decisione, non e’ irrilevante (per lui) riflettere sulla opinione emersa, in importanti occasioni, presso la base dell’Ateneo, e tra queste:
-  un referendum consultivo in occasione della

e fortunatamente morta, cosicché noi possiamo spartircene l’eredità; ma un’eredità da conquistare, non già un feticcio da ossequiare ("ciò che hai ereditato dai padri, conquistalo per possederlo", Goethe).
Qui sta la sfida consegnata all’iniziativa e all’intelligenza di questa Accademia: individuare i modi realistici ed efficaci per capitalizzare questa straordinaria eredità linguistica e culturale.
C’è invece una ricerca delle radici e dell’identità che piace e che giova: l’identità del lessico fondamentale dell’Europa, la quale – come ricordavamo ­– ha sempre parlato latino; dei lasciti culturali specifici (il pensiero filosofico, politico, giuridico, ma anche tecnico e scientifico); e soprattutto dell’eredità plurale, vale a dire l’acquisizione di una forma mentale aperta a tutte le possibili alternative, perché il mondo classico è abitato non da un pensiero unico e limitante, bensì dalla pluralità delle concezioni rivali del mondo. I classici, dunque, come testimoni di identità plurali o - per dirla con Canetti - come "custodi delle metamorfosi"; dei labirinti delle lingue e culture - ebraica, greca e latina - che educano al linguaggio della diversità, che alla cultura lineare e impoverente dell’aut aut sostituiscono la cultura dell’et et, vale a dire della memoria e dell’inclusione.
Un’eredità, questa, che ci rende da un lato più disincantati e più saldi, dall’altro più ricchi e più aperti di fronte ai nuovi interlocutori che già da diversi lustri caratterizzano la scena del mondo: la globalizzazione col suo profeta Internet, e le culture altre rispetto a quelle di Roma, Gerusalemme e Atene.
Ancora: la necessità e la centralità del latino si impongono perché Roma e la sua lingua sono state per noi il tramite per conoscere Atene e Gerusalemme: "se la civiltà occidentale è stata sagomata da tre grandi civiltà antiche, la greca, la latina, l’ebraica, il tramite linguistico – che non è solo formale, perché le categorie del pensiero e del linguaggio interagiscono – è stato il latino: dall’unità politica dell’impero romano a quella religiosa della cristianità medievale, dall’unità culturale dell’umanesimo a quella scientifica del mondo moderno" (Traina). E a ragione Rémi Brague sottotitolava il suo Il futuro dell’Occidente (1998) così: "Nel mondo romano la salvezza dell’Europa" ("i Romani non hanno fatto che trasmettere […] hanno portato la novità stessa. Hanno portato come nuovo ciò che per loro era antico. Hanno accettato di porsi dopo i Greci, e dopo gli Ebrei").
Ma la forza e la bellezza dei classici – la loro gratia e potentia, direbbe Seneca - sta non solo nell’essere fondamento, bensì anche antagonisti del presente; essi sono non solo nel segno dell’identità, ma anche nel segno dell’alterità. Forti del patrimonio della tradizione (e delle tradizioni), i classici contrastano coi conformismi del presente e con le mode del momento (modo). Perché i classici ci interessano? – si chiedeva Sanguineti: "i classici ci interessano perché sono da noi radicalmente diversi. Sono radicalmente esotici […] temporalmente come spazialmente". I classici – intesi non come contenitori ma come attori della cultura, come coloro che hanno ancora da essere (Mandel’stàm) – valgono come resistenza culturale e antidoto etico per i nostri giorni, segnati dalla semplificazione e dalla doxa. Una sola riflessione a questo proposito: di fronte all’imperante sincronia e dittatura del presente, proprio la lingua latina ci può soccorrere nel recupero di un valore primario e costitutivo dell’uomo: il valore del tempo. Sì, perché il latino è lingua geneticamente temporale, per eccellenza sub specie temporis, perché poggia tutta sul verbo; e il verbo – "angelo del movimento che dà spinta alla frase" (Baudelaire) – ci disvela la dimensione diacronica: l’esperienza del continuum temporale personale e collettivo. Si aggiunga che il latino è non solo lingua sintetica perché improntata alla brevitas, ma anche progettuale: il suo ordo verborum si tende e ci lascia sospesi fino a quando il prima, il durante e il poi non si ricompongono.

Così lingua e cultura classica acquistano un ruolo inedito di contraltare della modernità. E – voglio aggiungere - da malinteso segno e strumento della conservazione e difesa del potere possono diventare segno e strumento di cambiamento e difesa dal potere ("Chi abbia letto una sola tragedia greca, una sola ‘invettiva’ dantesca, un verso della Ginestra, saprà ascoltare, saprà riconoscere i propri limiti e il valore altrui – ma passivamente obbedire mai", Cacciari).

Ci interroghiamo spesso e maldestramente sull’attualità dei classici; loro, attuali, lo sono: chiediamoci piuttosto – ancora con Pontiggia – se lo siamo noi.
Un’eredità, quella dei classici, che potrà essere salvaguardata e messa a frutto solamente se non solo nello Studium, ma anche nell’Ecclesia – come ci viene richiesto espressamente dal Santo Padre – verrà giustamente reintrodotto e impartito ai futuri sacerdoti l’insegnamento della lingua latina; e se, in secondo luogo, proprio questa Pontificia Accademia costruirà ponti con il sapere delle Università e del mondo laico, nella consapevolezza che è in gioco un comune destino culturale.
Occorrerà adoperarsi perché ci siano ancora e sempre grammatici in grado di capire e tramandare i testi classici a favore dei populi. E questa trasmissione, come ogni scienza, può nascere solo – con un forte senso di responsabilità comunitaria – dalla "lampadoforia", e non dalla "tremula fiaccola del singolo" (Bacone, De sapientia veterum). IVANO DIONIGI

discussione del nuovo Statuto generale dell’Ateneo (98% dei votanti, 3000 circa) che ha censurato il suo progetto di Statuto).
  -  proteste di rappresentanze studentesche, che si dicono discriminate, a seconda che siano a favore del Rettore (i Ciellini) o indipendenti (quelli del Sindacato degli universitari, clicca su: studenti), e che lo dicono essersi avvalso di Colonnelli (ossia di Pro Rettori) per il "lavoro sporco" (nel significato di impopolare), anziche' farlo personalmente.
 
   Ci sono, poi, comportamenti che riteniamo non etici, e prove di scelte amministrativamente errate, per lequali vorremmo un rimedio da parte di lui stesso. Si tratta di:
  - aver cercato il voto (per la sua elezione a Rettore) in certi ambienti della sinistra con l'impegno, non mantenuto, di restituire al controllo democratico gli spazi sottratti dai due predecessori (e di cui lui stesso si lamentava, a parole). Il Rettore ha invece ristretto ulteriormente detti spazi, controllando il Consiglio di Amministrazione (altri Atenei, sia pur pochi, l'hanno fatto elettivo, e ultimamente anche Firenze), e facendo un Senato Accademico debole (espulsi i Presidi, la pietra miliare tradizionale della democrazia universitaria).
  Non ci piace, poi, vederlo maestro nel transitare con disinvoltura, dalle Feste dell'Unita' alla Cerimonie del Vaticano, passando indenne.
  Circa il riordino dell'Ateneo, in base alla legge Gelmini, Egli è andato oltre la legge nella ristrutturazione dei Dipartimenti, ma facendone un coagulo di diversita', a volte incomunicabili al loro interno.

  Nota. Nella tradizione universitaria, il luogo di incontro delle diversita' scientifica erano le Facolta' (adesso, ridenominate "Scuole"), in quanto le lauree dovevano configurare per la armonizzazione interdisciplinare, ai fini della formazione e professionalizzazione dei giovani.
   Invece, il Dipartimento ha finalita' di ricerca scientifica, cosi' che il migliore Dipartimento e' quello piu' specializzato su un campo, vale dire il piu' possibile "semplice" (l'opposto di complesso) e analitico, (l'opposto di sintetico).
  In origine, la struttura scientifica era l'Istituto, poi (nel 1980) vi subentro’ il Dipartimento con discipline diverse, ma strettamente affini; oppure, se diverse e non affini, almeno omogenee rispetto ad un obiettivo comune.
  Con la legge Gelmini, i Dipartimenti hanno competenze scientifiche e didattiche, e devono avere almeno 40 persone (ma nella esperienza, i Dipartimenti con 30 persone erano gia' ritenuti troppo ampi per una agevole governabilita').
  Dionigi li ha voluti di almeno 50 persone, e risulta aver incoraggiato, nei fatti, di portarli a 100 e oltre, finendo per determinare molte contraddizioni (vale dire, far convivere la "semplicita’; necessaria per la ricerca, con la complessita’ necessaria per fare i corsi di laurea). Questo, per ragioni di economia di scala, ma finendo per mettere sotto lo stesso tetto professori e ricercatori di scienze lontane, determinando gravi tensioni per il riparto delle risorse per la ricerca scientifica ( anche perche' divenute ristrettissime, per via della legge Gelmini).
  
  Dove sta la carenza del Rettore Dionigi ? Nel non essere riuscito in un buon compromesso tra economia di spesa e validi ordinamenti didattici e scientifici, anzi nell'averlo fatto imporre da suoi Colonnelli (Pro Rettori).
    Stando alle classifiche del Censis, la università di Bologna è prima in Italia. Ma nelle classifiche internazionali, Bologna era al 176° posto nel mondo nel 2010, al 183° nel 2011, al 194° nel 2012***.

c) Anomalie della nomina Papale. Salta, infine, agli occhi una anomalia, conistente nel fatto che il Papa abbia nominato un Presidente, sia pur pontificio, senza attaccarsi ad un proponente locale: non un Dipartimento dell'Unibo, visto che egli e' di questo Ateneo; non il Vescovado di Bologna, visto che il nominato e' della diocesi di Bologna. In questo senso, il fumus della mera strumentalizzazione, da parte di gente locale, si leva nell'aria per sua natura.
   L'anomalia non sta nella strumentalizzazione, ma nel fatto che il proponente locale non si sia dichiarato in pubblico per l'assunzione della relativa responsabilita’ .

*** http://www.universando.com/blog/wp-content/uploads/top500.pdf, http://www.topuniversities.com/university-rankings/world-university-rankings/2012?page=7
____________
Fonte *:
http://www.cultura.va/content/cultura/it/collegamenti/acc-pont/xvii-seduta-pubblica-delle-pontificie-accademie/intervento-del-prof--ivano-dionigi.html
Fonte **: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20121110_latina-lingua_it.html

 

EDIZIONI PRECEDEDENTI

    IN MARGINE AD UN LIBRO RECENTE DI STORIA MEDIEVALE, SU "BOLOGNA E RE RENZO",
   FATTO  PRIGIONIERO  NELLA BATTAGLIA DI FOSSALTA (1249), PRESSO IL FIUME PANARO

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Fonte: Francesca Roversi Monaco, Il Comune di Bologna e Re Enzo.

Costruzione di un mito debole, Bononia University Press, Bologna 2012

"Studio di Bologna" e "Studio di Napoli"
oggi "Università di Napoli Federico II"
Un aspetto incidentale del Libro

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Questo libro di Francesca Roversi Monaco, dedicato al padre Fabio, è stato recensito dallo storico Angelo Varni su "Il sole-24 ORE", giornale economico, e dunque pervenuto a conoscenza degli economisti. In particolare, più che dall'argomento principale, sono stato attratto da un suo riferimento incidentale ai rapporti tra lo "Studio" bolognese e la "Università di Napoli", dentro il capitolo introduttivo, inevitabilmente dedicato al quadro storico complessivo, in cui si è svolta la vicenda di Bologna e di Re Enzo (vale dire ai rapporti tra papato, impero e Comuni in quel periodo). La vicenda ebbe origine a Fossalta (1249) con la cattura del figlio di Federico, poi trattenuto prigioniero a Bologna, sia pur in modo molto civile, e ivi morto a Bologna nel 1272. Il padre Federico II era morto nel 1250.
   La tesi del libro è che il Comune medievale di Bologna, da alcuni considerato un "mito" per il ruolo di difensore delle libertà comunali contro il potere accentratore degli imperatori tedeschi (Federico II, nello specifico, e comunque storicamente dopo il ruolo del Comune di Milano contro Federico Barbarossa), sarebbe in realtà un "mito debole".

  Se ho ben compreso, "debole" non significa "mito a metà" o qualcosa di simile, ma l'opposto di "mito senza tempo": e dunque il "mito" esistito, ma durato poco, perchè i bolognesi (dopo la morte di Federico II) furono presi dai loro intrighi cittadini, avendo perso di mira le grandi scelte di lungo periodo. In quel tempo (medievale), una delle "grandi scelte" del Comune di Bologna (oltre quella di difendere la propria libertà) fu di difendere lo "Studio" bolognese, contro Federico II, che voleva sopprimerlo e sostituirlo con la Università di Napoli. Mi trattengo su questo aspetto incidentale del Libro.
   Ivi si narra che ... "nel 1224 Federico fondava lo Studio di Napoli, vietando ai sudditi di Sicilia di studiare in altre sedi universitario e garantendo al tempo stesso particolari privilegi agli studenti 'stranieri' che fossero andati a studiare a Napoli.
  "Tale politica di 'accaparramento' di potenziali studenti non dipendeva da un'ostilità preconcetta verso lo Studio bolognese, ma dalla necessità di agevolare l'affermarsi della prima università ' di Stato, burocratica, ad usum principis '   lanciandola nell'empireo degli Studia europei." ....
  " Nel 1225 Federico promulgo'  uno specifico atto di soppressione dello Studio bolognese, cui si sovrappose il bando imperiale del 1226 contro le città aderenti alla seconda Lega, dotato di una clausola che stabiliva la rimozione delle Schola e degli Studia nelle città interessate dal provvedimento. ...
   "Il comune di Bologna, però, reagì con forza a difesa del suo Studium,   ... emanando ..., uno statuto che, opponendosi specular mente alle disposizioni imperiali, ne ribaltava punto per punto il significato, con un'azione di notevole impatto politico e ideologico, poiché un provvedimento comunale si arrogava la facoltà di rendere nulli una costituzione e un bando imperiale ...  ".

  Questa vicenda di Federico, "Splendor  Mundi", come si legge sulla sua tomba nella Cattedrale di Palermo, è molto intrigante e interessante.
   Si sa che lo Studio bolognese era stato un faro di riferimento europeo per la legittimazione imperiale di Federico Barbarossa, nonno di Federico II, e sicuramente lo Studio viveva quale "mito senza tempo" nel cuore di Federico.
   Narrano gli storici che egli nel 1220, ventisettenne, scendendo dalla Germania per recarsi in Italia per prendere possesso del Regno di Sicilia, lasciatogli in eredità dal padre Enrico VI, sia passato per Bologna, dove si intrattenne tre giorni, tra l'altro, con i doctores dello Studio che gli fecero una domanda difficilissima di diritto. Si racconta che Federico abbia risposto brillantemente.
  Sono state fatte diverse congetture per capire il motivo di questa sosta. Verosimilmente (nel 1220) egli aveva già in animo  di fondare lo Studio di Napoli, avvenuto poi nel 1224 e voleva esplorare la possibilità di reclutare doctores dello Studio bolognese per quello di Napoli .
   Il motivo è che egli annetteva alla "alta cultura" un ruolo fondamentale per elevare l'autorevolezza politica del suo impero e, nello specifico, per la formazione della burocrazia dell'impero medesimo.
   Forse v'era anche dell'altro. Bologna (e Padova) brillavano per indipendenza di pensiero, mentre Federico voleva che le Università fossero funzionali al suo impero. Il caso vuole che Bologna (e Padova) erano università private, mentre Napoli sarà impostata come università pubblica, anzi fu la prima università pubblica in Europa, come raccontato nel Libro, qui di riferimento..

   C'è dell'altro. I doctores di quegli studi avevano varie provenienze territoriali: vari Paesi e città,  vale dire erano internazionali .
   E' una strana storia del destino. Noi oggi vediamo le università private quasi di malocchio, perchè asservite (è, poi, vero ?) ad uso di interessi privati, precisamente ad uso del capitale privato. E invece vediamo le università pubbliche, finanziate dallo Stato, come ad uso di utilità pubblica.
   In realtà l'università pubblica di Federico era pubblica perchè finanziata dal Re, come istituzione e perchè destinata a formare la classe dirigente dello Stato imperiale, ma era privata perchè finalizzata a costruire il potere personale di Federico. In questo senso, quella distinzione che noi, oggi, facciamo tra istituzioni private e istituzioni pubbliche è ingannevole, e tutti possono constatare ogni giorno come le pubbliche istituzioni siano anche strumentalizzate a fini privati (di potere e di arricchimento) dei politici.

 
   Quale la conclusione ? Non si vuole una conclusione: solo esser stati edotti di queste "scintille" medievali di alta cultura, grazie a Federico, "splendor mundi", e del suo altissimo apprezzamento per lo "Studio" bolognese, al punto di vederlo come un esempio assolutamente da copiare (a Napoli), per lo splendore del suo Impero.
  Fu scintilla anche il fatto che puntò sull'università (a Napoli), quale università pubblica, per farne il fulcro del lancio del Meridione in Italia. Il suo intento unificatore dell'Impero avrebbe potuto, invece, avere migliore fortuna (penso, col senno di poi), se avesse associato (anzichè contrapposto) lo Studio di Napoli allo "Studio di Bologna" e a quello di Padova, e a tutti i vari fermenti culturali comunali, di quel tempo..
  
  Infine, volendo forzatamente trarne uno stimolo per un confronto con la Bologna di oggi, si potrebbe forse dire che sarebbe desiderabile che l'attuale Università di Bologna fosse internazionale nel senso medievale, vale dire avere professori reclutati da altri Paesi. Beninteso, qualcosa c'è : è di queste settimane la chiamata di esperti italiani e stranieri, ma con fondi MIUR: e quando vai a vedere i nomi, trovi che due sono italiani e il terzo ha un nome straniero, e che la cosa è della solita mosca bianca ( Ingegneria-Architettura ).
  L'Università di Bologna è oggi fondamentalmente di formazione locale e corporativa (ma sempre in prima fila per accoglienza agli studenti), e anche ideologica in alcune Scuole (Lettere, Scienze politiche). Ma non è così in tutte le università italiane (es. Roma "La Sapienza", mentalmente aperta più su, almeno una spanna).
   Sarebbe, al tempo stesso, ingeneroso e anche ingiusto, non ricordare che non è mancato un tentativo importante di sollevare il velo e fare breccia sulle mura: lo è stato la celebrazione ( fatta dal padre di Francesca, già rettore dell'Alma Mater ) del nono centenario (1988), con la confluenza a Bologna di gran parte delle università nel mondo, e con la firma della Magna Charta Universitatum.
   Ma il IX  centenario è rimasto un fatto di "cronaca", non la ripartenza di quella "storia" perchè, dai rettori succcessori, l'internazionalizzazione non è stata  percepita e proseguita nel senso corretto: quello medievale
.
   Beninteso c'è anche un altro modo di concepirla (ed è quanto avviene attualmente): quello di cercare l'interscambio culturale e scientifico con le altre università nel mondo;  quello di fare corsi di laurea in comune tra università di diversi Paesi. Tuttavia, se manca il pre-requisito, quello di avere mentalità aperta, a cominciare dal cedere, in casa pagando di tasca propria, posti di ricerca e insegnamento a scienziati di provenienza estera, la strada è più lunga. Questo ci riporta a dare priorità alla internazionalizzazione nel senso dello "Studio" medievale.  NINO LUCIANI

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    LEGGE GELMINI  E  RICERCATORI  A TEMPO   INDETERMINATO

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Marco Mancini,
Presidente CRUI

 

Mentre il Mnistro Profumo, fin dalla sua nomina, non vede e non sente
il grido di dolore che sale da ogni parte delle università d'Italia


I  Ricercatori in visita alla CRUI - Conferenza dei Rettori

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Marco Merafina,
presidente CNRU-Ricercatori

                                                                                      
                                                                                   
COMUNICATO


  Mercoledi' 26 settembre alle ore 14, presso la sede della CRUI di Piazza Rondanini a Roma, una delegazione del Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari incontrera' la Giunta di Presidenza della CRUI per discutere:
   -  argomenti connessi al piano straordinario di reclutamento;
   -  proposte alternative alla procedura di abilitazione;
   - innalzamento dell'eta' pensionabile dei ricercatori;
   -  e problematiche connesse al pagamento della didattica, alla luce della recente sentenza TAR riguardante una ricercatrice dell'universita' del Salento.

                                              Il Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari


.

Riceviamo e giriamo

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Daniela Memmo

Comune di Bologna e Università, sotto la statua di GREGORIO XIV
§
RETTORE chiama i Docenti, e il Sindaco Dr. Virginio Merola, a
Cerimonia pubblica di Conferimento del titolo di Dottore di Ricerca,
lunedì 18 giugno, ore 18.30 – Piazza Maggiore

LETTERA DI UNA PROFESSORESSA :
"Caro Sindaco eri senza la fascia tricolore"

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Ivano Dionigi

Bologna, 19 giugno 2012

Illustre Sindaco di Bologna

Signor Virginio Merola,
Le scrive una docente dell'Alma Mater Studiorum che era presente nel torrido pomeriggio di ieri alla toccante cerimonia pubblica di conferimento del titolo di dottore di ricerca ai nostri allievi in Piazza Maggiore.

L'Alma Mater ha reso omaggio alla città, che Lei ha l'onore e l'onere di rappresentare, con più di quattrocento giovani talenti che, con pazienza e spirito di sacrificio, hanno atteso ore in tocco e toga, ai limiti della resistenza fisica per l'afa insopportabile, e che ci hanno fatto commuovere, come genitori e come docenti, nel loro giovanile e pur rispettoso e composto incedere verso la tribuna allestita davanti alle autorità. Altrettanta commozione, può starne sicuro, ha stretto i cuori di tutti noi nel vedere i colleghi nostri rappresentanti guidati dal magnifico rettore in tocco e toga di ermellino prendere posto sul paco inondato dal sole. Noi del pubblico, docenti e parenti, abbiamo volentieri fatto il nostro dovere di accompagnatori e, col nostro entusiasmo, costituito una degna coreografia per una cerimonia che può dirsi certamente riuscita.

Eppure ieri, se per i nostri giovani c'è stata - e ben presente - l'Alma Mater, è mancata l'Italia. E' mancato il simbolo dell'Italia, che è rappresentato da quella onorata fascia tricolore che Lei, signor Sindaco, non indossava. Di fronte a pesantissime toghe tocchi ed ermellini, Lei non ha mostrato ai giovani il richiamo alla loro patria : il semplice tricolore italiano. A lei spettava questo compito, e solo a Lei.

Superato il primo profondo dispiacere per questa omissione, mi sono chiesta quanto più vere sarebbero suonate le parole degli intervenuti, di invito ai dottori a non abbandonare l'Italia e a lavorare per essa, se dell'Italia ci fosse stata l'amata semplice bandiera.

Le scrivo questa lettera aperta per conoscere le ragioni di questa Sua scelta.

E' la seconda volta che la vedo presente in occasioni importanti del nostro Ateneo ed in ognuna senza fascia, per così dire in incognita. Di fronte alle spoglie mortali di uno scienziato del diritto vanto del nostro Ateneo mancato di recente, la Sua presenza, così importante per noi , non è stata riconoscibile ai tanti venuti da ogni parte d'Italia : Lei, Signor Sindaco, è venuto senza fascia tricolore e nessuno che non fosse di Bologna l'ha potuta riconoscere ed ha potuto apprezzare la presenza della massima rappresentanza cittadina ed il dovuto omaggio della Città al Maestro scomparso.

Ieri del pari da ogni parte d'Italia si è cercato il Sindaco - non la singola persona che transitoriamente ne riveste la carica- e non lo si è trovato.

Ho avuto occasione di girare in ogni dove in Italia, nell'Italia ricca ed in quella dei diseredati, ma dovunque sia presente chi abbia avuto l'onore di diventare Sindaco, là si nota quasi con tenerezza che questi vive nella sua città con il tricolore in tasca, perché indossando quella fascia, umile, semplice, il sindaco ci vuole dire che siamo protetti dalla nostra patria, che l'Italia non ci abbandona. Può essere che Lei non la indossi nelle occasioni in cui dialoga con l'Ateneo per modestia. E, se questo è il caso, Lei sbaglia. Noi accademici siamo cittadini come tutti e come tutti dobbiamo onore e rispetto al simbolo.

Può darsi che Lei la ritenga una formalità sorpassata e che si senta a disagio ad indossarla. E Lei sbaglia ancora. Perché, così come il Rettore porta con fatica ed orgoglio il "suo" tocco, così Lei, Sindaco di una città che ha versato sangue e vittime per l'Italia, ha il dovere e l'onore di indossare quel tricolore che deve garrire come una bandiera nel cuore di ogni sindaco d'Italia.

Distintamente,
Daniela Memmo
Professore ordinario Alma Mater Studiorum Università di Bologna

 

EDIZIONI PRECEDENTI


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UNIVERSITA' DI BOLOGNA, 24 aprile 2012

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
approva il bilancio consuntivo del 2011

ENTRATE  € 658.109.011,20

-  USCITE  € 649.049.821,80

= SALDO  € +9.059.189,32

Osservazione: rendiconto incompleto, causa   numerose gestioni  fuori  bilancio

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Ivano Dionigi

   Nota. Il bilancio del 2011 è proposto praticamente a pareggio. Esso è accompagnato da una relazione con importanti informazioni, tra cui , sul FFO  sui contributi studenteschi, il personale, anche sotto il profilo della evoluzione pluriennale. Si può cliccare su: Relazione per un testo integrale.
  Abbiamo visionato i dettagli del bilancio. Sul piano generale, appare palese la sua incompletezza, in quanto è notorio che l'Ateneo ha numerose partecipazioni in enti:  Fondazione Alma Mater, Ceub, vari Spin Off ..., ma i cui bilanci non sono allegati, e neppure all'o.d.g. separatamente . Questo porta a concludere  che, nell'Ateneo, ci sono numerose gestioni fuori bilancio, e ciò mette in dubbio la effettività del saldo consolidato. Soprattutto è gravissima l'assenza del bilancio della Fondazione Alma Mater, avendo essa una fondamentale "missione" finanziaria nell'Ateneo.
   Sempre nel CdA del 24 aprile sono all' o.d.g. i bilanci di alcune Fondazioni partecipate dall'Ateneo (Avoni, Castelvetri, Salvioli, Sfameni, Toso Montanari), ma anch'essi fuori bilancio dell'Ateneo. Essi sono proposti in modo anche abbastanza superficiale circa la verifica del perseguimento dei loro obiettivi. Es.: per la Fondazione Castelvetri Il fine istituzionale dichiarato è dare impulso agli studi e alle ricerche nell'ambiente padano in campo agrario e veterinario", ma poi risulta che gli impieghi dei fondi sono andati a tutt'altro. I fini istituzionali della Fondazione Salvioli sono lo studio e nell'applicazione del vaccino antitubercolare e per le ricerche in campo immunologico specifico ed aspecifico. Lo scopo della Fondazione Sfameni è di dare impulso agli studi ed alle ricerche sulla genesi, fisiologia, fisiopatologia e genetica della gravidanza e sull'evoluzione ed anatomia della placenta. Ma anche qui le spese sono state per altre destinazioni
.
   Per quanto riguarda le attività commerciali (vedi: le varie prestazioni a pagamento), le entrate e le spese non sono riportate congiuntamente, ma separatamente come da sempre tra le entrate generali e le uscire generali, rispettivamente. Sarebbe importante, almeno dentro la relazione, fare un prospetto unico di queste entrate e uscite, in modo da capire se queste attività danno un avanzo, a beneficio delle attività istituzionali dell'Ateneo.
   I contributi studenteschi sono aumentati ( da € 127.577.977,19 del 2010, a € 131.582.704,80 ). Sulla adeguatezza di questa voce, sarebbe importante, nel darne notizia, fare confronti con gli Atenei, qui attorno, anche per capire una possibile causa del continuo calo degli studenti a Bologna.
   La Relazione ci dà anche tabelle sulla evoluzione delle spese per il personale e le entrate dal FFO dal 2002 al 2011.

Spese per il personale - evoluzione dal 2003 al 2011personale unibo.jpg (362249 byte)

 

Entrate dallo State per il FFO dal 2002 al 2011 - milioni di €ffo unibo.jpg (139037 byte)

 

EDIZIONI   PRECEDENTI


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UNIVERSITA' DI BOLOGNA, 6 marzo 2012

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
prende atto dello "esito" della valutazione dei  DIRIGENTI

Tutti valutati positivamente (meno uno) dal Direttore Generale,
ma "intoccabili" da parte del CdA

Nota. La procedura di valutazione dei dirigenti inizia con la proposta dei dirigenti circa gli obiettivi amministrativi proposti al CdA, ognuno per il proprio ufficio, . Questo approva (o non approva gli obiettivi). Poi, in secondo tempo, sulla base della relazione del Direttore generale,  il CdA valuta se gli obiettivi sono stati raggiunti, e infine decide la conferna o meno del dirigente.
    Nei fatti, tuttavia, la valutazione è avvenuta nelle segrete stanze, e il CdA ha solo preso atto dell'esito, genericamente, senza il punteggio. Difatti, come si desume dal resoconto sottoriportato, il rettore racconta semplicemente il procedimento di valutazione, ma non i risultati.

   Conclusione: si conferma quanto rilevato anche lo scorso anno: i nostri dirigenti sono degli "intoccabili", da parte del CdA.
  Vedremo cosa farà il prossimo CdA, il primo dopo la riforma dello Statuto, in applicazione alla legge Gelmini.

 CdA - 6 marzo 2012,  ESITO DELLA VERIFICA DI RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI DIRIGENZIALI 2011

Resoconto della seduta del CdA


   Il Rettore dà lettura della seguente relazione presentata dal Direttore Generale:
"In data 1° febbraio 2011 il Consiglio di Amministrazione ha approvato il Piano degli obiettivi dirigenziali 2011 che è stato formulato riconducendo gli obiettivi ai seguenti orientamenti generali :
. adeguamento alle nuove disposizioni normative (didattica, ricerca, organizzazione).
. accompagnamento e supporto alla riorganizzazione dell.Ateneo;
. snellimento delle procedure e dei processi interni;
. potenziamento delle attività volte all.internazionalizzazione;
. implementazione dei sistemi di controllo di gestione;
. incremento del finanziamento da risorse diverse dal Fondo di Finanziamento Ordinario;
. miglioramento del coordinamento organizzativo tra le sedi territoriali;
. attuazione di politiche volte allo sviluppo del personale tecnico amministrativo.

    In data 20 settembre 2011 la Direzione ha comunicato al Consiglio di Amministrazione gli esiti del monitoraggio degli obiettivi in relazione al 1° semestre dell.anno. Le criticità evidenziate dai dirigenti hanno permesso di affrontare con la massima trasversalità tra Aree alcuni nodi importanti e rimodulare, in alcuni casi, le attività in corso per portare a termine nel migliore dei modi in termini di economicità ed efficienza l.obiettivo prefissato tenendo conto del cambiamento in corso di alcuni elementi di contesto.
   In particolare, in considerazione dell.urgenza di presidiare le attività connesse all.approvazione dello Statuto e delle conseguenti azioni di attuazione sono stati sospesi tre obiettivi ed è stato introdotto nel Piano un obiettivo specifico relativo all.attuazione del nuovo Statuto.

Elementi di contesto

La valutazione ha tenuto conto di alcuni fattori:
1. il secondo semestre del 2011 è stato caratterizzato, come già sottolineato, da un notevole impegno da parte dei Dirigenti finalizzato a porre le basi per l.attuazione del nuovo Statuto;
2. in data 16 dicembre 2011 è stato firmato il contratto collettivo integrativo per il personale dirigente per l.anno 2011 (delibera del Consiglio di Amministrazione del 23.12.2011);
3. l.apposito Fondo che finanzia la retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigente (costituito nel rispetto delle disposizioni contrattuali e dei vincoli normativi ed in particolare in applicazione all.art. 9 comma 2 bis del DL 78/2010 convertito in Legge 122/2010), pur non partendo dai valori massimi per autonoma scelta dell.Ateneo, è stato ulteriormente ridotto in applicazione alla citata .manovra estiva..

Valutazione obiettivi 2011
Sulla base del contratto collettivo integrativo per il personale dirigente sopraccitato, sono quindi previste come per il 2010 quattro fasce di valutazione che consentono una maggiore differenziazione e riconoscimento dei risultati raggiunti.

livello
range*
valutazione complessiva
retribuzione di risultato

1
> 180
Obiettivi raggiunti in misura eccellente
Fino al 55% della retribuzione di posizione

2
da > 150 a <= 180

Obiettivi raggiunti in misura medio/alta
Fino al 36% della retribuzione di posizione

3
da > 110 a <= 150
Obiettivi raggiunti in misura discreta
Fino al 27% della retribuzione di posizione

4
da > 100 a <= 110
Obiettivi raggiunti in misura sufficiente
Fino al 20% della retribuzione di posizione

-
<= a 100
§Obiettivi non raggiunti
-

   La valutazione finale è data dalla somma di obiettivi quantitativi e aree comportamentali ciascuno in percentuale rispetto al 100%.
  Con delibera del Consiglio di Amministrazione del 1° febbraio 2011 è stata attribuita al Direttore Generale una quota percentuale pari al 15%, nell.ambito della valutazione complessiva, che consente di tenere conto delle differenze tra i vari dirigenti in termini di complessità organizzativa e relazionale, continuità e costanza di impegno nell.attività manageriale, clima organizzativo. Pertanto il risultato raggiunto dal dirigente, sia nella parte relativa alle aree comportamentali sia nella parte relativa agli obiettivi quantitativi, è stato riparametrato su 85/100. Il Direttore ha avuto quindi a disposizione 30 punti (corrispondenti al 15% sulla valutazione complessiva) da attribuire a ciascun dirigente.
   Per quanto attiene all.area delle competenze trasversali, nel 2011 la valutazione si è incentrata sulle tre aree di capacità manageriali e comportamenti organizzativi individuati per tutti i dirigenti (cooperazione e lavoro di gruppo, orientamento ai risultati, consapevolezza sociale) e su altre due aree individuate a inizio anno per ciascun dirigente, sulla base delle caratteristiche personali di interpretazione del ruolo e delle esigenze e peculiarità della posizione ricoperta.

Esito della valutazione
Complessivamente sono stati valutati 17 dirigenti:
. Ersilia Barbieri (Area Sanità)
. Andrea Braschi (Area Edilizia e Logistica)
. Giuseppe Conti (Area Ricerca e Trasferimento tecnologico)
. Stefano Corazza (Unità Professionale Grandi Appalti di Lavoro)
. Alice Corradi (Area Finanza e Controllo di Gestione)
. Michela Dalla Vite (Area UniboCultura, promozione e fundraising) fino al 31.8.2011
. Marco Degli Esposti (Area Affari Generali)
. Nicola De Laurentis (Polo scientifico didattico di Ravenna)
. Elisabetta De Toma (Area Didattica e Servizi agli Studenti)

 P.S. Nell'elenco non compare uno dei Dirigenti (ne omettiamo il nome) che avrebbe avuto valutazione negativa.  Si deduce indirettamente che i suddetti dirigenti avrebbero avuto valutazione positiva, pur se non è indicato il punteggio rispettivo, nè la la specifica motivazione.



 

EDIZIONI   PRECEDENTI

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    Piero Spagnolo

Bologna,   Per segnalazione al Senato Accademico.

Altri casi di  "PAM" (titolo di "Professore dell'Alma Mater") negati" senza motivazione conforme a Delibera del Senato.

Lettera del prof. Catanzaro al Rettore, inviata
p.c.  ai membri del Senato Accademico.
Anche Lettera del prof. P. Spagnolo.

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Raimondo Catanzaro

 
dionigi--bello1.JPG (6751 byte)

 

POICHE'  IL DINIEGO  E'  AVVENUTO IN  FORMA  E SOSTANZA  DIVERSE
RISPETTO ALLA   DELIBERA DEL  SENATO, PARREBBE ATTO DOVUTO
DEL SENATO  CENSURARE IL RETTORE, ANCHE PERCHE' I CASI
DI VIOLAZIONE DELLA DELIBERA  RISULTANO  NUMEROSI.

Rilevante, poi, è che  la legge Gelmini ha  innovato i poteri
del Senato, nei confronti del Rettore,  attribuendo  ad esso
il potere di proporre mozione di sfiducia al Rettore.


Non è, poi, irrilevante che la nuova figura rischia di
cadere in desuetudine, in quanto è verosimile che un
prof. ordinario non  rinuncerà più a parte della propria
carriera,  visto che in cambio non sa cosa incontra.

FATTO. La nuova figura dI PAM rischia la soppressione, per desuetudine, in quanto (a causa del diniego immotivato del Rettore)  i potenziali aventi diritto non hanno più interesse ad aspirare a questo titolo.
   Come, infatti, risulta dalla delibera del Senato, essa prefigura uno scambio atipico (ma, direi, un atto dovuto nel caso dei professori ordinari) tra:
  a) la rinuncia ad uno (o due) anni della propria carriera, per favorire il il ricambio generazionale per le progressioni di carriera e per il reclutamento dei docenti;
  b) e la accettazione di loro presso i locali del dipartimento, il mantenimento della posta elettronica istituzionale con indicazione della qualifica di “Professore o Ricercatore dell’Alma Mater”, l'accesso alle risorse bibliografiche on-line e alla rete wireless Almawi-fi di Ateneo, l'accesso a contratti di insegnamento, a incarichi di responsabilità istituzionale o gestionale o la partecipazione ad organi e collegi per i quali la legge preveda la posizione di professore in servizio.
   La delibera prevede anche che il SI' sia accompagnato da una positiva valutazione scientifica del richiedente.
   A questo punto, visto il rischio di "sberleffo scientifico" da parte del Rettore, perchè il diniego del Rettore è "somministrabile" con "lettera identica" inviata a tutti gli esclusi, parrebbe cosa ovvia che un docente di questo Ateneo non sia più motivato a rinunciare incondizionatmente a parte della propria carriera.
    Pertanto, il comportanento del Rettore danneggia l'Ateneo, diciamo i giovani ricercatori in attesa di porre fine al loro stato di precarietà, partecipando ai concorsi ai posti liberati. Ma vediamo meglio cosa hanno risposto al rettore, alcuni di loro.
  Ultimo ma non ultimo. L'art. 2, lettera e) della legge Gelmini ha attribuito al Senato il potere di "proporre al corpo elettorale .... una mozione di sfiducia al rettore non prima che siano trascorsi due anni dall’inizio del suo mandato".
   Questo dispositivo è già in vigore, e prescinde dallo Statuto. Esso è operativo anche per il Senato Accademico attuale.
Bologna, 19/12/2011

Al Magnifico Rettore Università degli Studi di Bologna Via Zamboni 33, 40126 Bologna

Oggetto: domanda di riconoscimento della qualifica di "Professore dell'Alma Mater"
.
               Caro Rettore Ivano Dionigi,
   ho ricevuto in data 16/12/2011 la tua lettera raccomandata, con la quale mi comunichi ufficialmente che la mia domanda di riconoscimento della qualifica di "Professore dell'Alma Mater" non è stata accolta.
   Le motivazioni da te addotte tolgono non poco spazio ai meriti scientifici da me acquisiti in oltre 43 anni di carriera accademica e ben documentati dal curriculum vitae tuttora visionabile nel Portale d'Ateneo.
  Nella formulazione iniziale, le Linee Operative 2011 per il riconoscimento di quella qualifica onorifica ponevano "alti meriti scientifici oppure l'acquisizione di rilevanti benemerenze accademiche" come unici requisiti utili per l'acquisizione della qualifica stessa.
   La successiva scelta da te fatta, d'intesa con il Senato Accademico, di procedere ad una attenta valutazione e revisione dei requisiti, tenendo conto anche di altri elementi di varia natura, al fine di dimensionare e contenere le figure non "istituzionali", è fortemente punitiva nei confronti di quanti altri, come me, in possesso di oggettivi meriti scientifici, hanno voluto condividere le dichiarate intenzioni di questo Ateneo di favorire il ricambio generazionale per le progressioni di carriera e per il reclutamento dei docenti, sacrificando una parte della propria carriera, con un costo economico non irrilevante. Un contenimento, pur se rigoroso, di figure "non istituzionali" è pienamente legittimo ed anche condivisibile qualora il loro riconoscimento non venga subordinato ad un oneroso ed incondizionato sacrificio da parte di chi reputa di potervi meritatamente aspirare.
   La generosa disponibilità che ha ispirato la mia istanza viene ora liquidata sic et simpliciter con un tuo apprezzamento formale. Imprescindibili criteri di serietà e chiarezza imponevano che le regole di questa "partita" fossero ben definite dall'Ateneo all'inizio e non nel corso (o addirittura al termine) della partita stessa. A questo punto, come docente di prima fascia in "volontaria" quiescenza a partire dal 1° gennaio 2012, chiedo di avere a breve un colloquio con te: esigo che il Rettore di questo Ateneo mi dimostri personalmente di non avermi arrecato un grave danno, morale e materiale, in modo indebito e surrettizio. Confidando nella tua sensibilità ed in attesa di un tuo sollecito riscontro, ti porgo cordiali saluti.
                                                         Piero Spagnolo* __________________________
* Prof. Piero Spagnolo Dipartimento di Chimica Organica "A. Mangini" Viale Risorgimento 4, 40136 Bologna

Budrio, 9 gennaio 2012

Magnifico Rettore Università di Bologna Chiar.mo Prof. Ivano Dionigi SEDE

Oggetto: risposta alla lettera del 6/12/2011, prot. 52754, avente ad oggetto : domanda di riconoscimento della qualifica di "Professore dell'Alma Mater"

                        Magnifico Rettore,
   rispondo con qualche ritardo alla lettera in oggetto, nella quale mi comunichi di non avermi concesso la qualifica di professore dell'Alma Mater.
   Spero scuserai il mio ritardo di poco più di un mese, anche in considerazione del fatto che la mia istanza per ottenere la qualifica risaliva al 17 maggio 2010, e che dunque ho atteso 18 mesi e 20 giorni per ottenere una risposta negativa. Mi consentirai innanzitutto una nota di stile.  Avrei preferito un modo più diretto di comunicarmi il tuo rifiuto.
   Nella tua lettera ciò non viene detto mai apertamente e confesso che sono rimasto sinceramente ammirato del modo in cui si riesca a dire qualcosa attraverso il non detto. Ma è questione secondaria, e del resto ciascuno di noi ha un proprio stile e nessuno può essere criticato per averne uno suo proprio. Vengo alle questioni di sostanza.
    Le motivazioni che porti a sostegno della tua decisione sono francamente risibili. Con tassi di sostituzione della componente docente che, nella migliore delle ipotesi, sono al venti o al trenta per cento, l'esigenza di riservare attrezzature e spazi ai giovani sembra fuori luogo. Considerando l'esperienza dei locali del mio ex Dipartimento, che frequento ancora in quanto impegnato come presidente di commissione in un concorso di prima fascia, sarei piuttosto preoccupato delle sembianze da "Olandese volante" che alcune strutture dipartimentali corrono il rischio di assumere.
   Ma neanche questo è il punto: sarei stato disponibile ad accettare di buon grado anche una decisione basata su motivazioni risibili. Del resto noi ex docenti dell'Alma Mater conserviamo tra i nostri privilegi quello (e non altri) di avere un indirizzo di posta elettronica (come uno studente che sia stato iscritto anche solo per sei mesi).
  E ho scoperto che posso anche aggiornare il mio curriculum e l'elenco delle mie pubblicazioni, le conferenze tenute e i convegni e seminari cui ho partecipato come relatore sulla mia pagina web alla quale soltanto io posso accedere in quanto non v'è alcun link o corrispondenza con il mio nome se lo si digita nel cerca persone dell'ateneo. Magnifico esempio di incitamento all'onanismo accademico !  
   Non mi aspettavo dunque nulla di sostanziale, neanche nel caso eventuale di conferimento della qualifica. Viceversa mi attendevo qualcosa che ha a che fare con il rispetto delle procedure, delle forme, della parità di trattamento fra docenti. In altri termini mi aspettavo che venissero tutelati i miei diritti
(Continua)

soggettivi. I quali non sono (e non erano) quelli di ottenere la qualifica (si tratta soltanto, come direbbero gli esperti di diritto amministrativo, di un interesse legittimo o di una legittima aspettativa), bensì quelli di avere una decisione in tempi ragionevoli e con parità di trattamento.
   Sui tempi non mi soffermo ulteriormente avendone già detto prima.
   Mi consentirai tuttavia di notare che se ammettessimo come ragionevole un lasso di tempo di oltre un anno e mezzo per ottenere una risposta ad un'istanza che un qualunque cittadino presenta ad una pubblica amministrazione, saremmo messi veramente male, non soltanto come Università di Bologna, ma come paese.
   Sulla parità di trattamento non si tratta certamente di comparazioni tra curricula, peso scientifico, pubblicazioni. Chiunque può cercare su "Google Scholar" o su "Publish or Perish" gli indici bibliometrici miei e dei miei colleghi sociologi del medesimo dipartimento, e trarne le debite conseguenze.
    Ed è chiaro che il Rettore ha un potere discrezionale nel concedere o meno la qualifica e può anche valutare, con discernimento, in modo difforme dagli indici bibliometrici, nell'ambito di una visione più ampia e generale.
   Quello che il Rettore non può fare tuttavia, è procedere alle valutazioni e alle rispettive decisioni senza rispettare l'ordine di presentazione delle domande, perché ciò costituisce una violazione del principio di parità di trattamento.
    Ma viceversa è proprio ciò che è stato fatto, in quanto una collega del mio dipartimento, che ha fatto domanda un mese dopo la mia (nel giugno del 2010) ha ottenuto una risposta (nel caso in ispecie positiva) dopo soli (!) 5 mesi (nel novembre 2010). Non contesto né i titoli della collega, né il suo valore scientifico, né mi dispiace che abbia ottenuto la qualifica.
   Ma ritengo gravissima la violazione del principio di parità di trattamento, in generale e soprattutto nell'ambito di una comunità scientifica e professionale nella quale certi valori che insegniamo ai nostri studenti devono essere ritenuti sacrosanti.
   E ritengo altresì che la violazione di questi principi, che è stata perpetrata nei miei confronti, costituisca un vulnus al diritto di tutti, soprattutto dopo che tanto si era sbandierata l'importanza della figura di professore dell'Alma Mater al momento della sua istituzione.
   Colgo infine nella tua lettera un sorta di avvertimento preventivo concernente i requisiti per la concessione dell'Emeritato.
   Se hai timore ch'io possa presentare domanda voglio rassicurarti: non ne ho alcuna intenzione, e non mi sentirei per nulla gratificato dal far parte di un consesso accademico che ha proceduto in modo indegno nei miei confronti.
    Appena finiti i lavori della commissione concorsuale consegnerò le chiavi del dipartimento in segreteria, e chiederò agli uffici, che dietro mia domanda mi hanno reinserito provvisoriamente in rubrica d'Ateneo (con il titolo di professore cessato dal servizio [sic!]), di essere cancellato dalla rubrica e di cancellare il mio indirizzo di posta elettronica presso l'Alma Mater.
   Con i miei più sinceri auguri di buone fortune a te personalmente e all'Alma Mater.                 Raimondo Catanzaro

 

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Bologna. Spunta
(a carico del Rettore, per presunto abuso di potere)
un nuovo caso  "PAM" (titolo di "Professore dell'Alma Mater"),
dopo il  "flop" dei "professori emeriti" a Giurisprudenza

UN COLLEGA, DOPO LE DIMISSIONI ANTICIPATE DI DUE ANNI,
AVEVA FATTO REGOLARE DOMANDA DEL TITOLO DI PAM

  FATTO. Un nostro Collega, il prof. P.L.P., ordinario di matematica, classe 1943, oltre 40 anni di servizio in varie Facoltà dell'Ateneo (da molti anni a Ingegneria) aveva presentato domanda (febbraio 2011) di riconoscimento del titolo onorario di professore dell'Alma Mater (divenuta "PAM"), di cui è presupposto la cessazione dal servizio, in anticipo di più di due anni rispetto al pensionamento per limiti di età (prima 70 anni+2, oggi 70 anni, dal 19 gennaio 2011, avendo la legge Gelmini abolito il biennio dopo i 70 anni).
  
  FONTI GIURIDICHE. La delibera fondamentale del Senato Accademico è del 28 feb. 2010 (di seguito ripotata).
   Segue una delibera del Senato, del 28 giugno 2011,  per "rivedere il criterio di determinazione della durata della qualifica onoraria di "Professore e Ricercatore dell'Alma Mater" in seguito all'abolizione, prevista dall'art. 25 della L. 240/2010 (cd. Riforma Gelmini), della possibilità di presentare l'istanza di permanenza in servizio ai sensi dell'art. 16 del D. Lgs. 503/1992 da parte del personale docente e ricercatore". Segue infine una delibera del 13 dic. 2011 per "Individuare il termine di cessazione dal servizio per volontarie dimissioni del personale docente che presenta la domanda di "Professore dell'Alma Mater".
   Come si legge nella delibera fondamentale, per il riconoscimento del titolo non è sufficiente il requisito della rinuncia all'ultimo biennio di servizio, ma è anche disposto (si veggano le ultime righe della delibera del 28.2.2010) , relativamente alla domanda del dimissionario, che : "La valutazione delle richieste compete al Magnifico Rettore che, sentiti anche i responsabili delle strutture coinvolte, decide sulla base dell'apprezzamento degli alti meriti scientifici del richiedente o delle rilevanti benemerenze accademiche acquisite nel corso della carriera".

  NEL MERITO, a fronte della "richiesta", il rettore ha risposto NO (unica risposta del Rettorato). Clicca su Lettera.
   Come si può leggere, essa è motivata:
   1)  dalla difficoltà di dargli (in aggiunta al titolo) attrezzature e spazi (si tratta di un matematico, e quindi non si direbbe abbisogni di grosse attrezzature, servendogli poco più di un PC e programmi matematici - NdR);
  2) dà una attenzione al fare spazio ai giovani (ma egli occupa una stanzetta, in locali notoriamente semivuoti);
  3) dalla opportunità di  stringere sui requisiti per il riconoscimento, in analogia a quanto fatto per l'Emeritato.
   
   Riportandoci adesso alla delibera del Senato, si trova che il Rettore deve decidere unicamente per meriti scientifici, dopo aver "sentiti anche i responsabili delle strutture coinvolte".
   Come si ben notare, tornando di nuovo alla lettera del Rettore, in essa non solo non "consta" il parere delle strutture coinvolte, ma i motivi addotti non sono pertinenti ai motivi adducibili in base alla delibera del Senato.
    Se si potesse sostenere che il Rettore ha motivato il NO con le ragioni di cui alla delibera del Senato, si potrebbe solo contestargli di avere omesso il parere dei competenti, pur se rimane una perplessità nel fatto che egli è un latinista, mentre il richiedente è un matematico.
    Tuttavia, le cose non stanno così. Egli ha motivato con ragioni, che non sono quelle di cui alla delibera del Senato, e quindi con motivazioni inammissibili, sul piano ufficiale.
    Si nota, infine, che la lettera, per il carattere come è espressa, pare più un fatto personale del rettore, che una comunicazione ufficiale, preparata dagli Uffici dell'Amministrazione, contro la quale il richiedente possa ricorrere alla magistratura amministrativa.
   Last not not least: non vorrei che si arrivasse, nel nostro Ateneo, ai tempi delle monarchie assolute, quando i titoli erano distribuiti dal Re per il controllo del consenso. Non siamo (credo) a questo punto. Ma la strada è quella. N. LUCIANI

 

Delibera Senato Accademico  23 febbraio 2010

RICONOSCIMENTO DELLA QUALIFICA DI “PROFESSORE DELL’ALMA MATER”
O ”RICERCATORE DELL’ALMA MATER”

   Il Magnifico Rettore informa i Senatori che il documento che viene sottoposto alla loro attenzione (che ha registrato l’unanime consenso in sede di Giunta nella seduta di ieri) rappresenta, all’esito della approfondita istruttoria svolta, un opportuno bilanciamento delle istanze volte da un lato ad un equo riconoscimento, all’atto del collocamento a riposo, degli alti meriti scientifici e benemerenze accademiche acquisite dai docenti nel corso della loro carriera lavorativa e dall’altro ad incentivare il necessario ricambio generazionale nei ruoli universitari a favore dei più giovani. Chiarita la ratio dell’intervento, che va nella direzione di non disperdere i saperi dei docenti prossimi al collocamento a riposo, ne illustra i contenuti più qualificanti (per la cui disamina di merito si fa rinvio al documento che fa parte integrante della presente delibera).
   Si tratta del primo atto promosso dalla Giunta nel contesto di un più articolato piano di interventi allo studio che riguardano l’intero arco della carriera dei docenti, per valorizzarne competenze ed esperienze e rafforzarne il senso di appartenenza all’istituzione universitaria.
Dopo aver dato lettura della missiva a sua firma con la quale oggi stesso provvederà a darne notizia a tutto il personale docente e ricercatore, e resi ai Senatori i primi chiarimenti su alcune parti di testo, comunica che saranno a breve predisposte dai competenti Uffici le linee guida di carattere tecnico operativo che consentiranno di definire con puntualità ogni profilo procedurale e di dettaglio.
   Il Senato Accademico in forma unanime, preso atto del favorevole parere espresso dalla Giunta di Ateneo, condividendo lo spirito della proposta e le sue finalità, approva il documento di seguito trascritto avente ad oggetto Riconoscimento della qualifica di “professore dell’alma mater” o ”ricercatore dell’alma mater” :
“I docenti e ricercatori rappresentano un patrimonio che va riconosciuto e valorizzato a partire dal loro ingresso fino all’uscita dai ruoli e oltre.
In tal senso è importante che l’Ateneo assuma un’esplicita ottica di valorizzazione delle esperienze e dei risultati del personale docente e ricercatore durante l’intero arco di vita accademica, creando le condizioni che facilitino il conseguimento degli obiettivi scientifici, culturali e didattici delle persone e offrendo i giusti riconoscimenti per il lavoro svolto, per il coinvolgimento personale nella vita universitaria e per l’impegno volto a conseguire le finalità dell’Ateneo.
Il presente atto costituisce un primo intervento di valorizzazione del personale docente e ricercatore che risponda alla necessità dell’Ateneo di comporre due diverse esigenze:

   • riconoscere l’esperienza del personale docente e ricercatore che si sta avvicinando alla conclusione della carriera e la legittima aspirazione a rimanere all’interno della comunità accademica per completare i propri progetti di studio e ricerca;
   • favorire il ricambio generazionale per le progressioni di carriera e per il reclutamento dei giovani studiosi.
A tal fine tutti i docenti attualmente in servizio di ruolo, che abbiano maturato il requisito per il pensionamento di vecchiaia (per gli uomini dai 65 ai 70 anni, per le donne dai 61 ai 70) e che abbiano proposto istanza di pensionamento, nell’anno precedente alla data di effettiva cessazione dal servizio possono fare richiesta di riconoscimento della qualifica di “Professore dell’Alma Mater” o ”Ricercatore dell’Alma Mater”. In caso di accoglimento dell’istanza, tale qualifica avrà decorrenza dal giorno successivo alla data di effettiva cessazione.   [
In via transitoria possono fare richiesta di riconoscimento della qualifica anche i docenti e ricercatori che abbiano presentato istanza di biennio di trattenimento in servizio, previa rinuncia alla medesima. ] .
    I ricercatori possono presentare l’istanza nell’anno precedente la data di cessazione del servizio. Il riconoscimento della qualifica di “Professore dell’Alma Mater” o ”Ricercatore dell’Alma Mater” è disposto per il periodo di tempo massimo di permanenza in ruolo comprensivo del biennio di trattenimento in servizio. 
    Oltre a mantenere la posta elettronica istituzionale, comparire nel portale di Ateneo con indicazione della qualifica di “Professore o Ricercatore dell’Alma Mater”, accedere alle risorse bibliografiche on-line e accedere alla rete wireless Almawi-fi di Ateneo, il riconoscimento della qualifica comporta la possibilità di:
   - continuare la ricerca scientifica usufruendo di adeguati spazi di lavoro e della copertura assicurativa per infortuni e responsabilità civile;
  - collaborare a titolo gratuito alle attività di didattica e ricerca delle strutture di riferimento nonché ad altre iniziative in coordinamento con i responsabili delle strutture stesse.  
    Resta ferma la possibilità, secondo la normativa in materia, di accedere a contratti di insegnamento previsti dagli ordinamenti didattici delle Facoltà e/o a contratti di collaborazione con il Dipartimento. La qualifica non consente, ovviamente, l’assunzione di incarichi di responsabilità istituzionale o gestionale o la partecipazione ad organi e collegi per i quali la legge preveda la posizione di professore in servizio.
    La valutazione delle richieste compete al Magnifico Rettore che, sentiti anche i responsabili delle strutture coinvolte, decide sulla base dell’apprezzamento degli alti meriti scientifici del richiedente o delle rilevanti benemerenze accademiche acquisite nel corso della carriera”.

LETTERA

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        Anno 2014
       Direttore Responsabile del Foglio Indipendente on line: Prof. Nino Luciani  
          UNIVERSITAS Notizie - Organo del SUN - SINDACATO UNIVERSITARIO NAZIONALE on Line - SEDE IN BOLOGNA
           MEMBRO  delle OO.UU.DD: ADU,ANDU, APU,CISAL-Università, CISL-Università,  CNRU, CNU, FIRU, FLC-CGIL, SNALS-Università, SUN, UILPA-UR, UGL

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