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terza via di Renzi, Caponnettl, democristiani pieni di ardimento, Gabriele Cantelli, prove
di Renzi e Berlusconi otre la terza via, |
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SCELTE
PUBBLICHE: RIFORMA DELLA POLITICA IN ITALIA |
Matteo RENZI: La
terza via della sinistra e la mia ricerca di un nuovo
cammino.
Francesco CAPONNETTO, Democristiani non utopisti visionari, ma pieni di
ardimento
Gabriele CANTELLI, Renzi-Berlusconi: prove oltre la terza via, tra
riconoscimenti e coperture ? |
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Matteo
RENZI, La terza via della sinistra
e la mia ricerca di
un nuovo cammino. |
(Testo ripreso da Il Sole 24 ORE, 28 nov. 2014 )
1.- Per tutto il Novecento, il destino della sinistra che cambiava le cose
è stato quello della incessante ricerca di una terza via. Una ricerca
appassionata e critica che, avendo a cuore che gli ideali di libertà e giustizia
continuassero a orientare una politica per i cittadini e per il cambiamento, sapeva
districarsi tra il cieco affidamento alle ragioni del mercato della destra e l'ideologismo
statalista della sinistra estrema.
Oggi quel compito è diventato più arduo. Ai due vecchi conservatorismi
di destra e di sinistra, si è difatti aggiunta l'inconcludenza di un populismo
che, oltre a tentare di permeare chiunque dei suoi pregiudizi, s'è fatto istanza politica
a sé e reclama a gran voce il suo spazio. In Europa, in particolare, questo populismo ha
avuto più successo che altrove, facendosi vanto di non essere interessato alla
comprensione dei problemi e alla pronta definizione delle soluzioni, quanto piuttosto alla
compilazione dell'elenco di presunti colpevoli. Un elenco che, seppure di tanto in tanto
lasci intravedere i nomi di qualche vero avversario del cambiamento, è composto in
maniera convenzionale e gretta. Così, nel nuovo secolo già carico di mutamenti
tali da apparire inimmaginabili anche negli ultimi anni del vecchio, il futuro della
sinistra che cambia le cose è diventato più complesso.
Sommatasi la loquace balbuzie populista ai due vecchi
conservatorismi, il nostro compito è divenuto quello della ricerca di un nuovo
cammino, originale e tuttavia memore del percorso fin qui realizzato.
Non è soltanto una questione di numeri. Quando, sotto la spinta della
stagione clintoniana, la sinistra definì i contorni della propria Terza via, riuscì nel
suo intento perché seppe disinnescare il determinismo della destra focalizzato sulla
inviolabilità del mercato e quello di una certa sinistra - che vediamo all'opera ancora
oggi - centrato sulla sacralità dello Stato.
La sinistra delle riforme aveva allora solo due avversari da
sconfiggere. Due avversari, per così dire, convenzionali.
Ci riuscì proponendo un umanesimo liberal-democratico,
costruito sulla dialettica nuova tra quanto al mercato andava concesso in termini di
realizzazione delle libertà dei singoli e quanto allo Stato era richiesto in ragione di
un'estensione delle opportunità per tutti. Quella lezione e le conquiste che ne seguirono
valgono ancora oggi.
Eppure non sono più sufficienti. Il populismo, nemico non
convenzionale nell'agorà della politica, si è affiancato ai due vecchi avversari e
impone la sua presenza urlando e spaventando. Unico modo per neutralizzarlo è
rispondere a quella legittima invocazione di trasparenza, che viene alla politica
trasversalmente da tutti.
La globalizzazione impone alle democrazie del mondo non soltanto di
essere più veloci nelle proprie dinamiche di rappresentanza e nei processi decisionali.
Richiede anche di rendere le dinamiche di rappresentanza e i processi decisionali più
trasparenti che in passato.
Per ridurre così la distanza che i cittadini percepiscono
tra se stessi e le istituzioni, utilizzando anche i nuovi strumenti di comunicazione della
Rete. Più velocità e più trasparenza, insomma: una sfida inedita per la storia del
pensiero e delle procedure democratiche. E tutta qui sta la difficile opera della ricerca
di una nuova via per la sinistra che vuole ancora cambiare il mondo per farlo più libero
e più giusto.
È successo e succede alla sinistra di affezionarsi troppo ai
cambiamenti che ha realizzato negli anni passati. Si affeziona a essi al punto di
pretendere di difendere le conquiste del passato anche quando diventano il principale
ostacolo per le conquiste future.
Un enorme paradosso per chi è di sinistra e sa che solo
la continua realizzazione degli ideali di libertà e giustizia conferisce, per ogni
generazione, un senso storico all'essere di sinistra.
2.- Nemmeno alla Terza via è oggi possibile affezionarci. Certo, tutti
noi abbiamo in tasca una bussola per attraversare il tempo del nostro impegno politico. Un
oggetto familiare che portiamo con noi ovunque: una guida, più che un semplice strumento
di orientamento.
E per molti di noi la Terza via è stata la bussola del cammino
degli ultimi anni.
Quando nel 1999 Bill Clinton e Tony Blair convocarono a Firenze
i progressisti di tutto il mondo, avevo ventiquattro anni e avevo deciso che per me la
politica, intesa come cambiamento in positivo, come partecipazione e scelta, come impegno
e responsabilità, poteva essere qualcosa di buono, un orizzonte possibile per trasformare
in meglio la realtà. Tuttavia nella stagione presente dei grandi mutamenti della
globalizzazione, la nostra vecchia bussola può indicarci la direzione sbagliata.
Oggi i grandi mutamenti in corso agiscono, difatti, come
inattesi e improvvisi campi magnetici che fanno saltare l'ago della Terza via.
Solo una bussola nuova, costruita dalle passioni e dalle
intelligenze del presente e ispirata dai bisogni reali che richiamano oggi il nostro
impegno - penso, ad esempio, agli sforzi di riforma che stiamo facendo in Italia, dagli 80
euro al cambiamento dell'architettura istituzionale, così come ad altre esperienze in
Europa e nel mondo che si muovono nella stessa direzione - può indicarci la giusta
direzione del futuro. Una nuova via che si faccia strada tra i tanti e diversi che agitano
paura e diffondono sfiducia, per indicare un nuovo verso per un futuro più prospero e
più felice. |
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Francesco
CAPONNETTO, Democristiani non utopisti visionari, ma pieni di ardimento |
NEL QUADRO DEI TENTATIVI IN ATTO
PER LA RICOSTRUZIONE DI UN PARTITO
UNITARIO DEI CATTOLICI, IN POLITICA
Non è facile, in questo panorama politico
italiano, ed in questi periodi di particolare crisi democratica, scrivere della Democrazia
Cristiana.
E un fatto, a tutti noto, che un insieme di politici, con astute
mosse, atte ad ingannare con illusioni fantastiche l'opinione pubblica, aspirano a farsi
riconoscere dal Parlamento Italiano «Legati Apostolici».
Essi hanno, cioè, la pretesa di ottenere il diritto speciale di
nominare, al posto degli elettori, i Deputatinazionali ed i Senatori' .
Anche il grande Conte norrnanno Ruggero, con una bolla pontificia
conferitagli dal Papa Urbano II, ottenne la prerogativa della Apostolica Legazia, per cui
i Vescovi siciliani erano nominati direttamente dal Re.
Questo privilegio, durato molti secoli, generò tante vicende
dolorose.
Non è facile scrivere della DC, anche perché, mentre due nostri
eroici connazionali tirano avanti alla meglio per non'fare la fine di Attilio Regolo,
milioni di famiglie faticano ad a,rnvare alla fine del mese.
Ma quello che ci deve servire da ammaestramento, è l'opinione di
Galileo Galilei, che scriveva in una sua lettera: " Oggi è invalso l'uso che
meglio sia errar con I'universale, che essere singolare nel rettamente discorrere".
Infatti una gran quantità di persone, in modo particolare quelle che diedero al pavido
Mino Martinazzoli il malvagio consiglio di sciogliere la D.C., si considerano dei furboni
e pensano di essere forti, solo perché numerosi. Perciò, senza diventare rossi in viso,
dopo avere ammainato la bandiera della Democrazia Cristiana, oggi espongono la
bandiera di ogni vento.
La ragione particolare per la quale hanno abiurato la propria fede
politica, ed hanno morso la mano che Ii ha nutriti, è nata dalla
brama di amare solo se stessi ed i1 portafogli gonfio.
L'orgoglio ridicolo del quale, questi "sciocchi politici di
mal talento pieni" vanno fieri, è la persecuzione della D.C.; i loro eroi sono i
disertori, che reclutano milizie mercenarie per pugnalarla alle spalle; le loro divinità
tutelari sono i volti velati dei ruffiani prezzolati, che nei momenti bui e pieni di
affanni della disfatta, la spingevano verso gli scandali di tangentopoli per farla cadere
nella palude, al fine di ridurre i suoi meriti ed il suo onore, ad un brandello di sogni.
Ma il ricordo del Partito e degli uomini di valore che avevano dato
vita alla D.C., ora torna ad esercitare un profondo fascino.
Ecco perché, non uomini di valore, ma uomini qualsiasi, o come dice
Leonardo Sciascia, mezzi uomini e quaquaraquà, con la forza delle pugnalate dei
congiurati, tentano di spegnere Ia Vita de1la D.C. e la sua storia.
Un Partito, che non ha bisogno di cambiare il nome, non ha bisogno
di cambiare il simbolo perché rappresentano un pregio, una importanza morale che affonda
le sue radici nell'etica cristiana e trae onore e vanto dal Magistero Ecclesiastico.
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DEMOCRAZIA CRISTIANA,
in queste due parole sta tutta la grandezza e la maestà di questo Partito, al
quale, se vuole avere un awenire, spetta la gravosa responsabilità di individuare
l'Agamennone della sua Iliade. |
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Francesco Caponetto
P.S.: E' del Manzoni il verso che, se non è bello, esprime però una grande
verità: <l forti non sarem, se non siam uni ! ".
Roccella Valdemone (MESSINA) |
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Gabriele CANTELLI,
Prove di Renzi-Berlusconi, oltre la
terza via, tra riconoscimenti
e coperture ? |
1.- In prima pagina troviamo Napolitano: "Sul lavoro ci
vuole più coraggio, basta conservatorismi".
E' chiaro il riferimento alla tensione nel PD che suona come un
intervento di mutuo soccorso della Presidenza della Repubblica, a sostegno del Presidente
del Consiglio e che, dagli Usa, dove si trovava in viaggio promozionale fra i cugini
democratici, con la solita delicatezza dell'elefante nella camera degli specchi, avvertiva
l'irrefrenabile desiderio di affermare:"pronto allo scontro con i sindacati, se
vogliono",
Allora da una parte, Napolitano con Renzi,e dall'altra, quelli che
sulla questione del superamento dell'articolo 18 si portano dietro un loro passato nel
quale il sindacato era la cinghia di trasmissione del partito e viceversa anche in
funzione della formazione del personale politico spesso intercambiabile.
I ruoli a double face, giocati da Cofferati ed Epifani bastino a
rappresentare una serie infinita di casi a livello nazionale, regionale e comunale di
esperienze politiche e sindacali animate da una comune convinzione dell'importanza dei
consigli di fabbrica come avamposti della collettivizzazione dell'economia.
2.- Si tratta ora di vedere se la questione della soppressione
dell'articolo 18, per le sinistre catto-socialiste che fanno parte dell'opposizione
interna al PD, costituisce solo un onorevole pretesto per perseguire un nuovo equilibrio
nel partito o se, di fronte alla intransigenza sindacale, esse portino la tensione interna
al PD oltre il limite della rottura, come la sottoscrizione e presentazione degli
emendamenti al testo governativo farebbero ritenere .
3.- Ma potrebbe essere il Renzi a cogliere buona la occasione per
provocare le condizioni di una scissione a sinistra usando nei loro confronti la stessa
delicatezza con la quale si mossero i giovani cattolici approdati nella DC per acquisirne
sedi e simbolo e non la storia, facendoli sentire stranieri in patria nelle sezioni di un
partito che comunque vadano le cose non è più il loro.
In questo momento diviene particolarmente importante il ruolo di un
Berlusconi che, volenti o nolenti, sta restituendo a Renzi il favore ricevuto quando
l'astro nascente, dopo averlo dichiarato a legame overall, a fine partita per la
condanna definitiva nella quale era incorso, lo ricevette in sede al Nazzareno
riconoscendone la piena rappresentatività della maggior forza di opposizione, la piena
capacità di sottoscrivere accordi politici.
Ora è¨ Berlusconi col suo fido Brunetta a dire che ove Renzi mantenga
la sua posizione sull'articolo 18 e le riforme concordate con la opposizione di
centrodestra, potrà contare sui suoi voti fino alla costituzione di un governo delle
larghe intese.
L'arroganza con la quale il giovane leader del PD si sta muovendo in
campo nazionale ed internazionale, dicendo anche quanto sa di non poter mantenere per gli
stessi vincoli europei nei quali incepparono i suoi predecessori, fa ritenere che Renzi
stia pensando alla costituzione di una nuova forza politica che, eliminata la sinistra
catto-comunista (da Bindi a Bersani) comprenda sinistra cattolica e socialdemocratici ,un
nuovo partito espressione di un moderato classismo, pronto a riconoscere l'impegno di
quegli imprenditori illuminati, da sempre in grado di rapportarsi con tutti i tipi
di maggioranza a livello nazionale e locale, (Mediaset compresa), purchè sia assicurata
quella concertazione pubblico privato, che anche in Emilia Romagna ha dimostrato di
essere determinante per la programmazione urbanistica del territorio.
In tal caso sarà la grande cooperazione, in possesso degli agganci
giusti per svolgere un ruolo e coagulo e di guida delle cordate di interessi trasversali,
a rappresentare la sinistra sociale al posto di un sindacato i cui riferimenti culturali
non corrispondono alla attuale dimensione elettorale del PD. |
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SCELTE PUBBLICHE: RIFORMA DEI PARTITI
IN ITALIA |
UNA CONVENTION DEI CATTOLICI TASSONE, FONTANA, ALESSI E
ALTRI |

On. Avv. Gianni Fontana
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LA CONVENTION DI
FONTANA E TASSONE
a Roma, Auditorium Domus Pacis, Via della Torre Rossa 94
il 10 ottobre 2014, ore 10,00 |
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Verso la rianimazione di un partito "di" cattolici,
dopo il flop della UDC nelle elezioni del 2013 .
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LE LETTERE DI FONTANA E TASSONE
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On. Avv. Mario Tassone
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La sequenza delle mini-DC nelle
elezioni politiche, dal 1994
ad oggi, prova che un partito di cattolici non è mancato mai.
Perchè tutte queste mini-DC sono rimaste "nane"? |
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1992 |
1994 |
1996 |
2001 |
2006 |
2013 |
Oggi |
Oggi |
Nota. La DC, dopo il presunto
scioglimento nel 1994, voluto da Martinazzoli, fu surrogata dal PPI, da cui scaturirono il
CDU di Buttiglione e Tassone, e poco dopo il CCD di Casini. Poi, da questi ultimi
scaturì l'unione in UDC, con l'aggiunta di DE-Democrazia Europea di D'Antoni.
Si direbbe che un partito di cattolici non sia mancato mai per l'elettorato,
eppure il successo elettorale di questa presenza è rimasto "nano".
Approfondire i motivi delle varie scissioni e del flop elettorale dell'UDC
nel 2013 è un passaggio necessario per la "buona" CONVENTION.
Va preso, poi, atto che nella primavera 2014 il CDU è uscìto dalla UDC, e
ciò ha messo in minoranza CASINI dentro la UDC, la quale adesso aspira ad una
"unione di fatto" con il NCD. Poi, ferve una discussione al centro e nel centro
destra, per l'invenzione di un'alternativa al PD. |
La lettera di Gianni Fontana Gentili
amiche e cari amici,
insieme ad altri organismi associativi e politici, sulla linea dellassemblea del
18-19 gennaio u.s. e degli ultimi incontri degli iscritti, venerdì 10 ottobre, dalle ore
10,00 alle 14,00, presso la Domus Pacis via di Torre Rossa 94 Roma, abbiamo convocato una
riunione al fine di giungere ad una concreta e costruttiva intesa finalizzata a condurci
alla fondazione di un nuovo soggetto politico entro il presente anno.
E nostra convinzione che i tempi siano maturi per portare a termine
quel tentativo che la nostra Associazione, sin dalla nascita, ha perseguito con tenacia,
generosità e speranza: la costituzione di un partito popolare, riformatore, europeista,
animato dal pensiero cristiano e dallo spirito dei costituenti.
Un partito impegnato a testimoniare il radicale insegnamento di Papa Francesco e le
virtù civili iscritte nella Carta: il partito della gente, delle donne e degli uomini di
buona volontà che non si sentono rappresentati dallattuale assetto politico o che
vi aderiscono come malinconica scelta del male minore.
Il partito che torna a riscaldare il cuore di chi, con la triste scelta dello
astensionismo e del disimpegno, si è lasciato andare, per rabbiosa rinuncia o non curante
indifferenza, ai margini della politica. Lappuntamento del prossimo venerdì avrà
un senso se la chiarezza, la qualità, loriginalità del progetto Paese
saranno supportate da una forte partecipazione, motivata e consapevole.
Partecipazione convinta che la battaglia in cui dovrà spendersi è quella di
tornare ad essere parte ed aver parte nella vita civile dellItalia per la
costruzione del bene comune.
A tal fine sono a chiedere non solo la tua presenza ma di impegnarti a fondo
per sollecitare ladesione di quanti auspicano un cambiamento che trova la sua radice
nella ricostruzione della persona umana disorientata e mutilata dalla superficialità,
dallegoismo dai fondamentalismi e dallimperante relativismo etico e politico.
Il 10 di ottobre, alla Domus Pacis, dovrà segnare la nuova aurora della politica
italiana.
Fraterni e benauguranti saluti.
Gianni Fontana |
La lettera di Mario Tassone
Caro amico,
sono lieto di invitarTi a partecipare alla manifestazione che il CDU, insieme ad altre
associazioni e formazioni politiche ha organizzato per il prossimo 10 ottobre alle ore
10.00 all'Auditorium Michelangelo presso la Domus Pacis Torre Rossa Park in Roma.
Questo fa seguito ad un impegno costante che il nostro Partito ha
assunto, per favorire il coinvolgimento ad una aggregazione fra soggetti che intendono
portare avanti un'azione tendente a recuperare il senso della politica, così come più
volte abbiamo detto e così come è stato deciso anche dal nostro Congresso nazionale del
14 e 15 marzo.
E' una grande occasione che dobbiamo cogliere, ecco perché chiedo la vostra
presenza mobilitando anche gli amici.
Dobbiamo dimostrare che la politica non è naufragata in una indistinta
e dannosa omologazione, ma ci sono fermenti vitali su cui bisogna scommettere, perché i
grandi ideali ed i grandi valori della democrazia e della libertà non siano messi in
discussione attraverso operazioni che sono estranee alla storia politica e culturale del
nostro Paese.
Ti ringrazio per l'attenzione e Ti invio i miei più cordiali saluti.
Mario Tassone |
Alberto Alessi, Il
Commento e il buon viatico Lappello di
Fontana e Tassone Uniamoci è un appello lanciato agli uomini di buona
volontà, con un convegno a Roma il 10 ottobre 2014.
Non è un richiamo ai cattolici, non è infatti questo il compito di un
movimento che vuole ispirarsi ai valori cristiani, per formare un nuovo partito
dei cattolici, ma anche di cattolici, cioè uniti intorno ad un
programma con al centro luomo, che dovrebbe agganciarsi al Maritain umano e
metafisico.
Poiché lincontro umano, tra coloro di uguale identità culturale, è
una questione importante, dove lì si scopre la dignità, lintelligenza, la
sincerità dellaltro, e dove si può trovare una verità nuova, correndo forse il
rischio di un fallimento, ma archiviando la tentazione del potere, perché non vi è
maggior potere che servire.
Saranno gli aderenti al progetto fontaniano-tassoniamo a tracciare il
sentiero dove nessuno deve sentirsi escluso e nessuno privilegiato. |
Nino Luciani, Una
sintesi delle cose ... e dei perchè ... 1.- Deve
tornare la DC ? Negli ultimi anni, è via via cresciuto, tra i cattolici a livello
individuale, il fervore per il ritorno della DC storica, pensosi che solo attraverso
lunione si possa contare in politica, campo di grandi ideali ma anche di grandi
interessi contrapposti.
La tensione è massima, oggi, alla constatazione che l'Italia (dal 1994, vale
dire dalla caduta della DC) si trova di fronte agli stessi problemi, da 20 anni, anzi
aumentati e con pessimismo sul futuro: meno attenzione a famiglia, formazione, scuola;
caduta dei posti di lavoro, caduta del PIL, oppressione dei partiti sulla società civile
sotto forma di cattura del danaro pubblico per i partiti e per arricchimento personale.
Ma anche la DC, pur benemerita della ricostruzione post-bellica dell'Italia e
del suo straordinario progresso economico e sociale, negli ultimi 10 anni (vale dire negli
anni '80) è risultata non immune dalla corruzione. |
Continua: LUCIANI:
Questo fatto ha alimentato l'idea che c'è, per tutti i
partiti, un problema di riscoperta dei valori profondi della politica, ma anche di
revisione del sistema politico, alla luce delle grandi democrazie, dove la chiave appare
l'alternanza tra i grandi partiti al potere (non fu così tra DC e PCI, ma anzi ci fu un
"compromesso storico" per imbrigliare tutto.2.- Per
lunità dei cattolici in politica. Solo questo ? Torno alla caduta dei grandi
valori, nella politica. Sia chiaro, innanzitutto, che i grandi valori non sono un
monopolio dei cattolici (e basti ricordare le grandi culture del liberalismo e del
socialismo, delle grandi religioni).
Al tempo stesso, ricordato il ruolo dei cattolici nella storia d'Italia, appare una
danno grave, per la Italia, l'assenza organizzata del mondo laico cristiano, e difatti una
cosa è la forza politica delle proposte individuali, altra cosa è quella delle proposte
unitarie.
Tuttavia, come si vede dalla tabella sopra costruita, non è mai mancato un
partito di derivazione DC nel parlamento italiano. E', dunque, dove sta il problema di
riorganizzazione della DC storica?
3.- Non solo questo . Come mai a partire dal PPI, successore
diretto della DC, si sono viste, via via, tante ulteriori scissioni, parziali
ricomposizioni e nuove scissioni ? Evidentemente qualcosa è andato storto tra i
"neo-DC", e forse prima di tutto i fallimenti elettorali.
E come mai la UDC (il partito più simile alla DC) è risultato non solo
fallimentare, a livello elettorale (2013), ma è anche incappato in una scissione a sua
volta ? (Quella del CDU).
Sento la responsabilità di non potere addurre motivazioni sicure. Qualcuna,
forse, la vedrei:
a) la prima è la sproporzione tra uomini come Casini e Berlusconi. L'ho visto da
un fatto significativo, irripetibile: nel 2008, al momento della caduta in minoranza del
Governo Prodi ( per venir meno in Senato dei tre voti di Mastella UDEUR), Casini avrebbe
potuto salvare Prodi con i suoi 40 voti, divenendo determinante la nuova maggioranza e
ricostruire la DC, e fors'anche aspirare alla Presidenza del Consiglio nella legislatura
successiva.
Ma Casini buttò via lacqua e il bambino. Era una scelta troppo
"grande" per un uomo "piccolo" come lui ?
b) la seconda il ruolo primario del "lucro personale" nei politici
di oggi, anche in quelli che si proclamano "cattolici".
4.- In cerca di un rimedio alle deviazioni dei politici. Questa
anomalia (ruolo del lucro personale) non va demonizzata, ma presa realisticamente, come
base per una giusta correzione di questa "anomalia".
A livello della scienza delle finanze, precisamente di quella sezione che riguarda
le "scelte pubbliche", è stato definitivamente acquisito il contributo di J.
Buchanan (premio Nobel), secondo cui i politici sono dei comuni mortali e dunque, (come i
comuni imprenditori) sono mossi primariamente dallinteresse personale, e solo in
seconda luogo dallinteresse pubblico.
Su questo, rinvio ad un mio libro, recensito da Sergio Quinzio (sul
settimanale SETTE de Il Corriere della Sera), che ne ebbe
scandalo. E difatti, per un cattolico come lui, la politica è solo e solamente un
servizio alla società civile.
Dobbiamo abituarci, invece, a prenderne atto, e regolamentarlo, perché il
binomio interesse personale-interesse pubblico vadano insieme correttamente.
Il punto è mai dimenticare che il bene e il male stanno in noi e che vanno
realizzate le condizioni perché prevalga il bene.
Nel caso del mercato, varie leggi hanno già dettato regole: divieto di limiti alla
concorrenza, lotta ai monopoli, divieto di adulterazioni dei prodotti, obbligo di indicare
la composizione dei prodotti e la loro origine geografica
.
Nel caso della politica, quali solo le leggi ? Direi che ci sono solo le leggi
penali. Proviamo a dare qualche indicazione:
a) oggi i partiti sono associazioni private. Questo non può essere.
Qui il punto più nero è un acordo tra alcuni gruppi riesca a trasformare il
partito in una proprietà personale, attraverso la cattura del consenso degli iscritti
(come avvenne nella DC) ;
b) oggi la governance dello Stato è debolissima per eccesso di
frammentazione (dualismo tra Presidente della Repubblica e Presidente del Consiglio);
precarietà temporale del governo e infatti, in qualunque momento durante il quinquennio
della legislatura, una delle camere può revocare la fiducia; il parlamento è
polverizzato tra molti partiti).
In queste condizioni anche una persona per bene e piena di volontà non può
fare nulla di significativo, e chiunque (mosso dallinteresse personale) ha potere di
veto.
5: Ultimo, ma non ultimo: un limite allo statalismo. Lo
statalismo a oltranza è la sede naturale delle "deviazioni", perché qui, quasi
per definizione, i vari operatori pubblici non portano individualmente la responsabilità
economica dei fallimenti.
Qui, in caso di inefficienze, paga "Pantalone". La storia
dellURSS è stata molto illuminante. Il settore pubblico era governato dal PCUS e
dalla burocrazia e, quando esso si allarga troppo, la società civile cade in ostaggio di
queste due categorie. Gorbaciov laveva chiamata "NOMENCLATURA".
In Italia constatiamo la stessa cosa, sia pur in proporzione al grado di socialismo
(60% in Italia, 95% in URSS).
E non c'è solo un fatto di aggressività politica dei partiti, ma anche
sociale, e infatti le attività private nel sociale subiscono la concorrenza di quelle
pubbliche (in quanto gratuite), pur se spesso inefficienti. |
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Gabriele Cantelli
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MENTRE
CONTINUA LA DISCUSSIONE
SUL RITORNO DELLA DEMOCRAZIA CRISTIANA |
Gabriele Cantelli, Diffidare delle grossolane
imitazioni della DC
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SINTESI. Con
la vittoria del PD, per il detertminante contributo di forze estranee alla sua cultura e
le dimensioni interclassite assunte da quel partito, il problema della rinascita della D.C
diviene essenzialmente di natura religiosa. Si tratta di accertare,a breve scadenza se
anche il divorzio breve e il matrimonio gay cui a breve o medio termine segurà il
testamento della fine vita per una dolce morte morte a cura del S.S.N , verranno
considerati rientranti in quel progressismo inarrestabile nel quale la Chiesa intenda
svolgere il ruolo di onlus ospitaliera dei delusi e delle vittime ,o se vorrà sostenere
la sacralità del creato , della nostra esistenza compresa, minacciata non tanto e non
solo dalla provertà quanto da quel danichilismo progressista nato dall'identificazione
della verità nella prova scientifica . La dimensione del problema non é certamenta al
livello di un ragioniere che comunque ha voluto e dovuto comprendere ,a proprie spese,il
processo politico della Democrazia Cristiana e delle altre forze politiche per conoscere
la fisionomia dei propri interlocutori e finire vittima di giovani cattolici,forniti di
quell' assistenza ecclesiastica che progressivamente ci é venuta a mancare, che della
discontinuità dalla nostra esperienza politica,fecero l'arma per per definirla un
incidente storico.Se Dio ci ha dato la forza d'animo per affrontare un confronto tanto
più pesante quanto ristrette siano le dimensioni geografiche del nostro impegno, dove
conoscendoci direttamente conosciamo le vere ragioni del cambiamento di umore e
schieramento politico di amici in avversari , sta diventando assurda la continuità della
nostra testimonianza politica avendo contro una parte del Clero e dell'associazionismo
cattolico.
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Diffidare ...
Una analisi del successo del PD alle Europee, confermato delle
contemporanee amministrative, che si fermasse al contributo determinante dei terrorizzati
dai proclami di Grillo sarebbe per lo meno superficiale ove non venisse collegato
all'eterogeneità del corpo elettorale che già alle primarie indette per l'elezione del
segretario di quel partito aveva concorso alla costruzione del fenomeno Renzi che
dell'affermazione si è avvalso per la inarrestabile ascesa alla presidenza del Consiglio.
Parziale anche se suggestiva pertanto è la tesi dei più noti
commentatori politici che per consistenza ed eterogeneità dei consensi hanno assimilato
la vittoria del PD di Renzi a quella della D.C alle elezioni del 1958 quando indubbiamente
allora come nelle successive tornate elettorali ai voti dei democratici cristiani si
aggiunsero si aggiunsero di quanti temevano il concreto rischio di una vittoria comunista.
Purtroppo sostanzialmente all'interno dello schieramento di
centrodestra l'analisi si è fermata alle ragioni dello scampato pericolo grillino quando
di ben altro spessore sono le ragioni dell'umore di quell'elettorato che ha votato Renzi
avendo capito che all'accanimento giudiziario nei confronti del suo leader si era aggiunto
l'accanimento terapeutico per mantenerlo in sella nonostante il suo percorso politico
fosse giunto al capolinea.
E' purtroppo senz'altro vero che, lungo tutti i vent'anni dalla sua
meritoria discesa in campo, nell'intero schieramento di centrodestra nessuno abbia voluto,
saputo o potuto dimostrare le qualità necessarie e sufficienti a offrire un modello di
leadership più consono a interpretare la serietà delle preoccupazioni degli italiani.
Così particolarmente nella fase conclusiva della recente campagna elettorale Renzi ha
potuto rivolgere all'Europa l'invito a cambiare registro per consentire col rilancio
economico la ripresa occupazionale, sostanzialmente la stessa linea tenuta da
Berlusconi,usata invece contro di lui in quanto definita antieuropea |
per scalzarlo dalla presidenza del
Consiglio e sostituirlo con un Monti più gradito alla masso-tecnocrazia finanziaria
internazionale. Ma siamo proprio certi che basteranno la
eliminazione delle Provincie,la soppressione del Senato e la riforma
elettorale,l'istituzione di un commissariato anticorruzione a rendere l'idea della nostra
volontà di cambiamento quando fino ad ora nessun partito ha avviato al suo interno una
verifica della propria estraneità al sistema politica-affari più serenamente operante
quanto più ampi e politicamente sostenuti siano i cartelli delle imprese(cooperazione
compresa), di esso partecipi?
La superficialità delle analisi dei partiti accompagnata dalla
distrazione e dal vuoto culturale dei molti che periodicamente compiono lo sforzo di
rispondere all'appello elettorale essendo essi sempre in tutt'altre faccende affacendati
potrebbe consentire al PD,sull'onda del successo di Renzi, di collocarsi nello spazio che
fu della Democrazia Cristiana della quale in tanti avvertono la nostalgia e il pudore di
rivelarlo per la sua fine traumatica in tangentopoli.
A rendere possibile questa evenienza potrebbe essere l'apporto di
una componente interclassista determinante il successo che Renzi non lascerà disperdere
alle prossime elezioni politiche.
A impedire il cambiamento della identità originariamente
classista non sarà la componente marxista dalla quale il lifting verrà ritenuto una
operazione strategica necessaria a garantire l'egemonia politica del partito e, sul piano
più propriamente economico,quell' incontro fra razionalismo marxista ed economicismo
liberale che Croce,agli inizi del '900 preconizzò potesse avvenire.
Come nessun ostacolo all'apporto delle diverse culture è
rappresentato dalla diversa e contrapposta considerazione interna allo stesso partito dei
valori definiti non negoziabili quando l'Autorità religiosa,ai suoi massimi livelli,
dovesse dare l'impressione di consentire l' impostazione dei cristiani adulti che |
ritenendoli appartenenti alla sfera
religiosa, li hanno relegano alla sfera individuale assoggettata a tutela della privacy.
Ove prevalesse la sensibilità pauperista sulle preoccupazioni
per un progressismo che esclude Dio la Chiesa assumerebbe quel ruolo di Onlus di
dimensioni mondiali che le merita il rispetto di quanti, non credenti,in quanto nei
sacerdoti riconosce il duplice ruolo di assistenti sociali e custodi del patrimonio
artistico del quale le chiese sono i pregevoli scrigni contenitori.
La situazione politica che ho delineato é tutt'altro che fantascientifica: è esattamente
quella che viviamo nelle realtà locali amministrate dalle sinistre dove sul piano
propagandistico dai diversi amboni si predica contro il capitalismo mentre sui "
tavoli di concertazione pubblico-privato" con gli imprenditori siedono i
rappresentanti delle istituzioni politiche e sindacali per discutere interventi sul
territorio altrimenti passibili di pericolose interpretazione di cartelli e comitati
d'affari.
Nell'attuale contesto che vede a livello locale la
moltiplicazione delle liste civiche per lenire il risentimento popolare nei confronti dei
partiti storici ritenuti complici della situazione di degrado in cui si trova il Paese, la
ripresentazione della Democrazia Cristiana non avrebbe senso se non condividessimo
l'esigenza di fare chiarezza sulle ragioni per le quali al momento della diaspora delle
realtà correntizie della passata esperienza partitica prevalse la logica spartitoria dei
beni materiali (immobili e mobili)e immateriali( il simbolo scudocrocaiato), sul dovere di
difendere l' onorabilità degli iscritti al partito da chi, nello stesso ambiente
cattolico, aveva tutto l'interesse a non separare il grano dal loglio per bruciare
l'intera esperienza storica del nostro partito.
Per ricandidare la Democrazia cristiana alla guida del Paese
occorre la volontà di separare le ragioni del potere fine a sé stesso dalle ragioni
dell'impegno politico dei cattolici quando chi ha condotto i reduci in schieramenti
contrapposti ha finito per accreditare la tesi che il nostro partito con la fine del
comunismo avesse esaurito il compito ad esso affidato dalla storia. |
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NUOVI SCANDALI, LEGATI
ALLA SPESA PUBBLICA |
Gabriele Cantelli, La nuova Tangentopoli
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TANGENTOPOLI A PUNTATE Con
tangentopoli1 la fine della prima Repubblica ! Con tangentopoli2 lo sconquasso
dell'attuale sistema democratico ?
La sopravvenienza di un nuovo ciclone giudiziario in un contesto di grande
sofferenza sociale quale l'attuale, accresce il rischio che sull'onda emotiva causata dal
sapiente dosaggio delle notizie in cronaca,finisca per prevalere l'irrazionalita' del
populismo giustizialista di Grillo che col suo il suo progetto sintetizzabile nella
destituzione di Napolitano e nell'assunzione della guida del Governo, porterebbe il Paese
allo conquasso istituzionale.
Questo certamente non significa che la Magistratura nell'attuale momento
politico,non debba esercitare il suo ruolo in assoluta autonomia, ma certamente meglio
sarebbe stato che la clamorosa emersione di una realta' sconvolgente, quale quella che si
sta delineando, fosse avvenuta prima della presentazione delle diverse liste in gara alle
prossime elezioni per consentire, con la verifica delle capacita' di penetrazione del
potere corruttivo sugli equilibri interni ai partiti,la adozione delle misure necessarie a
individuarne e colpirne i referenti politici . |
Le pressoche' due settimane che ci separano dalle
prossime elezioni infatti non bastano a mettere a fuoco le vere responsabilita' delle
forze politiche implicate in una vera e propria crisi di sistema della quale le vicende
giudiziarie di Berlusconi e la sua pretesa di risolverle a livello politico secondo una
logica ricattatoria nei confronti della Presidenza della Repubblica e del Governo, non era
che la punta dell'iceberg.
Se la scissione di F.I da parte di una schiera di parlamentari guidata da
Alfano e' frutto di una importante scelta fra detta logica e l'impegno di governo
nell'interesse del Paese, nella situazione alla quale ci troviamo rischia di non bastare
il tempo necessario alla sua componente politica per occupare lo spazio che intercorre fra
F.I di Berlusconi e il PD di Renzi dal quale si autoescludono una destra e una sinistra
incapace di uscire dalle suggestioni di antichi ricordi. Certamente non
basta a definire i contenuti di quest'area centrale l' accordo elettorale del NCD con la
UDC raggiunto in funzione dell'esigenza di conseguire il quorum richiesto per
rappresentanza delle forze politiche numericamente inferiori, quando l'appiattimento del
partito di Casini nelle ragioni del potere concretizza il rischio che alla sommatoria
degli indici di gradimento delle componenti non corrisponda, per |
difetto, il risultato elettorale della loro unione. La
presenza dello scudo crociato ,singolo o associato che sia a quello del NCD, ha infatti un
senso solo se ad essa venga dato il significato di un deciso rinnovato impegno politico
dei cattolici in difesa di quei valori etici e morali dalla cui mortificazione e' dipesa
la degenerazione dell'attuale sistema democratico; impegno, nell'area di sinistra,
relegato alla sfera personale per favorire la confluenza nel PSE dell'ala classista
cattolica con quello di derivazione marxista e, nell'area di centro destra, scivolato nel
culto della personalita' di partiti ridotti a congregazioni di supporto del loro leader.
In considerazione di quanto avvenuto nella discontinuita' dall'esperienza delle
Democrazia Cristiana la riorganizzazione di un Partito che ne voglia recepire il ruolo
svolto nella ricostruzione del Paese non puo' non essere legata alla volonta' di aprire un
confronto con l'intera area cattolica per una approfondita analisi dell'attuale situazione
sociale anche alla luce del contributo, nel bene e nel male, degli appartenenti alle
diverse realta' associative che fanno comune riferimento agli indirizzi della dottrina
sociale cristiana. Questo e' la condizione dell'impegno di quanti fra le diverse opzioni
del volontariato cattolico scelsero la azione politica nella Democrazia Cristiana
incuranti sempre del prezzo della propria testimonianza. |
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EDIZIONE PRECEDENTE |
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Sentenza
della Corte, Progetto Renzi-Berlusconi, Documento "alt" di 26 Costituzionalisti |
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LA TESI DEI GIURISTI:
"Riformulato il Porcellum, con pochi correttivi". |
Nino LUCIANI: |
1) La vera novità, rispetto al "Porcellum" è il premio
di maggioranza su base nazionale anche al Senato, e questo eviterà diverse maggioranze
tra le due camere. Circa il progetto di Renzi-Berlusconi, clicca legge elettorale
2) Rimane irrisolto il problema del frazionamento delle coalizioni, in più gruppi, dopo
le elezioni, ossia il fenomeno dei "cambiacasacca" con caduta della maggioranza.
Circa un rimedio, ripeschiamo il grande costituzionalista e membro dell'Assemblea
costituente COSTANTINO MORTATI
3) Pesa l'ipoteca della incostituzionalità, e Napolitano non potrà non rilevarla, data
la sentenza fresca fresca della Corte Costituzionale sul vecchio Porcellum. |
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1.- Premessa. Personalmente ho sempre
pensato che occorra una riforma costituzionale, che sottragga ai partiti il controllo del
governo (partiti ladri, anche legalmente: vedi legge che aggirò il referendum
costituzionale sul finanziamento pubblici dei partiti), e dunque permetta l'elezione del
Presidente del Consiglio (per 5 anni) direttamente dai cittadini.
Ed ho anche sempre pensato che, in assenza di una riforma costituzionale,
l'unica via praticabile è una forzatura della interpretazione della attuale Costituzione
(che è proporzionalista e sottopone il governo alla fiducia delle camere): ossia un nuovo
porcellum, corretto.
2.- I miglioramenti del
"nuovo"porcellum. Il primo, più importante, è che il
premio di maggioranza sarà su base nazionale anche al senato (oltre che alla camera), per
cui è molto improbabile una diversa "maggioranza" tra le due camere.
Il secondo miglioramento è la possibilità del ballottaggio
tra i primi due partiti o le prime due coalizioni, se nessuna raggiunge il 35% dei voti
totali delle elezioni.
3.- Difetto rimasto: la possibilità dei cambiacasacca nel dopo elezioni.
Qualora i due poli non siano partiti, ma coalizioni, non si può escludere il ripetersi di
quanto ripetutamente avvenuto in passato, vale dire che la coalizione di maggioranza si
frazioni in più gruppi, e in questo modo l'ostracismo ai piccoli partiti (disposto dalla
nuova legge) non sarebbe estirpato.
Sono convinto che questo fenomeno si potrebbe presentare anche se il premio
andasse al partito maggiore, perchè Forza Italia non è un partito ideologico (ma un
partito di affari) e il PD è una convivenza dell'anima liberale del PCI e dell'anima di
sinistra della veccha DC. (Queste cose non |
accadevano nella prima repubblica, quando c'erano due
grandi partiti con un alto senso dello Stato, la DC e il PCI, a parte deviazioni gravi
degli ultimi tempi, a causa del compromesso storico, anzichè della alternanza, tra loro,
al governo). 4.- Quale rimedio al fenomeno dei cambiacasacca. Il
rimedio al fenomeno comincia dalla valorizzazione dei piccoli partiti, non dal loro
ostracismo. Questo li spinge a fare coalizioni forzate innaturali, ma che poi (nel dopo
elezioni) si sciolgono. Il secondo rimedio consiste nel modificare la normativa
costituzionale e questo ripropone la ineludibilità di riforme costituzionali e la
insufficienza di riforme meramente elettorali. Vediamo meglio cominciando da questa, e
riprendendo infine come aggregare i piccoli partiti.
a) l'art. 67 della Costituzione dice che "ogni membro del
parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di
mandato". Dunque, la prima falla è nella Costituzione, per cui si ripropone il
problema di modificare Costituzione, se si vuole evitare la polverizzazione della
rappresentanza politica.
L'art. 64 apre, però, alla possibilità di correttivi
attribuendo alle camere il "potere regolamentare" per l'organizzazione interna.
Ad es., in Senato il regolamento dispone che per la formazione di un gruppo occorrono
almeno 10 membri. Alla Camera il minimo è 20.
E' pacifico che l'autonomia organizzativa interna sia essenziale alla
sovranità del parlamento, ma è anche evidente che la proliferazione dei gruppi potrebbe
minare il corretto funzionamento del parlamento, e dunque ciò non attiene ad un
problema organizzativo, in senso stretto, perchè ha rilevanti effetti
esterni. |
E' possibile intervenire sulla
formazione dei gruppi, senza minare l'autonomia organizzativa interna ? La
risposta non si trova facilmente nei testi di diritto costituzionale. La si trova, però,
nelle lezioni del grande costituzionalista (e padre costituente) Costantino Mortati, di
cui sono stato studente molti anni fa a Roma, e di cui riporto il paragrafo qui sotto.
In sintesi, per intervenire sul regolamento (circa la proliferazione dei gruppi),
deve farlo la Costituzione direttamente o affidando alla legge il potere di regolazione,
però nel rispetto nel diritto di auto-organizzazione interna, in senso stretto.
5.- Le conseguenze benefiche per il problema della frammentazione. In
premessa, evidenzio che la limitazione alla formazione del numero dei gruppi parlamentari
è un modo alternativo per evitare la frammentazione dei partiti mediante sbarramenti alla
entrata.
Vediamo come. Ipotizziamo (come caso estremo) che la norma
costituzionale disponga che in parlamento sono ammessi solo due gruppi, uno di maggioranza
e uno di minoranza.
Ipotizziamo anche (coma caso estremo) che la rappresentanza dei
partiti sia ammesso con riparto proporzionale puro (senza alcun sbarramento).
Come mettere d'accoro le conseguenze delle due ipotesi ? La soluzione
sta nel disporre:
- che i due partiti maggiori costituiscano due rispettivi
gruppi;
- che tutti gli altri siano tenuti ad afferire ad uno dei due,
secondo la preferenza.
In questo modo tutti sono vincolati a contribuire alla coesione, ma
con forzature ragionevoli, meno pesanti della esclusione in partenza, propria degli
sbarramenti all'entrata. Nino Luciani |
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TRE DOCUMENTI A CONFRONTO
CORTE
COSTITUZIONALE: SENTENZA N. 1 - ANNO 2014 nel giudizio di
legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, 59 e 83, comma 1, n. 5 e comma 2 del
d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per
la elezione della Camera dei deputati), nel testo risultante dalla legge 21 dicembre 2005,
n. 270 (Modifiche alle norme per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della
Repubblica); degli artt. 14, comma 1, e 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20
dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione del Senato
della Repubblica), nel testo risultante dalla legge n. 270 del 2005, promosso dalla Corte
di cassazione nel giudizio civile vertente tra Aldo Bozzi ed altri e la Presidenza del
Consiglio dei ministri ed altro con ordinanza del 17 maggio 2013 iscritta al n. 144 del
registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25,
prima serie speciale, dell'anno 2013. 3.1.- La questione sollevata (dalla Corte di
Cassazione) è fondata. Questa Corte ha da tempo ricordato che l'Assemblea Costituente,
"pur manifestando, con l'approvazione di un ordine del giorno, il favore per il
sistema proporzionale nell'elezione dei membri della Camera dei deputati, non intese
irrigidire questa materia sul piano normativo, costituzionalizzando una scelta
proporzionalistica o disponendo formalmente in ordine ai sistemi elettorali, la
configurazione dei quali resta affidata alla legge ordinaria" (sentenza n. 429 del
1995). Pertanto, la "determinazione delle formule e dei sistemi elettorali
costituisce un ambito nel quale si esprime con un massimo di evidenza la politicità della
scelta legislativa" (sentenza n. 242 del 2014; ordinanza n. 260 del 2002; sentenza n.
107 del 1996). Il principio costituzionale di eguaglianza del voto - ha inoltre rilevato
questa Corte - esige che l'esercizio dell'elettorato attivo avvenga in condizione di
parità, in quanto "ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia
alla formazione degli organi elettivi" (sentenza n. 43 del 1961), ma "non si
estende [
] al risultato concreto della manifestazione di volontà dell'elettore
[
] che dipende [
] esclusivamente dal sistema che il legislatore ordinario, non
avendo la Costituzione disposto al riguardo, ha adottato per le elezioni politiche e
amministrative, in relazione alle mutevoli esigenze che si ricollegano alle consultazioni
popolari" (sentenza n. 43 del 1961). Non c'è, in altri termini, un modello di
sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest'ultima lascia alla
discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace
in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo
espressione dell'ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo
sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente
irragionevole (sentenze n. 242 del 2014 e n. 107 del 1996; ordinanza n. 260 del 2002).
Nella specie, proprio con riguardo alle norme della legge elettorale della Camera qui in
esame, relative all'attribuzione del premio di maggioranza in difetto del presupposto di
una soglia minima di voti o di seggi, questa Corte, pur negando la possibilità di
sindacare in sede di giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo profili di
illegittimità costituzionale, in particolare attinenti alla ragionevolezza delle predette
norme, ha già segnalato l'esigenza che il Parlamento consideri con attenzione alcuni
profili di un simile meccanismo. Alcuni aspetti problematici sono stati ravvisati nella
circostanza che il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione
della lista di maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un
numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi.
In tal modo si può verificare in concreto una distorsione fra voti espressi ed
attribuzione di seggi che, pur essendo presente in qualsiasi sistema elettorale, nella
specie assume una misura tale da comprometterne la compatibilità con il principio di
eguaglianza del voto (sentenze n. 15 e n. 16 del 2008). Successivamente, questa Corte,
stante l'inerzia del legislatore, ha rinnovato l'invito al Parlamento a considerare con
attenzione i punti problematici della disciplina, così come risultante dalle modifiche
introdotte con la legge n. 270 del 2005, ed ha nuovamente sottolineato i profili di
irrazionalità segnalati nelle precedenti occasioni sopra ricordate, insiti
nell'"attribuzione dei premi di maggioranza senza la previsione di alcuna soglia
minima di voti e/o di seggi" (sentenza n. 13 del 2014); profili ritenuti, tuttavia,
insindacabili in una sede diversa dal giudizio di legittimità costituzionale. Gli stessi
rilievi, nella perdurante inerzia del legislatore ordinario, non possono che essere
ribaditi e, conseguentemente, devono ritenersi fondate le censure concernenti l'art. 83,
comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. Tali disposizioni, infatti, non
superano lo scrutinio di proporzionalità e di ragionevolezza, al quale soggiacciono anche
le norme inerenti ai sistemi elettorali. In ambiti connotati da un'ampia discrezionalità
legislativa, quale quello in esame, siffatto scrutinio impone a questa Corte di verificare
che il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti non sia stato realizzato
con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura
eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve
svolgersi "attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi prescelti
dal legislatore nella sua insindacabile discrezionalità rispetto alle esigenze obiettive
da soddisfare o alle finalità che intende perseguire, tenuto conto delle circostanze e
delle limitazioni concretamente sussistenti" (sentenza n. 1130 del 1988). Il test di
proporzionalità utilizzato da questa Corte come da molte delle giurisdizioni
costituzionali europee, spesso insieme con quello di ragionevolezza, ed essenziale
strumento della Corte di giustizia dell'Unione europea per il controllo giurisdizionale di
legittimità degli atti dell'Unione e degli Stati membri, richiede di valutare se la norma
oggetto di scrutinio, con la misura e le modalità di applicazione stabilite, sia
necessaria e idonea al conseguimento di obiettivi legittimamente perseguiti, in quanto,
tra più misure appropriate, prescriva quella meno restrittiva dei diritti a confronto e
stabilisca oneri non sproporzionati rispetto al perseguimento di detti obiettivi. Nella
specie, le suddette condizioni non sono soddisfatte. Le disposizioni censurate sono
dirette ad agevolare la formazione di una adeguata maggioranza parlamentare, allo scopo di
garantire la stabilità del governo del Paese e di rendere più rapido il processo
decisionale, ciò che costituisce senz'altro un obiettivo costituzionalmente legittimo. |
IL
DOCUMENTO DEI 26 GIURISTI*
G.Azzariti, M.Barberis, M.Bovero,
E.Bettinelli, F.Bilancia, L.Carlassare, P.Caretti, G.Cocco, C.De Fiores, M.Dogliani,
G.Ferrara, L.Ferrajoli, A.Musumeci, A.Pace, S.Rodotà, L.Ventura, M.Villone, E.Vitale,
P.Adami, A.Falcone, G.Incorvati, R.La Valle, R.La Macchia, D.Gallo, F.Marcelli, V.Pazè,
P.Solimeno.
(Fonte: IL MANIFESTO, 25 gen. 2014-01-27)
Nota. Per capire il Documento è forse
utile leggere, prima, il progetto di legge.
Clicca su:
La proposta di riforma elettorale depositata
alla Camera a seguito dell'accordo tra il segretario del Partito Democratico Matteo Renzi
e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi consiste sostanzialmente, con pochi
correttivi, in una riformulazione della vecchia legge elettorale - il cosiddetto
"Porcellum" - e presenta perciò vizi analoghi a quelli che di questa hanno
motivato la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della recente sentenza della
Corte costituzionale n. 1 del 2014.
Questi vizi, afferma la sentenza, erano essenzialmente due.
Il primo consisteva nella lesione dell'uguaglianza del voto e
della rappresentanza politica determinata, in contrasto con gli articoli 1, 3, 48 e 67
della Costituzione, dall'enorme premio di maggioranza - il 55% per cento dei seggi della
Camera - assegnato, pur in assenza di una soglia minima di suffragi, alla lista che avesse
raggiunto la maggioranza relativa.
La proposta di riforma introduce una soglia minima, ma stabilendola nella
misura del 35% dei votanti e attribuendo alla lista che la raggiunge il premio del 53% dei
seggi rende insopportabilmente vistosa la lesione dell'uguaglianza dei voti e del
principio di rappresentanza lamentata dalla Corte: il voto del 35% degli elettori,
traducendosi nel 53% dei seggi, verrebbe infatti a valere più del doppio del voto del
restante 65% degli elettori determinando, secondo le parole della Corte,
"un'alterazione profonda della composizione della rappresentanza democratica sulla
quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento costituzionale vigente" e
compromettendo la "funzione rappresentativa dell'Assemblea". Senza contare che,
in presenza di tre schieramenti politici ciascuno dei quali può raggiungere la soglia del
35%, le elezioni si trasformerebbero in una roulette.
Il secondo profilo di illegittimità della vecchia
legge consisteva nella mancata previsione delle preferenze, la quale, afferma la sentenza,
rendeva il voto "sostanzialmente indiretto" e privava i cittadini del diritto di
"incidere sull'elezione dei propri rappresentanti".
Questo medesimo vizio è presente anche nell'attuale proposta di riforma, nella
quale parimenti sono escluse le preferenze, pur prevedendosi liste assai più corte. La
designazione dei rappresentanti è perciò nuovamente riconsegnata alle segreterie dei
partiti. Viene così ripristinato lo scandalo del "Parlamento di nominati"; e
poiché le nomine, ove non avvengano attraverso consultazioni primarie imposte a tutti e
tassativamente regolate dalla legge, saranno decise dai vertici dei partiti, le elezioni
rischieranno di trasformarsi in una competizione tra capi e infine nell'investitura
popolare del capo vincente.
C'è poi un altro fattore che aggrava i
due vizi suddetti, compromettendo ulteriormente l'uguaglianza del voto e la
rappresentatività del sistema politico, ben più di quanto non faccia la stessa legge
appena dichiarata incostituzionale. La proposta di riforma prevede un
innalzamento a più del doppio delle soglie di sbarramento: mentre la vecchia legge, per
questa parte tuttora in vigore, richiede per l'accesso alla rappresentanza parlamentare
almeno il 2% alle liste coalizzate e almeno il 4% a quelle non coalizzate, l'attuale
proposta richiede il 5% alle liste coalizzate, l'8% alle liste non coalizzate e il 12%
alle coalizioni. Tutto questo comporterà la probabile scomparsa dal Parlamento di tutte
le forze minori, di centro, di sinistra e di destra e la rappresentanza delle sole tre
forze maggiori affidata a gruppi parlamentari composti interamente da persone fedeli ai
loro capi.
Insomma questa proposta di riforma consiste in una riedizione
del porcellum, che da essa è sotto taluni aspetti - la fissazione di una quota
minima per il premio di maggioranza e le liste corte - migliorato, ma sotto altri - le
soglie di sbarramento, enormemente più alte - peggiorato. L'abilità del segretario del
Partito democratico è consistita, in breve, nell'essere riuscito a far accettare alla
destra più o meno la vecchia legge elettorale da essa stessa varata nel 2005 e oggi
dichiarata incostituzionale.
Di fronte all'incredibile pervicacia con cui il sistema
politico sta tentando di riprodurre con poche varianti lo stesso sistema elettorale che la
Corte ha appena annullato perché in contrasto con tutti i principi della democrazia
rappresentativa, i sottoscritti esprimono il loro sconcerto e la loro protesta
Contro la pretesa che l'accordo da cui è nata la proposta
non sia emendabile in Parlamento, ricordano il divieto del mandato imperativo stabilito
dall'art.67 della Costituzione e la responsabilità politica che, su una questione
decisiva per il futuro della nostra democrazia, ciascun parlamentare si assumerà con il
voto. E segnalano la concreta possibilità - nella speranza che una simile prospettiva
possa ricondurre alla ragione le maggiori forze politiche - che una simile riedizione
palesemente illegittima della vecchia legge possa provocare in tempi più o meno lunghi
una nuova pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale e, ancor prima,
un rinvio della legge alle Camere da parte del Presidente della Repubblica onde
sollecitare, in base all'art.74 Cost., una nuova deliberazione, con un messaggio motivato
dai medesimi vizi contestati al Porcellum dalla sentenza della Corte costituzionale. Con
conseguente, ulteriore discredito del nostro già screditato ceto politico.
Primi firmatari: Gaetano Azzariti, Mauro Barberis, Michelangelo Bovero,
Ernesto Bettinelli, Francesco Bilancia, Lorenza Carlassare, Paolo Caretti, Giovanni Cocco,
Claudio De Fiores, Mario Dogliani, Gianni Ferrara, Luigi Ferrajoli, Angela Musumeci,
Alessandro Pace, Stefano Rodotà, Luigi Ventura, Massimo Villone, Ermanno Vitale, Pietro
Adami, Anna Falcone, Giovanni Incorvati, Raniero La Valle, Roberto La Macchia, Domenico
Gallo, Fabio Marcelli, Valentina Pazè, Paolo Solimeno |
Prof. Costantino Mortati, Corso di lezioni di diritto costituzionale italiano e
comparato, A.A. 1957-58, Università di Roma La Sapienza, ed.
Ricerche, Roma. (Le lezioni sulla riserva di legge sono state svolte dal prof. Sergio
Fois, (pp. 233-237).
La riserva dei regolamenti delle
Camere del Parlamento,
La nuova costituzione, all'art. 64, ha disposto che "ciascuna camera
adotta il proprio regolamento, a maggioranza assoluta dei propri componenti
Si chiede se da tali disposizioni si possa trarre argomento per l'esistenza di una
"riserva" a favore del Parlamento, nel senso di escludere l'intervento della
legge nella materia in essa rientrante.
A meglio intendere i termini del problema gioverà accennare al modo come storicamente si
è affermata l'autonomia delle Camere.
L'esame comparativo dell'evoluzione subita dallo istituto in discorso mostra le diversità
di manifestazioni secondo il grado dell'efficienza politica raggiunta dalle assemblee
parlamentari. Così, mentre nelle monarchie germaniche si affermò la tendenza alla
regolamentazione dell' attività interna delle Camere con legge, o addirittura con
regolamento regio, viceversa in Inghilterra ed in Francia si verificò una netta
affermazione di autonomia, pur con diversità di manifestazioni e di vicende.
Per quanto riguarda l'Inghilterra deve essere
ricordato che il Parlamento era all'origine organo con competenza multipla, poichè, oltre
a votare le leggi di imposta, aveva non solo funzioni amministrative di indole consultiva,
ma anche giurisdizionali, in quanto formava la Suprema Corte di giustizia. Ed appunto
nella qualità di organo giudiziario la Camera dei Lords rivendicò il privilegio della lex et consuetudo Parlamenti.
Tale privilegio importava anzitutto il potere di determinare in modo insindacabile la
portata e l'ampiezza del modo d'esercizio delle proprie attribuzioni., ed inoltre quello
di ottenere obbedienza dalle autorità amministrative con sanzione di punizione a carico
dei disobbedienti per il reato di "contempt of
Court".
Si giunse anche ad affermare lefficacia dei regolamenti parlamentari pur se contra legem, desumendola dal carattere di
giudicato che si attribuisce alle deliberazioni che li sancivano.
Le norme regolamentari, fondate in un primo tempo sulla consuetudine, vennero poi
consacrate (all'epoca delle lotte del sec. XVII, ed allo scopo di rafforzarne la funzione
che erano andate assumendo di arma contro il sovrano), in parte, nei Rolls of Parliament, distinguendosi negli
"standing orders" (destinati a rimaner fermi fino ad esplicita abrogazione) e
nei "sessional orders" con efficacia limitata alla sessione in corso.
In Francia, mancando una tradizione
parlamentare, il potere di auto-organizzazione venne rivendicata dagli "Stati
generali" sulla base della titolarità del potere costituente, di cui essi si
proclamavano investiti. Così il Mirabeau assimilava il regolamento al "patto
sociale", emergente all'origine dall'unanime consenso, e modificabile poi a
maggioranza.
Da tale concezione si faceva altresì derivare il principio del carattere di organo nuovo
assunto da ogni nuova assemblea, non vincolata perciò al regolamento emanato dalla Camera
disciolta.
Con la Restaurazione si rivendicò alla legge il potere di regolare le attività delle
Camere interferenti con quelle di altri organi, e con la legge 13-8-1814 si conservò tale
differenziazione delle attività stesse, distaccandole da quel le fatte rientrare negli interna corpis, in senso stretto.
Il principio dell'autonomia delle camere si
afferma in seguito in tutti i paesi, sembrando
strumento necessario per l'esercizio della funzione di controllo sul governo affidato alle
medesime.
Nella successiva evoluzione subita dal regime parlamentare, in senso
"maggioritario" e con l'introduzione di elementi di accentuata eterogeneità nella composizione delle assemblee, vengono ad
affermarsi nuove esigenze che giustificano l'autonomia e che si esprimono, da una parte,
nella tutela delle minoranze (o inversamente in quella della maggioranza contro
1'ostruzionismo" delle minoranze); e dall'altra nel bisogno di consentire
1"assolvimento dei maggiori compiti assunti dalla legge statale, meglio disciplinando
(anche attraverso il sacrificio dell'autonomia dei singoli membri del parlamento, ormai
legati alla disciplina dei gruppi parlamentari costituiti sulla base dei partiti) il
lavoro affidato alle Camere.
5 Visto così lo svolgimento storico e la funzione attuale dei regolamenti parlamentari,
occorre ora rendersi conto della loro posizione nell'ordine delle fonti.
E osservare come la Costituzione mentre,
per una parte detta direttamente alcune norme relative allattività delle Camere,
(art. 62, 63, 64, 82), per un'altra parte affida alla legge la disciplina di rapporti attinenti ai
membri del Parlamento (art. 69), ed infine rinvia al regolamento di disporre sul modo di esercizio
delle altre funzioni.
Da quanto si è detto prima, si possono trarre argomenti sufficienti per ritenere che
l'art. 64 sia solo "dichiarativo" di un potere appartenente in proprio, ed
originariamente, alle Camere, perchè inerente alla loro posizione di organi sovrani,
forniti di prerogative per la tutela degli speciali interessi che ad esse fanno capo e che
importano una cornpetenza di autorganizzazione. diretta a sottrarre i propri membri a
influenze estranee, ed a disporre dei mezzi personali e materiali necessari
all'assolvimento dei propri compiti.
Risulta altresì confermato (sulla base delle premesse poste) il carattere
£riservato" di tale competenza; sottratta ad ogni intervento del legislatore.
Si vedrà poi (sia pure fugacemente) se si possa ritenere sussistente anche la
sottrazione, ad ogni sindacato, delle norme regolamentari.
Per quanto riguarda la riserva è da osservare come essa si desuma in modo decisivo
dallaggravamento di procedura per la formazione dei regolamenti dellart- 64 e
che rende insostituibile ad esse la fonte della legge ordinaria. Infatti, essendo
quest'ultima validamente deliberata con il voto della metà più'' uno dei presenti, la
disciplina, con essa dettata, degli interna
corporis non offrirebbe la garanzia che il voto favorevole della metà più uno dei
componenti offre; e pertanto verrebbe a contraddire all'esigenza, voluta tutelare, della
costituzione.
Se problema vi è, esso si riferisce ai limiti entro cui deve ritenersi contenuta la
materia propria degli interna corporis riservata
al Parlamento.
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Continua: CORTE COSTITUZIONALE Questo obiettivo è perseguito mediante un meccanismo premiale destinato ad
essere attivato ogniqualvolta la votazione con il sistema proporzionale non abbia
assicurato ad alcuna lista o coalizione di liste un numero di voti tale da tradursi in una
maggioranza anche superiore a quella assoluta di seggi (340 su 630). Se dunque si verifica
tale eventualità, il meccanismo premiale garantisce l'attribuzione di seggi aggiuntivi
(fino alla soglia dei 340 seggi) a quella lista o coalizione di liste che abbia ottenuto
anche un solo voto in più delle altre, e ciò pure nel caso che il numero di voti sia in
assoluto molto esiguo, in difetto della previsione di una soglia minima di voti e/o di
seggi. Le disposizioni censurate non si limitano, tuttavia, ad introdurre un correttivo
(ulteriore rispetto a quello già costituito dalla previsione di soglie di sbarramento
all'accesso, di cui al n. 3 ed al n. 6 del medesimo comma 1 del citato art. 83, qui non
censurati) al sistema di trasformazione dei voti in seggi "in ragione
proporzionale", stabilito dall'art. 1, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 361 del 1957,
in vista del legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze
parlamentari e quindi di stabili governi, ma rovesciano la ratio della formula elettorale
prescelta dallo stesso legislatore del 2005, che è quella di assicurare la
rappresentatività dell'assemblea parlamentare. In tal modo, dette norme producono una
eccessiva divaricazione tra la composizione dell'organo della rappresentanza politica, che
è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo
parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa
attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della
sovranità popolare, secondo l'art. 1, secondo comma, Cost. In altri termini, le
disposizioni in esame non impongono il raggiungimento di una soglia minima di voti alla
lista (o coalizione di liste) di maggioranza relativa dei voti; e ad essa assegnano
automaticamente un numero anche molto elevato di seggi, tale da trasformare, in ipotesi,
una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella
che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell'assemblea. Risulta, pertanto,
palese che in tal modo esse consentono una illimitata compressione della
rappresentatività dell'assemblea parlamentare, incompatibile con i principi
costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della
"rappresentanza politica nazionale" (art. 67 Cost.), si fondano sull'espressione
del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate
funzioni fondamentali, dotate di "una caratterizzazione tipica ed infungibile"
(sentenza n. 106 del 2002), fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e
controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della
Costituzione (art. 138 Cost.): ciò che peraltro distingue il Parlamento da altre
assemblee rappresentative di enti territoriali. Il meccanismo di attribuzione del premio
di maggioranza prefigurato dalle norme censurate, inserite nel sistema proporzionale
introdotto con la legge n. 270 del 2005, in quanto combinato con l'assenza di una
ragionevole soglia di voti minima per competere all'assegnazione del premio, è pertanto
tale da determinare un'alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione,
basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto (art. 48, secondo comma, Cost.).
Esso, infatti, pur non vincolando il legislatore ordinario alla scelta di un determinato
sistema, esige comunque che ciascun voto contribuisca potenzialmente e con pari efficacia
alla formazione degli organi elettivi (sentenza n. 43 del 1961) ed assume sfumature
diverse in funzione del sistema elettorale prescelto. In ordinamenti costituzionali
omogenei a quello italiano, nei quali pure è contemplato detto principio e non è
costituzionalizzata la formula elettorale, il giudice costituzionale ha espressamente
riconosciuto, da tempo, che, qualora il legislatore adotti il sistema proporzionale, anche
solo in modo parziale, esso genera nell'elettore la legittima aspettativa che non si
determini uno squilibrio sugli effetti del voto, e cioè una diseguale valutazione del
"peso" del voto "in uscita", ai fini dell'attribuzione dei seggi, che
non sia necessaria ad evitare un pregiudizio per la funzionalità dell'organo parlamentare
(BVerfGE, |
CONTINUA: MORTATI Come si e' visto, in Francia, ebbe ad affermarsi il principio dell'intervento
della legge per quanto riguarda i rapporti fra i poteri delle Camere e quelli degli altri
organi.
Non sembra che tale principio sia utilizzabile, ove si volesse dare al medesimo un
significato estensivo e quindi farlo valere per escludere lautonomia parlamentare
tutte le volte che 1'attività di ogni camera si ricolleghi con il funzionamento di .altri
organi.
Ciò sembra da escludere non solo nel caso di poteri di un ramo del Parlamento
interferenti con quelli dell'altro ramo (come nell'ipotesi del procedimento di formazione
delle leggi di revisione costituzionale) in cui occorre lasciare alla libera iniziativa
dei due la scelta dei modi necessari ad armonizzare fra loro le procedure, ma altresì
quando tali interferenze si abbiano nei confronti di organi diversi o anche di soggetti
singoli.
Così non sembra che competesse alla legge (come invece è stato fatto con l'art. 3 della
legge 11.3.1953 n. 87) dettare le modalità per l'elezione ad opera del Parlamento in
seduta comune di 5 membri della Corte Costituzionale. Ogni limite, in questa sfera,
dovrebbe venire disposto con legge costituzionale.
L'autonomia regolamentare delle Camere e'da ritenere fondata in ogni sua espressione sullo
stesso titolo, e cioè sulla sua posizione di organo supremo, sicchè 'non sembra da seguire l'opinione del Martines (La natura giuridica dei regolamenti parlamentari, p. 70),
che distinguendo le norme dei regolamenti parlamentari in tre gruppi:
a) esecutive della costituzione;
b) espressione del potere di supremazia speciale che si fa valere nei confronti dei propri
mèmbri o degli estranei che vengono a contatto con le Camere;
c) di organizzazione degli uffici interni,
ritiene di dovere attribuire a ciascuno dei gruppi un proprio fondamento.
Naturalmente i regolamenti di cui si parla sono da ritenere assoggettati ai principi
generali dellordinamento.
Non potrebbe però prendersi alla lettera l'affermazione formulata di recente dal Bon (Sui
regolamenti parlamentari, p. 118), secondo cui
essi incontrano il limite materiale costituito da tutte le materie che lordinamento
assoggetta alla riserva di legge. Infatti vi è tutta una serie di attribuzioni delle
Camere che incidono su situazioni giuridiche soggettive e dovrebbero in via generale,
essere regolate dalla legge e tuttavia ricadono nell'ambito della sua normazione (così le
procedure per la messa in stato d'accusa dei ministri o del Capo dello Stato, l'esame
delle petizioni, l'accertamento dei titoli di ammissione alle cariche parlamentari,
l'assunzione dei funzionari, il loro trattamento giuridico ecc.).
36. Le osservazioni fatte per ultimo conducono a far rientrare le norme, di cui si parla,
nell'ordinamento generale dello Stato, e quindi ad escludere che si possano
considerare quali "norme interne" (a
parte la questione se in via ge-nerale siano ammissibili norme di ordinamenti
pubblicistici da considerare interne).
L'ammissione che si è fatto del carattere di fonti di diritto oggettivo da attribuire ai
regolamenti de quibus è del tutto indipendente da quello della loro sindacabilità da
parte del giudice.
La possibilità di tale sindacato è vivamente discussa, ed anzi l'opinione dominante è
nel senso di escluderla, anche se non vi sia concordanza fra coloro che partecipano ad
essa in ordine alla ragione idonea a giustificare l'esclusione.
Non è qui opportuno (perché non conciliabile con l'economia del presente corso) fermarsi
ad analizzare il punto. Se ne è tatto cenno solo per l'occasione che esso offre di
riaffermare la possibilità di quella dissociazione fra forza di legge e valore di legge,
di cui si è parlato, e che è stata contestata dal Sandulli. Una volta ammessa la
insindacabilità, da parte del giudice, degli atti delle Camere (esecutivi dei rispettivi
regolamenti, anche se vertenti su rapporti con terzi e che riescano lesivi di situazioni
di vantaggio di costoro), si dovrebbe concludere per la sussistenza di atti aventi
efficacia di legge, senza tuttavia il valore proprio della legge. |
CONTINUA CORTE COSTITUZIONALE
sentenza 3/11 del 25 luglio 2014; ma v. già la sentenza n. 197 del 22
maggio 1979 e la sentenza n. 1 del 5 aprile 1952). Le norme censurate, pur perseguendo un
obiettivo di rilievo costituzionale, qual è quello della stabilità del governo del Paese
e dell'efficienza dei processi decisionali nell'ambito parlamentare, dettano una
disciplina che non rispetta il vincolo del minor sacrificio possibile degli altri
interessi e valori costituzionalmente protetti, ponendosi in contrasto con gli artt. 1,
secondo comma, 3, 48, secondo comma, e 67 Cost. In definitiva, detta disciplina non è
proporzionata rispetto all'obiettivo perseguito, posto che determina una compressione
della funzione rappresentativa dell'assemblea, nonché dell'eguale diritto di voto,
eccessiva e tale da produrre un'alterazione profonda della composizione della
rappresentanza democratica, sulla quale si fonda l'intera architettura dell'ordinamento
costituzionale vigente. Deve, quindi, essere dichiarata l'illegittimità costituzionale
dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957. 4.- Le medesime
argomentazioni vanno svolte anche in relazione alle censure sollevate, in relazione agli
stessi parametri costituzionali, nei confronti dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n.
533 del 1993, che disciplina il premio di maggioranza per le elezioni del Senato della
Repubblica, prevedendo che l'Ufficio elettorale regionale, qualora la coalizione di liste
o la singola lista, che abbiano ottenuto il maggior numero di voti validi espressi
nell'àmbito della circoscrizione, non abbiano conseguito almeno il 55 per cento dei seggi
assegnati alla regione, assegni alle medesime un numero di seggi ulteriore necessario per
raggiungere il 55 per cento dei seggi assegnati alla regione. Anche queste norme,
nell'attribuire in siffatto modo il premio della maggioranza assoluta, in ambito
regionale, alla lista (o coalizione di liste) che abbia ottenuto semplicemente un numero
maggiore di voti rispetto alle altre liste, in difetto del raggiungimento di una soglia
minima, contengono una disciplina manifestamente irragionevole, che comprime la
rappresentatività dell'assemblea parlamentare, attraverso la quale si esprime la
sovranità popolare, in misura sproporzionata rispetto all'obiettivo perseguito (garantire
la stabilità di governo e l'efficienza decisionale del sistema), incidendo anche
sull'eguaglianza del voto, in violazione degli artt. 1, secondo comma, 3, 48, secondo
comma, e 67 Cost. Nella specie, il test di proporzionalità evidenzia, oltre al difetto di
proporzionalità in senso stretto della disciplina censurata, anche l'inidoneità della
stessa al raggiungimento dell'obiettivo perseguito, in modo più netto rispetto alla
disciplina prevista per l'elezione della Camera dei deputati. Essa, infatti, stabilendo
che l'attribuzione del premio di maggioranza è su scala regionale, produce l'effetto che
la maggioranza in seno all'assemblea del Senato sia il risultato casuale di una somma di
premi regionali, che può finire per rovesciare il risultato ottenuto dalle liste o
coalizioni di liste su base nazionale, favorendo la formazione di maggioranze parlamentari
non coincidenti nei due rami del Parlamento, pur in presenza di una distribuzione del voto
nell'insieme sostanzialmente omogenea. Ciò rischia di compromettere sia il funzionamento
della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale
il Governo deve avere la fiducia delle due Camere (art. 94, primo comma, Cost.), sia
l'esercizio della funzione legislativa, che l'art. 70 Cost. attribuisce collettivamente
alla Camera ed al Senato. In definitiva, rischia di vanificare il risultato che si intende
conseguire con un'adeguata stabilità della maggioranza parlamentare e del governo. E
benché tali profili costituiscano, in larga misura, l'oggetto di scelte politiche
riservate al legislatore ordinario, questa Corte ha tuttavia il dovere di verificare se la
disciplina legislativa violi manifestamente, come nella specie, i principi di
proporzionalità e ragionevolezza e, pertanto, sia lesiva degli artt. 1, secondo comma, 3,
48, secondo comma, e 67 Cost. Deve, pertanto, dichiararsi l'illegittimità costituzionale
dell'art. 17, commi 2 e 4, del d.lgs. n. 533 del 1993. 5.- Occorre, infine, esaminare le
censure relative all'art. 4, comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957 e, in via consequenziale,
all'art. 59, comma 1, del medesimo d.P.R., nonché all'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533
del 1993, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono: l'art. 4, comma 2, del d.P.R. n.
361 del 1957, che "Ogni elettore dispone di un voto per la scelta della lista ai fini
dell'attribuzione dei seggi in ragione proporzionale, da esprimere su un'unica scheda
recante il contrassegno di ciascuna lista"; l'art. 59 del medesimo d.P.R. n. 361, che
"Una scheda valida per la scelta della lista rappresenta un voto di lista";
nonché l'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, che "Il voto si esprime
tracciando, con la matita, sulla scheda un solo segno, comunque apposto, sul rettangolo
contenente il contrassegno della lista prescelta". Secondo il rimettente, tali
disposizioni, non consentendo all'elettore di esprimere alcuna preferenza, ma solo di
scegliere una lista di partito, cui è rimessa la designazione e la collocazione in lista
di tutti i candidati, renderebbero il voto sostanzialmente "indiretto", posto
che i partiti non possono sostituirsi al corpo elettorale e che l'art. 67 Cost. presuppone
l'esistenza di un mandato conferito direttamente dagli elettori. Ciò violerebbe gli artt.
56, primo comma, e 58, primo comma, Cost., l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all'art. 3 del protocollo 1 della CEDU, che riconosce al popolo il diritto alla
"scelta del corpo legislativo", e l'art. 49 Cost. Inoltre, sottraendo
all'elettore la facoltà di scegliere l'eletto, farebbero sì che il voto non sia né
libero, né personale, in violazione dell'art. 48, secondo comma, Cost. 5.1.- La questione
è fondata nei termini di seguito precisati. Le norme censurate, concernenti le modalità
di espressione del voto per l'elezione dei componenti, rispettivamente, della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica, si inseriscono in un contesto normativo in base al
quale tale voto avviene per liste concorrenti di candidati (art. 1, comma 1, del d.P.R. n.
361 del 1957; art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 533 del 1993), presentati "secondo un
determinato ordine", in numero "non inferiore a un terzo e non superiore ai
seggi assegnati alla circoscrizione" (art. 18-bis, comma 3, del d.P.R. n. 361 del
1957 ed art. 8, comma 4, del d.lgs. n. 533 del 1993). Le circoscrizioni elettorali, la cui
disciplina non è investita dalle censure qui esaminate, corrispondono sempre, per il
Senato, ai territori delle Regioni (art. 2 del d.lgs. n. 533 del 1993); per la Camera dei
deputati (Allegato A alla legge n. 270 del 2005), le circoscrizioni corrispondono ai
territori regionali, con l'eccezione delle Regioni di maggiori dimensioni, nelle quali
sono presenti due circoscrizioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Campania e Sicilia) o tre
(Lombardia). La ripartizione dei seggi tra le liste concorrenti è, inoltre, effettuata in
ragione proporzionale, con l'eventuale attribuzione del premio di maggioranza (art. 1,
comma 2, del d.P.R. n. 361 del 1957), che è definito, per il Senato, "di coalizione
regionale" (art. 1, comma 2, d.lgs. n. 533 del 1993); e sono proclamati "eletti,
nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista
medesima, secondo l'ordine di presentazione" nella lista (art. 84, comma 1, del
d.P.R. n. 361 del 1957 ed art. 17, comma 7, del d.lgs. n. 533 del 1993). In questo quadro,
le disposizioni censurate, nello stabilire che il voto espresso dall'elettore, destinato a
determinare per intero la composizione della Camera e del Senato, è un voto per la scelta
della lista, escludono ogni facoltà dell'elettore di incidere sull'elezione dei propri
rappresentanti, la quale dipende, oltre che, ovviamente, dal numero dei seggi ottenuti
dalla lista di appartenenza, dall'ordine di presentazione dei candidati nella stessa,
ordine di presentazione che è sostanzialmente deciso dai partiti. La scelta
dell'elettore, in altri termini, si traduce in un voto di preferenza esclusivamente per la
lista, che - in quanto presentata in circoscrizioni elettorali molto ampie, come si è
rilevato - contiene un numero assai elevato di candidati, che può corrispondere
all'intero numero dei seggi assegnati alla circoscrizione, e li rende, di conseguenza,
difficilmente conoscibili dall'elettore stesso. Una simile disciplina priva l'elettore di
ogni margine di scelta dei propri rappresentanti, scelta che è totalmente rimessa ai
partiti. A tal proposito, questa Corte ha chiarito che "le funzioni attribuite ai
partiti politici dalla legge ordinaria al fine di eleggere le assemblee - quali la
"presentazione di alternative elettorali" e la "selezione dei candidati
alle cariche elettive pubbliche" - non consentono di desumere l'esistenza di
attribuzioni costituzionali, ma costituiscono il modo in cui il legislatore ordinario ha
ritenuto di raccordare il diritto, costituzionalmente riconosciuto ai cittadini, di
associarsi in una pluralità di partiti con la rappresentanza politica, necessaria per
concorrere nell'ambito del procedimento elettorale, e trovano solo un fondamento nello
stesso art. 49 Cost." (ordinanza n. 79 del 2006). Simili funzioni devono, quindi,
essere preordinate ad agevolare la partecipazione alla vita politica dei cittadini ed alla
realizzazione di linee programmatiche che le formazioni politiche sottopongono al corpo
elettorale, al fine di consentire una scelta più chiara e consapevole anche in
riferimento ai candidati. Sulla base di analoghi argomenti, questa Corte si è già
espressa, sia pure con riferimento al sistema elettorale vigente nel 1975 per i Comuni al
di sotto dei 5.000 abitanti, contraddistinto anche esso dalla ripartizione dei seggi in
ragione proporzionale fra liste concorrenti di candidati. In quella occasione, la Corte ha
affermato che la circostanza che il legislatore abbia lasciato ai partiti il compito di
indicare l'ordine di presentazione delle candidature non lede in alcun modo la libertà di
voto del cittadino: a condizione che quest'ultimo sia "pur sempre libero e garantito
nella sua manifestazione di volontà, sia nella scelta del raggruppamento che concorre
alle elezioni, sia nel votare questo o quel candidato incluso nella lista prescelta,
attraverso il voto di preferenza" (sentenza n. 203 del 1975). Nella specie, tale
libertà risulta compromessa, posto che il cittadino è chiamato a determinare l'elezione
di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo (nelle
circoscrizioni più popolose) di candidati, che difficilmente conosce. Questi, invero,
sono individuati sulla base di scelte operate dai partiti, che si riflettono nell'ordine
di presentazione, sì che anche l'aspettativa relativa all'elezione in riferimento allo
stesso ordine di lista può essere delusa, tenuto conto della possibilità di candidature
multiple e della facoltà dell'eletto di optare per altre circoscrizioni sulla base delle
indicazioni del partito. In definitiva, è la circostanza che alla totalità dei
parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale
dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione.
Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere
in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di
conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in
lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né
con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con
altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte,
nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire
l'effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l'effettività della scelta e la
libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali). Le
condizioni stabilite dalle norme censurate sono, viceversa, tali da alterare per l'intero
complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi,
impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di
scelta degli elettori nell'elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che
costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto
contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui
all'art. 48 Cost. (sentenza n. 16 del 1978). Deve, pertanto, essere dichiarata
l'illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957,
nonché dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non
consentono all'elettore di esprimere una preferenza per i candidati, al fine di
determinarne l'elezione. Resta, pertanto, assorbita la questione proposta in riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 3 del protocollo 1 della CEDU.
Peraltro, nessun rilievo assume la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del
13 marzo 2014 (caso Saccomanno e altri contro Italia), resa a seguito di un ricorso
proposto da alcuni cittadini italiani che deducevano la pretesa violazione di quel
parametro precisamente dalle norme elettorali qui in esame, sentenza che ha dichiarato
tutti i motivi di ricorso manifestamente infondati, sul presupposto dell'"ampio
margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati in materia" (paragrafo 64).
Spetta, in definitiva, a questa Corte di verificare la compatibilità delle norme in
questione con la Costituzione. 6.- La normativa che resta in vigore per effetto della
dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni
sollevate dalla Corte di cassazione è "complessivamente idonea a garantire il
rinnovo, in ogni momento, dell'organo costituzionale elettivo", così come richiesto
dalla costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 13 del 2014). Le
leggi elettorali sono, infatti, "costituzionalmente necessarie", in quanto
"indispensabili per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi
costituzionali" (sentenza n. 13 del 2014; analogamente, sentenze n. 15 e n. 16 del
2008, n. 13 del 1999, n. 26 del 1997, n. 5 del 1995, n. 32 del 1993, n. 47 del 1991, n. 29
del 1987), dovendosi inoltre scongiurare l'eventualità di "paralizzare il potere di
scioglimento del Presidente della Repubblica previsto dall'art. 88 Cost." (sentenza
n. 13 del 2014). In particolare, la normativa che rimane in vigore stabilisce un
meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l'attribuzione di tutti i
seggi, in relazione a circoscrizioni elettorali che rimangono immutate, sia per la Camera
che per il Senato. Ciò che resta, invero, è precisamente il meccanismo in ragione
proporzionale delineato dall'art. 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 e dall'art. 1 del d.lgs. n.
533 del 1993, depurato dell'attribuzione del premio di maggioranza; e le norme censurate
riguardanti l'espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di
preferenza. Non rientra tra i compiti di questa Corte valutare l'opportunità e/o
l'efficacia di tale meccanismo, spettando ad essa solo di verificare la conformità alla
Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad
elezioni con la restante normativa, condizione, quest'ultima, connessa alla natura della
legge elettorale di "legge costituzionalmente necessaria" (sentenza n. 32 del
1993). D'altra parte, la rimettente Corte di cassazione aveva significativamente
puntualizzato che "la proposta questione di legittimità costituzionale non mira a
far caducare l'intera legge n. 270/2005 né a sostituirla con un'altra eterogenea
impingendo nella discrezionalità del legislatore, ma a ripristinare nella legge
elettorale contenuti costituzionalmente obbligati (concernenti la disciplina del premio di
maggioranza e delle preferenze), senza compromettere la permanente idoneità del sistema
elettorale a garantire il rinnovo degli organi costituzionali", fatta salva
"l'eventualità che si renda necessaria un'opera di mera cosmesi normativa e di
ripulitura del testo per la presenza di frammenti normativi residui, che può essere
realizzata dalla Corte costituzionale, avvalendosi dei poteri che ha a disposizione".
La presente decisione non può andare al di là di quanto ipotizzato e richiesto dal
giudice rimettente. Per quanto riguarda la possibilità per l'elettore di esprimere un
voto di preferenza, eventuali apparenti inconvenienti, che comunque "non incidono
sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità
dell'organo" (sentenza n. 32 del 1993), possono essere risolti mediante l'impiego
degli ordinari criteri d'interpretazione, alla luce di una rilettura delle norme già
vigenti coerente con la pronuncia di questa Corte: come, ad esempio, con riferimento alle
previsioni, di cui agli artt. 84, comma 1, del d.P.R. n. 361 del 1957, e 17, comma 7, del
d.lgs. n. 533 del 1993, che, nella parte in cui stabiliscono che sono proclamati eletti,
nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, i candidati compresi nella lista
medesima "secondo l'ordine di presentazione", non appaiono incompatibili con
l'introduzione del voto di preferenza, dovendosi ritenere l'ordine di lista operante solo
in assenza di espressione della preferenza; o, ancora, con riguardo alle modalità di
redazione delle schede elettorali di cui all'art. 31 del d.P.R. n. 361 del 1957 ed
all'art. 11, comma 3, del d.lgs n. 533 del 1993, che, nello stabilire che nella scheda
devono essere riprodotti i contrassegni di tutte le liste regolarmente presentate nella
circoscrizione, secondo il fac-simile di cui agli allegati, non escludono che quegli
schemi siano integrati da uno spazio per l'espressione della preferenza; o, quanto alla
possibilità di intendere l'espressione della preferenza come preferenza unica, in linea
con quanto risultante dal referendum del 1991, ammesso con sentenza n. 47 del 1991, in
relazione alle formule elettorali proporzionali. Simili eventuali inconvenienti potranno,
d'altro canto, essere rimossi anche mediante interventi normativi secondari, meramente
tecnici ed applicativi della presente pronuncia e delle soluzioni interpretative sopra
indicate. Resta fermo ovviamente, che lo stesso legislatore ordinario, ove lo ritenga,
"potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua" (sentenza n.
32 del 1993). 7.- È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento
delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le
elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in
occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o
secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente
decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle
Camere. Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di
quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle
elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il
principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte,
alla stregua dell'art. 136 Cost. e dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino
al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio "che suole essere
enunciato con il ricorso alla formula della c.d. "retroattività" di dette
sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione
di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida"
(sentenza n. 139 del 1984). Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle
norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e
con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere
si compie con la proclamazione degli eletti. Del pari, non sono riguardati gli atti che le
Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali. Rileva nella
specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un'astrazione e
dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi
costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È
pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio - è appena il caso di ribadirlo - che nessuna
incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti
che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi
costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di
esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di
assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio,
a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti "finchè
non siano riunite le nuove Camere" (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le
Camere, "anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque
giorni" per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77,
secondo comma, Cost.).
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE 1) dichiara l'illegittimità
costituzionale dell'art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361
(Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei
deputati); 2) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, commi 2 e 4, del
decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per
l'elezione del Senato della Repubblica); 3) dichiara l'illegittimità costituzionale degli
artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell'art. 14, comma 1, del
d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all'elettore di esprimere una
preferenza per i candidati. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013. F.to: Gaetano SILVESTRI, Presidente Giuseppe
TESAURO, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 13 gennaio
2014. Il Direttore della Cancelleria F.to: Gabriella MELATTI |
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Corte Costituzionale trasforma
il "Porcellum" in legge proporzionalista
IL TESTO INTEGRALE
DEL COMUNICATO STAMPA
(clicca su: Corte)
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LUCIANI: la proporzionalità della
rappresentanza è un valore, e lo è il bipolarismo, e c'è un modo di incanalare l'una
nell'altro, senza sbarramenti in entrata. Poi... il bipolarismo è sterile se non
accompagnato da una Costituzione che obblighi a governi di legislatura, con premier eletto
dal popolo, o dal parlamento, per 5 anni. Matteo Renzi, attenzione: "Acqua e chiacchiere non fan
frittelle". |
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Traditori del Re o Servi di Dio ? |
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G. Quagliariello
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Angelino Alfano
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Maurizio Lupi
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Nota. Mi valgo del riferimento alla nota vicenda di Tommaso
Becket ( anche perchè ripresa da Jean Anouilh nella nota opera "Becket e il suo
Re", da taluno rivisitata come "Becket o l'onore di Dio") , perchè vi
trovo analogie (sia pur più terra a terra, e meno romanzate) con la vicenda di eroi del
nostro tempo, e che non vanno lasciati soli, perchè mossi dall'interesse nazionale: tale
la salvaguardia delle riforme costituzionali del Governo Letta, vero essendo che l'Italia
è quasi in ginocchio (lo sono molte famiglie, in difficoltà del giorno per giorno), per
mancanza di un governo forte, pari delle difficoltà.
Becket fu fatto Arcivescovo di Canterbury perchè era amico del Re
Enrico II, affinchè facesse (anche da vescovo di Dio) la volontà del Re.
Ma a tutto c'è un limite, anche per il Re. E, ad un determinato
momento, la coscienza di Becket si risvegliò: "Come vescovo sono divenuto servo di
Dio; non posso più essere ancora servo del Re ". Tommaso vescovo e servo di Dio
finirà ucciso dal Re.
Qui, per i "nostri tre" (e per altri, con loro) la
causa di Dio è di avere opposto il proprio corpo al Re d'Italia, per salvare il programma
delle riforme costituzionali del Governo Letta, a costo di mettere a rischio sicuro la
propria carriera politica.
Qui c'è che l'Italia è da molto tempo una barca alla deriva,
perchè (pur avendo fors'anche dei timonieri), è una barca senza
timone: si tratta del fatto che la Costituzione vigente ammette solo governi
soggetti alla fiducia della Camere. E poichè, da 30 anni, le Camere sono occupate
da partiti che sono bande senza il senso dello Stato, i governi sono soggetti a cadere in
ogni momento, senza potere mai risolvere i problemi di fondo. Si pensi al Governo Letta,
che potrebbe essere un buon governo, se non fosse che è già stato sottoposto a 5 voti di
fiducia, e il giorno 11 dicembre ci sarà la sesta fiducia, in soli 7 mesi di governo.
Non entro nelle questioni giudiziarie dello SFASCISTA di turno (nome
Berlusconi, se ci fosse il dubbio), ma proprio lui a gennaio 2013, ospite della TV la7,
vinse (10 a 0), il match con Santoro, per avere spiegato chiaramente, e con verità, agli
Italiani che nessuno, con questa Costituzione, può governare l'Italia difficile di oggi,
perchè il Premier conta pochissimo, essendo ricattato ogni giorno, in parlamento, da
numerosi piccoli gruppi (quelli che sopra ho chiamati è partiti "bande"), che
gli chiedono ogni genere di richieste, pena la sfiducia. |
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Il testo pubblicato dalla
Corte
I motivi di incostituzionalità della Legge
elettorale n. 270/2005
"La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme
della legge n. 270/2005 che prevedono:
- l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera
dei Deputati che per il Senato della Repubblica
- alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il
maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al
Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione.
La Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme
che stabiliscono:
- la presentazione di liste elettorali "bloccate", nella parte
in cui non consentono all'elettore di esprimere una preferenza.
Le motivazioni saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà
luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti
giuridici.
Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali,
secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali."
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SEGUITO DELLA NOTA DI NINO LUCIANI
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1) Per governi di legislatura, con
premier eletto dal popolo o dal parlamento;
2) Per un parlmento eletto proporziolmente, ma incanalato alla bipolarità ;
3) in subordine, per l'estensione al parlamento, della legge dei sindaci. |
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1.- Potrà tornare la DC ? Una
legge proporzionalista privilegia di solito il centro moderato che, nella esperienza DC,
aveva modo di mediare a destra e sinistra, ritardando l'evoluzione naturale del sistema
politico verso l'alternanza tra due grandi partiti (allora DC e PCI), come avviene nelle
grandi democrazie Ma adesso è venuto il momento di mandare insieme la proporzionalità
con il bipolarismo e modificare la Costituzione per "obbligare" a Governi di
legislatira. Ma andiamo per gradi.
Sia anche chiaro che il sistema maggioritario non crea necessariamente
il bipolarismo in parlamento
E non si dimentichi che il bipolarismo puramente elettorale ha
creato, negli scorsi anni, maggioranze obbligate "innaturali", create dalle
leggi (compreso il mattarellum), che sono andate in frantumi, prima o poi, durante la
legislatura.
Ed è anche un fatto che la DC nel 1988, verso la fine della presenza
in parlamento (avvenuto, poi, nel 1992), fece un seminario a Villa Miani, rimasto famoso
(partecipanti Mino Martinazzoli, Leopoldo Elia, Giuseppe de Rita, Ciriaco de Mita, e
altri), in cui si invocava un Governo di legislatura, la fine del bicameralismo perfetto,
...) , anche perchè l'opinione pubblica aveva cominciato a lamentarsi di governi che
cadevano ogni 6 mesi.
In conclusione il problema preoccupante non è mai stato, per la DC,
la legge elettorale, ma il fatto che i governi vivessero sulla fiducia delle
Camere, revocabile in ogni momento.
Le cose funzionarono bene fino a quando non entrarono in crisi i due
grandi partiti partiti storici (la DC e il PCI) che tradizionalmente avevano un alto senso
dello Stato. Poi, in seguito al disfacimento della DC e del PCI, l'uso del meccanismo
della sfiducia è divenuto un abuso ricorrente.
Questa stessa evidenza l'abbiamo constatata perfino nei Governi
Berlusconi, che (a inizio legislatura) pur avevano maggioranze di oltre 100 voti. Dopo la
caduta della DC e del PCI, in parlamento sono subentrati dei partiti che sono delle vere a
proprie bande organizzate, per derubare lo Stato e i cittadini.
Con i Goverrni Berlusconi, abbiamo anche capito definitivamente che
non basta il bipolarismo. Occorre anche che chi governa abbia durata certa e ne risponda
al popolo, e sia sostituibile alla scadenza, dopo un tempo adeguato per organizzarsi e
fare, se vuole davvero.
Questo implica che cambiare la sola legge elettorale non garantisce circa la
responsabilizzazione del governo, verso il popolo.
Ma voglio anche chiarire che il bipolarsimo, se origina il bipartitsmo, è
il più vicino alla democrazia diretta. Il motivo è che di solito, se sono solo due i
contendenti, la distanza di voti totali tra i due è piccola, per cui nelle successive
elezioni uno spostamento di pochi elettori dall'un campo all'altro, può rovesciare la
maggioranza. Questo vuol dire che in questo sistema anche un "pinco pallino" è
tenuto in grande considerazione. E lo vediamo negli Stati Uniti, dove gli umili, i
diseredati toccano quasi con mano la Casa Bianca.
2. La retta via per il Governo. La
retta via è affrontare in primo luogo il problema della governabilità con
governi di legislatura, come avviene nella grande democrazia americana e non solo
colà. Le modalità possono essere:
a) Elezione diretta del Premier, da parte del popolo (
sfiduciabile dal parlamento solo per determinati casi gravi, es. attentato alla
Costituzione, ...);
b) oppure elezione del Premier per 5 anni, da parte del parlamento (e
sfiduciabile solo per determinati casi gravi, es. attentato alla Costituzione, ...).
Inoltre il premier (non il presidente della Repubblica) nomina e revoca i ministri.
Attenzione: la fiducia va attribuita al Premier, non al Governo, in
quanto il Premier deve poter nominare e revocare i ministri, all'occorrenza.
3. La retta via per il Parlamento. La legge
proporzionalista è la retta via perchè da rappresentanza al popolo in base alle varie
idee e composizioni etniche.
In passato, questa modalità privilegiava i partiti al centro, diciamo
l'elettorato moderato, e questa è insufficiente a fare bene.
Tuttavia va tenuto conto della possibilità di frammentazione, e di
maggioranze ricorrenti instabili, incompatibili con governi di legislatura.
E' noto che, una volta esclusi premi di maggioranza (tra l'altro, non visti di buon
occhio dalla Corte Costituzionale), in teoria i rimedi sono:
- mettere degli sbarramenti in entrata (2%, 4%, 10% ?);
- oppure elevare il numero minimo per ammettere la formazione dei Gruppi
parlamentari: es., attualmente, alla Camera il minimo per fare un gruppo è 20 membri; al
Senato, questo minimo è 20 membri).
Personalmente sono un proporzionalista puro, e vorrei invece
alzare significativamente il numero minimo per costituire un gruppo parlamentare (es.: un
gruppo non possa avere meno del 40% dei membri della camera di appartenenza), in modo da
ammettere due soli gruppi: uno di centro-destra e uno di centro-sinistra.
Voglio chiarire che poco importa che ci siano accordi
elettorali per fare grandi coalizioni, se il dopo dopo le elezioni le coalizioni si
possono rompere e dare luogo a numerosi gruppi. Per questo preferirei lasciare libertà di
candidatura in ingresso, e invece obbligare (nel dopo) gli eletti a mettersi assieme per
trovare accordi per le scelte legislative.
4.- Il compromesso. In alternativa, ci sarebbe una soluzione che
mette d'accordo capra e cavoli (vale dire il punto 2 e il punto 3): essa la legge
comunale, da applicare al parlamento, come propone il Sindaco di Firenze,
vale dire:
- elezione diretta del premier (che preannunci, possibilmente, la squadra) in
due turni, e collegamento delle liste al candidato premier;
- le liste collegate al candidato prendono il 60% dei seggi in entrambe le
camere, il resto dei seggi va ripartito proporzionalmente tra le liste di minoranza.
Va, tuttavia, osservato che, in un buon sistema, non basta che la
maggioranza sia forte. Dev'essere abbastanza forte anche la minoranza sia forte. Ma in
questo sistema l'opposizione è frazionata tra tanti piccoli partiti. Un rimedio potrebbe
essere di obbligarli a costitituire un solo gruppo, che decide a maggioranza, al proprio
interno. |
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EDIZIONI PRECEDENTI |
RISULTATI del REFERENDUM CONSULTIVO DI BOLOGNA, 26 maggio 2013
SULLE SCUOLE DI INFANZIA PARITARIE A GESTIONE PRIVATA |

Maria Chiara Carrozza
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"Quale fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie
comunali, che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole
di infanzia paritarie a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto
all'istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola
dell'infanzia?" |
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A) utilizzarle per le
scuole comunali e statali: |
SI' numero 54.517, pari
al 18,3% dell'elettorato |
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B) utilizzarle per le
scuole paritarie private : |
SI' numero 35.160, pari
a 11,8% dell'elettorato; |
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Non votanti: numero
208.849. |
Totale elettorato
(diritto al voto): numero 298.526 |
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Nel frattempo si
era inserito, in un quadro più generale, il nuovo ministro della scuola-università. |
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Alessandra Nucci
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LE DICHIARAZIONI DEL NUOVO MINISTRO "PROF.SSA MARIA CHIARA CARROZZA
A Nove in Punto su Radio24 il 24 maggio 2013
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"O ci sono margini per un reinvestimento nella scuola pubblica
oppure devo smettere di fare il ministro dell'Istruzione"..... .
" E' necessario per il futuro del Paese, non ci sono strade disponibili: siamo in una
situazione drammatica, dobbiamo mettere in sicurezza le nostre scuole, dobbiamo metterle
in grado di proteggere i nostri bambini. Abbiamo bisogno prima di tutto di un investimento
nell'edilizia scolastica e poi abbiamo bisogno di più insegnanti.
"Credo che il futuro del nostro Paese si possa giocare con un esercito di nuovi
insegnanti, che davvero ci permettano di migliorare la qualità del nostro servizio.
Sono rimasta colpita dal rapporto Istat che ci dice che siamo il Paese con la quota più
alta in Europa di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non partecipano ad
attività formative, questo per me è un dramma, che non mi fa dormire la notte. Dobbiamo
lavorare su questo, altrimenti come facciamo a parlare di crescita".
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Il Commento:
IL REFERENDUM SULLE SCUOLE MATERNE A BOLOGNA
Alessandra Nucci
1.- In qualsiasi altra città il
referendum consultivo, tenuto domenica 26 maggio, a Bologna non avrebbe storia.
Si tratta, come ha detto Romano Prodi, di semplice buon senso: votare
"A", come vorrebbe il Comitato promotore del Referendum, significa voler
caricare il Comune, e dunque i contribuenti, di oneri dieci volte più alti di quelli
sopportati attualmente, oppure privare di un servizio quasi 1600 famiglie. Dunque non
dovrebbero esserci dubbi: l'esito scontato dovrebbe dare la soluzione "B".
Ma quello che è scontato da un'altra parte, a Bologna, ex-città vetrina del
partito comunista, è tutt'altro che sicuro. Anzi. Il referendum è divampato in battaglia
di schieramento all'interno della stessa sinistra, combattuta non sul merito ma in chiave
ideologica.
I numeri parlano chiaro: le scuole paritarie convenzionate accolgono il 21%
dei bambini bolognesi e ricevono contributi pari ad appena il 2,9% delle risorse che il
Comune destina alla fascia 3-6 anni. Trasferire quei soldi, un milione di euro, dalle
paritarie alle comunali permetterebbe di creare non più di 160 posti, ovvero meno di un
decimo dei 1.736 posti attualmente coperti dalle paritarie.
Detto altrimenti: il costo per bambino alle paritarie è di 640 euro, il
costo per bambino alle comunali è di 6900 euro. Il danno per le casse pubbliche a questo
punto è palese e clamoroso, per cui solo una persona ideologizzata e priva di
calcolatrice può arrivare a votare "A". Sul sito del comitato promotore si
illustrano solo le cifre totali destinate alle paritarie, e il loro aumento nel tempo, ma
non il rapporto costi-benefici per le casse pubbliche, tantomeno un raffronto dei i costi
pro-capite fra privato e statale.
Eppure il rischio che prevalga il disegno di azzoppare le scuole materne
paritarie, mettendole al di là della portata di famiglie con pochi mezzi, è reale e
consistente.
Com'è possibile? E' passata molta acqua sotto i ponti da quando c'era la
guerra fredda, e Bologna era sede del più grosso partito comunista, vetrina e laboratorio
del partito per tutto il Paese e forse di tutto l'Occidente.
Però qui più che altrove le cose sono rimaste come prima. Alle ultime
politiche, sommando tutte le formazioni, la sinistra è arrivata a quasi il 70%, mentre in
tutto, il centro-destra racimola uno scarno 18,1%. E allora è una partita che si gioca
all'interno della sinistra, dove il Comune e il Pd, appoggiati da Epifani e dalla Camusso,
stanno da una parte a difendere il sistema voluto dal Comune stesso negli anni Novanta,
sindaco Walter Vitali; dall'altra stanno Sel (6,1% alle politiche), Rivoluzione civile di
Ingroia (2,6%), i Grillini (19,1%), la Fiom e stakeholders che vanno dall'Unione atei e
agnostici all'Arcigay, il tutto tenuto insieme nel comitati promotore presieduto da
Stefano Rodotà, quello che i grillini volevano eleggere Presidente di tutti gli italiani.
Per questo non stupisce che sia nata qui l'iniziativa di prendere di mira dei
modesti contributi alle scuole materne private paritarie, che esistono anche in altre
parti d'Italia, e segnatamente a Parma, governata dai grillini, e in Puglia, governata da
Vendola e Sel.
A sorprendere invece è la spaccatura nella sinistra stessa, che finora aveva
continuato a essere monolitica. Sel e Pd sono infatti alleati in Comune, e se dovesse
vincere la posizione dei referendari, il referendum semplicemente consultivo diventerebbe
un'arma in mano a Sel che avrebbe buon gioco a minacciare la caduta della giunta al fine
di imporre l'esito voluto.
2.- Ma al di là delle alleanze locali, la posta in
gioco consiste nell'effetto - imitazione che i referendari sperano di suscitare nelle
altre città, a partire da quelle della stessa Emilia rossa. Ciò risulta evidente quando
si contano le voci dei big che si sono paracadutati in città preoccupatissimi della
cultura qui impartita ai bimbi piccoli, e che solo il giovane assessore Matteo Lepore ha
avuto il coraggio di definire marziani: nomi come Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Gino
Strada, Andrea Camilleri, Angelo Guglielmi, Sabina Guzzanti, Carlo Freccero, Moni Ovadia,
Corrado Augias , Neri Marcorè, Michele Serra, Philippe Daverio, Amanda Sandrelli e
Magherita HacK, a cui si aggiungono un paio di nomi bolognesi: Andrea Mingardi e Francesco
Guccini.
"Un attacco frontale alle scuole cattoliche", ha definito il
piano referendario Stefano Zamagni, presidente del Comitato per il Piano B, "una
trappola dei mozza-orecchi" sempre pronti a sostenere "scelte settarie e
divisive", si è espresso Giuliano Cazzola, ex-sindacalista ed ex-parlamentare.
Ma più che anti-cattolici, gli agguerriti referendari probabilmente sono
piuttosto pro-omologazione, fautori della scuola dell'uniformità e dell'imprinting di
massa, dove diffondere il relativismo religioso e soprattutto l'ideologia di genere, utile
a produrre in serie la nuova umanità.
Si tratta del tipo di scuola prefigurato nel documento pubblicato da Elsa
Fornero, nella sua veste di Ministero delle Pari Opportunità del Governo Monti,
intitolato "Strategia nazionale per la prevenzione delle discriminazioni basate
sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere per il biennio 2013 -2015", che
prevede "percorsi innovativi" che partano "dagli asili nido e dalle scuole
dell'infanzia a costruire un modello educativo inclusivo" non solo per la comunità
lesbiche-gay-bisex-trans "ma per tutti i bambini". Il progetto proseguirà anche
col governo attuale, come attesta la circolare del MIUR del 17 maggio, in cui si specifica
che "le scuole favoriscono la costruzione dell'identità sociale e personale da parte
dei bambini e dei ragazzi, il che comporta anche la scoperta del proprio orientamento
sessuale."
A tali indirizzi è probabile che le scuola paritarie, anche e soprattutto
materne, non si adeguerebbero molto facilmente. Molto meglio metterle in condizione di
chiudere (o magari limitare i "danni" ai soli figli dei ricchi?) |
Nino
Luciani, Questo Referendum è stato una guerra tra poveri, dato che la scuola
privata trova spazi perchè lo Stato non aveva finanziato adeguatamente la scuola
pubblica.
Nel caso della Università, addirittura lo Stato la ha definanziata
deliberamente, per creare spazi a quelle private.
Sarebbe stato, dunque, il caso di non fare la stessa cosa a Bologna, cercando
spazi per la scuola pubblica, demolendo la scuola privata. 1. Premessa. Presso il grande pubblico, l'art. 33, c. 3
della Costituzione italiana (secondo cui "Enti e privati hanno il diritto di
istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato") vive
l'interpretazione, secondo cui lo Stato non "deve" finanziare le scuole private.
E questo è molto sbagliato
Ma, qui a Bologna, la prospettiva era tutta diversa: era il Comune ad avere
bisogno, tant'è che il quesito sembra, invece, presupporre che sia tranquillamente
possibile il finanziamento pubblico alle scuole di infanzia, se ritenuto "più
idoneo" per dare la scuola a tutti i bambini.
In altri termini, se il Comune spende meno dando la scuola a 500 bambini
nelle scuole private (tanti sono gli attuali esclusi dalla scuola pubblica, perchè non
c'è più posto), non si vede perchè il Comune dovrebbe addossarsi oneri, che non può
sopportare.
2.- Altro è basarci su pre-concetti ideologici: ritenere che la
scuola privata, orientata al profitto, trascuri elementi educativi fondamentali: quali la
serietà dei programmi, la qualità dei professori, l'agibilità degli spazi.
Ma questo non è un problema di quattrini. Basta che lo Stato faccia il suo
dovere e condizioni ogni genere di finanziamento pubblico (statale, comunale, ecc.) alla
sussistenza dei dei requisiti.
C'è, poi, anche un aspetto puramente ideologico: se la scuola privata infila
(tra gli insegnamenti) conoscenze di tipo religioso, culturale specifico ...
Effettivamente, dà molto fastidio anche a me venire a sapere di certe cose,
diciamo di certi indottrinamenti, che spettano solo alle famiglie.
Diverso è se i contenuti ideologici sono impartiti a-setticamente, in
termini puramente culturali, oggettivi...
La scuola (sia pubblica, sia privata) dovrebbe essere laica, nel senso che
apre spazio a tutti, senza alcun pregiudizio e con rispetto per l'altrui idea.
2.- Quanto di pubblico e quanto di privato, tra le scuole ?
Personalmente sono convinto che il compito della scuola pubblica sia
impartire a tutti, indipendemente dal reddito spendibile, la stessa base culturale, quale
presupposto tecnico per la buona convivenza.
E' un pò dare a tutti (aggiuntivamente al dialetto) la stessa lingua, in
modo che i cittadini possano comunicare tra loro.
Ma siamo oggi molto lontani da questo, anche dentro la scuola pubblica. Basta
pensare a certo giornalismo quotidiano, che comunica concetti oggettivamente errati, in
ragione di una scuola errata, avuta in origine. In questo senso, la libertà di
giornalismo dovrebbe essere ammessa, subordinatamente al possesso di adeguato titolo di
studio, avente "valore legale", nel senso di "laico oggettivo, dentro certi
parametri".
3.- Sul metodo dei Governi recenti nel determinare
lo spazio pubblico. Nell'ultimo decennio, tutti i Governi (anche di diverso
orientamento) hanno agito in modo maldestro e scorretto verso la scuola pubblica:
ridurre il numero dei professori, in modo da indurre le famiglie a passare a finanziare la
scuola privata.
Anche nel caso dell'università la cosa è stata drammatica. I
Governi Berlusconi (con Moratti e Gelmini) hanno ecceduto, fino a bloccare le assunzioni
dei professori e abolito i concorsi universitari statali: tutto su misura per lanciare le
università private.
Qualche cifra ? Nel 2007 (Berlusconi arriva nel 2008) i professori di ruolo
erano 36.944, nel 2013 sono 29.204.
Il danno scientifico alla università italiana è stato incalcolabile. Per
orientarsi nel valutarlo, occorre sapere che nella università ci sono tante scuole
scientifiche, ognuna delle quali si è specializzata in determinati campi, e ci sono
voluti secoli per raggiungere certe scoperte e certi approfondimenti, con certi metodi
....
Poichè in molte scuole è mancato il turnover, i maestri non hanno avuto modo di
trasmettere agli allievi il patrimonio scientifico, via via accumulato, e così questo
patrimonio è andato disperso.
In compenso, molti nostri giovani ricercatori sono accolti all'estero..., ma certo
per imparare le cose estere, ma se torneranno in Italia nulla più diranno del patrimonio
scientifico italiano, che non conoscono...
Vedremo se gli Italiani potranno valersi di nuove leggi elettorali per scegliere i
nuovi Governi con maggiore oculatezza. Nino Luciani |
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INIZIATIVE
del MONDO UNIVERSITARIO per "SALVARE L'UNIVERSITA' " |

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1) DOCUMENTO DEL CUN SULLE
"EMERGENZE UNIVERSITARIE"
Necessità che il mondo universitario le esami attentamente |
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2) CONFERENZA NAZIONALE
DELL'INTERSINDACALE UNIVERSITARIA
Partecipazione puntuale dei vertici e di parlamentari verso le
elezioni politiche,
ma minima presenza della base. Domande sul futuro dell'azione
sindacale. |
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A gennaio hanno avuto luogo le
elezioni di medio termine del CUN
che hanno portato alla conferma del prof. Andrea LENZI, come Presidente
e alla nomina della Prof.ssa Carla BARBATI, come VicePresidentre . |
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Andrea Lenzi
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Dal CUN - Consiglio Nazionale Universitario
1) Andrea
LENZI alla Presidenza del CUN.
In seguito alla elezione di medio termine di parte dei membri del CUN, il
Regolamento prevede la elezione del Presidente. E' stato confermato A. Lenzi, Prof.
Ordinario di Endocrinologia della Università di Roma "La Sapienza", nato a
Bologna nel 1953.
Anche nominata, VicePresidente, Carla Barbati, Prof. Ordinario di Diritto
Amministrativo alla Università IULM di Milano.
2) Nel mese di
gennaio 2013, in prossimità delle elezioni politiche, il CUN aveva fatto un
documento sulle emergenze universitarie, ripreso da tutta la stampa, per la sue evidente
rilevanza elettorale.
Tuttavia, come al solito, le "meraviglie" durano tre giorni.
Anzi ,parte della quale è la medesima che ha dato man forte alla legge della Ministra
Gelmini per demolire l'università italiana, durante l'iter parlamentare.
In controtendenza lo giriamo, in versione integrale (clicca su: CUN ) nelle università italiane ed
estere, e qui ne riportiamo il
SOMMARIO. 0.- Premessa; 1.- Il finanziamento del sistema
universitario; 2.- La formazione universitaria; 3.- Formazione post-laurea; 4.-
Reclutamento del personale universitario; 5.- Finanziamento della ricerca; 6.-
Valutazione di ricerca e didattica; 7.- Accessibilità e trasparenza dei dati; 8. -
Unautonomia con confini e spazi da ridefinire.
BREVE COMMENTO. Il punto 1 evidenzia, con un grafico l'andamento del FFO - Fondo di
Finanziamento Ordinario delle Università (fondo statale) nel corso degli anni
(1996-2013).

Si nota, indirettamente, la "disinvoltura" con cui i
vari governi (di diverso colore) hanno variato negli anni il finanziamento corrente delle
università, come se la variazione del numero degli studenti fosse una variabile
decisionale delle università.
Questo rilievo è ancora troppo leggero, se si tiene conto anche dei fatti rimasti
nascosti. Infatti, da una analisi dettagliata dei bilanci di tutte le 60 università
pubbliche italiane (e di cui si riferisce in altro servizio, clicca su:
) emerge che la spesa corrente totale delle università è
stata di 11,4 miliardi nel 2009 (dato più recente, al momento dell'analisi), e
pertanto (nel 2009) lo Stato (con i suoi 7,4 miliardi di ) ha finanziato solo il 65%
della spesa totale. |
Nino Luciani, Sul
significato della Conferenza della Intersindacale. Dmande sul futuro dell'azione
sindacale.
1.- Traggo dal resoconto fatto,
per tutti, da USB-Pubblico Impiego, coorganizzatrire della conferenza:
-" Martedì 22 gennaio si è svolto a Roma in sala
Congressi Cavour l'incontro tra le Organizzazioni sindacali e le associazioni
dell'università, con i rappresentanti delle forze politiche candidate alle prossime
elezioni. ( Per le proposte, clicca su documento
unitario ).
La quasi totalità degli esponenti politici e sindacali intervenuti
hanno manifestato la necessità che il Sistema Universitario e la Ricerca abbiano in
futuro maggiori investimenti e maggiori attenzioni da parte del prossimo Governo e del
prossimo Parlamento, paradossalmente anche quelli che sono stati protagonisti dello
smantellamento dell'Università pubblica o che poco o niente hanno fatto in questi anni
per fermarlo.....
Siamo fermamente convinti che l'attacco al sistema universitario si
collochi nel più generale attacco a tutto ciò che è pubblico, con l'aggravante che si
tratta di uno dei cardini dello sviluppo del nostro Paese.
Per questo nel nostro intervento abbiamo ribadito, come fatto da pochi
altri, la necessità di invertire tale impostazione alla sua radice, rigettando quindi le
politiche di fortissimo ridimensionamento del settore pubblico che UE, BCE ed FMI stanno
imponendo nel nostro Paese e che nessun partito candidato a governare dopo le prossime
elezioni mette in discussione.
Giudichiamo i vincoli imposti dall'Europa incompatibili con la difesa
dell'Università, della sua funzione sociale, dei diritti dei lavoratori, dei precari,
dell'autonomia della ricerca, del diritto allo studio.
Su queste basi continueremo la nostra lotta insieme a tutte quelle
componenti universitarie che con il Personale Tecnico-amministrativo sono maggiormente
penalizzate dalle manovre in atto, imposte dalle lobby politiche e imprenditoriali.
Abbiamo ribadito che una nuova strategia sociale dovrà considerare i
lavoratori dell'Università, così come la totalità del Pubblico Impiego, non più un
costo da tagliare ma un tassello fondamentale per costruire uno stato sociale degno di un
paese civile." Sul futuro dell'azione
sindacale. L'iniziativa della intersindacale si è collocata in apertura al ciclo
politico che si prospetta con le elezioni politiche, ma anche in chiusura di un clico in
cui i sindacati universitari (tutti, anche quelli non partecipanti, come l'USPUR) sono
stati totalmente ignorati (neppure ascoltati in qualche straccio di ricevimento) dai vari
ministri (Gelmini, Profumo).
Questa totale sordità segna la inadeguatezza dei relativi governi nei
confronti dei problemi fondamentali del Paese (Ricerca e Didattica).
Penso, tuttavia, che sarebbe "riduttivo" fermarsi a questo
giudizio, senza neppure adombrare che esso possa essere anche la seconda faccia di una
medaglia: l'inesistenza di una "capacità di intendere e di volere" dei
sindacati.
Introduciamo altri elementi nello scenario.
- La conferenza è stata partecipata da 90 persone circa. Se teniamo
conto che le sigle sindacali 21, e ciascuna presente con tre persone, troviamo subito che
63/100 persone era dei vertici. Aggiungiamo una dozzina di parlamentari e di giornalisti.
C'era qualcuno del CUN. Si arriva a 75-77 persone, il resto (fino a 90) erano professori e
ricercatori semplici. Dunque, non solo i Ministri, ma anche la base non sente il
Sindacato.
- C'è dell'altro. La CRUI-Conferenza dei Rettori non ha partecipato.
- C'è dell'altro. Da anni nessun sindacato (a cominciare da quelli con più
iscritti) non fanno più assemblee locali di base. Pur con qualche iniziativa, il deserto
degli iscritti è totale.
Motivo ? Il Sindacato non dà risultati nè di carriera nè di retribuzione.
CONCLUSIONE. Ritengo che i sindacati universitari debbano ripensare il
loro modo di essere: come porre gli obiettivi e come organizzarsi.
Beninteso, da anni ci sono incontri di vertice, unitari, seguìti da
scissioni, e poi di nuovo a cercarsi reciprocamente. A questi incontri partecipano i 5-6
soliti "matti" incalliti, quelli che continuano a credere in un futuro migliore
della università.
Poi, di tanto in tanto, si svegliano gli studenti, e qualche stella
torna a brillare politicamente, poi di nuovo il letargo prolungato.
Direi che si debba fare tutti il necessario, per uscire di nuovo e per
sempre da questa fase embrionale: servono obiettivi chiari e una "voce unica",
seguiti da azioni sul campo. Essere o non essere.. |
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EDIZIONI
PRECEDENTI |
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A proposito del funzionamento dell'organizzazione dell'Università
di Bologna, in applicazione della legge Gelmini, n. 240/2014
. |

Giliberto Capano
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Giliberto Capano*, Una partita di croquet di ALICE,
nel Paese delle meraviglie
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Il Commento, di Gianni Porzi
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* Già Preside della Facoltà di Scienze Politiche di Forlì, Membro del
Nucleo di Valutazione, Università di Genova.
** Gia membro del Consiglio di
Amministrazione, Università di Bologna. |
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Giliberto CAPANO, Una partita
di croquet di Alice
Le università italiane sono un cantiere aperto a
causa dell'attuazione della riforma Gelmini che comporta un riassetto del modo di
organizzare le attività.
Si tratta di una riforma che ha lasciato molto spazio alle scelte autonome degli
atenei rispetto al ridisegno dei propri processi decisionali e ovviamente gli atenei si
stanno sbizzarrendo.
Per chi ha l'opportunità di seguire quello che accade in più università,
l'attuale fase di transizione appare molto simile alla partita di croquet di Alice nel
Paese delle meraviglie. Uno strano gioco in cui il terreno «era tutto a solchi e zolle;
le palle erano ricci, i mazzapicchi erano fenicotteri vivi, e gli archi erano soldati
vivi, che si dovevano curvare e reggere sulle mani e sui piedi».
Un gioco assurdo, caotico e senza regole a cui però tutti i giocatori si
appassionano, illudendosi che sia un gioco sensato, invece che fermarsi, dire basta e
cercare di mettere ordine nel caos e nello sconclusionato correre dietro a palle che in
realtà sono ricci vivi e vegeti.
Non molto dissimile è la situazione che si vive all'interno della nostra Alma
Mater, dove la riorganizzazione in Scuole e Dipartimenti sta causando non
pochi inconvenienti.
Nella gestione della didattica non si capisce chi è responsabile di che
cosa; i vecchi coordinatori di presidenza (quelli che sapevano come si facevano le cose)
sono stati spostati quasi tutti ad altro incarico e sostituiti con colleghi volonterosi ma
con competenze, altre rispetto ai processi di gestione della didattica. Molti dipartimenti
(che dovrebbero occuparsi anche di didattica) non sono stati dotati di personale
amministrativo esperto in questa attività.
I conti per la dotazione finanziaria 2013 delle Scuole e dei Dipartimenti sono
stati fatti in modo così confuso che alla fine il Cda ha dovuto fare un'assegnazione
«straordinaria» di 1 milione e duecentomila euro.
I campus romagnoli dovrebbero avere, secondo il nuovo statuto, autonomia
organizzativa, gestionale e regolamentare, ma le azioni dell'amministrazione centrale
stanno di fatto trasformando le sedi decentrate in bracci esecutivi di via Zamboni (sede
centrale). In questo contesto contraddittorio e caotico gli attori principali si muovono
forsennatamente cercando risposte. Direttori di dipartimento, presidenti di scuola e
coordinatori di corsi di studio si consultano freneticamente per capire chi deve fare che
cosa e quando.
Consiglio di amministrazione e Senato approvano molte delibere transitorie,
mentre il rettore garantisce che «il prima possibile» tutto sarà a posto.
Insomma tutti continuano a giocare, come nella partita di croquet di Alice,
senza fermarsi e chiedersi il senso di quello che stanno facendo e, perché no, anche se
non ci sia qualcosa di sbagliato in quello che stanno facendo.
È davvero un peccato che uno spettacolo di questo tipo non sia fruibile nemmeno
parzialmente da tutti i membri dell'Alma Mater. I quali, fra l'altro, sulla base di
regolamenti approvati a luglio, sono stati privati dell'opportunità di capire in tempo
reale di che cosa si occupano e che cosa fanno gli organi di governo dell'ateneo.
All'università di Torino invece ciò è possibile: tutti i dipendenti possono
seguire in diretta streaming le sedute del Senato accademico, osservando che cosa stanno
facendo i loro rappresentanti con la possibilità di segnalare se stanno giocando al gioco
sbagliato. Giliberto Capano |
Gianni PORZI, Il
Commento
Ritengo il corsivo del prof. Capano
molto puntuale e condivisibile.
La descrizione della situazione vissuta allinterno dellAteneo
bolognese è quella che si sente da vari ex Colleghi che lamentano unorganizzazione
e una gestione dellAteneo che lasciano a desiderare.
A mio avviso questa situazione non è attribuibile alla Legge 240/2010,
alla quale eventualmente vanno imputate altre colpe, ma ad altre cause. - Innanzi tutto al fatto che il Rettore Dionigi ha voluto
dare attuazione alla Lg 240 ad una velocità decisamente superiore rispetto a quella di
altri Atenei, senza cioè la dovuta gradualità e senza quindi preparare in modo adeguato
sia le strutture che il personale, in particolare quello tecnico-amministrativo, al
cambiamento.
Le trasformazioni imposte dalla Legge implicavano unattenta
riflessione, decisioni non affrettate e in particolare il più possibile condivise. Basti
pensare ad esempio allaccelerazione impressa nel redigere prima e nel far approvare
poi il nuovo Statuto, nonché allattuazione dello stesso. Fretta legata
esclusivamente al fatto che linterpretazione e quindi lapplicazione
restrittiva della Legge 240, così come voluta dai Vertici (Rettore e
Prorettori), consentiva di realizzare uno Statuto che dava al Rettore un potere
praticamente assoluto.
E per raggiungere tale scopo era necessario accelerare i tempi senza dare
ascolto a chi era critico verso certe scelte, verso certi metodi autoritari e in
particolare rinunciando, scientemente, a mettere in pratica quei principi elementari di democrazia
partecipativa, fondamentali per governare una communitas quale
lUniversità.
Ciò che sta accadendo in Ateneo è la naturale conseguenza di una governance
centralistica e verticistica, cioè della mancata applicazione del criterio di
democraticità delle scelte.
- Laltro aspetto sconcertante è che
da anni la trasparenza quantomeno latita.
Con i regolamenti approvati pochi mesi fa, la situazione è addirittura
peggiorata in quanto ora gli Organi di governo dellAteneo (Senato
accademico e CdA) operano più che mai nelle segrete stanze senza che nulla trapeli e
quindi il Personale, sia docente che non docente, non può sapere e capire cosa stanno
decidendo.
Si è instaurato un regime in cui vi è una totale
assenza di qualsiasi contatto tra il Personale tutto che opera
allinterno dellIstituzione e gli Organi di governo.
LAlma Mater è lontana anni luce rispetto ad esempio allAteneo
di Torino dove le sedute del Senato accademico vengono addirittura trasmesse in
diretta e quindi possono essere seguite da tutto il Personale universitario.
A Bologna invece nulla deve trapelare, il Personale non deve sapere cosa
stanno facendo i loro rappresentanti in Senato accademico e il tema
trasparenza resta ancora un vero tabù.
Il prof. Sergio Brasini, in un articolo
pubblicato il 30 agosto 2014 dal titolo Ancora a proposito di trasparenza
allAlma Mater (leggi Sergio Brasini),
affermava giustamente che la tanto auspicata trasparenza degli atti decisionali (nei
confronti dellintera comunità accademica e più in generale dei cittadini essendo
lIstituzione pubblica e non privata), è stata totalmente disattesa.
Io affermerei che è stata definitivamente sotterrata dopo
lapprovazione dei sopra ricordati Regolamenti per il funzionamento dei due Organi
accademici e il Regolamento in materia di pubblicità delle deliberazioni degli Organi
stessi.
Invece di fare un passo verso una reale trasparenza,
lAteneo ha deciso di fare un passo indietro, rendendo tutto più opaco in modo che i
Vertici, tramite il CdA, Organo nel quale è concentrato tutto il potere
decisionale, abbiano libertà dazione come in certi regimi di triste memoria che
gestivano il potere usando formule quali democrazia guidata o
centralismo democratico, antitetiche alla vera democrazia, cioè quella
partecipata.
Purtroppo, lAteneo di Bologna ritengo sia destinato a vivere un
periodo di oscurantismo che non fa certo onore alle sue tradizioni né a
quelle della Città.
Gianni Porzi |
Fonte: Sergi Brasini, Ancora a proposito di trasparenza
allAlma Mater,
http://www.ilmanifestobologna.it/wp/2014/08/ancora-a-proposito-di-trasparenza-allalma-mater/
. |
EDIZIONE PRECEDENTE |
.PUBBLICITA' DEI VERBALI DEGLI
ORGANI DELIBERANTI DELLE UNIVERSITA' |

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Nuovo Regolamento dell'Università di Bologna
Per il testo integrale, clicca su: Decreto Rettorale n.
1035/2014
Luciani: Regolamento anti-trasparenza, involutivo rispetto alla tradizione,
negativo per un Ateneo che
aspira all'internazionalizzazione
|
Nota. Tradizionalmente. nell'Alma Mater, i verbali del
Consiglio di Amministrazione erano pubblici, e depositati in forma cartacea presso 4
biblioteche dell'Ateneo, tra le quali (per quanto ne so con certezza) la biblioteca Dore
di Ingegneria e la Biblioteca Bigiavi di via Belle Arti.
In seguito all'arrivo della digitalizzazione, i verbali erano consultabili presso
le biblioteche medesime, tramite i PC locali. In particolare il Rettore Calzolari (vado
ancora a memoria) fece un nuovo Regolamento nel 2002, nella continuità della trasparenza.
Risulta che in una delle ultime sedute del Consiglio di Amministrazione,
pre-riforma Gelmini, alcuni Consiglieri abbiamo proposto al Rettore modalità innovative
di pubblicità dei verbali degli Organi, nel senso di agevolarne la conoscenza presso il
grande pubblico
Sopravviene adesso, in risposta, questo Regolamento del Rettore Dionigi, che (dal
come ha reagito in aula a quelle proposte) è apparso probabilmente ignaro della
situazione esistente.
Riportiamo, del Regolamento, gli elementi essenziali qui sotto (colonna
sinistra), e ne facciamo un confronto, sempre qui sotto (colonna a destra), con altre
Università, tra cui Padova, consorella di Bologna, storicamente.
REGOLAMENTO Articolo 2 (Ambito di
applicazione)
1. Sono pubblicati gli atti adottati dal Senato Accademico e dal Consiglio di
Amministrazione, dalla Consulta del Personale Tecnico Amministrativo, dalla Consulta dei
Sostenitori, dal Consiglio degli Studenti e dal Consiglio di coordinamento dei Campus.
2. Il presente regolamento non si applica agli atti e provvedimenti emanati dagli Organi
monocratici dellAteneo.
Articolo 3 (Oggetto della pubblicazione)
1. Sono consultabili in un formato atto a garantire la piena accessibilità alle
informazioni, suddivisi per singoli Organi e raccolti in ordine cronologico, in base alla
data della seduta:
a) le relazioni istruttorie formulate dalle unità organizzativa competenti;
b) le deliberazioni comprensive dellespressione del voto nominativo ove reso in
forma palese;
c) gli allegati.
2. Sono esclusi dalla pubblicazione:
a) i dibattiti;
b) le parti di verbale che non determinano lassunzione di una deliberazione
dellOrgano;
c) su indicazione dellunità organizzativa competente, le deliberazioni per le quali
norme di legge o di regolamento escludano o differiscano il diritto di accesso di cui agli
Articoli 22 e seguenti della Legge 241/1990 e successive modifiche;
d) su indicazione dellunità organizzativa competente, le deliberazioni assoggettate
a pubblicità in base ad una normativa di settore;
e) le delibere contenenti dati sensibili e giudiziari;
f) le delibere contenenti dati attinenti al rapporto di lavoro di singoli dipendenti
dellAteneo;
g) le delibere del Consiglio di Amministrazione assunte ai sensi dellart. 10
(Competenza disciplinare) della Legge 240/2010.
Articolo 4 (Esclusioni e differimenti)
1. Allatto delladozione della delibera, lOrgano, su proposta motivata
del Presidente, può riservarsi la facoltà di disporre lesclusione, il differimento
temporaneo della decorrenza del termine della pubblicazione ovvero la rappresentazione in
forma sintetica della documentazione la cui diffusione possa recare pregiudizio agli
interessi perseguiti dallAteneo.
Articolo 5 (Modalità della pubblicazione)
1. La pubblicazione avviene mediante le tecnologie più idonee, utilizzando la rete
Intranet di Ateneo.
Laccesso è consentito a tutti i titolari di credenziali istituzionali abilitati
allaccesso alla medesima rete. |
L'opinione di
Giliberto Capano
Fonte: CORRIERE DI BOLOGNA, 28.07.12
(Stralcio):::::::::::
" Il complesso di queste regole getta una preoccupante atmosfera di
opacità sui processi decisionali più importanti di Unibo.
Il nuovo regolamento dispone che i membri del cda e del Senato, pur
potendo interloquire con i membri della comunità universitaria prima delle decisioni, non
possano divulgare (nemmeno seguendo le prassi informali che hanno sempre regolato tale
questione in passato) alcun riferimento, documento, atto istruttorio prima che la
decisione venga presa. Tutto potrà essere letto solo al momento della
pubblicazione degli atti.
Ciò significa che gli organi di governo del nostro ateneo hanno deciso che
non vogliono discutere con chi li ha eletti del contenuto, tecnico e perciò politico,
delle decisioni partendo dalla documentazione ufficiale, ma solo sulla base di una
interlocuzione orale. Scelta preoccupante.
È stato inoltre deciso che i verbali non dovranno riportare i
dibattiti tra i membri degli organi e le discussioni non correlate a una decisione.
Dunque, i membri dei due organi collegiali hanno stabilito che i propri elettori non
debbono sapere qual è stato il loro comportamento nel corso del mandato.
Ma allora come faranno i membri della comunità universitaria a
controllare che i loro rappresentanti/governanti facciano bene il proprio lavoro?
Si tratta di due questioni imprescindibili.
Il futuro di Unibo deve basarsi su processi decisionali trasparenti e
responsabili.
Possiamo solo pensare che queste regole siano state decise senza riflettere
troppo sul loro significato simbolico a causa del superlavoro di questi ultimi mesi.
E di conseguenza non possiamo che augurarci che a settembre, quando la
lucidità sarà maggiore grazie al riposo estivo, esse vengano emendate come necessario
per il buon governo, e quindi per il buon futuro, di Unibo." |
Nino Luciani, Il Commento, e confronto con
Padova e Torino... 1.- Limiti di accesso per il pubblico.
Risulta dall'art. 5 che l'accesso agli atti è consentito solo agli appartenenti
all'Ateneo (vale dire solo tramite rete Intranet).
L'art. 3. 2 del nuovo Statuto, recita:
" Trasparenza:
a) LAteneo favorisce il dialogo allinterno della comunità universitaria e
promuove il confronto con i soggetti esterni, anche attraverso il sito
istituzionale o altri strumenti telematici di comunicazione e di consultazione.
b) LAteneo garantisce, secondo modalità da disciplinarsi con apposito regolamento,
adeguata pubblicità delle deliberazioni assunte dagli Organi Accademici e degli atti che
compongono i relativi riferimenti, fermo restando quanto previsto dalla legge in tema di
riservatezza."
Commento. La Legge Gelmini ammette in Consiglio di
Amministrazione 3 soggetti esterni, in quanto evidentemente ritiene che il pubblico
(famiglie, studenti, chiunque) possa prendere conoscenza del funzionamento delle
università pubbliche, vale dire finanziate con le imposte di tutti e con le tasse degli
studenti.
Lo Statuto vuole la comunicazione con l'esterno.
Dunque il Regolamento è doppiamente incoerente con la legge e con lo
Statuto.
2. Il caso di Padova. Nello Statuto, si trovano
enunciazioni del tipo di Bologna, sopra riportato e poi, coerentemente, è consentito al
pubblico l'accesso ai verbali, senza alcuna discriminazione.
Qui sotto, a comprova * riportiamo
l'indirizzo, cliccando sul quale si può constatare la possibilità dell'accesso a tutti i
verbali dal 1998 al 2014.
Questo è possibile anche a Torino Politecnico**,
e Università degli Studi***.
In particolare, presso quest'ultima, le Sedute del Senato Accademico
sono visibili, on line in diretta streaming, a tutta la Comunità Accademica (professori,
personale tecnico amministrativo, studenti etc).
3.- Conclusioni. E' con vera amarezza il dover constatare
che Bologna, pur aspirando alla all'internazionalizzazione, conserva una mentalità
oscurantista, medievale in senso negativo (chiusa dentro le mura). Nino Luciani |
* http://www.unipd.it/universita/organi-di-ateneo/consiglio-di-amministrazione/verbali
** http://www.swas.polito.it/services/docuff/Default.asp?id_documento_padre=10952
*** http://www.unito.it/unitoWAR/appmanager/istituzionale/ateneo1?_nfpb=true&_pageLabel=sedute3 |
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TAR - Tribunale Ammnistrativo Regionale del Piemonte
Le parti in lite: MIUR e Politecnico di Torino |
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LA CAUSA AVEVA AVUTO LUOGO IL 14 GIUGNO 2014
IL MIUR AVEVA CONTESTATO LA ILLEGITTIMITA' DELLO STATUTO DEL POLITECNICO
LADODVE ERA DECIS O CHE IL CDA FOSSE ELETTIVO DAL
CORPO ELETTORALE
Gianni Porzi,
Legittimando l'elezione dei membri interni del CdA,
anche il TAR
del Piemonte difende la scelta democratica fatta dal Politecnico
A Bologna, un ricorso
al TAR, contro la delibera del Senato, di designazione del CdA* |

prof. Gianni Porzi
|
Nota. Il prof. Porzi,
come membro del CdA, aveva sostenuto la "elettività" del CdA, e questo era
conforme sensibilità dell'intero Ateneo che, in referendum consultivo, l'aveva approvato
con il 98% dei voti.
Frattanto sono pervenutre notizie circa l'applicazione locale degli
Statuti, per il CdA. Palermo è in tilt per avere omesso le quote rosa. A Bologna, è
stato fatto un ricorso al TAR contro delibera del Senato. Precisamente, trattasi del
fatto che uno dei concorrenti al CdA ha fatto ricorso contro l'esclusione, si presume
per mancanza di motivazione da parte del Comitato di selezione.
E siccome è giusto che la Comunità accademica conosca come è avvenuta la
designazione del CdA, riporto qui la relativa delibera del Senato. NL |
Gianni
Porzi, Anche il TAR del Piemonte difende la scelta democratica fatta
dal Politecnico di Torino, legittimando lelezione dei membri
interni del CdA ad opera della Comunità universitaria.
La sentenza del TAR Piemonte (n° 983 del 14/6/2014) dopo
quella del TAR Liguria (n° 718 del 22/5/2014), ritengo sia di grande significato politico
e molto importante per la vita democratica del Politecnico di Torino. Infatti, il TAR ha
affermato che lopzione fatta dal Politecnico di scegliere i membri interni del
Consiglio di Amministrazione (CdA) attraverso lelezione diretta da parte della
Comunità accademica è legittima, cioè non è contra legem come invece sostenuto dal
Ministero. Quindi il Tribunale Amministrativo ha rigettato il ricorso intentato dal MIUR
che contestava l'eleggibilità, prevista dallo Statuto del Politecnico di Torino, non
essendo in contrasto con la Legge 240. In sostanza, la partecipazione
democratica del Personale universitario al governo dellAteneo non è, a
giudizio della Magistratura Amministrativa, in contrasto col dettato della Legge e ciò
rappresenta una vittoria di grande significato politico per tutti coloro che sono
convintamente e profondamente democratici.
Interessante è il seguente passaggio della sentenza del
TAR Piemonte : Anzitutto va ricordato che il termine designazione
indica, in sé, solo latto con cui una determinata persona viene additata ad un
ufficio, mentre nulla dice in ordine al soggetto che effettua tale indicazione né sui
criteri e modalità seguiti a tale fine: esso quindi non esclude che il designante possa
essere un organo collegiale né che lindividuazione possa essere effettuata
allesito di una procedura elettiva. In tal senso le procedure elettive costituiscono
solo una delle modalità di designazione di un soggetto ad un ufficio.
Ciò è in sintonia con lopinione espressa dal
prorettore per gli Affari giuridici dellUniversità di Pisa, professor Dal Canto,
secondo il quale una scelta può essere fatta in molti modi, dunque anche attraverso
le elezioni: infatti, elezione deriva dal latino eligere, che significa scegliere. A
sostegno e a difesa del meccanismo elettivo per la scelta dei membri interni del CdA, il
Rettore dellUniversità di Trieste, professor Peroni, aveva affermato che la
Legge 240 non contiene elementi di incontrovertibile divieto, e noi abbiamo difeso questo
ulteriore passaggio democratico che garantisce la partecipazione di tutti. Il TAR
del Piemonte, rigettando il ricorso intentato dal MIUR contro il Politecnico di Torino,
legittima la scelta democratica fatta dallAteneo del quale, va ricordato, fino a
novembre 2011 è stato Rettore lattuale Ministro Profumo e sotto il cui rettorato fu
adottata lopzione delleleggibilità contro la quale il MIUR ha poi fatto
ricorso.
Si potrebbe dire che il Ministro Profumo ha ricorso
contro lex Rettore Profumo (situazione un po kafkiana). Comunque, con le
sentenze dei TAR del Piemonte e della Liguria sono stati garantiti quei principi
elementari di democrazia partecipativa che altri Atenei, fra i quali quello bolognese, non
hanno invece ritenuto importanti, evidenziando così un grado di sensibilità democratica
notevolmente diverso
Oltre ai due Atenei ricordati, anche quelli di Pisa,
Firenze, Parma e Trieste hanno optato per la procedura elettiva dei membri interni del CdA
e cè quindi da augurarsi che anche le prossime sentenze dei Tribunali
Amministrativi presso i quali il MIUR ha presentato ricorso riconoscano legittima
lopzione democratica basata sulleleggibilità da parte del Personale
universitario.
A tale proposito va sottolineato che a fronte della
volontà dellAteneo di Pisa di tener ferma la sua posizione, il MIUR aveva
presentato ricorso al TAR Toscana chiedendo la sospensione in via cautelare delle norme
contestate, opponendosi in particolare alla scelta di designare con il metodo elettivo
alcuni membri del CdA. Ma il Tribunale Amministrativo, con ordinanza del 30 maggio, ha
respinto la richiesta di sospensiva, con grande soddisfazione del Rettore Augello e del
prorettore Dal Canto, in quanto "non appare sussistere il pericolo di un danno grave
e irreparabile derivante dall'esecuzione dei provvedimenti impugnati". Gianni
Porzi |
CORTE DEI CONTI, DI NUOVO PER
LE RIFORME. QUELLE DELLA SIGNORA MERKEL ? |
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La Corte torna alla Camera per Rapporto
sul Coordinamento della finanza pubblica
e, con l'occasione, per fare proposte
sul modo di superare la crisi economica
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LUCIANI, Per la priorità alla crescita del
PIL, nei
prossimi tavoli "Europei", con chiarezze, quali : |
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1.-
MONTI ha motivo di restare, solo se è per sbloccare
la spesa pubblica, perchè i sacrifici imposti vadano a
frutto. Meglio se con il consenso della U.E. ; |
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2.- La spending revew ha un senso, se in una
prospettiva di lungo periodo (non per subito) ;
3.- Urgono sgravi fiscali per i profitti reinvestiti (Laffer docet) |
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Presidente L.
Giampaolino, Presentazione del Rapporto 2014. (Stralcio). Roma 5 giugno 2014.
Per il testo integrale del rapporto, clicca su: http://www.corteconti.it/:::::
1.- "Lobiettivo di completare il percorso di adeguamento al
benchmark europeo è essenziale per aprire prospettive
di crescita, ma non appare né facile né semplice, tanto per le dimensioni dello
sforzo da richiedere alla finanza pubblica, quanto per i limitati spazi di copertura
disponibili.
Sostanzialmente esauriti i margini
finora offerti dalle entrate volontarie, a cominciare da quelle per giochi, e
dallefficientamento dellattività di riscossione, si rafforzano, pertanto, le
ragioni per puntare sulla soluzione dellampliamento della base imponibile,
assegnando alla lotta allevasione ed allelusione ed al ridimensionamento
dellerosione il compito di assicurare margini consistenti per un riequilibrio del
sistema di prelievo al fine di poter almeno in parte conciliare rigore, equità e
crescita.
Resta naturalmente fermo che
lopzione di fondo da perseguire non può non essere quella di una
consistente riduzione della spesa corrente sia primaria che per interessi
sul debito.
Riduzione della spesa primaria da
ottenersi attraverso la reingegnerizzazione dei processi amministrativi, il ridisegno
organizzativo delle amministrazioni pubbliche e la ridelimitazione dei confini del
pubblico, ma anche innovando nelle modalità di erogazione dei servizi amministrativi,
prevedendone - quando economicamente giustificata e tecnicamente fattibile - una gestione
autonoma ed autofinanziata.
Va in questa direzione la decisa accelerazione del Governo (decreto-legge n. 52 del
2014) verso il rafforzamento dei meccanismi di razionalizzazione e controllo quantitativo
e qualitativo della spesa pubblica (spending review).
Il programma di revisione integrale della spesa pubblica, specie di quella
corrente primaria rappresenta uniniziativa particolarmente apprezzata,
rappresentando un criterio di fondo della programmazione della spesa e
dellorganizzazione dellamministrazione idoneo a segnare un passaggio
innovativo rispetto alla tecnica dei cd. tagli lineari.
Va, infine, ripreso con maggiore continuità e convinzione il processo volto
a realizzare un abbattimento significativo del debito, attraverso la dismissione
di quote importanti del patrimonio mobiliare ed immobiliare in mano pubblica.
Nelle recenti occasioni di confronto con il Parlamento, la Corte ha più
volte sottolineato lurgenza di soluzioni operative su un fronte, come quello delle dismissioni, finora carente nellidentificare
dimensioni, condizioni e responsabilità realizzative.
2.- Passando al merito delle valutazioni svolte nel Rapporto vorrei
evidenziare che gli andamenti del 2011, come già quelli del 2010, sono rivelatori del
grado di disciplina della politica di bilancio italiana.
Orbene, in virtù di riduzioni di spesa superiori alle attese,
lindebitamento è sceso lo scorso anno al 3,9 per cento del Pil, rispettando
pienamente gli obiettivi fissati a inizio danno. Al contempo, i risultati del 2011
riflettono la difficoltà in cui incorre la gestione della finanza pubblica in un contesto
di sostanziale assenza di crescita.
Anche lo scorso anno, infatti, il gettito fiscale è rimasto al di sotto
delle previsioni, penalizzato dalla mancata ripresa delleconomia. Un fenomeno non
occasionale, ma destinato a protrarsi per alcuni anni, dal momento che il vuoto di
prodotto apertosi dopo la crisi finanziaria è lungi dallessere recuperato.
Sono dunque esplose lo scorso anno le contraddizioni che accompagnano
lattuazione della politica di bilancio. Da una parte, lefficacia delle misure
di contenimento delle spese, che nei fatti si rivelano più stringenti di quanto sembri
essere percepito dallopinione pubblica nazionale e, soprattutto, internazionale;
dallaltra, una dinamica di crescita asfittica, che rende difficile conseguire
risultati migliori di quelli effettivamente realizzati.
La percezione di una notevole e quasi inattesa efficacia dei provvedimenti di
contenimento della spesa è confermata, in primo luogo, dallesame dei risultati
conseguiti nel controllo della dinamica delle spese delle amministrazioni centrali e, in
particolare, dello Stato.
Con riguardo al comparto statale, vi è da osservare che, nel 2011, si sono
cumulati gli effetti dei robusti tagli delle spese dei ministeri, disposti,
già nel 2008, con il ricordato DL n. 112 e di quelli integrativi derivanti dai DD.LL n.
78 del 2010 e n. 98 del 2011.
Al netto degli interessi e dei trasferimenti alle amministrazioni locali, le
spese dello Stato risultano diminuite, nel biennio 2010-2011, di circa il 6 per cento. Uno
sforzo di contenimento di grande rilievo, anche se del tutto sbilanciato nella
composizione: ad una riduzione di meno del 3 per cento delle spese primarie correnti fa,
infatti, riscontro la caduta delle spese in conto
capitale del 26 per cento.
Nel solo 2011, la spesa primaria segna anche una diminuzione superiore di
quasi 4 miliardi al livello previsto in sede di DEF nellaprile 2010.
Nel quadro della generale compressione delle spese in conto capitale, risalta il taglio
applicato ai contributi alle imprese che, sempre nel biennio, ha nettamente superato il 50
per cento.
Lultimo biennio segna una netta inversione di tendenza rispetto
allintero arco degli anni 2000, durante il quale la spesa primaria dello Stato era
aumentata ad un tasso medio annuale di circa il 6 per cento.
Limitando lattenzione ai consumi pubblici,
gli ultimi anni e non solo il 2011 offrono levidenza di un vero e
proprio cambio di rotta nelle dinamiche tanto delle spese di personale quanto degli
acquisti di beni e servizi (i c.d. consumi intermedi) dello Stato.
I redditi da lavoro dipendente segnano, nel 2011, una riduzione che
risulta superiore alle attese e che fa seguito ad un rallentamento in atto già da anni,
se si considera come, rispetto alle previsioni avanzate allinizio della legislatura,
le retribuzioni delle amministrazioni pubbliche si collochino ben 13 miliardi più in
basso. Un risultato che evidenzia lefficacia delle numerose misure di controllo
della dinamica retributiva e di razionalizzazione e riorganizzazione degli organici
(soprattutto nel comparto scolastico) adottate con il DL n. 112/08 e con il DL n. 78/10.
La stretta impressa agli acquisti di beni e servizi dei ministeri si è
tradotta, poi, nel triennio 2009-2011, in una riduzione complessiva degli impegni di
bilancio dello Stato di oltre l8 per cento. Una riduzione che è stata conseguita
nonostante che, negli ultimi quattro anni, siano state regolate posizioni debitorie
pregresse emerse presso le amministrazioni statali - e relative alla categoria dei consumi
intermedi - per un ammontare di oltre 3,5 miliardi.
Note senza dubbio positive si traggono anche dalla valutazione della
disciplina di bilancio applicata al livello delle Amministrazioni locali, attraverso un
progressivo affinamento degli strumenti di coordinamento.
3.- Nel consuntivo del 2011, il contributo degli Enti territoriali allobiettivo generale di
indebitamento è stato, anche se di poco, migliore delle attese: il disavanzo si è
arrestato allo 0,3 per cento del Pil. Per il secondo anno consecutivo si sono ridotte le
uscite complessive. Un andamento dovuto ancora alla caduta della spesa in conto capitale,
ma anche ad una spesa corrente che, per la prima volta dalla metà degli anni novanta,
presenta un risultato in flessione dell1,2 per cento. Un dato di rilievo se si
considera che tra il 2005 e il 2010 si era registrato un aumento medio del 3,3 per cento,
ben al di sopra del tasso di crescita medio del prodotto. Ma anche un risultato forzato
dal progressivo inaridimento delle risorse disponibili per gli enti locali.
Nel 2011 si è confermata, dunque, lefficacia delle misure di
consolidamento fiscale assunte, per le Amministrazioni locali, a partire dal DL 112/2008,
almeno dal punto di vista degli obiettivi quantitativi. Le correzioni al quadro
tendenziale di inizio legislatura, disposte dai provvedimenti che si sono succeduti nel
triennio, era previsto producessero una riduzione della spesa del settore di circa 18
miliardi, accompagnata da minori trasferimenti per poco meno di 9 miliardi. A consuntivo
la spesa complessiva è stata di 22 miliardi inferiore al dato tendenziale.
Nonostante la crisi, le misure di consolidamento fiscale hanno quindi
consentito di mantenere il contributo degli enti territoriali al disavanzo complessivo
delle amministrazioni pubbliche sui livelli previsti a inizio legislatura. Non senza
pagare, tuttavia, un prezzo in termini di una dequalificazione della spesa e di un, seppur
moderato, aumento della pressione fiscale locale.
Va aggiunto che se le regioni si sono mantenute nei limiti previsti dal
Patto di stabilità interno per il 2011, il quadro finanziario si presenta più articolato
per quanto riguarda i Comuni, che nel complesso non sono riusciti a conseguire
lobiettivo cumulato, con gli Enti inadempienti aumentati al 4,6 per cento, dal 2,2
per cento del 2010.
Al di là dei risultati quantitativi ottenuti, gli strumenti di coordinamento
applicati alle amministrazioni locali vanno considerati per alcuni fondamentali
aspetti evolutivi, che ne stanno migliorando la qualità.
Lintroduzione di meccanismi di compensazione regionale, oltre ad aver reso più
sostenibili gli obiettivi dei singoli enti, ha avuto un effetto positivo sul livello dei
pagamenti in conto capitale.
Pur nella generale flessione degli investimenti pubblici, proprio gli enti che hanno
ottenuto spazi aggiuntivi di saldo dal Patto regionale, espongono standard di pagamenti di
spesa in conto capitale più elevati e riescono a contenere la caduta rispetto ai livelli
2010 (-3,8 per cento) in maniera più significativa dei restanti enti (-9,2 per cento).
4.- Piuttosto incerte, tuttavia, rimangono le prospettive di sviluppo se non saranno
adeguatamente affrontate alcune problematiche. Innanzitutto il potenziamento dei
meccanismi decentrati di controllo e di sanzione/penalizzazione, per evitare che il
mancato conseguimento dellobiettivo da parte di alcuni enti possa compromettere
lequilibrio dellintero sistema regionale; in secondo luogo, il coordinamento
con il meccanismo del Patto nazionale orizzontale, onde evitare un depotenziamento del
già fragile mercato dei diritti allindebitamento; infine, ma non di
minore importanza, laffinamento di un sistema di garanzie tra livelli di governo,
affinché tale strumento possa effettivamente costituire lasse portante per
consentire, anche in futuro, il finanziamento degli investimenti in disavanzo
compatibilmente con il vincolo costituzionale dellobiettivo generale di pareggio.
Anche la gestione della spesa sanitaria ha presentato, nel 2011, risultati
migliori delle attese. A consuntivo le uscite complessive (112 miliardi) sono state
inferiori di oltre 2,9 miliardi al dato previsto e riconfermato, da ultimo, lo scorso
dicembre, nel quadro di preconsuntivo contenuto nella Relazione al Parlamento.
Per la prima volta, la spesa sanitaria ha ridotto, seppur lievemente, la sua
incidenza in termini di Pil, scendendo dal 7,3 per cento del 2010 al 7,1. Si sono ridotte
di un ulteriore 28 per cento le perdite prodotte dal sistema (e che devono essere in ogni
caso coperte dalle amministrazioni regionali). Un risultato frutto, soprattutto, della
riduzione dei costi registrata in alcune regioni in piano di rientro. Nonostante i
progressi evidenti nei risultati economici, tuttavia, il settore sanitario continua a
presentare fenomeni di inappropriatezza organizzativa e gestionale che ne fanno il
ricorrente oggetto di programmi di taglio della spesa." |
NINO
LUCIANI, Urge sbloccare la spesa pubblica, se i sacrifici fiscali devono servire a
qualcosa. Sarebbero cosa buona anche sgravi fiscali ai profitti e svalutare l'Euro, ancora
un pò.
POI ... BASTA BESTEMMIE CONTRO L'EURO. CON I VARI TRATTATI
EUROPEI, CI PRESERVA DA NUOVE GUERRE IN EUROPA.1.- La situazione, sei mesi fa. Quando Monti prese
in mano la staffetta, da Berlusconi, la situazione finanziaria ed economica era grosso
modo la seguente:
a) bilancio statale in disavanzo, da finanziare con ulteriore
aumento del debito pubblico, e ciò incrementava l'aspettativa di insolvenza dello Stato.
Questa aspettativa non era causata, in modo diretto, da una anomalia grave
della situazione finanziaria statale (per l'ammortamento dell'attuale debito, basta una
rata annuale, venntennale, pari al 10% del PIL, al tasso di interesse del 5%), ma da
quella che sarebbe potuta diventare, se lo Stato avesse dovuto soccorrere le banche, per
"salvare" il risparmio delle famiglie, di seguito a casi di flop delle banche.
Infatti, le banche erano in grave stato di sofferenza, per avere ecceduto (nel passato
decennio) nell'impiegare a rischio i depositi della clientela.;
b) C'era dell'altro. Pur dopo gli interventi della BCE, le banche
non potevano, tout court, girare danaro (di genesi BCE) alle imprese, sia perchè esse
dovevano ricapitalizzare se stesse, sia perchè era tutt'altro che attesa la ripresa delle
vendite del settore produttivo (così da giustificarne il finanziamento, con un rischio
bancario ragionevole). Motivo: non c'era ancora domanda "effettiva" sufficiente,
vale dire sorretta da "potere di acquisto"
2.- Cosa è stato fatto. Dobbiamo
prendere atti che, allo stato attuale, non si può stare tranquilli, pur tenuto conto
della liquidità messa a loro disposizione dalla BCE,. Vi nuoce la interdipendenza tra le
grandi banche dell'intero sistema Euro (e dei loro rapporti con tutti gli Stati,
dell'Euro).
Storicamente la via maestra, per affrontare il grande debito pubblico,
sarebbe stata la svalutazione monetaria. Ma si poteva puntare a un misto che e':
a) la "parziale" svalutazione monetaria;
b) l'aumento delle entrate fiscali ;
c) la diminuzione della spesa pubblica ;
d) la vendita del patrimonio "non strategico" dello Stato.
e) In affiancamento, la possibilità dell'assistenza dell'Unione Europea sia sotto
forma di "seconda firma" di propri Fondi, nella collocazione del debito pubblico
(soprattutto per rifinanziare il debito in scadenza) sia sotto forma di ombrello della
BCE, nel mercato secondario, per le obbligazioni statali.
f) abolire l'Euro e tornare alla Lira ?
Di queste possibilità, il Governo Monti ha fruito delle soluzioni sub a),
sub b), sub e) e qualcosa di quella sub c), e messo in Costituzione l'obbligo del pareggio
del bilancio. Nell''insieme, tutto è risultato poco, soprattutto per carenze
della BCE nel punto determinante, che è l'avere potere di deterrenza nei
confronti dei mercati, in casi estremi, con interventi di ultima istanza a favore degli
Stati.
Per questo, l'idea di abolire l'euro ha raccolto qualche sostenitore, e di
tornare la vecchia Banca dItalia, usa a fare da ombrello al Tesoro. Vediamo meglio.
3.- Svalutazione dell'euro ? Se
consuderiamo il cambio euro/dollaro ed euro/yen oggi, rispetto a se mesi fa, troviamo:
a) a marzo 2014 il dollaro USA era 1,33 rispetto all'euro. Oggi il cambio è 1,25
(svalutazione 6%. Nello stesso periodo lo yen giapponese è passato da 1,10 a 1,00
(svalutazione 9%). Non è poco. Questo comporta un corrispondente minor valore del debito
pubblico italiano, detenuto da residenti esteri (essi posseggono la metà del debito
pubblico italiano), e aver aiutato le esportazioni verso le aree non-Euro.
Sarebbe consigliabile una ulteriore svalutazione: fino al 20%, purchè con
l'impegno di risarcire (quanto prima possibile) il reddito fisso.
b) il debito greco è rimasto una mina vagante su di noi. Sarebbe saggio se
la Germania lo caricasse su di sè (a intenditor poche parole), visto che
la Grecia non è in conidizioni di pagare, e che la cifra è modesta.
4.- Sull'alternativa: "aumento entrate
fiscali, minori spese pubbliche".
Monti ha preferito aumentare le entrate ficali. Era
meglio diminuire le spese ?
Nelle grandi difficoltà, lo Stato deve offrire i muscoli, esercitando
il potere sovrano "fiscale" (la grande differenza, rispetto ai poteri del
Mercato).
Tuttavia, dal punto di vista strutturale avrebbe un senso ridurre
le aliquote fiscali (quelle sui profitti) per aumentare il gettito fiscale, se
avessimo in U.E. dei governanti meno "ragionieri" e più "economisti.
Ce lo dice la curva di Laffer. Essa si fonda sulla legge
economica (di Maffeo Pantaleoni) secondo cui, ipotizzando che si parta da un tempo
"zero" (in cui c'è solo il mercato e non c'è lo Stato), ad un tempo n,
(in cui c'è sia lo Stato sia il mercato), è verosimile che la spesa pubblica abbia una
utilità marginale positiva e via via decrescente, via via che aumenta l saturazione
crescente dei bisogni pubblici. Nello stesso tempo è verosimile che le imposte (che
finanziano quella spesa pubblica) arrechino ai cittadini una penosità via crescente, al
margine.
L'incontro tra le due rispettive curve (decrescente e crescente) determina
una soluzione ottimale. Fino a quel punto il PIL cresce, oltre quel punto, il PIL cala.

La curva di Laffer riassume il tutto. La
pressione fiscale è una percentuale del PIL. Aumentando questa percentuale, il gettito
arriva ad un massimo (Max), in corrispondenza a PIL crescente. Il gettito comincia,
invece, a calare quando cala il PIL, pur se cresce l'aliquota. Nel grafico, una aliquota
del 45% rende meno che il 30%. La situazione dell'Italia è, grosso modo, nel punto A,
ossia a destra del gettito, corrispondenre al PIL massimo. Pertanto il calo della pression
fiscale farebbe aumentare il gettito fiscale.
Purtroppo, negli scorsi anni (da Padoa-Schioppa a Tremonti a Grilli) abbiamo
avuto dei ministri "ragionieri", che non vedevano gli aspetti economici.
Sempre dal punto di vista strutturale, non ho dubbi che
vada tagliata fortemente la spesa pubblica (portarla dall'attuale 55% del
del PIL al 45% del PIL). Questa è una evidenza saltata ai nostri occhi al momento (1991)
della caduta del sistema comunista sovietico. In quegli anni l''Italia aveva gli stessi
problemi economici dell'URSS, in proporzione al proprio grado di statizzazione (60%).
Oggi siamo al 55%. Resta da fare molta strada.
Ma va messo in conto che la Germania OVEST ha impiegato 20
anni per adeguare la Germania EST all'economia di mercato. Sbaglia la Signora
MERKEL a pensare a repentine privatizzazioni, pur se bisognar cominciare, sia pure con
gradualità. Ma si è visto che neppure la vendita del patrimonio immobiliare si può
improvvisare (la Corte dei Conti ci ha ammonito in questi giorni) che le accelerazioni ci
fanno "svendere", vale dire incassare pochi spiccioli.
Diffido anche dalla "spending revew", se non è impostata
sul medio-lungo periodo.
3. Invece, dal punto di vista congiunturale, serve assolutamente la
spesa pubblica (purchè non "in deficit). Se non ci sbrighiamo, rischiamo di
smantellare il sistema produttivo pre-esistente la crisi, che non più aspettare una
domanda che non arriva.
Presso i classici prevaleva l'idea che "l'offerta crea la domanda".
Di regola è così. Ma, poi, Keynes precisò che la domanda ha, in qualche modo, una sua
autonomia (gli alti redditieri spendono meno del reddito, ed al crescere del reddito,
spendono meno, in proporzione), e dunque non sempre la domanda è
"effettiva", vale dire "accompagnata da potere d'acquisto".
Di più, nei periodi di pessimismo economico, le famiglie tendono a
tesaurizzare, e le imprese a non investire, per cui l'unico modo di creare "domanda
effettiva" è sbloccare la spesa pubblica.
Sì, sbloccare. Einaudi ci aveva insegnato che l'imposta non
è grandine che distrugge i raccolti, se al prelievo segue prontamente la spesa. Invece
vediamo la spesa "tanto, quanto".
E' noto che la spesa pubblica è lenta a causa del processo burocratico, ma
il troppo stroppia (quei fornitori dello Stato, non pagati ...; quegli imprenditori
suicidati, ...). La Corte dei Conti vada a vedere cosa succede al Tesoro,
visto che questo ha la maggior responsabilità di spesa.
Oggi c'è la aggravante che alcuni blocchi della spesa ci sono per decisioni
europee (patto di stabilità). E' grave che Monti non
abbia ancora buttato all'aria il tavolo.
4.- Un ombrello anti-spread ? Per sua natura un prezzo pubblico va
difeso con i poteri dello Stato: quelli di poter comunque coprire i costi in caso di
disavanzo. Nel caso degli interessi per l'emissione di debito pubblico dovrebbe valere lo
stesso principio. E se un singolo Stato vi è impotente, dovrebbe subentrare l'UE. Peccato
che l'UE non conosca queste elementari regole della scienza delle finanze.
Invece, in UE sembra voler prevalere l'idea (per creare "domanda
effettiva") di mettere a disposizione (delle imprese) fondi europei per investimento
privati.
Per me questa idea è sbagliata, perchè al momento le imprese non investono,
per pessimismo sul futuro. I Fondi europei per gli investimenti vadano agli Stati, in
questa fase, purchè per pronta spesa.
5.- Abolire l'Euro e tornare alla Lira ? Ognun vede che, in una comunità
di Stati diversi e con differente stuttura Stato-Mercato, e senza regole di Goverance
pre-pattuite, gli Stati più "deboli" sono destinati a subire le decisioni di
quelli più forti.
Per l'Italia, il caso più eclatante è stato il cambio Lira/Euro, al momento
dell'abbandono della lira. Infatti, solo pochi mesi dall'adozione dell'Euro, la Banca
d'Italia dichiarava che il commercio estero dell'Italia aveva perduto competitività
dell'8% e più tardi, del 40%.
Non solo questo. I prezzi interni al consumo raddoppiarono. Era dunque palese
che il cambio lira/euro era stato "imposto" dagli Stati più forti (il Premier
era Prodi, e il Governatore di Bankitalia era Fazio). Ma al momento dell'entrata in vigore
(2002) il Premier era Berlusconi. Il settore del reddito variabile fece affari d'oro (vale
dire Berlusconi) ed il reddito fisso fu messo sul lastrico.
Ci conviene tormare alla lira ? Quelle parole roboanti, di
"qualcuno", secondo cui ll'Euro" è una specie di camicia di forza, che
protegge la debole Italia dai venti del mondo globale, non mi hai scaldato più di un
dente.
Ritengo, però, anch'io che l'Euro deve restare, ma per motivi
politici. Non dobbiamo mai dimenticare quante guerre abbiamo avuto, in Europa,
per la regolazione dei differenti interessi, e che da quando abbiamo trovato forme di
convivenza economica (CECA, CEE, ...., UE) non abbiamo avuto più guerre.
Per questo, direi che è una bestemmia imprecare contro l'Euro.
E' meglio continuare a scornarci, intorno a un tavolo, che tornare a guerre,
ma anche farlo in modo adeguato, a cominciare da momenti di raccordo tra i Paesi deboli.
Penso che la Federazione sarebbe il modo appropriato, centralizzando il minimo
indispensabile. NINO LUCIANI |
|



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Verso una nuova riforma fiscale ?
ATTESO IL DDL DEL GOVERNO " MONTI " |
Frattanto,
sottoponiamo, non in contrapposizione, ma come utile
riflessione preparatoria, una sintesi della riforma Cosciani del 1970. |
E proponiamo anche un uso
"deflazionistico" della riduzione dell'IVA,
per compensare il perduto potere sul cambio, a pro esportazioni |
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|
E lo Stato, se vuol tassare autorevolmente, impari ad essere serio per primo. Ad
es., tenga conto che :
.
- a) l'IVA è sui costi, nei casi (tanti) in cui, di fatto, non è trasferibile sul
consumatore;
- b) il valore patrimoniale è sopravvalutato se è calcolato moltiplicando la rendita per
100 (peggio per 160), perchè ciò equivale a
capitalizzare al tasso dell'1% (o meno), mentre il tasso effettivo è
nell'intorno del 5% (per cui, il moltiplicatore realistico è 20);
- c) che il costo amministrativo del prelievo potrebbe superare il gettito (questo accade
tassando imponibili bassi);
- d) va contro la crescita, se non spende tempestivamente il gettito fiscale (es.: se paga
i fornitori con ritardi irragionevoli ) |
UNA RIFORMA
FISCALE EQUA, E PER LA CRESCITA DELL'ECONOMIA ?
Nota. Non desti meraviglia riandare ad una
riforma di 42 anni fa. Il motivo è che fu la prima (e unica) riforma
fiscale organica dell'Italia democratica, post-fascista, e che fu l'espressione della
tradizione della scienza delle finanze italiana. Si tratta, dunque, di un viatico
fondamentale per una nuova riforma.
Non solo per questo motivo: i vari inserimenti successivi,
a pezzettini (ICIAP, INVIM, IRAP, ..., poi ripensati), erano motivati dal fatto che
(all'ultimo) la legge di riforma aveva eliminato la finanza locale (in attesa di
rimetterla entro 4 anni...). Il motivo è che anche allora non c'era pace circa l'assetto
federale dello Stato, e l'ordinamento regionale era ancora in viaggio. Del resto,
anche il recente "federalismo fiscale" tale non è, perchè fatto con
imposte locali meramente aggiuntive, non con un diverso riparto delle imposte tra Stato ed
enti locali (a favore di questi ultimi), dentro un prefissato sistema fiscale nazionale
unitario (come richiedeva la riforma Cosciani).
Ci sono, poi, fatti nuovi sopravvenuti (la perdita
del potere monetario dello Stato; una evasione fiscale abnorne per eccesso di pressione
fiscale; eccesso di ritardo dello Stato nel pagare i fornitori. Di questi
mi occupo nella nota qui sotto.
La tassazione ha, a sua volta, una autorevolezza
se lo Stato è serio nel modo di attuarla. Rinvio ai punti a), b), c), d) più sopra. In
particolare, il fatto che lo Stato spenda tempestivamente quanto autorizzato dalla legge
di bilancio (il 50% del PIL, è tantissimo) è lo strumento più importante per la
crescita. Monti lo sa ? |
|
Ripartendo dalla
riforma "C. Cosciani"
("Ministero del Bilancio, Progetto di programma di sviluppo economico
per il quinquennio 1965-69,
cap. XXIII - Finanza Pubblica, p. 163 e ss.)
LA RIFORMA DEL SISTEMA TRIBUTARIO
" 20. - II nuovo sistema tributario, più aderente agli schemi
vigenti negli altri Paesi della Comunità Economica Europea, dovrà rispondere a requisiti
ben determinati.
a) In primo luogo, il sistema dovrà essere manovrabile, in modo da poter
essere adattato, quando occorra, alle fondamentali esigenze e finalità di politica
economica. Il sistema tributario deve, perciò, tendere ad una articolazione
basata su pochi tributi di carattere fondamentale e su tassi relativamente moderati ma da
applicarsi su una massa imponibile la più ampia possibile.
A tal fine si rende necessaria: l'eliminazione di tutti quei tributi che
creano distorsioni nell'impiego economico delle risorse e determinano inutili aggravi dei
costi; la loro sostituzione con tributi efficienti non soltanto dal punto di vista
fiscale, ma anche da quello della politica economica; la revisione e la razionalizzazione
delle esenzioni.
b) In secondo luogo, il sistema tributario deve risultare chiaro,
in modo che il contribuente possa rendersi facilmente conto dell'onere che gli viene
addossato. Il contribuente ha diritto di esigere che le imposte siano trasparenti e che
non si creino processi di illusione finanziaria, lasciando bassi i tassi di imposta
formali e tuttavia aggravandoli - spesso in misura sensibile - con una serie di
addizionali. A tal fine è necessario il conglobamento, in linea di massima, di
tutte le imposte, sovrimposte e addizionali, a qualsiasi titolo prelevate e senza riguardo
all'ente cui sono dovute, in un'unica imposta. Ciò significa l'abolizione di
tutti i prelievi tributar! non statali e il conglobamento dei vari tassi in un'unica
aliquota del tributo erariale.
c) In terzo luogo, il sistema tributario deve assicurare una
progressività perequata e logica.
d) In quarto luogo, la struttura della finanza degli enti territoriali minori deve
essere coordinata con quella della finanza statale, per evitare conflitti nelle politiche
finanziarie ed economiche perseguite. (Nel rapporto del 1965, viene rimarcato il
dualismo tra "più livelli di enti tassatori" e la "unica tasca" del
contribuente, e pertanto la concorrenzialità degli enti nel pescare dalla "unica
tasca" va subordinata al rispetto di un tetto alla pressione fiscale globale -
N.d.R.).
21. - La vasta riforma del nostro sistema tributario richiede un
adeguato scaglionamento nel tempo ed una attuazione per tappe successive debitamente
coordinate tra loro, sia per consentire all'Amministrazione di adeguare un poco alla volta
la propria attrezzatura ai nuovi compiti, sia per facilitare ai contribuenti la
comprensione e la accettazione delle modificazioni introdotte, sia, infine, per agevolarne
l'inserimento nell'equilibrio di mercato. Per quanto riguarda il prossimo quinquennio
possono essere previsti per l'azione pubblica i seguenti obiettivi concernenti la
riorganizzazione degli uffici, le imposte dirette, le imposte indirette, la finanza
locale, l'allargamento della base imponibile.
a) riorganizzazione degli uffici (parte omessa)
b) Imposte dirette. Nel quinquennio 1965-69
potranno essere adottati, in conformità allo schema di riforma dianzi delineato, i
seguenti provvedimenti:
a) incorporazione nell'imposta personale sul reddito complessivo, con opportuni
adattamenti, dell'imposta di famiglia, delle attuali cedolari (terreni, fabbricati,
redditi agrari e ricchezza mobile) e di tutte le imposte addizionali comunque denominate e
da qualsiasi ente percepite;
b) istituzione di un'imposta reale, a tasso proporzionale ed uniforme, onde
conservare l'attuale discriminazione tra i redditi di capitale e quelli di lavoro, da
attribuire agli Enti locali, con tassi variabili entro limiti ristretti, e il cui
accertamento verrebbe conservato allo Stato;
c) assorbimento di tutti i tributi gravanti sulle società di capitali e
sulle altre persone giuridiche in una unica imposta sulle società;
d) revisione dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni. Tali provvedimenti
potranno essere emanati entro il 1966 ed entrare in vigore dal 1967.
c) Imposte indirette. II progetto di direttiva
della Comunità Economica Europea prevede l'armonizzazione delle imposte sulla cifra di
affari sulla base del valore aggiunto, da effettuarsi in due tappe: emanazione delle
relative leggi nazionali entro il 31 dicembre 1967 ed entrata in vigore dal 1° gennaio
1970. Si tratta di un impegno al quale il nostro Paese non può sottrarsi. Sono d'altra
parte evidenti le difficoltà di soddisfare tale impegno nei termini fissati, e le cautele
che devono essere assicurate perché l'introduzione delle riforme non turbi l'andamento
del gettito e la struttura dei prezzi. Inoltre, il successo della riforma è legato alla
riduzione delle attuali aliquote delle imposte dirette, la cui elevatezza costituisce uno
stimolo all'evasione. L'introduzione di un'imposta sul valore aggiunto
implica un perfezionato accertamento contabile dei redditi delle imprese, che non può
essere assicurato con gli attuali mezzi a disposizione del Ministero delle Finanze. Queste
considerazioni hanno consigliato il Governo italiano a chiedere talune modifiche al
progetto di direttiva della CEE, come la facoltà di istituire l'imposta monofase* sulla
fase precedente il commercio al dettaglio, nonché la proroga di due anni dei
termini previsti. Il Ministero delle Finanze, tuttavia, farà ogni sforzo per avviare la
riforma alla fine del prossimo quinquennio. Contemporaneamente all'imposta sul valore
aggiunto sarà istituita, come suo necessario complemento, l'imposta monofase da applicare
prima del passaggio del prodotto al dettaglio, restando l'ultima fase riservata
all'imposta locale sui consumi.
Questa imposta monofase, a tassi discriminati, prima del passaggio al
dettaglio, avrà anche la funzione di contenere l'aliquota dell'imposta sul valore
aggiunto in modo da ridurre gli stimoli alla evasione. L'assorbimento, previsto dallo
schema di riforma, di altri tributi indiretti nell'imposta sul valore aggiunto formerà
oggetto di successivi provvedimenti.
Si potrà, tuttavia, procedere nel quinquennio ad una semplificazione
dell'imposta di registro ed alla formazione di testi unici delle norme relative ad altre
imposte di cui non sia prevista la radicale trasformazione.
d) Finanza locale. Per la finanza locale i
provvedimenti da adottare sono di due ordini. I provvedimenti di riforma del sistema
statale di imposizione diretta, che saranno adottati nel quinquennio, comporteranno la
sostituzione dell'imposta di famiglia, delle imposte cedolari sui redditi e delle connesse
sovrimposte ed addizionali con un'unica imposta uniforme sui redditi patrimoniali. Nello
stesso tempo si provvederà alla revisione dell'imposta sulle aree fabbricabili alla luce
dell'esperienza dei primi anni di applicazione. Sempre nel quinquennio dovrà essere
riveduto, correlativamente alle modifiche introdotte, il sistema delle partecipazioni
degli Enti locali alle entrate statali e dei contributi. Quanto alle imposte comunali di
consumo, una riforma organica e completa non potrà essere attuata che ad avvenuta
trasformazione dell'imposta generale sull'entrata.
e) Allargamento della base imponibile. La
riforma da attuare, imperniata sulla semplificazione dei tributi e sulla riduzione delle
aliquote globali, rende ancora più urgente l'allargamento della base imponibile
attraverso l'esatto accertamento della materia tassabile ed il reperimento di quella che
oggi sfugge, legalmente o illegalmente, all'imposizione.
I provvedimenti saranno contemporaneamente rivolti alla riduzione delle
esenzioni, alla prevenzione e repressione delle evasioni ed al perfezionamento della
definizione legislativa di reddito imponibile e del suo accertamento, onde evitare
rendite, salti e sperequazioni:
a) la maggior parte delle esenzioni vigenti, rimaste prive di
giustificazione, creano vuoti fiscali di rilievo, sono fonte di controversie e finiscono
con l'essere un ostacolo ad una efficace politica degli incentivi fiscali. Il disegno di
legge-delega, già presentato al Parlamento, dovrà essere opportunamente modificato ed
approvato entro il 1966;
b) il problema delle evasioni sarà, in parte, risolto attraverso la
maggiore efficienza dell'amministrazione; saranno tuttavia indispensabili nuove
disposizioni intese, da un lato, a perfezionare gli obblighi contabili dei contribuenti in
genere e delle imprese, distinguendo le grandi dalle piccole e, dall'altro, al
rafforzamento dei controlli e delle sanzioni. Queste norme potranno essere emanate
parallelamente a quelle di riforma delle imposte dirette;
c) l'accertamento della materia imponibile incontra notoriamente gravi
difficoltà in conseguenza delle numerose controversie sulla nozione di reddito
imponibile. È pertanto necessario, nel campo dei redditi mobiliari, rivedere anche il
trattamento dei redditi saltuari in sede di imposta progressiva e la tassabilità di
alcune plusvalenze.
Nel campo, invece, dei redditi immobiliari si
tratterà di ammodernare ed aggiornare il sistema catastale sia per i terreni sia per i
fabbricati.
L'attuazione di detti provvedimenti richiede la preliminare meccanizzazione degli atti del
catasto, a mezzo della quale si conseguirà anche la possibilità di fornire, per
ciascun nominativo intestato, gli elementi da inserire nell'anagrafe tributaria ai fini
dell'applicazione dell'imposta unica progressiva sul reddito. Le norme intese ad
introdurre le descritte riforme potranno essere elaborate con una certa rapidità ed
entrare in vigore entro il 1966. La loro attuazione pratica richiederà un periodo di anni
abbastanza ampio, ma si potrà studiare la possibilità di un'applicazione graduale man
mano che saranno state realizzate le premesse di ordine amministrativo." |
Nino Luciani. Anche un
"uso monetario" delle imposte per affrontare problemi nuovi (difficoltà del
commercio estero ...) 1.- Quale impostazione per una
riforma fiscale, equa socialmente e propizia alla crescita ? Tra le possibili
impostazioni, applico la seguente:
- a parità di gettito tra le forme di imposta, applicare quella che ostacola meno
lo sviluppo del PIL e dell'occupazione.
Rispetto ad essa, ritengo che una base tuttora valida sia il rapporto
della Commissione per la riforma tributaria del 1962, presieduta da C. Cosciani
La sua attualità sta nel fatto che fu una "riforma
organica" e che fu la prima riforma, in democrazia, in Italia, dopo quella fascista
del 1923, e modificazioni.
Per una ricognizione dei suoi aspetti innovativi, rinvio alla sintesi
(qui a fianco) della riforma Cosciani, divenuta legge negli anni '70.
2. Problemi nuovi. Qui di seguito mi soffermo, invece, su
alcuni problemi nuovi e precisamente:
- sulla perdita del potere monetario, da parte dello Stato, a cui
si ricorreva di solito per sanare i disavanzi del commercio con l'estero. E' possibile
usare la fiscalità per compiti "monetari" ?;
- sulla evasione fiscale abnorme, ma ben poco per
colpa del contribuente.
a) Perdita del potere monetario. Dallarrivo
delleuro, il commercio estero italiano è in tilt, per perdita di competitività
internazionale.
La questione qui esaminata è, pertanto, la seguente: è possibile
l'uso "monetario" di strumenti fiscali, per sostenere il commercio estero
?
Un tempo le difficoltà del commercio estero si affrontavano
svalutando la lira (l'ultima è del 1992), e tutto si sbloccava. Adesso non è più così.
Con l'arrivo dell'Euro, è scoppiata l'inflazione, e i prezzi interni
(in ) sono risultati in forte aumento, rispetto ai prezzi in altre valute.
Precisamente i prezzi, in dollari, delle esportazioni sono aumentati del 78%, e i prezzi
in dollari delle importazioni sono aumentati del 96%.
Vediamo qualche dato sui cambi (si veggano i due grafici, più sotto).
L'Euro è stato molto rivalutato rispetto allo Yen Giapponese
e al Dollaro USA fino al 2009. Dopo il 2009 la situazione si è invertita verso
lo Yen e, invece, rimasta ancora la tensione verso il Dollaro, ma meno. In questo
periodo, le esportazioni e le importazioni sono rimaste, grosso modo, costanti in termini
reali, e comunque importanti in termini di PIL: esportazioni, pari al 25,9% del PIL);
importazioni pari al 27,% del PIL, così da mantenere il loro peso strategico, come
principale volano della economia italiana, notoriamente povera di materie prime.
Concludiamo per la necessità di un intervento
"monetario" della riforma fiscale pro-commercio estero.
Risulta dalle statistiche che, pur in queste condizioni, i saldi sono
stati quasi nulli, grazie a competitività recuperata con ristrutturazioni.
Per il futuro prossimo, lo sblocco naturale può venire solo
dalla soppressione del divario tra prezzi interni e prezzi esterni. Se non interverrà una
svalutazione dell'Euro verso il Dollaro nell'ordine del 30%, il solo rimedio possibile va
cercato in area fiscale, ferme le regole della concorrenza.
Quali strumenti fiscali con effetti "monetari" ?
R.A Mundell, economista premio - Nobel aveva fatto uno studio (nel 1967), in cui aveva
"dimostrato la convenienza ad uno impiego specializzato delle leve monetarie e
fiscali (dedicare all'equilibrio dei conti con l'estero, la leva monetaria, ed alla
stabilità dei prezzi interni la leva fiscale). Io, poi, (Rivista Bancaria, 1974) avevo
fatto uno studio in cui avevo dimostrato che la leva fiscale aveva anche effetti sui conti
con l'estero.
Abbassare l'IVA ? Tradizionalmente le imposte indirette
sono ritenute scaricarsi sui prezzi (non le dirette, pur se è tesi semplificata). Dunque,
se la riforma fiscale sostituisse parte dell'IRPEF con aumento dell'IVA, il commercio
estero ne avrebbe ulteriore difficoltà.
Veramente, il discorso è un pò più complicato, in quanto nel
commercio vige il principio della tassazione del Paese di destinazione (trascuriamo la
normativa in elaborazione all'interno dell'UE, e che prevede aliquote tra il 15% e 25%).
Pertanto l'IVA sull'export è restituita e quella all'import è caricata.
Tuttavia, l'import - export non è un circuito a parte, e pertanto gli
effetti interni (es. aumento del costo del lavoro, che non può non essere adeguato al
nuovo costo della vita; parte delle importazioni maggiorate di IVA è destinato a usi
interni, ...) avrebbero importanti effetti monetari sulle imprese esportatrici.
(Ma c'è anche chi pensa a tutt'altro: aiutare l'export abbassando il
costo del lavoro, con il taglio dei contributi sociali sul lavoro, e compensando il taglio
con aumento dell'IVA, M. Bordignon, Il Sole 24 ORE, 12.3.2014 ). Non concordo,
perchè i "contributi sociali" a carico del datore di lavoro sono imposte
speciali sui costi; e anche l'IVA è un'imposta sui costi di produzione, per la parte non
trasferita, e quindi non cambia nulla, pro-quota.
Concluderei per proporre il contrario: sostituire l'IVA con imposte
sul reddito e sui patrimoni. Queste hanno anche il vantaggio di essere direzionabili in
modo più equo.
3.- Evasione fiscale abnorme. L'abnormità della attuale
evasione fiscale ha il suo primo fondamento nello eccesso di pressione fiscale (45%
del PIL).
In termini complessivi, si direbbe che il fisco funzioni già troppo.
In termini interpersonali, dal punto di vista dell'equità le imposte indirette sarebbero
consigliabili perchè gli evasori fiscali (quelli che non pagano le imposte dirette, a
parte che c'è anche evasione sull'IVA) pagherebbero. Siamo nella stessa situazione
dell'Ancien Régime quando le imposte più eque erano quelle indirette, dato che clero e
nobiltà non pagavano imposte dirette.
Tuttavia questa tesi vive su una presunzione: che le imposte indirette
siano totalmente trasferibili (come vorrebbe la legge).
Ma questo non è, salvo per i beni a domanda rigida. Per questo,
l'aspetto più negativo di queste imposte è che, in parte, colpiscono una capacità
contributiva solo presunta, che in realtà non c'è, e restano largamente sui costi, nelle
fasi di caduta della domanda "effettiva".
A questo punto, se cè chi si oppone a pagare lIVA perché
non ha capacità contributiva, è costituzionalmente nel giusto. Non
dimentichiamo i suicidi di imprenditori, i tanti fallimenti di imprese nel 2011, le grandi
difficolta' di credito in questa fase, che provano non esservi capacita' contributiva da
tassare.
Più in generale, in un sistema fiscale "civile"
la capacità contributiva di base dovrebbe essere cercata nei redditi.
Considerata, tuttavia, la difficoltà di quantificare i redditi d'impresa (e dunque anche
la relativa facilità di occultarli) si potrebbe tassarli indirettamente: vale dire sotto
forma di tassazione del patrimonio produttivo di reddito ( immobiliare e mobiliare,
escluse le obbligazioni), in quanto facili da rintracciare.
Teoricamente, tassare il reddito o il capitale è solo un percorso
alternativo, perchè il capitale è pari al valore attuale del reddito: dunque capitale e
reddito sono due facce della stessa medaglia.
Il Governo ammette l'eccesso di pressione, e ci illude con un trucco
mediatico, sbandierato da anni: "pagare tutto, per pagare meno".
Nel 1993 la pressione fiscale era al 39% e anche allora si sbandierava quella illusione, e
adesso è al 45%.
Ma tant'è che, in risposta ai reclami del pubblico, questo Governo
aveva introdotto un "fondo salvatasse" (per abbassare le aliquote, via via al
recupero dell'evasione) per poi toglierlo e poi, reintrodurlo, e di nuovo toglierlo, anche
per obiettive difficoltà di separare il recupero dellevasione dal maggiore gettito.
A mio avviso, la denominazione (anche se imperfetta) di fondo salva
tasse, va formalizzata in una legge, affinchè il concetto non cada nel dimenticatoio.
Direi, tuttavia, che, per la sua credibilità, quel fondo andrebbe
collegato ad obiettivi strutturali di rango costituzionale ( pareggio del bilancio, già
approvato in Costituzione, e ammortamento del debito pubblico per un rapporto debito/PIL
del 60%, da realizzare, come da Trattati Europei).
Ho da ridire anche sulla rivalutazione delle rendite
catastali. Le rendite catastali (terreni e fabbricati) sono ritenute
(giustamente) sottostimate. Ma, poi, il valore dei fabbricati è calcolato
moltiplicando le rendite con il coefficiente 100.
Il capitale è pari alla rendita moltiplicata per l'inverso del tasso di
interesse. Se questo è 1%, il suo inverso è 100. Un tasso di interesse dell'1% (per la
capitalizzazione della rendita), è manifestamente irreale (quello reale è nell'intorno
del 5%). Dunque, ben venga la rivalutazione delle rendite, ma anche la rettifica del
moltiplicatore. Al tasso del 5% il moltiplicatore è 20.
Andiamo avanti: per le prossime dichiarazioni dei redditi, il
fisco farà una rivalutazione del capitale, del 5%, rispetto allo scorso (pur se l'aumento
non c'è stato), e applicherà un moltiplicatore di 160 (equivalente ad un tasso di
interesse dello 0,625%). Dunque, ancora si correggerà una scorrettezza con una
aggravante della scorrettezza.
4.- Concluderei che la via per abbattere la grande
evasione è che lo Stato sia serio di suo, e sia abbattutta la pressione fiscale (ridurla
al 40% sul PIL), ma che passa per l'abbattimento della spesa pubblica (max 45% del PIL).
Questo non è possibile con scorciatoie. Servono anni e
anni. Era la missione storica di Berlusconi (clicca su: Forum di S. Vincent, 1995) ma
non l'ha fatto.
NINO LUCIANI |
____________________________________________________
P.S. La Commissione per la riforma era stata istituita nel 1962. Il
Prof. Cesare Cosciani (Vice-Presidente) ne pubblicò i lavori nel 1965 (Milano, F.
Giuffrè, 1965). Il documento riassuntivo fu recepito dal Governo Italiano nel
"Progetto di programma di sviluppo economico per il quinquennio 1965-69, (Ministero
del Bilancio, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1965) e diverrà legge (non
tutto) nel 1970. Il testo, riportato qui sotto, è preso dal cap. XXIII (Finanza
Pubblica).
Membri della Commissione
per lo studio della riforma tributaria, nominata con D. M. del Ministro Trabucchi, che la
Presiedeva, 8 agosto 1962:
Prof. Cesare Cosciani, Vice Presidente
Prof. Enrico Allorio
Prof. Antonio BerliriDott. Benedetto Bernardinetti
Prof. Sergio Casaltoli
Dott. Carmelo Di Stefano
Prof. Francesco Forte
Dott. Angelo Gallizia
Dott. Antonio Gianquinto
Dott. GIuseppe Potenza
Dott. Aristide Salvatori
Prof. Aldo Scotto
Prof. Gaetano Stammati
Prof. Sergio Steve
Prof. Bruno Visentini
Dott. Lello Zappalà
* Questa imposta non fu mai
introdotta formalmente, per presunta incompatibilità con le regole comunitarie. Nei fatti
essa vivrà sotto forma di IRAP.
Non si confondano le parole della legge (che la chiamò "imposta
diretta"), con i fatti. Già la scienza delle finanze italiana la classicò come
seconda IVA e correttamente (qui l'esenzione dei beni strumentali vive sotto forma di
detrazione dello ammortamento, dal valore aggiunto). Ricordo poi che la somma dei valori
aggiunti "parziali" (al netto dell'ammortamento) è uguale al valore finale dei
beni: dunque l'IRAP è un'imposta sui consumi finali. |
Dopo la bocciatura del Referendum elettorale
da parte della Corte Costituzionale
|
 |
Auspicabile un
dibattito sul metodo e sui criteri per la riforma
della Governance, che dovrà riguardare Governo e Parlamento
LA RIFORMA ELETTORALE, SU QUALI
BASI ? |
1) L'iniziativa dovrebbe venire
dalle due maggiori forze politiche nazionali (PDL-PD), senza escludere l'apporto di una
"forza terza" (il Governo Monti ? );
2) Nella riforma, va garantito per legge un orizzonte temporale medio-lungo per la
Governance;
3) Il Premier potrebbe essere eletto dalle camere per 5 anni;
4) Il Parlamento di un Paese, dai mille campanili (come l'Italia) non può non avere una
rappresentanza proporzionale, purchè unitaria sul piano nazionale e dunque con premio di
maggioranza al partito di maggioranza relativa;
5) Va messo in Costituzione che i Gruppi parlamentari non possono avere un numero
di membri minore del 30% dei membri della camera di appartenenza. |
|
|
1.- Il bipolarismo, punto da cui ripartire per la
riforma. Cinicamente parlando, la storia mostra che la legge elettorale è un
"prodotto" della parte politica più forte in parlamento, al di là
dell'interesse generale. In teoria la parte politica più forte è il partito che ha vinto
le ultime elezioni politiche e che si gioca tutto per salvaguardare la sua supremazia.
In Italia, questa posizione "forte" del partito che ha vinto
le elezioni, parrebbe confermata su determinati fatti (come la votazione parlamentare del
13 gennaio u.s. , a proposito del deputato Cosentino), ma non su altri in cui il governo
Berlusconi è risultato eccessivamente inadeguato, e sicuramente se Berlusconi volesse
andare ad elezioni anticipate, cosa che non è voluta da una parte rilevante dei deputati
e senatori del PDL.
Per questi motivi (vale dire, per il fatto che la
"maggioranza di Berlusconi si è rifatta viva) assume rilevanza ripartire dalle
dichiarazioni di Berlusconi, alla Camera il 14 dicembre 2010, in occasione del dibattito
sulla mozione di fiducia.
Egli, grosso modo, ha dichiarato: "Sono disponibile a discutere di
tutto, fuorchè del sistema bipolare".
E' noto, d'altra parte, che questa sua idea non è condivisa da
altri importanti partiti in parlamento, che non vogliono il premio di maggioranza e
vogliono il voto di preferenza.
Ma è anche un fatto che l'idea bipolarista è un punto fermo, largamente
maggioritario nel Paese, che non vuole più tornare ai Governi di 6 mesi, un anno ...
degli ultimi tempi della DC - Democrazia Cristiana.
Ed è altro fatto che, in Italia, il bipolarismo non è
risuscito a darci "governi di legislatura", perchè poco dopo le elezioni, il
Gruppo parlamentare di maggioranza ha cominciato a frazionarsi. Oggi alla Camera ci sono 8
gruppi parlamentari, di cui il Gruppo misto ha 8 sottogruppi.
Su questa base, si concluderebbe che la legge
bipolarista debba essere accompagnata da una norma di salvaguardia: ad es., non
essere ammissibili in parlamento, dei Gruppi parlamentari con un numero minore del 30% dei
membri della camera di appartenenza.
2.- Necessità di garantire per legge un orizzonte
medio-lungo per la governabilità. Ma tant'è che, se le soluzioni elettorali
migliori non albergano nel cuore degli uomini, nessuna mai (anche la più perfetta,
tecnicamente) sarà applicata fedelmente.
Nel cuore degli uomini c'è, in primo luogo, che l'interesse
generale non possa vivere se ad esso non è agganciato l'interesse personale dei politici.
Questa visione è oggi un "teorema" della scuola scientifica
di public choice, "dimostrato", ormai anni fa, da J. Buchanan, premio Nobel,
sostenuta in Italia da D. da Empoli (e anche da me), pur se non aliena dal suscitare
scandalo, ad es. presso i Cattolici, secondo i quali lo scopo primario ed unico della
politica è servire il bene comune. Se mi è consentito, rinvio ad una recensione, del 1993, di Sergio
Quinzio ad un mio libro, sul settimanale SETTE del Corriere della Sera.
Se posso insistere, la conferma di questo "teorema"
è sotto gli occhi di tutti, in questi mesi, dacchè il il Governo MONTI è
stato voluto da "tutti" per fare cose, che i grandi partiti non si sono sentiti
di fare, perchè (facendolo) avrebbero certamente perduto le prossime elezioni.
Il Presidente MONTI, a sua volta, ha ben rimarcato che questo
criterio di comportamento dei politici costituisce il vero costo della politica
(più che le retribuzioni, da loro carpite): precisamente il fatto che essi hanno un
"orizzonte temporale" breve, per cui tutti i grandi problemi strutturali sono,
di norma, continuamente rinviati. Perfino il Card. Bagnasco ha
dichiarato, qualche mese fa, che in Italia, pur dichiarando tutti, da anni, di essere
d'accordo su determinate riforme, si è sempre al punto di partenza.
Per questo la riforma dovrà garantire per
legge un orizzonte temporale medio-lungo per la Governance dello Stato, già
all'inizio della legislatura.
La Governance dello Stato è, forse, il maggiore dei problemi
strutturali dell'Italia ma, di esso, quello della legge elettorale è solo una parte: vale
dire un piede che resta zoppo, se non è associato ad altri piedi, riassumibili nel
concetto di Governance costituzionale.
La conclusione di questo secondo paragrafo è che per fare una legge
ordinaria elettorale che funzioni serve, prima, una legge costituzionale per una nuova
Governance dello Stato, e per questo serve una maggioranza qualificata.
La ulteriore conclusione è che serve il dialogo diretto tra le due
maggiori forze politiche nazionali (PDL-PD), a cui non dovrà mancare il
contributo delle altre forze.
3. Quale Governance in Costituzione ? Per quanto
riguarda il Governo (per la cui riforma serve, prima, una legge
costituzionale) mi verrebbe istintivo (guardando agli USA, alla Francia ...) che ci debba
essere l'elezione diretta popolare del Premier.
Personalmente ho fatto molte cose in questo senso (giungendo a fare un
Comitato nazionale per le legge elettorale - si clicchi su http://www.impegnopoliticocattolici.bo.it/
), ma devo dire che ho trovato uno zoccolo duro contrario, soprattutto tra gli
anziani, ancora memori dell'esperienza fascista. C'è anche che il temperamento
latino porta i politici (appena acquistano potere) a collocarsi dall'altra parte della
barricata, tra gli dei. Lo vedi, tra l'altro, dal repentino cambiamento di atteggiamento,
per cui, appena "uno" diventa "qualcuno", si mette in bocca il sigaro
toscano, in TV, e si gonfia il petto.
Al tempo stesso è sotto gli occhi di tutti che, pur senza elezione diretta,
noi in Italia abbiamo avuto dei grandi Presidenti della Repubblica
(eletti dalle camere, come è noto), e dunque una buona soluzione potrebbe essere
che il Premier sia eletto dalle camere per un tempo prefissato (5
anni ?), rieleggile una seconda volta. E comunque, dovrebbe rimanere la figura del
Presidente della Repubblica, con funzioni di controllo e garanzia costituzionale, come
attualmente.
Un'altra buona soluzione potrebbe essere quella di fare elezioni
primarie nelle Regioni, ed ammettere a candidati Premier, con elezione diretta
popolare, i candidati che hanno avuto più voti "primari" in almeno 3 Regioni.
Per il Parlamento, in un Paese dai mille campanili,
preferirei il riparto proporzionale senza sbarramento, ma col premio di
maggioranza al partito di "maggioranza relativa" (più che alla
coalizione), caso mai col limite che la maggioranza relativa debba essere di almeno un
terzo dei voti validi espressi. Vale dire dobbiamo spingere verso l'unità nazionale, ma
senza sopprimere la nostra anima "locale".
Metterei, inoltre, in Costituzione (non nel Regolamento delle camere), che
non vanno ammessi Gruppi parlamentari con un numero di membri, inferiore ad un terzo dei
membri della camera di appartenenza, e inoltre che il parlamentare che passa da un gruppo
di maggioranza ad uno di minoranza, o viceversa, cessa dalla posizione di parlamentare.
Riformulerei l'art. 67 dell'attuale costituzione nel senso che
"ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni
senza vincolo di mancato" , ma all'interno del Gruppo di appartenenza (aggiunta mia,
quest'ultima). Vale dire uno è libero di dire e votare come vuole dentro il gruppo, ma
fuori dal gruppo deve fare quello che la maggioranza ha deciso.
Il voto di preferenza mi sembrerebbe una necessità,
ma non perchè il popolo spiccio sappia scegliere candidati che non conosce, ma perchè
possano farlo almeno le lobby, le associazioni ... , perchè le sole in condizioni di
conoscere i candidati. Però, non più di una preferenza, se non si vuole
che i parlamentari siano scelti da poche lobby, attraverso l'orientamento matematico delle
preferenze, magari catturate a pagamento.
Inoltre la possibilità di dare la preferenza serve a sottrarre il
parlamentare dalla dipendenza stringente dal capo partito, e quindi a dargli qualche grado
di libertà. NL |
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